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Articolo 132 Codice di procedura civile — Contenuto della sentenza

Articolo 132 Codice di procedura civile — Contenuto della sentenza

La sentenza reca l’intestazione «Repubblica italiana», ed è pronunciata «In nome del popolo italiano» . Essa deve contenere:

  1. 1) l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata ;
  2. 2) l’indicazione delle parti e dei loro difensori ;
  3. 3) le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti ;
  4. 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione [ disp. att. 118 ] ;
  5. 5) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice [ disp. att. 119 ] .

La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento; se l’estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l’impedimento.

  1. 1) l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata ;
  2. 2) l’indicazione delle parti e dei loro difensori ;
  3. 3) le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti ;
  4. 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione [ disp. att. 118 ] ;
  5. 5) il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice [ disp. att. 119 ] .
L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 24600/2017

Nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della sentenza va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione, nella parte in cui la medesima riveli l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che va ritenuta prevalente la parte del provvedimento maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del “dictum” giudiziale. (Nella specie, la S.C., a fronte di un dispositivo che rigettava l’appello avverso la sentenza anziché dichiararlo inammissibile, ha ritenuto prevalente la motivazione la quale affermava chiaramente la carenza del requisito di specificità ex art. 342 c.p.c. nel gravame).

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Cass. civ. n. 22022/2017

Deve considerarsi nulla la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, qualora la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello.

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Cass. civ. n. 19956/2017

Sussiste il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione allorché essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione. (Nella specie, la motivazione della sentenza pronunciata dalla commissione tributaria regionale si era limitata a rinviare genericamente a quanto accertato dai giudici di primo grado – la cui motivazione non risultava, peraltro, neanche richiamata “per relationem” -, senza dare conto dell’esame dei motivi di appello dell’amministrazione fiscale e senza dimostrare di avere esaminato le circostanze specifiche del caso concreto).

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Cass. civ. n. 15846/2017

Nella concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto della decisione, il giudice non deve dimostrare esplicitamente l’infondatezza o la non pertinenza di eventuali precedenti giurisprudenziali difformi (neppure se si tratti di cd. autoprecedenti e, cioè, decisioni rese in fattispecie analoghe o simili dallo stesso ufficio), poiché i motivi della decisione, in tanto possono essere viziati, in quanto siano di per sé erronei, in fatto o in diritto, in relazione alla fattispecie concreta, non già perché eventualmente in contrasto con quelli addotti in decisioni riguardanti altre fattispecie analoghe, simili o addirittura identiche.

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Cass. civ. n. 11227/2017

In tema di provvedimenti giudiziali, la motivazione “per relationem” ad un precedente giurisprudenziale esime il giudice dallo sviluppare proprie argomentazioni giuridiche, ma il percorso argomentativo deve comunque consentire di comprendere la fattispecie concreta, l’autonomia del processo deliberativo compiuto e la riconducibilità dei fatti esaminati al principio di diritto richiamato, dovendosi ritenere, in difetto di tali requisiti minimi, la totale carenza di motivazione e la conseguente nullità del provvedimento.

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Cass. civ. n. 7546/2017

La sentenza è “inesistente” per omessa sottoscrizione solo quando questa sia del tutto mancante, con conseguente non riconducibilità dell’atto al giudice, e non anche quando la stessa sia solo insufficiente, come nel caso della sottoscrizione con firma illeggibile, ricorrendo, in detta ipotesi, una mera nullità.(Nella specie, la S.C. ha ritenuto affetta da nullità la sentenza con sottoscrizione illeggibile, in quanto riconducibile al giudice in forza dell’intestazione e della dicitura “il giudice” sulla quale era stata apposta la sottoscrizione).

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Cass. civ. n. 5772/2017

In tema di sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, non costituisce motivo di nullità del provvedimento l’illeggibilità della firma, salvo che essa non consista in un segno informe privo di qualsiasi identità, al punto da risolversi in una vera e propria mancanza di sottoscrizione, né la presunzione di identità tra l’autore del segno grafico indistinguibile e la persona del giudice indicato in sentenza è inficiata dalla mera deduzione dell’assoluta indecifrabilità del segno, ove fra questo e l’indicazione nominativa del giudice contenuta nell’atto sussistano adeguati elementi di collegamento. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto insussistente una tale nullità in un’ordinanza emessa ex art. 348-ter c.p.c., atteso che la sottoscrizione non era comunque priva di identità grafologica, costando in un’apparente sequenza di nome e cognome, e che, essendo stata l’ordinanza pronunciata a scioglimento di una riserva formulata in udienza, per superare la presunzione di corrispondenza tra il giudice di quest’ultima e l’estensore del provvedimento, il ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare la totale incompatibilità tra la sottoscrizione del verbale d’udienza e quella dell’ordinanza impugnata).

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Cass. civ. n. 22242/2015

Non adempie il dovere di motivazione il giudice che si limiti a richiamare principi giurisprudenziali asseritamene acquisiti, senza tuttavia formulare alcuna specifica valutazione sui fatti rilevanti di causa e, dunque, senza ricostruire la fattispecie concreta ai fini della sussunzione in quella astratta; in una situazione di tal tipo, infatti, il sillogismo che distingue il giudizio finisce per essere monco della premessa minore e, di conseguenza, privo della conclusione razionale.

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Cass. civ. n. 21285/2015

Il provvedimento giudiziale sottoscritto dal giudice con firma digitale non è inesistente, trattandosi di modalità equiparabile alla sottoscrizione manuale.

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Cass. civ. n. 20648/2015

La sentenza motivata “per relationem”, mediante mera adesione acritica all’atto d’impugnazione, senza indicazione né della tesi in esso sostenuta, né delle ragioni di condivisione, è affetta da nullità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in quanto corredata da motivazione solo apparente.

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Cass. civ. n. 19074/2015

La portata precettiva di una sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo, ma anche della motivazione, quando il primo, contenga comunque una decisione che, pur di contenuto incompleto e indeterminato, si presti ad essere integrata dalla seconda. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata la quale aveva escluso la ricorrenza del vizio di omessa pronuncia relativamente ad un lodo arbitrale il cui dispositivo non conteneva alcuna espressa statuizione di rigetto di una domanda risarcitoria ritenuta non meritevole di accoglimento in motivazione).

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Cass. civ. n. 12864/2015

L’omessa od erronea trascrizione delle conclusioni delle parti nella intestazione della sentenza importa la sua nullità solo quando le conclusioni formulate non siano state prese in esame, mancando in concreto una decisione sulle domande o eccezioni ritualmente proposte. Quando invece dalla motivazione della sentenza risulti che le conclusioni delle parti, nonostante l’omessa o erronea trascrizione, siano state esaminate e decise, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza.

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Cass. civ. n. 1815/2015

Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive.

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Cass. civ. n. 4448/2014

È meramente apparente la motivazione della sentenza in cui il giudice richiami le conclusioni raggiunte dal consulente tecnico d’ufficio, senza ulteriori specificazioni, non illustrando né le ragioni né l'”iter” logico seguito per pervenire, partendo da esse, al risultato enunciato in sentenza, ciò che integra una sostanziale inosservanza dell’obbligo imposto dall’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione. (Principio enunciato dalla S.C. con riferimento ad una pronuncia di merito che, in ordine alla liquidazione del cosiddetto “danno biologico permanente”, nel recepire le indicazioni della consulenza tecnica d’ufficio quanto all’importo da liquidare, non aveva specificato quali fossero le tabelle di calcolo utilizzate per pervenire alla liquidazione e la percentuale d’invalidità permanente riscontrata, non consentendo, pertanto, di ricostruire come e perché fosse arrivata a tale quantificazione).

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Cass. civ. n. 12123/2013

L’obbligo di motivazione del giudice è ottemperato mediante l’indicazione delle ragioni della sua decisione, ossia del ragionamento da lui svolto con riferimento a ciascuna delle domande o eccezioni (nel giudizio di primo grado) o a ciascuno dei motivi di impugnazione (nei giudizi di impugnazione), mentre non è necessario che egli confuti espressamente – pur dovendoli prendere in considerazione – tutti gli argomenti portati dalla parte parte interessata a sostegno delle proprie domande, eccezioni o motivi disattesi e cioè anche gli argomenti assorbiti o incompatibili con le ragioni espressamente indicate dal giudice stesso, dovendosi ritenere, diversamente, che la motivazione non possa qualificarsi come “succinta” nel senso voluto dall’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., tanto più ove venga in rilievo una ordinanza pronunziata dalla Suprema Corte ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ.

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Cass. civ. n. 8702/2013

In tema di motivazione della sentenza, l’onere del giudice quanto alle ragioni che lo inducano a disattendere, anziché accogliere, le conclusioni di una consulenza tecnica resa in altro giudizio si configura in modo analogo rispetto all’obbligo per lo stesso di dare risposta alle argomentazioni difensive poste dalle parti a sostegno di una domanda.

