16 Mar Art. 326 — Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio[ 358 ], che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l’agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino a un anno.
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni. Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”12″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 49526/2017
Il reato di rivelazione di segreti di ufficio, previsto dall’art. 326, comma primo, cod. pen., è un reato di pericolo concreto, posto a tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, la cui configurabilità va esclusa solo con riferimento alla divulgazione di notizie futili o insignificanti, ma non in relazione a notizie inesatte. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la inoffensività della rivelazione da parte di un funzionario della cancelleria dell’ufficio del giudice per le indagini preliminari, su richiesta informale di un privato, dell’assenza della iscrizione di quest’ultimo nei registri consultabili da tale ufficio, iscrizione in realtà esistente ma segretata dal pubblico ministero).
Cass. pen. n. 19216/2017
L’art. 326 c.p., nel prevedere come reato la rivelazione di “notizie di ufficio le quali debbano rimanere segrete”, si riferisce non soltanto alle notizie destinate a rimanere segrete in ogni tempo e in ogni luogo, ma anche a quelle relativamente alle quali il destinatario della rivelazione non sia titolare del diritto di accesso o non lo abbia azionato con le dovute modalità, ai sensi della legge n. 241/1990; il che vale, in particolare, per i funzionari di cancelleria e segreteria e per i dattilografi giudiziari, i quali, ai sensi dell’art. 159 della legge n. 1196/1960, sono tenuti ad “osservare il più scrupoloso segreto di ufficio e non possono dare a chi non ne abbia diritto, anche se non si tratti di atti segreti, informazioni o comunicazioni relative a operazioni o provvedimenti giudiziari o amministrativi di qualsiasi natura e dei quali siano venuti comunque a conoscenza a causa del loro ufficio”. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte, in accoglimento del ricorso del pubblico ministero, ha censurato la decisione del giudice di merito che aveva escluso la configurabilità del reato in un caso in cui all’imputato era stato addebitato di aver rivelato ad una persona sottoposta a indagine per truffa, nei cui confronti egli aveva contratto debiti a tasso usurario, i “movimenti e le riunioni di ufficio svolte dal P.M. e dalla P.G. delegata negli uffici della Procura” nonché “la presenza di soggetti da escutere in qualità di testimoni” come pure le iscrizioni e le successive annotazioni nel registro delle notizie di reato riguardanti la medesima persona
In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuate senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto.
Cass. pen. n. 5818/2017
L’autista soccorritore del servizio 118, incaricato di pubblico servizio, è tenuto all’obbligo del segreto d’ufficio previsto, per gli impiegati civili dello Stato, dall’art. 28, l. 7 agosto 1990, n. 241. (Nella fattispecie la Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 326 cod. pen. in quanto lo stesso aveva rivelato ad un giornalista le notizie relative alla dinamica di tre omicidi in relazione ai quali aveva prestato il proprio servizio).
Cass. pen. n. 39337/2015
Integra il reato di rivelazione di segreti di ufficio la divulgazione, da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria, del contenuto di una informativa di reato e delle indagini eseguite, essendo irrilevante che gli atti o i fatti segreti siano già conosciuti in un ambito limitato di persone, quando la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di divulgazione a settori ben più vasti di pubblico. (Fattispecie relativa alla consegna, da parte di un Tenente della Polizia Provinciale, di un’informativa di reato – avente ad oggetto l’esistenza di un’indagine sull’inquinamento di alcuni invasi, ed i valori nocivi riscontrati – ad un esponente politico, il quale la inoltrava ad un quotidiano determinando l’integrale pubblicazione dell’informativa stessa).
Cass. pen. n. 51691/2014
Integra gli estremi del reato di rivelazione di segreto di ufficio la comunicazione, da parte di un membro della commissione esaminatrice di un pubblico concorso, di elementi diretti a far conoscere anticipatamente, a uno o più concorrenti, con l’esclusione di tutti gli altri, l’oggetto della prova d’esame (nella specie la traccia di un tema) specificamente ritenuto fra i più probabili dalla commissione stessa, trattandosi di notizia “di ufficio”destinata a rimanere segreta.