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Cass. civ. n. 3340/2013

La motivazione “per relationem” di una sentenza, in linea di principio ammissibile, deve permettere tuttavia un agevole reperimento della sentenza citata mediante riproduzione dei suoi contenuti, oggetto di autonoma valutazione critica, così da consentire la verifica di compatibilità logico-giuridica del richiamo operato; pertanto, quando il rinvio ad una sentenza di merito di commissione tributaria, relativa ad un altro processo, avvenga con la sola indicazione del numero della sentenza e dell’anno, ma senza indicazione della sezione, tale rinvio deve considerarsi illegittimo, perché le sentenze di merito non sempre sono facilmente reperibili ed, inoltre, la relativa numerazione viene effettuata per ciascuna sezione e non per commissione, né la parte può essere obbligata a ricerche di documenti extraprocessuali.

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Cass. civ. n. 22557/2012

Quando la data di deposito di una sentenza sia inintelligibile il giudice deve determinarla (nella specie, al fine di accertare la tempestività dell’impugnazione) ricorrendo ad altri documenti o certificazioni, che siano oggettivi ed attendibili (come ad esempio il biglietto di cancelleria contenente la comunicazione dell’avvenuto deposito della sentenza).

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Cass. civ. n. 16535/2012

L’omessa indicazione nell’epigrafe della sentenza del nome di una delle parti rende nulla la sentenza quando né dallo “svolgimento del processo”, né dai “motivi della decisione”, sia dato desumere la sua effettiva partecipazione al giudizio, con conseguente incertezza assoluta nell’individuazione del soggetto nei cui confronti la sentenza è destinata a produrre i suoi effetti.

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Cass. civ. n. 7364/2012

In tema di motivazione della sentenza, il principio secondo il quale non è carente di motivazione la sentenza che recepisce “per relationem” le conclusioni ed i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, può trovare applicazione anche con riferimento a consulenze disposte ed esperite in altro giudizio, anche aventi funzione non solo deducente ma anche percipiente, sebbene in tale caso la valutazione del giudice deve essere più rigorosa, e devono essere rese chiaramente ostensibili in motivazione le ragioni per le quali, nonostante la oggettiva diversità dei fatti storici esaminati dalla c.t.u. e quelli esaminati nel giudizio pendente, i rilevamenti di fatto compiuti dall’ausiliario e le conclusioni da questo raggiunte possano essere in tutto od in parte trasposti anche nel nuovo giudizio. (Nella specie, la c.t.u. di altro giudizio, su cui si era fondata “per relationem” la decisione impugnata, aveva avuto ad oggetto la rilevazione dell’ubicazione di fondi soggetti ad opere di bonifica, la individuazione di tali opere e la verifica della funzionalità ad arrecare beneficio ai fondi, sebbene i giudizi si riferissero a periodi ed a fatti storici diversi; la S.C., nel cassare la sentenza impugnata, ha affermato il principio su esteso).

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Cass. civ. n. 7269/2012

È valida la sentenza deliberata dal magistrato prima del suo collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, a nulla rilevando che il deposito in cancelleria sia avvenuto successivamente a tale momento.

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Cass. civ. n. 4326/2012

In tema di sottoscrizione delle sentenze civili, in caso di collocamento in pensione, dimissioni, o comunque in tutte le ipotesi (diverse dal trasferimento ad altra sede o ad altro incarico) in cui il magistrato abbia cessato di fare parte dell’ordine giudiziario, la sottoscrizione della sentenza da parte del medesimo – pur non sussistendo un impedimento assoluto alla sua materiale apposizione – non è coercibile, e ben può essere rifiutata, senza che egli ne debba rispondere penalmente o disciplinarmente. Alla norma di cui all’art. 132, ultimo comma, c.p.c. (secondo cui, se il giudice non può sottoscrivere la sentenza “per morte o altro impedimento”, questa è sottoscritta dal componente più anziano del collegio) non può, infatti, riconoscersi natura eccezionale, risultando, pertanto, senz’altro consentita l’applicazione analogica ed estensiva dell’ipotesi di “altro impedimento” ivi contemplata, la quale deve considerarsi integrata anche dal collocamento a riposo del magistrato. Ne consegue che, ove il presidente del collegio, che ha emesso la sentenza, venga successivamente a cessare dal servizio o rifiuti per qualsiasi motivo di porre in essere gli adempimenti di competenza in ragione delle funzioni già esercitate (verifica della conformità dell’originale della sentenza alla minuta e della rispondenza dei principi indicati nella motivazione della sentenza a quelli affermati nel corso della camera di consiglio; sottoscrizione della sentenza), non è nulla, né tanto meno inesistente, la sentenza sottoscritta dal giudice componente anziano del collegio giudicante, che a tale stregua ne esplichi le relative incombenze, con l’annotazione di avere sottoscritto in vece del presidente “impedito”, senza che sia peraltro necessario indicare la causa dell’impedimento, sufficiente essendo che egli ne attesti l’esistenza, con una statuizione non censurabile nei successivi gradi di giudizio, non risultando al riguardo prevista alcuna possibilità di impugnazione.

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Cass. civ. n. 23670/2011

La mancata indicazione espressa della parte nella sentenza – non prescritta a pena di nullità dall’art. 132, secondo comma, n. 2, c.p.c. – non ne determina la nullità per inidoneità al raggiungimento dello scopo ove l’atto abbia indicato un provvedimento intervenuto nel corso del processo il cui contenuto consenta di individuare “per relationem” la parte non indicata nella sentenza stessa, dovendosi ritenere, in applicazione dei principi di cui all’art. 156, secondo e terzo comma, c.p.c., che quest’ultima, pur carente di un requisito formale, sia idonea ad assicurare il soddisfacimento dello scopo a cui è preposta l’indicazione delle parti. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha escluso che l’omessa indicazione nella sentenza della Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense, litisconsorte necessario, comportasse l’invalidità dell’atto atteso l’espresso richiamo nella motivazione al provvedimento di integrazione del contraddittorio nei confronti della suddetta Cassa Forense, nonché al successivo reclamo avverso un provvedimento provvisorio, di cui erano state riportate anche le conclusioni formulate in quella sede nei confronti della medesima parte).

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Cass. civ. n. 7477/2011

È conforme al disposto dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c., con riferimento al requisito dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, la sentenza di merito la cui motivazione, pur riportando ampi stralci del percorso logico risultante dalla comparsa depositata nell’interesse di una delle parti, così recependo in modo prevalente l’impostazione difensiva adottata dalla parte, risulti tuttavia supportata da idonei e critici spunti di ragionamento logico-giuridico sui vari aspetti della vicenda sottoposta al vaglio del giudice.

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Cass. civ. n. 3367/2011

La motivazione della sentenza “per relationem” è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione dello stesso, diviene parte integrante dell’atto rinviante, fermo restando, tuttavia, secondo un principio generale dell’ordinamento, desumibile dagli artt. 3 della legge n. 241 del 1990, e 7, comma 1, della legge n. 212 del 2000, per gli atti amministrativi (e valido, a maggior ragione, in forza dell’art. 111 Cost., per l’attività del giudice), che il rinvio va operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione “per relationem”. Ne consegue che non incorre nella violazione degli artt. 111 Cost., 118 disp. att. c.p.c. e 132 c.p.c. la motivazione della sentenza che, richiamando testualmente un precedente del medesimo ufficio reso su una questione analoga, dopo aver esaminato specificamente le singole censure proposte dall’appellante, concluda nel senso che le argomentazioni della sentenza richiamata “rispondono a tutti i motivi d’impugnazione dedotti dagli appellanti”.

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Cass. civ. n. 22845/2010

In tema di contenuto della sentenza, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. nella versione anteriore alla modifica da parte dell’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69, non rappresenta un elemento meramente formale, ma un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, stante il principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può essere mai dichiarata se l’atto ha raggiunto il suo scopo (art. 156, comma 3, c.p.c.), e considerato che lo stesso legislatore, nel modificare l’art. 132 cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione.

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Cass. civ. n. 22278/2010

L’art. 132, ultimo comma, c.p.c., a norma del quale la sentenza, nel caso di impedimento del presidente, può essere sottoscritta dal giudice più anziano ed, in caso di impedimento dell’estensore, dal presidente soltanto, purché sia fatta menzione nella sentenza dell’impedimento, richiede solo la generica indicazione, prima della firma del presidente o, nel caso che l’impedimento riguardi quest’ultimo, del giudice più anziano, dell’attualità di un ostacolo non di breve durata e non anche la formale attestazione o certificazione amministrativa di tale ostacolo.

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Cass. civ. n. 7343/2010

L’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti; comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intera sentenza, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce. (Nella specie, in riferimento ad un procedimento in cui era parte l’Agenzia delle Entrate, la S.C. ha stabilito che, benché non indicata nell’intestazione della sentenza, l’avvenuta partecipazione al giudizio dell’Agenzia fosse inequivocabilmente desumibile da suo contenuto, laddove si indicava la sua costituzione in giudizio già in primo grado e la proposizione dell’appello da parte della medesima).

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Cass. civ. n. 24542/2009

Nella redazione della motivazione della sentenza, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, essendo necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c. (nel testo “ratione temporis” vigente), che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con il percorso argomentativo seguito.

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Cass. civ. n. 16920/2009

La diversità fra la data di deliberazione della sentenza indicata in calce alla medesima e la data dell’udienza collegiale fissata per tale deliberazione non è di per sé sola sufficiente a far ritenere, nel caso che quest’ultima sia successiva, che la sentenza sia stata deliberata prima di tale udienza, cioè a far ritenere superata la presunzione di rituale decisione della causa da parte del collegio, configurandosi, invece, come frutto di mero errore materiale non invalidante, anche in mancanza di attivazione del procedimento di correzione, salvo che non ricorrano altri specifici elementi dimostrativi della rispondenza al vero della indicazione e, quindi, di distorsioni verificatesi nell'”iter” processuale.

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Cass. civ. n. 11603/2009

L’omesso esame di specifici elementi probatori idonei a fornire la rappresentazione dei fatti oggetto di accertamento e che risultano suscettibili di determinare una diversa decisione della causa da parte del giudice comporta un vizio di motivazione su un punto decisivo della domanda; ne consegue che il giudice, cui spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, deve dar conto, con motivazione adeguata, delle ragioni per le quali ritenga di non valutare l’istanza di esibizione ritualmente formulata dalla parte, ove la stessa sia pertinente e rilevante. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che non aveva dato corso ad una istanza di esibizione formulata da alcuni lavoratori, volta a dimostrare, nonostante il subentro di diversi committenti, la presenza di una clausola sociale in un precedente contratto di appalto stipulato dalla cooperativa presso la quale prestavano servizio).

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Cass. civ. n. 161/2009

La sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi”. Ne consegue che non può ritenersi affetta da nullità la sentenza per il solo fatto che si limiti a recepire, trascrivendola, la motivazione di un altro provvedimento giudiziale adottato sulla medesima questione, ferma la necessità che la motivazione trascritta non presenti, essa stessa, i vizi della motivazione apparente.

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Cass. civ. n. 18237/2008

Se al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Ove, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa.

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Cass. civ. n. 17957/2007

Poiché l’art. 132, secondo comma, n. 2 c.p.c. non prevede il requisito della indicazione delle parti a pena di nullità, la mancanza della indicazione espressa di una delle parti o di tutte nella sentenza (e precisamente tanto nella sua intestazione, quanto nella parte descrittiva dello svolgimento processuale, quanto nella parte motivazionale) può determinare una nullità solo ai sensi del secondo comma dell’art. 156 c.p.c., cioè se l’atto-sentenza è inidoneo al raggiungimento dello scopo. Sotto tale profilo, viceversa, deve escludersi che il raggiungimento dello scopo e, quindi, la sanatoria della relativa nullità possa configurarsi attraverso la mera considerazione di quelle che erano le parti del giudizio per il tramite dell’esame degli atti del processo, allorché nella sentenza manchi qualsiasi riferimento indiretto.

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Cass. civ. n. 16999/2007

L’erronea trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti, mentre costituisce, di norma, una semplice irregolarità formale irrilevante ai fini della validità della sentenza, determina un effetto invalidante della medesima allorché abbia in concreto violato il principio del contraddittorio, impedendo la pronuncia del giudice sull’effettivo contenuto del dibattito processuale e sulle reali conclusioni delle parti. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso rilevando che l’erronea trascrizione delle conclusioni del P.M., di rigetto invece che di accoglimento, ne aveva impedito l’esame da parte della Corte di appello).

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Cass. civ. n. 10033/2007

La trascrizione e condivisione della difesa di una delle parti senza esplicitarne le ragioni non costituisce motivazione della sentenza, ma è sufficiente, affinché si eviti la nullità della sentenza per mancanza di motivazione che nel recepire gli argomenti della parte il giudice fornisca, anche sinteticamente, le ragioni per le quali la tesi condivisa è preferibile alla tesi avversaria.

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Cass. civ. n. 7943/2007

Quando la motivazione richiama un orientamento giurisprudenziale consolidato — tra l’altro riportando le massime in cui esso si è espresso — la motivazione deve ritenersi correttamente espressa da tale richiamo, che rinvia — in evidente ossequio al principio di economia processuale (che oggi trova legittimazione formale nel principio della ragionevole durata del processo, il quale giustifica ampiamente che non si debbano ripetere le argomentazioni di un orientamento giurisprudenziale consolidato, ove condivise dal giudicante e non combattute dal litigante con argomenti nuovi) — appunto alla motivazione risultante dai provvedimenti richiamati, di modo che il dovere costituzionale di motivazione risulta adempiuto per relationem per essere detta motivazione espressa in provvedimenti il cui contenuto è conoscibile.

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Cass. civ. n. 3840/2007

Il giudice che definisce la causa su una questione pregiudiziale non può pronunciarsi anche sul merito di essa. Il giudice che abbia pregiudizialmente dichiarato inammissibile la domanda o il gravame non ha il potere di esaminare la domanda nel merito, e le eventuali argomentazioni ad abundantiam relative al merito contenute nella sentenza sono da ritenere giuridicamente irrilevanti; ne consegue che è ammissibile l’impugnazione che si limiti a censurare la statuizione pregiudiziale di inammissibilità mentre è inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione nella parte relativa alla pronuncia sul merito. (Mass. redaz.).

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Cass. civ. n. 17145/2006

La conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c., e l’osservanza degli artt. 115 e 116, c.p.c., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito.

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Cass. civ. n. 11860/2006

La mancanza della sottoscrizione o della sigla dell’estensore e del presidente in alcuna delle pagine che compongono la sentenza non integra violazione dell’art. 132, terzo comma, n. 5, c.p.c., il quale richiede la sottoscrizione del giudice come sigillo conclusivo del testo in cui è documentata la decisione, che implica, come è confermato dal secondo comma dell’art. 119 att. c.p.c. (che riflette l’ipotesi in cui il testo originale sia stato formato dal cancelliere) la verifica analitica della corrispondenza del testo scritto, in ogni sua parte, a quello steso dal relatore ed approvato dal presidente; sicché l’autenticità della sentenza sottoscritta (a conclusione del testo originale) dal giudice può essere contestata soltanto con la querela di falso per materiale contraffazione in ipotesi attuata in tempo successivo al deposito in cancelleria a norma dell’art. 133 c.p.c.

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Cass. civ. n. 2268/2006

È legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purché il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame. (Nella fattispecie, relativa a sinistro stradale derivato dallo scontro di due autoveicoli, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di appello la quale, a fronte del gravame sulle circostanze che avevano portato il primo giudice a ritenere la colpa esclusiva di uno dei due conducenti al fine di ottenere una diversa ricostruzione del sinistro ovvero una diversa graduazione di colpa dei protagonisti dello stesso, si era limitata ad affermare che «la ricostruzione in proposto operata dal primo giudice risulta certamente corretta, in quanto fondata sulle risultanze probatorie tutte di cui in atti»).

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Cass. civ. n. 26040/2005

La sottoscrizione della sentenza da parte del giudice – e, nel caso del giudice collegiale, del presidente e dell’estensore (ovvero di uno dei due), secondo quanto disposto dall’art. 132, ultimo comma, c.p.c. – costituisce un requisito essenziale del provvedimento, la cui mancanza ne determina la nullità assoluta e insanabile, senza che possa ovviarsi né con il procedimento di correzione degli errori materiali (che postula un provvedimento dal contenuto affetto da omissioni od errori, ma ormai completo nel suo procedimento di formazione), né tantomeno con la rinnovazione della pubblicazione da parte dello stesso organo che – emessa la pronunzia – ha ormai esaurito la sua funzione giurisdizionale. Il suddetto vizio di nullità, rilevabile anche d’ufficio, comporta la rimessione della causa al medesimo giudice che ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione, il quale viene investito del potere dovere di riesaminare il merito della causa stessa e non può limitarsi ad una semplice rinnovazione della sentenza.