Cass. pen. n. 49133/2013
In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuate senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto. (Nella specie un cancelliere in servizio presso un tribunale civile aveva fatto visionare tre fascicoli custoditi nel suo ufficio, relativi a ricorsi per decreto ingiuntivo, ad una persona del tutto estranea sia all’ufficio, sia ai procedimenti visionati).
Cass. pen. n. 9726/2013
In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto. (Fattispecie in cui sottufficiali della polizia di frontiera avevano fatto uso di dati identificativi di cittadini stranieri fermati per controlli, dei quali avevano fotocopiato passaporti e codici fiscali, al fine di consentire ad altro straniero, irregolarmente presente nel territorio dello Stato, di attivare schede telefoniche senza dover fornire le proprie generalità, e di evitare così il rischio di espulsione).
Cass. pen. n. 7370/2013
Rispondono del reato di rivelazione di segreto d’ufficio (art. 326 c.p.) e non di quello meno grave di trattamento illecito di dati sensibili (art. 167 del D.L.vo n. 196/2003), i dipendenti di una società di gestione di servizi telefonici i quali comunichino a chi non ne abbia diritto le generalità dei soggetti che risultano titolari di utenze facenti capo alla detta società.
Cass. pen. n. 4694/2012
Il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta.
Cass. pen. n. 35296/2011
Al reato di rivelazione di segreti di ufficio è applicabile la causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto, allorché la rivelazione sia fatta per difendersi in giudizio, essendo il diritto di difesa prevalente rispetto alle esigenze di segretezza e buon funzionamento della Pubblica Amministrazione.
Cass. pen. n. 24583/2011
Integra il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio la condotta del collaboratore di cancelleria che fornisca a terzi non autorizzati a riceverla, e senza rispettare la procedura e la formula all’uopo previste dall’art. 110 bis att. c.p.p., la notizia sull’assenza di iscrizioni nel registro degli indagati a carico di una determinata persona.
Cass. pen. n. 37797/2010
Integra il reato di rivelazione di segreti d’ufficio, in concorso con quello di favoreggiamento, la condotta di un dipendente della Polizia di Stato, che riveli ad una persona a lui legata da rapporti di amicizia e coinvolta in un’indagine per traffico illecito di stupefacenti i dati identificativi di un’autovettura sotto copertura, utilizzata dalla Polizia per l’espletamento di attività investigative finalizzate al controllo del mercato della droga. (Fattispecie in cui è stata ravvisata la continuazione tra i due reati).
Cass. pen. n. 33609/2010
Integra il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio la divulgazione, da parte di un autista in servizio presso un comando regionale della Guardia di Finanza, di un documento contenente notizie riservate circa attività investigative da svolgere in merito a condotte delittuose riconducibili ad un ufficiale di P.G., a nulla rilevando la circostanza che, successivamente, la notizia sia risultata inconferente o priva di fondamento, atteso che la configurabilità del reato può escludersi solo quando la rivelazione abbia ad oggetto informazioni di pubblico dominio o prive di significato.
Cass. pen. n. 39706/2009
Oggetto materiale del delitto di rivelazione di segreti d’ufficio sono solo le notizie d’ufficio coperte da segreto e cioè quelle sottratte alla divulgazione in ogni tempo e luogo e nei confronti di chiunque per legge, per regolamento o dalla natura stessa della notizia che può recare danno all’amministrazione, ma non anche quelle indebitamente diffuse in violazione alle norme sul diritto di accesso agli atti della P.A. in quanto svelate a chi non è titolare di tale diritto o senza il rispetto delle modalità previste. (Fattispecie relativa alla comunicazione alla stampa da parte di un consigliere comunale di informazioni non coperte da segreto relative all’amministrazione comunale alle quali lo stesso legittimamente aveva avuto accesso in ragione della propria funzione).