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Cass. civ. n. 21193/2005

L’omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice (o, nell’ipotesi di sentenza emessa da un giudice collegiale, da parte di uno dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell’art. 132, terzo comma c.p.c.) determina, qualora non risulti menzionato un impedimento del magistrato, la nullità assoluta ed insanabile della sentenza, equiparabile all’inesistenza del provvedimento, e quindi deducibile, ai sensi dell’art. 161, secondo comma c.p.c., fuori dei limiti e delle regole dei mezzi d’impugnazione, nonché rilevabile d’ufficio, ove non venga allegata dalla parte, anche nel giudizio di cassazione, con la conseguente rimessione della causa al medesimo giudice che ha pronunciato la sentenza carente di sottoscrizione; la nullità in questione, in quanto non coperta dal giudicato formale, può essere fatta valere, anche al di fuori dell’impugnazione nello stesso processo, con un’autonoma azione di accertamento, non soggetta a termini di prescrizione o decadenza, ovvero in via di eccezione, ed altresì in sede di opposizione all’esecuzione; ad essa non può ovviarsi, dopo il deposito in cancelleria, attraverso l’integrazione dell’originale mediante le sottoscrizioni dei giudicanti, in quanto alla pubblicazione della sentenza fa riscontro la consumazione del potere-dovere del giudice adito di pronunciare sulla domanda oggetto della decisione, né attraverso il procedimento di correzione degli errori materiali, il quale postula un provvedimento dal contenuto affetto da omissioni od errori, ma ormai completo nel procedimento di formazione; tale incompletezza, peraltro, impedendo di ricollegare alla pubblicazione della sentenza l’effetto di concludere la fase decisoria del processo, non esclude l’integrale rinnovazione del provvedimento da parte dello stesso giudice che l’ha pronunciato, il quale, rilevata l’inesistenza dell’atto, può ben addivenire ad una nuova deliberazione e redazione della sentenza stessa, senza che assuma alcun rilievo l’avvenuta proposizione, medio tempore dell’azione di nullità, in quanto la rinnovazione non fa altro che anticipare, nell’ambito del principio di economia processuale, l’accertamento dell’invalidità della pregressa decisione. (Nella specie, trattandosi dell’omessa sottoscrizione di una sentenza da essa stessa pronunciata, la S.C. ha rilevato che la rinnovazione sarebbe valsa anche ad impedire che, per l’assenza di mezzi d’impugnazione, l’azione di nullità conducesse alla sola rimozione della decisione invalida, senza che potesse pervenirsi ad una pronuncia sostitutiva della stessa).

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Cass. civ. n. 10420/2005

Le argomentazioni ultronee, che non hanno lo scopo di sorreggere la decisione già basata su altre decisive ragioni, sono improduttive di effetti giuridici e, come tali, non sono suscettibili di censura in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 9019/2005

Qualora sia denunziata la nullità di sentenza collegiale nella cui intestazione risulti il nominativo del magistrato relatore ed estensore con errata indicazione del prenome e che contenga il nominativo di altro magistrato diverso da quello che asseritamente avrebbe partecipato all’udienza di discussione, va esclusa la sussistenza del vizio ove nulla riporti il verbale di udienza (che nella specie recava la dizione «avanti il Collegio») e il ricorrente produca certificato di cancelleria attestante semplicemente una composizione del Collegio diversa da quella risultante dall’intestazione. Va infatti rilevato che: a) la mancata indicazione del nome dei componenti del collegio nel verbale di udienza costituisce mera irregolarità; b) un certificato di cancelleria che non indichi in base a quale risultanza sia attestata quale fosse la composizione del collegio non ha efficacia probatoria superiore a quella della sentenza recante in calce la firma del Presidente e dell’estensore; c) l’eventuale errore riguardante il nome di battesimo di quest’ultimo sarebbe irrilevante, non impedendone la concreta identificazione.

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Cass. civ. n. 20597/2004

In tutti i casi nei quali il presidente sia anche l’estensore (come accade quando egli stesso abbia proceduto all’istruzione ex art. 168 bis c.p.c. ed abbia dunque effettuato la relazione come stabilito dall’art. 275, ultimo comma, c.p.c., ovvero quando, pur non essendo stato il relatore, abbia tuttavia provveduto alla stesura della motivazione ex art. 276, ultimo comma, c.p.c.), la sentenza non può che essere sottoscritta soltanto da lui.

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Cass. civ. n. 13074/2004

Non è affetta da nullità la sentenza in cui nell’intestazione del dispositivo, letto in udienza, è lasciato in bianco lo spazio per l’indicazione della data di udienza ed il nome di una della parti sia riportato in modo errato, qualora tali irregolarità non determinino alcuna incertezza sulla data del dispositivo o sul soggetto a cui esso si riferisce.

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Cass. civ. n. 12114/2004

In mancanza di un’espressa comminatoria non è configurabile nullità della sentenza nell’ipotesi di mera difficoltà di comprensione del testo stilato in forma autografa dall’estensore, di sua difficile leggibilità, atteso che in tali casi la sentenza non può ritenersi priva di uno dei requisiti di validità per essa stabiliti; qualora invece il provvedimento non si presenti soltanto di difficile lettura, ma sia addirittura pressoché incomprensibile, al punto da richiedere, per la sua decifrazione, una operazione il cui stesso esito è dubbio, poiché, nonostante gli sforzi cui eventualmente si sottoponga il lettore più attento, risulta impossibile avere certezza in ordine all’esatta comprensione del testo, è integrata l’ipotesi di assoluta carenza della motivazione, ricorrente appunto quando la sentenza, in violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e 118, primo comma, disp. att. c.p.c., manca delle argomentazioni atte a palesare le ragioni della decisione, perché una siffatta carenza, incidendo sul modello della sentenza descritto da tali disposizioni — costituenti attuazione del principio costituzionale (art. 111 Cost.) secondo il quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati —, ne determina la nullità, prevista come motivo di ricorso per cassazione dall’art. 360, n. 4, c.p.c.

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Cass. civ. n. 10633/2004

L’art. 132, secondo comma, c.p.c. disciplina solo l’ipotesi di morte o altro impedimento del presidente del collegio, o del giudice estensore, a sottoscrivere la sentenza e non riguarda il caso in cui eventi siffatti si verifichino dopo la sottoscrizione. Pertanto, una volta che la sentenza sia stata regolarmente sottoscritta dal presidente, a nulla rileva il decesso del presidente stesso anteriormente alla data della sua pubblicazione, atteso anche che la consegna materiale del documento — debitamente sottoscritto — al cancelliere per la pubblicazione certamente non postula l’esistenza in vita del presidente.

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Cass. civ. n. 9035/2004

Il requisito della sottoscrizione della sentenza da parte del giudice che l’ha pronunciata, la cui mancanza comporta la nullità insanabile e rilevabile d’ufficio ex art. 161, capoverso, c.p.c., va verificato con riferimento alla «sentenza» completa di motivazione e di dispositivo, con irrilevanza, per quanto concerne le sentenze dei giudici di merito in materia di lavoro, della sussistenza o insussistenza della sottoscrizione del dispositivo letto in udienza, ritualmente inserito in un verbale di cui il segretario d’udienza abbia attestato la regolarità formale.

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Cass. civ. n. 4015/2004

L’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti e l’inadeguata esposizione dello svolgimento del processo di per sé non costituiscono motivo di nullità della sentenza, se le omissioni e le carenze espositive non hanno inciso in concreto sul processo decisionale del giudice, determinando una mancata pronunzia sulle domande o eccezioni proposte dalle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia.

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Cass. civ. n. 12214/2003

Nel caso in cui risulti, in calce alla sentenza, che la stessa è stata redatta con la collaborazione di un uditore giudiziario, non può considerarsi la sentenza stessa affetta da nullità né tanto meno da inesistenza, rilevabile anche d’ufficio in sede di impugnazione, in quanto con tale annotazione non si vuole intendere che il procedimento sia stato deciso dal magistrato senza funzioni, ma solo che, nell’espletamento del tirocinio, il magistrato senza funzioni abbia collaborato col giudice all’esame della controversia e alla stesura della minuta della motivazione, di cui il secondo, con la sottoscrizione, ha assunto la paternità.

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Cass. civ. n. 9616/2003

In tema di sottoscrizione delle sentenze civili, in caso di collocamento in pensione, dimissioni, o comunque in tutte le ipotesi (diverse dal trasferimento ad altra sede o ad altro incarico) in cui il magistrato abbia cessato di fare parte dell’ordine giudiziario, la sottoscrizione della sentenza da parte del medesimo — pur non sussistendo un impedimento assoluto alla sua materiale apposizione — non è coercibile, e ben può essere rifiutata senza che egli ne debba rispondere penalmente o disciplinarmente. Alla norma di cui all’art. 132, ultimo comma, c.p.c. (secondo cui, se il giudice non può sottoscrivere la sentenza “per morte o altro impedimento”, questa è sottoscritta dal componente più anziano del collegio) non può infatti riconoscersi natura eccezionale, risultando pertanto senz’altro consentita l’applicazione analogica ed estensiva dell’ipotesi di “altro impedimento” ivi contemplata, la quale deve considerarsi integrata (anche) dal collocamento a riposo del magistrato. Ne consegue che, ove il presidente del collegio che ha emesso la sentenza venga successivamente a cessare dal servizio e rifiuti per qualsiasi motivo di porre in essere gli adempimenti di competenza in ragione delle funzioni già esercitate (verifica della conformità dell’originale della sentenza alla minuta e della rispondenza dei principi indicati nella motivazione della sentenza a quelli affermati nel corso della camera di consiglio; sottoscrizione della sentenza), non è nulla la sentenza sottoscritta dal giudice componente anziano del collegio giudicante (con l’annotazione di avere sottoscritto invece del presidente “impedito”, senza che sia peraltro necessario indicare — neppure sommariamente — la causa dell’impedimento, sufficiente essendo che egli ne attesti l’esistenza, con una statuizione non censurabile nei successivi gradi di giudizio, non risultando al riguardo prevista alcuna possibilità di impugnazione), che a tale stregua ne esplichi le relative incombenze, giacché risultano a tale stregua osservati (oltre alla funzione di presidenza del collegio) i principi di (estrema) semplificazione degli atti processuali e di eccezionalità delle ipotesi di nullità ed inesistenza posti dalla legge n. 532 del 1977 (la quale ha introdotto la regola secondo cui la sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta solo dal presidente e dal giudice estensore).

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Cass. civ. n. 7058/2003

La conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c., e l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiedono che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito.

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Cass. civ. n. 15249/2002

La mancata sottoscrizione della sentenza da parte di un magistrato collocato a riposo successivamente alla deliberazione costituisce motivo di nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 161 c.p.c., attesa la natura eccezionale della norma di cui all’art. 132 secondo comma stesso codice (a mente della quale, se il giudice non può sottoscrivere la sentenza «per morte o altro impedimento», questa è sottoscritta dal componente più anziano del collegio), tale, cioè, da non consentire alcuna interpretazione estensiva della locuzione «altro impedimento», che non si realizza, pertanto, con la semplice collocazione a riposo del magistrato tenuto alla sottoscrizione.

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Cass. civ. n. 10793/2002

L’omessa, incompleta o inesatta indicazione, in sentenza, di tutte le parti in causa (nella specie, omessa indicazione degli eredi di una delle parti, deceduta, nonché omessa indicazione della qualità di erede di altra parte costituita) non integra l’ipotesi dell’errore materiale emendabile con la procedura di cui agli artt. 287, 288 c.p.c. tutte le volte che le indicazioni mancanti non siano direttamente ricavabili dalla sentenza stessa (nella specie, totale assenza, nella sentenza impugnata, tanto di riferimenti alla morte di una parte, quando dell’intervenuta successione nel processo degli eredi per la rituale interruzione e riassunzione), ma ciò non comporta alcuna nullità della pronuncia — bensì una mera difficoltà nella sua eseguibilità nei confronti dei soggetti non indicati ed apparentemente pretermessi — qualora l’omissione non si risolva in un autonomo vizio di essa (nella specie, la nullità è stata in concreto esclusa dalla Suprema Corte in relazione ad una vicenda in cui, nel corso del giudizio, si era realizzata sia l’interruzione del processo, sia la sua prosecuzione nei confronti dei successori universali evocati ritualmente in causa con l’atto di riassunzione).

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Cass. civ. n. 3132/2002

L’art. 132 c.p.c., stabilendo che la sentenza deve contenere l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata, non impone, al riguardo, che l’esatta collocazione territoriale del giudice nella struttura organizzativa dell’autorità giudiziaria ordinaria risulti già nell’intestazione della sentenza, essendo sufficiente che dal contesto dell’atto risulti comunque tale indicazione, in modo tale da non ingenerare incertezza alcuna in ordine alla provenienza di questo. (Nella specie si è ritenuto che la specificazione di carattere territoriale del giudice di pace decidente, omessa nella intestazione della sentenza, fosse possibile attraverso l’indicazione della località di pubblicazione della sentenza e la presenza del timbro con l’espressa menzione del riferimento completo dell’ufficio).

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Cass. civ. n. 15949/2001

La motivazione per relationem ad altre decisioni si può considerare carente o meramente apparente — e come tale censurabile in sede di legittimità — solo quando il decisum si fonda esclusivamente sul mero rinvio a precedenti o a massime giurisprudenziali richiamati in modo acritico e non ricollegati esplicitamente alla fattispecie controversa, di tal che venga impedito un controllo sul procedimento logico seguito dal giudice proprio per impossibilità di individuare la ratio decidendi. (Nella specie la S.C. ha considerato legittima la motivazione della sentenza impugnata nella quale il giudice aveva fatto esplicito riferimento ad una propria precedente decisione relativa ad una controversia simile a quella attualmente sub iudice sul principale rilievo che il suddetto rinvio non aveva esaurito la motivazione della sentenza nella quale, invece, la relativa ratio decidendi era stata esplicitata in modo chiaro e con specifico riferimento alla fattispecie esaminata).

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Cass. civ. n. 13087/2001

Deve ritenersi inammissibile la motivazione per relationem della sentenza pronunziata in grado di appello contenente solo il generico richiamo alla comparsa di risposta dell’appellato e alle argomentazioni in essa esposte, senza che il giudice prenda posizione in modo critico in ordine al provvedimento censurato ed ai motivi di appello.

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Cass. civ. n. 7059/2001

È affetta da nullità insanabile, rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità, la sentenza collegiale che rechi la sottoscrizione del solo presidente, del quale deve presumersi il difetto della qualità di estensore, ove risulti che altro membro del collegio sia indicato come relatore della causa, manchi un apposito provvedimento con cui lo stesso presidente si sia attribuito tale incarico, ex art. 276 c.p.c., e manchi altresì la specifica indicazione della qualità di estensore che in tal caso deve accompagnare la sottoscrizione del solo presidente (art. 119, comma terzo, disp. att. c.p.c.), mentre resta ininfluente, al riguardo, che questi abbia sottoscritto alcune pagine intermedie della stessa sentenza; né vale ad escludere tale nullità l’eventuale apposizione di “sigle”, ipoteticamente attribuibili all’estensore, su alcuni fogli del documento, posto che, in ogni caso, la disposizione di cui all’art. 132 c.p.c., nel prevedere la sottoscrizione del giudice, esige che la firma sia apposta in calce alla sentenza, solo in tal modo potendosi individuare il magistrato autore del provvedimento nella sua globalità.

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Cass. civ. n. 3677/2001

È nulla per vizio di sottoscrizione la sentenza che definisce un procedimento di primo grado dinanzi al giudice unico qualora quest’ultimo, designato con decreto presidenziale a sostituire il titolare del procedimento, abbia tenuto alcune udienze di trattazione, nonché l’udienza di precisazione delle conclusioni, assumendo, per l’effetto, la causa in decisione, ma non abbia, poi, emesso la decisione stessa, né redatto la relativa sentenza, in conseguenza del rientro in servizio del magistrato da lui sostituito (che, nella specie, aveva poi assunto la decisione ed emesso il conseguente provvedimento). In tal caso, difatti, giusta disposto dell’art. 161 c.p.c., la radicale nullità della pronuncia consegue alla sottoscrizione apposta da giudice diverso da quello che avrebbe dovuto apporla (rendendosi, nella specie, necessario un provvedimento di rimessione della causa sul ruolo, onde consentire alle parti una nuova precisazione delle conclusioni), senza che, in contrario, possa utilmente invocarsi il disposto dell’art. 174 del codice di rito, funzionale alla sola sostituzione del giudice istruttore nel corso dell’istruttoria — ovvero (art. 174, secondo comma) alla sua sostituzione “tout court” nel solo caso di assoluto impedimento.

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Cass. civ. n. 15424/2000

La sottoscrizione della sentenza da parte del giudice — e, nel caso del giudice collegiale, del presidente e dell’estensore, secondo quanto disposto dall’art. 132, ultimo comma, c.p.c. — costituisce un requisito essenziale della giuridica esistenza del provvedimento, la cui mancanza ne determina la nullità assoluta e insanabile, senza che assuma alcun rilievo che il magistrato di cui manca la sottoscrizione abbia partecipato o meno alla deliberazione della sentenza stessa. Il suddetto vizio, rilevabile anche di ufficio, comporta, anche in esito al giudizio di cassazione, la rimessione della causa al medesimo giudice che ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione, il quale viene investito del potere-dovere di riesaminare il merito della causa stessa e non può limitarsi ad una semplice rinnovazione della sentenza .(Nella specie la S.C. ha dichiarato l’inesistenza giuridica di una sentenza, emessa nel 1997 dal tribunale di Ivrea, non sottoscritta dal presidente, e ha rinviato la causa alla Corte di appello di Torino).

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Cass. civ. n. 13292/2000

L’esposizione in sentenza dei fatti di causa non deve necessariamente tradursi nella narrazione completa ed analitica dello svolgimento del processo ed in un particolareggiato resoconto delle deduzioni delle parti, essendo sufficiente che essa riassuma concisamente il contenuto sostanziale della controversia, con l’indicazione che può risultare tanto dall’esposizione del fatto che dalla parte motiva, degli elementi rilevanti per la decisione.

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Cass. civ. n. 8364/2000

La mancata indicazione della parte contumace nell’epigrafe della sentenza, e la mancata dichiarazione di contumacia della stessa, non incidono sulla regolarità del contraddittorio ove risulti che la parte sia stata regolarmente citata in giudizio, configurando un mero errore materiale, emendabile con la apposita procedura.