Cass. pen. n. 8732/2009
Risponde del reato di cui agli art. 48 e 326 c.p. l’avvocato che, con modalità ingannatorie, induca l’impiegata della Procura della Repubblica ad effettuare una ricerca nel sistema Registro generale delle notizie di reato (REGE), così da fornirgli notizie di un procedimento penale ancora coperte dal segreto d’ufficio. (Nella specie, l’imputato aveva richiesto informazioni in ordine ad un altro fascicolo nella fase di cui all’art. 415 bis c.p.p., sostenendo ingannevolmente di non ricordarne il numero).
Cass. pen. n. 25167/2008
La diffusione alla stampa ad opera di un ufficiale di P.G. del contenuto di un provvedimento di sequestro relativo a beni dell’indagato non integra il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, perché il sequestro, una volta eseguito, non è più coperto dal segreto, fatta salva l’ipotesi di segregazione prevista dall’art. 329, comma terzo, c.p.p.
Cass. pen. n. 39514/2007
La rivelazione, da parte del pubblico ufficiale, di notizie di ufficio destinate a rimanere segrete, anche se avvenga verso corrispettivo in danaro o altra utilità (circostanza che può, se del caso, comportare il concorso con il reato di corruzione), integra l’ipotesi delittuosa prevista dal comma primo dell’art. 326, e non quella prevista dal successivo comma terzo, per la cui configurabilità occorre che l’utilizzazione illegittima della notizia si concreti in un’azione diversa dalla mera trasmissione di essa ad estranei all’ufficio ovvero in una condotta di suo autonomo e diretto sfruttamento o impiego da parte dell’intraneus pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Cass. pen. n. 37559/2007
La rivelazione da parte del pubblico ufficiale di un segreto di ufficio integra il reato previsto dal primo comma dell’art. 326 c.p. anche laddove sia fatta per finalità patrimoniali, mentre ricorre la diversa fattispecie prevista dal terzo comma dello stesso articolo quando il pubblico ufficiale sfrutti – per profitto patrimoniale o non – il contenuto economico e morale, in sé, delle informazioni segrete. Ne consegue che tale ultima fattispecie, non comportando necessariamente la rivelazione ad estranei del segreto, può eventualmente concorrere con quella prevista dal primo comma. (Fattispecie in cui la Corte ha ravvisato il reato previsto dal primo comma dell’art. 326 c.p. nella condotta di rivelazione di segreti di ufficio in esecuzione di una promessa corruttiva).
Cass. pen. n. 30968/2007
In tema di rivelazione di segreti d’ufficio, risponde del reato a titolo di concorso con l’autore principale il direttore responsabile di un sito internet ove sia stata effettuata la pubblicazione di un atto amministrativo a carattere riservato. (Nel caso di specie, la Corte ha ravvisato l’astratta ipotizzabilità del concorso nel reato di cui all’art. 326 c.p., ritenendo sussistente il requisito del fumus commissi delicti in ordine al sequestro preventivo della pagina di un sito web su cui era avvenuta la pubblicazione delle notizie riservate).
Cass. pen. n. 42726/2005
Il delitto di rivelazione di segreti di ufficio è un reato di pericolo, per la consumazione del quale non è richiesto che si verifichi un danno effettivo, ma è sufficiente la probabilità di esso. Quando è la legge a prevedere l’obbligo del segreto in relazione ad un determinato atto o in relazione ad un determinato fatto, il reato sussiste senza che possa sorgere questione circa l’esistenza o la potenzialità del pregiudizio richiesto, in quanto la fonte normativa ha già effettuato la valutazione circa l’esistenza del pericolo, ritenendolo conseguente alla violazione dell’obbligo del segreto.
Cass. pen. n. 1898/2005
Il delitto di rivelazione di segreti di ufficio è integrato anche quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio diffondano una notizia non appresa per ragioni dell’ufficio o del servizio, bastando che tale notizia dovesse rimanere segreta e che l’interessato, per le funzioni esercitate, avesse l’obbligo di impedirne l’ulteriore diffusione. (Fattispecie relativa alla rivelazione, da parte di un funzionario di polizia, di notizie concernenti un’indagine della quale non era partecipe, dopo aver ricevuto in proposito confidenze dei colleghi operanti).
Cass. pen. n. 46174/2004
Integra gli estremi del reato di cui all’art. 326 c.p. (rivelazione di segreti d’ufficio), la condotta del collaboratore di cancelleria della Procura della Repubblica che riveli notizie d’ufficio, in una fase di assoluta delicatezza, quale quella delle indagini preliminari, a persona non autorizzata a riceverle; né ai fini della configurabilità del reato è necessaria la prova dell’esistenza di un effettivo pregiudizio per le indagini, posto che si tratta di un reato di pericolo concreto che tutela il buon andamento della amministrazione, che si intende leso allorché la divulgazione della notizia sia anche soltanto suscettibile di arrecare pregiudizio a quest’ultima o ad un terzo.
Cass. pen. n. 36357/2004
Integra il delitto di rivelazione di segreto di ufficio la indebita comunicazione a persone non autorizzate, da parte del tecnico dipendente di una società di esercizio telefonico, dei dati esterni concernenti le comunicazioni telefoniche effettuate mediante utenze fisse a disposizione di terzi. (In motivazione la Corte ha richiamato la giurisprudenza costituzionale secondo cui il diritto alla riservatezza garantito dall’art. 15 Cost. – che si estende all’identificazione dei soggetti, del tempo e del luogo delle conversazioni telefoniche – trova essenziale riscontro nel dovere di riserbo che al proposito investe tutti coloro che vengono a conoscenza dei dati per ragioni professionali. Vedi Corte Cost. 26 febbraio 1993, n. 81).
Cass. pen. n. 35647/2004
Integra il reato di rivelazione di segreti di ufficio la divulgazione da parte di un agente di polizia giudiziaria del contenuto di un’annotazione di servizio concernente le indagini eseguite, essendo irrilevante che gli atti o i fatti segreti erano già conosciuti in un ambito limitato di persone, quando la condotta dell’agente abbia avuto l’effetto di divulgazione a settori ben più vasti di pubblico.
Cass. pen. n. 30152/2004
Commette il reato di rivelazione di segreti di ufficio (art. 326 c.p.) l’operatore amministrativo della cancelleria commerciale di un tribunale che fornisca ad un terzo estraneo informazioni su procedure pre-fallimentari in corso, prima ancora che delle stesse fossero notiziati i diretti interessati, essendo venuto meno al dovere di segretezza imposto, oltre che dall’art. 15 del D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello stato), dalla normativa dettata dalla legge fallimentare che prevede il rito camerale, senza alcuna forma di pubblicità, per l’istruttoria finalizzata all’accertamento dell’eventuale stato di insolvenza dell’imprenditore commerciale e della ricorrenza dei presupposti per l’ammissione alla procedura del concordato preventivo o dell’amministrazione controllata.
Cass. pen. n. 23134/2004
Sussiste l’aggravante di cui all’art. 7 D.L. 13 maggio 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991 (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo), in relazione ai reati di cui all’art. 326 c.p. (rivelazioni ed utilizzazione di segreti d’ufficio) ed all’art. 615 ter c.p. (accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico), qualora le condotte delittuose ivi previste siano tenute per apprendere notizie sulle sorti del procedimento penale in relazione al reato di associazione mafiosa (art. 416 bis c.p.) addebitato all’imputato, in quanto la captazione di dette informazioni non può essere preordinata alla salvaguardia di un interesse esclusivamente personale ma costituisce obiettivamente un vantaggio non solo per il soggetto che riceve l’informazione ma per tutta l’associazione, posto che la lesione della segretezza crea un vulnus nelle indagini di cui possono avvantaggiarsi gli associati contrastando con comportamenti o atti illegittimi i fatti destinati a restare segreti.