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Cass. civ. n. 7928/2000

La sottoscrizione della sentenza da parte del giudice, costituente requisito della sua esistenza giuridica a norma dell’art. 162, secondo comma, c.p.c., deve essere costituita da un segno grafico che abbia caratteristiche di specificità sufficienti e possa quindi svolgere funzioni identitarie e di riferibilità soggettiva, pur nella sua eventuale illeggibilità (la quale non inficia la idoneità della sottoscrizione se sussistono adeguati elementi per il collegamento del segno grafico con un’indicazione nominativa contenuta nell’atto). (Nella specie, in una sentenza d’appello in materia di lavoro, in corrispondenza della firma del presidente era rilevabile solo una breve linea, impercettibilmente ondulata; la S.C. rilevata — anche d’ufficio — la conseguente nullità radicale della sentenza, l’ha dichiarata — osservato anche che la firma del cancelliere in calce alla sentenza non vale ad autenticare la firma del giudice — e ha rimesso la causa al giudice a quo).

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Cass. civ. n. 5855/2000

L’esistenza della sentenza civile è determinata (salvo ipotesi particolari, quale quella del rito del lavoro, ovvero dei riti ad esso legislativamente equiparati o specialmente disciplinati), dalla sua pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunziata, ed il suo dispositivo è atto privo di rilevanza giuridica esterna e di definitività. Ne consegue che, nell’ipotesi di entrata in vigore una nuova normativa (dispiegante effetti sostanziali o processuali sul rapporto controverso) nell’intervallo di tempo intercorrente tra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza, è dovere del giudice applicare immediatamente la disciplina sopravvenuta mediante i necessari, consequenziali adempimenti (principio affermato con riferimento a fattispecie in cui il giudice di merito, pur essendo entrata in vigore, tra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza, la norma di cui all’art. 1 della legge n. 241 del 1997 in tema di mandato alle liti, aveva erroneamente dichiarato l’inammissibilità del gravame proposto da difensore al quale la procura risultava rilasciata su foglio spillato alla copia della sentenza impugnata).

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Cass. civ. n. 3049/2000

L’omessa intestazione con la mancanza delle parole «Repubblica italiana» e «In nome del popolo italiano», indicate nel comma 1 dell’articolo 132 del c.p.c., è irregolarità formale non incidente sulla validità della sentenza di primo grado sottoscritta dal presidente estensore.

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Cass. civ. n. 13505/1999

L’indicazione della data di deliberazione della sentenza non è (a differenza dell’indicazione della data di pubblicazione, che ne segna il momento di acquisto della rilevanza giuridica) elemento essenziale dell’atto processuale, e la sua mancanza non integra, pertanto, gli estremi di alcuna ipotesi di nullità deducibile con l’impugnazione, costituendo, per converso, fattispecie di mero errore materiale emendabile ex artt. 287, 288 c.p.c.

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Cass. civ. n. 12475/1999

La mancata trascrizione delle conclusioni delle parti non costituisce di per sé motivo di nullità della sentenza, occorrendo a tale fine che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice nel senso cioè di avere determinato o la mancata pronuncia sulle domande od eccezioni oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati. In particolare, se dalla motivazione della sentenza risulta che le conclusioni delle parti siano state effettivamente esaminate, il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale irrilevante ai fini della validità della sentenza.

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Cass. civ. n. 8297/1999

La mancanza della data di pubblicazione della sentenza non è causa di nullità (ovvero di inesistenza) della sentenza stessa tutte le volte in cui la cancelleria del tribunale abbia annotato l’avvenuta pubblicazione della sentenza nel registro cronologico, l’abbia altresì trasmessa all’ufficio del registro atti giudiziari, ed abbia, infine, comunicato alle parti costituite l’avvenuto deposito della decisione, così che la parte interessata abbia potuto tempestivamente impugnare la pronuncia a lei sfavorevole. La data di pubblicazione della sentenza, difatti, indica il dies a quo per l’impugnazione nel termine indicato dall’art. 327 c.p.c., e non assume, pertanto, rilievo tutte le volte in cui l’impugnazione stessa risulti tempestivamente proposta (a prescindere, ancora, dalla considerazione che, secondo quanto disposto dall’art. 156 c.p.c., le formalità di pubblicazione della sentenza indicate nel primo comma dell’art. 133 stesso codice non sono previste dalla legge a pena di nullità).

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Cass. civ. n. 5101/1999

La circostanza che il giudice non abbia formalmente suddivisa la sentenza in due parti, una delle quali esclusivamente dedicata allo svolgimento del processo, non implica nullità se dalla lettura dell’atto sia comunque possibile individuare i tratti essenziali della lite e gli elementi di fatto considerati nella decisione.

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Cass. civ. n. 4771/1999

La ratio del combinato disposto degli artt. 132, comma terzo, e 161, comma secondo, c.p.c. consiste nell’esigenza di sicura identificazione della sentenza pubblicata come decisione riferibile al collegio che l’ha, con quella motivazione deliberata; sicché, l’erroneo apprezzamento dell’impedimento dell’estensore, compiuto dal presidente del collegio (nella specie, l’estensore era stato trasferito ad altro ufficio in epoca successiva al deposito della minuta), non comporta la sanzione dell’inesistenza della sentenza che, per quella ragione, sia stata sottoscritta dal solo presidente.

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Cass. civ. n. 3282/1999

La mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti di causa e l’estrema concisione della motivazione in diritto danno luogo a nullità della sentenza allorquando rendono impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo. (Nella specie il giudice di secondo grado aveva omesso di indicare i motivi di impugnazione e le questioni trattate nel giudizio di merito e il dispositivo era difforme dalla motivazione).

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Cass. civ. n. 1771/1999

È nulla, per carenza del requisito della motivazione (artt. 132 n. 4 e 156, comma secondo c.p.c.), la sentenza contenente l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata, delle parti e dei loro difensori, del dispositivo, della data di deliberazione e della sottoscrizione del giudice, ma priva dell’enunciazione delle conclusioni delle parti, dell’esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto ed in diritto della decisione (non enucleabili, nella specie, neanche dal dispositivo).

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Cass. civ. n. 10095/1998

Il principio dell’interpretazione del dispositivo della sentenza mediante la motivazione, benché applicabile anche nel rito del lavoro, non può tuttavia valere a sanare contrasti irriducibili tra le due parti della sentenza (come quello che si determina allorché la motivazione contenga statuizioni mancanti del dispositivo o in contrasto con lo stesso) dovendo in tal caso darsi la prevalenza al secondo che, acquistando pubblicità con la lettura fattane in udienza, cristallizza stabilmente la statuizione emanata nella concreta fattispecie.

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Cass. civ. n. 5612/1998

Adempie all’obbligo di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata di cui condivida le argomentazioni logico-giuridiche, purché dia conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte.

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Cass. civ. n. 538/1998

In ipotesi di ius superveniens dopo la deliberazione della sentenza ma prima della sua pubblicazione, solo l’originario collegio deliberante, riconvocato dal suo presidente, può provvedere ad una nuova deliberazione che tenga conto della normativa sopravvenuta; ne consegue che, ove l’originario collegio non possa più riconvocarsi per il venir meno di uno o più degli originari componenti (nella specie, per trasferimento ad altro ufficio giudiziario), è da escludersi la possibilità di una nuova deliberazione ed è altresì da escludere che, in siffatta situazione, il presidente titolare della sezione possa rimettere sul ruolo il processo, essendo egli estraneo al collegio deliberante al quale, in via esclusiva, è riservata la valutazione dell’incidenza della normativa sopravvenuta sulla decisione già adottata; un provvedimento in tal senso da parte del presidente di sezione va pertanto disapplicato, attesane l’illegittimità e la natura oggettivamente amministrativa, con la conseguenza che, pur non essendo ancora intervenuta la pubblicazione della sentenza, l’originaria deliberazione diviene irretrattabile, e, come tale, insensibile alla normativa sopravvenuta.

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Cass. civ. n. 9157/1997

La portata e il valore della pronuncia giurisdizionale vanno individuati tenendo conto non soltanto delle statuizioni finali formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione, le quali incidono sul momento precettivo della pronuncia e devono considerarsi parte integrante del dispositivo, in quanto rivelatrici d’effettiva volontà del giudice. (Nella specie, il giudice del rinvio aveva nel dispositivo confermato l’originaria pronuncia di merito, che aveva riconosciuto l’obbligo di una società immobiliare di rispettare gli impegni assunti nei confronti di tutti i prenotatari di appartamenti, mentre in motivazione tale obbligo era stato escluso nei confronti di alcuni di essi. In applicazione del suesposto principio, la Suprema Corte ha ritenuto di poter superare in via interpretativa il dedotto vizio di contraddittorietà tra motivazione e dispositivo).

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Cass. civ. n. 1481/1997

Nel rito del lavoro, allorquando la motivazione della sentenza si limiti alla mera esplicitazione di statuizioni già sostanzialmente argomentabili dalla struttura logico-semantica del dispositivo, non può invocarsi il principio della non integrabilità del dispositivo con la motivazione della sentenza (principio che presuppone l’effettiva carenza nell’uno di statuizioni rinvenibili formalmente solo nell’altra), bensì bisogna fare riferimento all’altro principio per il quale la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata non solo tenendo conto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma coordinando questo con la motivazione, le cui enunciazioni, se dirette univocamente all’esame di una questione dedotta in causa, incidono sul momento precettivo e vanno considerate come integrative del contenuto formale del dispositivo, con la conseguenza che il giudicato risulta simmetricamente esteso.