Cass. pen. n. 15489/2004
In tema di rivelazione di segreti di ufficio, il soggetto “estraneo”, risponde del reato a titolo di concorso con l’autore principale qualora abbia rivelato ad altri una notizia segreta riferitagli come tale, giacché realizza una condotta ulteriore rispetto a quella dell’originario propalatore.
Cass. pen. n. 32200/2002
Integra l’elemento materiale del reato di rivelazione di segreto di ufficio (art. 326 c.p.) la condotta del direttore di un ufficio IVA il quale riveli ad un terzo tutte le informazioni riguardanti i rapporti di un contribuente con il fisco, acquisite interrogando in via telematica l’anagrafe tributaria, in quanto la copertura del segreto d’ufficio è esclusa solo per i dati contenuti nella dichiarazione dei redditi, ai sensi dell’art. 68 D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, novellato dall’art. 6 della legge 19 luglio 1977, n. 412, e non anche per le altre notizie comunque raccolte dall’ufficio.
Cass. pen. n. 9331/2002
Commette il delitto di rivelazione di segreto di ufficio il presidente di una commissione speciale per la trasparenza, istituita dal consiglio comunale, che riveli nel corso di una conferenza stampa e riporti in una denuncia presentata all’autorità giudiziaria ed alla Corte dei conti il contenuto di tabulati relativi ai dati esterni di conversazioni telefoniche effettuate, per ragioni non istituzionali, dal sindaco e da assessori su utenze radiomobili intestate al comune ed in loro dotazione. (Nell’occasione, la Corte ha precisato che il presidente della commissione consigliare non avrebbe potuto conoscere legittimamente e comunque divulgare — secondo le disposizioni vigenti in tema di competenza delle articolazioni dei consigli comunali e di accesso e di trasparenza — i dati riservati trasmessi dal gestore i quali avrebbero potuto essere resi noti solo all’esito di una valutazione da parte del consiglio comunale; e che il comportamento del presidente della predetta commissione non avrebbe potuto essere ricondotto nell’ambito dell’esercizio di un dovere giacché tale dovere avrebbe dovuto essere esercitato mediante la presentazione di una denuncia all’autorità giudiziaria e non anche rendendo pubblici i dati nel corso di una conferenza stampa).
Cass. pen. n. 20097/2001
In tema di rivelazione di segreto d’ufficio, il provvedimento amministrativo di sospensione dal servizio adottato nei confronti di un pubblico dipendente, non rientrando fra quelli normativamente sottratti alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, non può più ritenersi coperto da segreto una volta che esso abbia avuto esecuzione. Ne consegue che la divulgazione della notizia relativa alla emanazione del suddetto provvedimento non integra il delitto di cui all’art. 326, primo comma, c.p.
In tema di violazione di segreto d’ufficio (art. 326 c.p.), tra le fonti del dovere di segretezza rientra anche la previsione di cui all’art. 15 del D.P.R. n. 3/57 (norma applicabile anche agli amministratori ed al personale degli enti locali in virtù del richiamo contenuto nell’art. 58 della legge 142 del 1990), il quale individua il suddetto dovere fra quelli propri degli impiegati civili dello Stato. Peraltro, l’obbligo di mantenere segreto un determinato provvedimento (nella specie, provvedimento di sospensione dal servizio) sussiste per tutto il corso dell’iter amministrativo propedeutico alla sua emanazione, ma cessa dal momento in cui detto provvedimento ha effettiva esecuzione esteriorizzandosi alla intera collettività, con la conseguenza che da tale momento la divulgazione della notizia relativa alla esistenza dell’atto non integra il delitto di cui all’art. 326, comma 1, c.p.
Cass. pen. n. 3669/2000
Integra gli estremi del rato di rivelazione di segreto di ufficio la comunicazione, da parte di un membro della commissione esaminatrice di un pubblico concorso, di elementi diretti a far conoscere anticipatamente, a uno o più concorrenti, con esclusione di tutti gli altri, l’oggetto della prova d’esame (nella specie la traccia di un tema) specificamente ritenuto fra i più probabili dalla commissione stessa, trattandosi di notizia “di ufficio” destinata a rimanere segreta.