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Cass. civ. n. 1028/1997

La sottoscrizione della sentenza da parte del giudice anziano del collegio con la menzione da parte del medesimo dell’impedimento «cagionato da motivi di salute» del presidente estensore è rituale ai sensi dell’art. 132 c.p.c. (così come modificato dall’art. 6 della legge 8 agosto 1977, n. 532 al fine di abbreviare i tempi necessari alla pubblicazione della decisione e di mitigare l’incidenza del principio della nullità insanabile della sentenza per mancata sottoscrizione), poiché la legge, se attribuisce al giudice anziano di valutare la natura e l’entità dell’impedimento, non richiede una più specifica indicazione dell’impedimento in occasione della sottoscrizione della sentenza, né attribuisce al giudice dell’impugnazione un potere di sindacato sulla funzione certificatrice del giudice anziano.

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Cass. civ. n. 10095/1996

È affetto da nullità assoluta, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, il provvedimento collegiale che, pur avendo carattere sostanziale di sentenza, sia stato emesso nella forma del decreto (nella specie, ordinanza di rigetto dell’istanza di annullamento del concordato fallimentare, emessa in luogo della sentenza prevista dall’art. 138, terzo comma, l. fall.) e non rechi, proprio perché emesso sull’erroneo presupposto della sua natura di decreto, oltre alla sottoscrizione del presidente del collegio, anche quella del giudice estensore, così violando la regola di cui all’art. 132 c.p.c.

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Cass. civ. n. 10045/1996

L’assenza della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza solo se tale omissione impedisca totalmente, non risultando richiamati in alcun modo i tratti essenziali della lite neppure nella parte motiva, di individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, nonché di controllare che siano state osservate le forme indispensabili poste dall’ordinamento a garanzia del regolare esercizio della giurisdizione.

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Cass. civ. n. 6439/1996

L’omessa indicazione, nell’epigrafe della sentenza, del conferimento della procura alle liti costituisce un’irregolarità formale emendabile con la procedura della correzione degli errori materiali, e non un motivo di nullità della sentenza.

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Cass. civ. n. 6161/1996

Ad eccezione di particolari ipotesi (come nel rito del lavoro, ovvero nei riti ad esso legislativamente equiparati e specialmente disciplinati), l’esistenza della sentenza civile è determinata dalla sua pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunziata ed il suo dispositivo è atto privo di rilevanza giuridica esterna e di definitività. Ne consegue che, nell’ipotesi in cui nell’intervallo di tempo intercorrente tra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza entri in vigore una nuova normativa che esplichi effetti sostanziali o processuali sul rapporto controverso, è dovere del giudice applicare immediatamente la disciplina sopravvenuta, mediante i necessari, conseguenziali adempimenti. (Nella specie, il giudice di merito, essendo entrati in vigore, tra la deliberazione e la pubblicazione della sentenza, i nuovi criteri di liquidazione dell’indennità di espropriazione ed occupazione legittima previsti dall’art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, aveva omesso di tenerne conto. La Suprema Corte, in applicazione dell’enunciato principio ha cassato la sentenza impugnata, rilevando che il giudice di merito avrebbe dovuto, invece, applicare detti criteri, previa adozione di ordinanza ai sensi del combinato disposto degli artt. 359, comma primo, 356, comma primo, e 279, comma primo, c.p.c.).

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Cass. civ. n. 6143/1996

L’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti nell’epigrafe della sentenza non è causa di nullità, ma può rilevare come vizio di motivazione su un punto decisivo o come omessa pronuncia su un capo di domanda, qualora dalla motivazione stessa non risulti che il giudice abbia portato il proprio esame sul contenuto delle conclusioni non trascritte.

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Cass. civ. n. 3232/1996

La domanda giudiziale diretta alla ripartizione tra gli aventi diritto della pensione di reversibilità spettante all’ex coniuge deceduto deve essere decisa con un provvedimento che rivesta la forma della sentenza, secondo quanto testualmente previsto dall’art. 9, comma 5, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74), sicché tale provvedimento deve presentare comunque (a prescindere dalla forma contenziosa o camerale del procedimento), i requisiti formali essenziali della sentenza, tra cui la sottoscrizione a mente dell’art. 132 comma 2 c.p.c. Ne consegue che il provvedimento, ove sia stato erroneamente assunto con la forma del decreto ed il presidente del collegio che lo ha pronunciato non ne sia anche l’estensore, deve essere sottoscritto, oltre che dal presidente del collegio, anche dall’estensore, a pena di nullità assoluta ed insanabile, rilevabile di ufficio, anche in sede di legittimità.

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Cass. civ. n. 2911/1996

L’impedimento che, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., autorizza la sottoscrizione della sentenza da parte del giudice anziano al posto del presidente, deve avere carattere assoluto, quale quello determinato da uno stato fisico o psichico o da una situazione irreparabile, ovvero da una prolungata assenza dal territorio dello Stato, mentre rimangono giuridicamente irrilevanti gli impedimenti determinati da momentanea assenza o da occasionali e transeunti difficoltà, quali il trasferimento ad altra sede giudiziaria.

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Cass. civ. n. 6494/1995

L’omessa indicazione, nell’intestazione della sentenza resa da un giudice collegiale e sottoscritta dal presidente e dall’estensore, del terzo giudice partecipante alla deliberazione, ogni qual volta tale partecipazione non sia desumibile, ai sensi dell’art. 132, secondo comma, c.p.c., dalla sentenza medesima, rende la stessa affetta non da un mero errore materiale, emendabile con il procedimento di correzione, ma da nullità assoluta per vizio attinente alla costituzione del giudice, senza che possano rilevare in contrario né la generica menzione dell’ufficio giudiziario collegiale che ha censurato il provvedimento, né le indicazioni ricavabili dal verbale dell’udienza di discussione, che fa fede in ordine alla composizione del collegio stesso nel momento della discussione della causa e non anche in quello, successivo, della sua decisione.

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Cass. civ. n. 4564/1995

La nullità insanabile della sentenza collegiale derivante dall’omessa sottoscrizione della stessa da parte di uno dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell’art. 132 c.p.c. (come modificato dall’art. 6 della L. 8 agosto 1977, n. 532) sussiste — con conseguente rimessione della causa allo stesso giudice che ha emesso la decisione — anche nell’ipotesi in cui la firma di tale magistrato sia stato apposta su ciascun foglio della sentenza ma non in calce alla stessa, atteso che la disposizione di cui all’art. 132 citato, nel prevedere la «sottoscrizione» del giudice, esige che la firma sia apposta in calce al documento, in quanto unicamente in tal modo la firma stessa individua il magistrato quale autore del provvedimento nella sua globalità.

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Cass. civ. n. 3268/1995

La sentenza nella cui intestazione risulti il nominativo di un magistrato non tenuto alla sottoscrizione, diverso da quello indicato nel verbale dell’udienza collegiale di discussione, deve presumersi affetta da errore materiale, come tale emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287, 288 c.p.c., considerato che detta intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale d’udienza e che, in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati da tale verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza medesima.

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Cass. civ. n. 2865/1995

La decisione del giudice di merito, quando si basa solo su prove indirette, deve essere sorretta, perché possa considerarsi soddisfatta l’esigenza di motivazione della sentenza, da un apparato argomentativo logicamente congruo che colleghi, da un lato, la premessa, costituita dall’indizio o dagli indizi, alla conclusione nella quale si sostanzia l’accertamento del fatto o dei fatti costitutivi della fattispecie (c.d. fatti principali) e che dia conto, dall’altro, della valenza sintomatologica degli indizi stessi, in modo da permettere la verifica della congruità logica dei motivi che hanno sostenuto le sue scelte nella valutazione delle contrapposte piste probatorie di cui disponeva. (Nella specie, il giudice di merito aveva tratto la prova della incapacità naturale del testatore da alcuni elementi che indirettamente denunciavano solo una generica riduzione della capacità di intendere e di volere senza analizzare la valenza sintomatologica di questi elementi, in rapporto a quelli di altri elementi di prova contrari, e senza indicare l’ulteriore passaggio logico necessario per la prova della assoluta carenza della coscienza dei propri atti e della capacità di autodeterminarsi, in cui si concreta la incapacità naturale).

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Cass. civ. n. 2815/1995

La nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione, che è insanabile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 158 c.p.c., può essere dichiarata solo quando vi sia la prova della non partecipazione al collegio deliberante di un giudice che aveva invece assistito alla discussione della causa e tale prova non può evincersi dalla sola omissione, nella intestazione della sentenza, del nominativo del giudice non tenuto alla sottoscrizione, quando esso sia stato invece riportato nel verbale dell’udienza di discussione, sia perché l’intestazione della sentenza non ha una sua autonoma efficacia probatoria riproducendo in effetti i dati del verbale d’udienza, sia perché da quest’ultimo, facente fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della riserva espressa degli stessi giudici a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio, nasce la presunzione della delibera della sentenza da parte degli stessi giudici che avevano partecipato all’udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dell’art. 276 c.p.c., tra i compiti del presidente del collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione. Ne consegue che la omissione nella intestazione della sentenza del nome di un giudice, indicato invece nel verbale anzidetto, si presume determinata da errore materiale emendabile ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c.

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Cass. civ. n. 943/1995

Al difetto del requisito della sottoscrizione del giudice, previsto dal n. 5 dell’art. 132 c.p.c. è equiparata la sottoscrizione illeggibile, allorché nella sentenza non risulti neppure indicato il giudice che l’abbia pronunciata, onde rimanga impedita ogni possibilità di individuazione del decidente stesso.

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Cass. civ. n. 913/1995

La mancata indicazione del nome di una parte nell’epigrafe o nel dispositivo della sentenza, ovvero in entrambi, non integra una causa di nullità della sentenza stessa, ma un mero errore materiale emendabile con la procedura prevista dagli artt. 287 e 289 c.p.c., allorché emerga con certezza l’identità della parte medesima e la sua inclusione tra i destinatari della decisione.

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Cass. civ. n. 275/1995

L’uso, da parte del giudice di merito, di un modulo predisposto di sentenza non é di per sé idoneo a comportare il difetto o l’insufficienza di motivazione, non essendo questi ravvisabili quando il modulo sia stato utilizzato o adattato in maniera che la motivazione stessa risulti aderente alla concretezza del caso deciso, con gli opportuni specifici riferimenti agli elementi di fatto che lo caratterizzano.

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Cass. civ. n. 68/1995

L’omessa indicazione, nella intestazione della sentenza, del nominativo di uno dei giudici che compongono il collegio non è motivo di nullità della stessa allorché risulti (nel caso di specie dal dispositivo d’udienza) che la decisione è stata adottata dall’organo giudicante regolarmente costituito, non essendo la predetta omissione ostativa al raggiungimento dello scopo dell’atto.

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Cass. civ. n. 11358/1994

La natura di un provvedimento giudiziale deve essere desunta non dalla forma in cui il provvedimento è stato emanato o dalla qualificazione che gli è stata attribuita dal giudice che lo ha emesso, ma dal suo effettivo contenuto in relazione alle particolari disposizioni che regolano la materia che ne forma oggetto, per cui anche una ordinanza (del giudice dotato di poteri decisori) può assumere la natura di sentenza impugnabile se risolve, con efficacia di giudicato, questioni attinenti ai presupposti, alle condizioni o al merito della controversia.

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Cass. civ. n. 12512/1993

La mancanza della data di pubblicazione della sentenza ne comporta l’inesistenza, atteso che la data è elemento essenziale della sentenza, segnando il momento in cui questa acquista il carattere dell’imperatività e dell’immutabilità e viene così a giuridica esistenza.

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Cass. civ. n. 6706/1993

Il principio secondo cui la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo ma anche delle enunciazioni della motivazione dirette in modo univoco all’attribuzione di un diritto ad una delle parti ed il principio secondo cui la sentenza di appello assorbe e sostituisce quella di primo grado, sicché la portata della pronuncia confermativa va desunta dai limiti fissati dalla nuova motivazione, trovano applicazione solo quando il dispositivo della decisione di merito contenga comunque una pronuncia di accertamento o di condanna e non sono invece estensibili al caso in cui esso non abbia contenuto precettivo ma si limiti al rigetto della domanda o del gravame.

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Cass. civ. n. 4025/1992

Il motivo di nullità della sentenza, costituito dal fatto che la decisione risulta pronunciata da un collegio giudicante diverso da quello che ha ritenuto la causa a sentenza, è assimilabile a quello della mancata sottoscrizione della sentenza medesima e, come tale, rientra nella previsione di cui all’art. 161, secondo comma, c.p.c., sottraendosi al principio che traduce i motivi di nullità in motivi di impugnazione, con la conseguenza che tale nullità può essere fatta valere con autonoma actio nullitatis. Tuttavia, qualora si voglia ottenere, oltre la dichiarazione di nullità, anche una nuova pronuncia valida, l’unico mezzo processuale previsto è l’impugnazione, attraverso la quale viene devoluta al giudice del gravame sia la quaestio nullitatis, che la pronuncia di merito.

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Cass. civ. n. 448/1991

L’omessa sottoscrizione della sentenza da parte del giudice o, nel caso di sentenza emessa da un giudice collegiale, da parte di uno dei magistrati tenuti a sottoscriverla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., nel testo modificato dall’art. 6 della L. 8 agosto 1977, n. 532, determina (nel caso in cui l’impedimento del magistrato non risulti menzionato ai sensi del terzo comma dell’art. 132 citato) la nullità insanabile della sentenza medesima, restando escluse l’applicabilità del procedimento di correzione degli errori materiali e la possibilità di distinguere tra omissione intenzionale ed omissione volontaria, provocata da errore o da dimenticanza. Tale nullità — la quale ricorre anche nel caso in cui, trattandosi di procedimento svoltosi secondo il nuovo rito del lavoro, il dispositivo della sentenza sia stato letto in udienza — è in ogni caso deducibile, ai sensi del secondo comma dell’art. 161 c.p.c., fuori dei limiti e delle regole dei mezzi di impugnazione, sicché non è coperta dal giudicato formale e va rilevata anche d’ufficio, e comporta che, anche in esito al giudizio di cassazione, la causa debba essere rimessa allo stesso giudice che ha emesso la sentenza carente di sottoscrizione (artt. 354, primo comma, 360, n. 4 e 383, ultimo comma, c.p.c.).

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Cass. civ. n. 7552/1987

La sottoscrizione della sentenza da parte del presidente del collegio giudicante costituisce un requisito indispensabile dell’atto processuale e può essere sostituita (ex art. 132, terzo comma, c.p.c., come novellato dall’art. 6, L. n. 532 del 1977) dalla sottoscrizione del componente più anziano del collegio solo in caso di morte del presidente o di altro suo impedimento, che deve essere assoluto e definitivo ovvero tale da protrarsi per un periodo di tempo indeterminato e di estesa durata, quale non può essere l’assenza dal servizio del magistrato nel periodo feriale. Consegue che la mancata sottoscrizione del presidente perché in ferie comporta la nullità insanabile della sentenza (ex art. 161, primo comma, c.p.c.); né tale vizio è emendabile con il procedimento di correzione degli errori materiali di cui all’art. 288 c.p.c. (e l’illegittimità dell’eventuale ordinanza con cui sia stata corretta la suddetta mancanza di sottoscrizione è censurabile con ricorso per cassazione).

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Cass. civ. n. 521/1985

L’esigenza d’indicare in sentenza le «conclusioni» delle parti (art. 132, n. 3, c.p.c.) deve intendersi riferita — in funzione del principio di cui all’art. 112 dello stesso codice — alle istanze ed eccezioni relative alla materia da decidere con la sentenza (sia pure non definitiva) e non anche alle richieste istruttorie, aventi funzione strumentale rispetto alla decisione.

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Cass. civ. n. 2697/1972

La mancanza nella sentenza della espressa menzione di una determinata qualificazione del soggetto processuale — sia esso persona fisica o giuridica — nei cui confronti sia stata pronunciata una condanna, non ha alcuna rilevanza ai fini della identificazione del soggetto stesso nel caso in cui non sorga alcuna questione in ordine alla titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio.

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Cass. civ. n. 1756/1967

Le pronunce di accertamento giudiziali si distinguono in sentenze dichiarative e sentenze costitutive. Le prime dichiarano la volontà della legge rispetto alla fattispecie concreta con funzione di mero accertamento e, per la loro stessa natura, retroagiscono, nei loro effetti, al momento rispetto al quale è richiesto dalle parti l’accertamento della concreta volontà di legge (data della domanda giudiziale o momento anteriore) ed hanno, quindi, efficacia ex tunc. Le seconde, pur avendo un’identica funzione dichiarativa, mirano allo scopo ulteriore di creare uno status giuridico dapprima inesistente e, pertanto, avendo effetti costitutivi, operano ex nunc, in quanto servono esse stesse come titolo o causa per il sorgere di nuove situazioni giuridiche, che da loro prendono vita, e solo eccezionalmente, per il particolare carattere delle azioni che le determinano (annullamento, risoluzione contrattuale) hanno efficacia ex tunc, come le sentenze dichiarative. La sentenza che pronuncia la cessazione della proroga legale (nella specie, per morte del professionista, conduttore d’immobile adibito a studio legale) ha natura di sentenza dichiarativa, in quanto accerta il sussistere delle condizioni dalle quali la legge fa dipendere il venir meno del diritto alla continuazione del rapporto, senza determinare alcuna nuova situazione, a cui consegua l’effetto suddetto. Peraltro, la cessazione della proroga legale, sebbene determinata dal verificarsi di condizioni stabilite dalla legge, non opera automaticamente, giacché occorre che il locatore se ne avvalga proponendo nei confronti del conduttore la relativa istanza, cosicché la sentenza retroagisce al momento della domanda giudiziale.

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