Cass. pen. n. 2675/1998
Nel reato di rivelazione e utilizzazione dei segreti di ufficio di cui all’art. 326 c.p. persona offesa è solo la pubblica amministrazione. È pertanto inammissibile il ricorso per cassazione di un privato avverso l’ordinanza di archiviazione del Gip in ordine a tale reato, nel procedimento penale seguito a denuncia da parte dello stesso ricorrente. (Nella specie si trattava di notizie apparse su un quotidiano riguardanti presunte indagini nei confronti della sedicente persona offesa, quale rappresentante di un partito).
Cass. pen. n. 7483/1998
In tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio da parte degli impiegati dello Stato, il contenuto dell’obbligo la cui violazione è sanzionata dall’art. 326 c.p., deve essere desunto dal nuovo testo dell’art. 15 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, come sostituito dall’art. 28 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante nuove norme in tema di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. Da tale disposizione emerge che il divieto di divulgazione comprende non soltanto informazioni sottratte all’accesso, ma anche, nell’ambito delle notizie accessibili, quelle informazioni che non possono essere date alle persone che non hanno il diritto di riceverle, in quanto non titolari dei prescritti requisiti. Pertanto, in tale contesto normativo, la nozione di «notizie d’ufficio, le quali debbono rimanere segrete» assume non soltanto il significato di informazione sottratta alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quello di informazione per la quale la diffusione (pur prevista in un momento successivo) sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, nel momento in cui viene indebitamente diffusa, perché svelata a soggetti non titolari del diritto o senza il rispetto delle modalità previste. (Nella specie si trattava di notizie sui nominativi di soggetti invitati a una gara pubblica, divulgate nella fase anteriore alla conclusione del procedimento).
Cass. pen. n. 5947/1998
I reati di favoreggiamento personale e quello di rivelazione di segreti di ufficio, oltre a presentare una diversità di bene giuridico sottoposto a tutela, differiscono anche per le condotte, in quanto quella prevista dall’art. 378 c.p. è a forma libera, comprendendo qualsivoglia comportamento finalizzato a consentire all’autore di un reato di eludere le investigazioni dell’autorità o di sottrarsi alle ricerche di questa, mentre quella prevista dall’art. 326 c.p. si caratterizza per la rivelazione da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio di notizie di ufficio che devono rimanere segrete, e dalla effettività della conoscenza da parte dell’extraneus dell’atto protetto. Ne consegue che, pur potendo la condotta del reato di favoreggiamento comprendere anche quella di rivelazione di segreto di ufficio, quest’ultima figura criminosa conserva, agli effetti del concorso formale di reati, la propria autonomia, sicché deve escludersi l’assorbimento per specialità di tale reato in quello di favoreggiamento. (Fattispecie in tema di rivelazione di segreto di ufficio da parte di un dipendente di un ufficio Gip a favore di un imputato nei confronti del quale era stata emessa una ordinanza applicativa di custodia cautelare).
Cass. pen. n. 7960/1997
In tema di rivelazione di segreti di ufficio, il dovere di segretezza in capo al pubblico ufficiale è escluso soltanto se la notizia di ufficio sia divenuta, per causa non imputabile al predetto soggetto, di dominio pubblico. Tale situazione non è integrata dalla precedente pubblicazione della notizia su due quotidiani di diffusione nazionale, in quanto, da un lato, ciò non equivale a rendere di dominio pubblico assoluto la notizia, dall’altro, la rivelazione del pubblico ufficiale conferisce un quid pluris alla conoscenza di essa, attribuendole una particolare pregnanza qualificativa di credibilità.
Cass. pen. n. 8635/1996
L’elemento distintivo significante tra il reato previsto dall’art. 622 c.p., rivelazione di segreto professionale, ed il reato di rivelazione di segreti d’ufficio di cui all’art. 326 c.p. – la cui differenza pure è possibile cogliere in base alla diversità della ratio incriminatrice (tutela della libertà del singolo per l’art. 622 c.p. e tutela della pubblica amministrazione per l’art. 326 c.p.), della qualificazione giuridica (reato, rispettivamente, di danno ovvero di pericolo) e delle condizioni di perseguibilità (a querela ovvero d’ufficio) – è essenzialmente quello del tipo di segreto, di cui è interdetta la divulgazione: il quale, nella ipotesi dell’art. 326 c.p., deve riguardare notizie «di ufficio», quelle, cioè, concernenti un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o amministrativa stricto iure; mentre, nella ipotesi dell’art. 622 c.p., deve essere riferito a notizie apprese «per ragioni di ufficio» e riflettenti situazioni soggettive di privati e delle quali colui, che di esse è depositario in virtù del suo status professionale in senso lato (ufficio, professione o arte), deve assicurare la riservatezza.
Cass. pen. n. 2022/1996
Ai fini della sussistenza dell’ipotesi di reato prevista dall’art. 326, comma terzo, c.p., non è richiesta l’individuazione del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio rivelatore delle notizie segrete. Dette informazioni, però, devono riferirsi ad un soggetto di cui sia con certezza accertata tale qualità.
Cass. pen. n. 1169/1996
Può costituire il reato di rivelazione di segreto di ufficio, punito dall’art. 326 c.p., la trasmissione dell’informativa relativa all’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti di un dipendente pubblico all’amministrazione di appartenenza fatta da un ufficiale di polizia giudiziaria addetto all’ufficio del P.M. poiché la legge prevede che tale comunicazione debba essere fatta dallo stesso P.M. (Nell’affermare il principio di cui in massima la Corte ha rilevato come risultasse che la comunicazione era stata fatta per malanimo personale da parte dell’ufficiale di P.G. nei confronti dell’inquisito).
Cass. pen. n. 9306/1994
Il delitto di rivelazione di segreti d’ufficio previsto dall’art. 326 c.p. importa per la sua configurabilità sotto il profilo materiale che sia portata a conoscenza di una persona non autorizzata una notizia destinata a rimanere segreta e si configura come un reato di pericolo, nel senso che sussiste sempre che dalla rivelazione del segreto possa derivare un danno alla pubblica amministrazione o a un terzo. Si tratta, in particolare, di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto, tanto è vero che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre un qualche nocumento agli interessi tutelati a mezzo della notizia da tenere segreta. Di conseguenza, il reato non sussiste, non solo nella generale ipotesi della notizia divenuta di dominio pubblico, ma anche nel caso in cui, trattandosi di notizie di ufficio ancora segrete, le stesse siano rivelate a persone autorizzate a riceverle e cioè che debbono necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto di cui si tratta, ovvero a persone che, ancorché estranee ai meccanismi istituzionali pubblici, le abbiano già conosciute: fermo restando per tali ultime persone il limite della non conoscibilità dell’evoluzione della notizia oltre i termini dell’apporto da esse fornito. (Nella fattispecie, la Corte ha ritenuto ricompresi in questa seconda categoria le parti offese di un delitto di estorsione e i loro familiari, che abbiano chiesto ed ottenuto dal giudice il controllo dei loro apparecchi telefonici e che siano tenute nel proseguo ad affiancare, per quanto di ragione — risposte nelle conversazioni da intercettare — l’azione pubblica nel cui interesse preminente il segreto d’ufficio è stabilito. Ha, pertanto, annullato la decisione di merito che aveva ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 326 c.p. un dipendente della Sip per aver rivelato al fratello della vittima di un’estorsione che le linee telefoniche interessate erano state sottoposte a controllo, circostanza di cui il soggetto passivo dell’estorsione era a conoscenza).
Cass. pen. n. 4831/1994
Chi riferisca notizie in merito ad indagini giudiziarie sul conto di altro soggetto, apprese durante rapporti sessuali con una funzionaria della procura della Repubblica, risponde di concorso nel reato di cui all’art. 326 c.p., sussistendo un contributo causale dato dal privato alla divulgazione del segreto di ufficio, nella forma della istigazione o della determinazione.
Cass. pen. n. 3986/1992
La sostanziale infondatezza delle notizie non esclude la configurabilità del reato di rivelazione di segreti di ufficio, di cui all’art. 326 c.p., poiché, specie in materia di notizie coperte dal segreto istruttorio, la rivelazione è penalmente irrilevante solo se si tratti di informazioni già di pubblico dominio, o platealmente false, o prive di significato, e non già di fatti che si rivelino inconferenti o privi di fondamento solo dopo la valutazione che ne faccia il magistrato e alla luce di altre acquisizioni da lui promosse. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l’imputato aveva sostenuto che l’accertata infondatezza delle notizie in questione farebbe venir meno, ab initio, ogni interesse a che le stesse restassero segrete, e quindi la punibilità della rivelazione).
Cass. pen. n. 12389/1990
Ai fini della configurabilità del delitto di rivelazione di segreti d’ufficio, il dovere del segreto, cui è astretto il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, deve derivare da una legge, da un regolamento, da una consuetudine, ovvero dalla natura stessa della notizia che può recar danno alla P.A. — tale segreto non sussiste — almeno necessariamente — e, quindi, il reato non si realizza, per il difetto dei detti presupposti, nel caso della mera propalazione, da parte di un impiegato comunale, di notizie relative a pratiche di concessioni edilizie.
Cass. pen. n. 10414/1990
Il reato di rivelazione di segreti d’ufficio, previsto dall’art. 326 c.p., sussiste solo se dalla violazione del segreto sia derivato o possa derivare danno per la pubblica amministrazione o per i terzi, giacché a tale condizione è subordinato il dovere generale di riservatezza imposto (fuori dell’ipotesi di cui all’art. 230 c.p.p.) dall’art. 15 D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato).
Cass. pen. n. 1851/1990
Per la configurabilità del delitto di rivelazione del segreto di ufficio, non è necessario che le notizie rivelate siano apprese dal pubblico ufficiale per ragione del suo ufficio.
Cass. pen. n. 8417/1988
Poiché i reati previsti dagli artt. 323 e 326 c.p. presuppongono entrambi l’abuso delle funzioni inerenti ai compiti istituzionali o al servizio in caso di unicità della condotta non è tra essi configurabile il concorso formale.
Cass. pen. n. 420/1982
Il delitto di rivelazione dei segreti di ufficio si risolve in una fattispecie plurisoggettiva anomala, essendo la condotta incriminata legata a chi riceve la notizia e alla previsione della punizione nei confronti del solo autore della rivelazione, nel senso, cioè, che il mero recettore della notizia non può essere assoggettato a pena in conformità del principio di legalità. Tuttavia, in base all’ordinaria disciplina del concorso di persone nel reato, non può escludersi la partecipazione morale del destinatario della rivelazione, che, oltre alle tradizionali forme della determinazione e dell’istigazione, comprende anche l’accordo criminoso e, comunque, può estrinsecarsi nei modi più vari ed indifferenziati, ribellandosi a qualsiasi catalogazione o tipicizzazione, a cui invece deve uniformarsi la condotta dell’autore dell’illecito e, quindi, del concorrente che esegue l’azione vietata dalla norma e non già quella del partecipe.
Cass. pen. n. 10599/1981
I modi di realizzazione dell’azione delittuosa prevista dall’art. 326 c.p. sono sostanziati da una varietà di forme di abuso della qualità e dei poteri del pubblico ufficiale, per modo che l’inosservanza del segreto d’ufficio non è disgiungibile dall’abuso contemporaneo dei poteri del pubblico ufficiale, ed entrambi gli elementi entrano a far parte della costruzione della fattispecie comune, sicché l’abuso dei poteri d’ufficio non è separabile in figura autonoma di reato, non potendosi addebitare all’autore due volte la stessa violazione.
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