17 Mar Articolo 434 Codice di procedura civile — Deposito del ricorso in appello
Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. L’appello deve essere motivato . La motivazione dell’appello deve contenere, a pena di inammissibilità:
- 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
- 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte di appello entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, oppure entro quaranta giorni nel caso in cui la notificazione abbia dovuto effettuarsi all’estero.
- 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado;
- 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”16″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 12372/2017
Nel rito del lavoro, la sentenza appellabile, salva la particolare ipotesi contemplata nel comma 2 dell’art. 433 c.p.c., è quella che contiene tutti gli elementi elencati nell’art. 132, comma 1, c.p.c., e che è pubblicata ai sensi dell’art. 133 c.p.c.; di conseguenza, nel caso di notificazione del solo dispositivo della sentenza, sempre che non ricorra l’ipotesi prevista dall’art. 433, comma 2, c.p.c., non decorre il termine breve per l’impugnazione; ove, peraltro, il dispositivo non sia seguito dalla motivazione, bensì da un atto che attesti il mancato deposito della motivazione per impedimento del giudicante, l’onere di impugnazione decorre solo dalla comunicazione del mancato deposito della motivazione.
Cass. civ. n. 18489/2012
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, ove, a seguito della pronuncia di primo grado e dell’inizio dell’esecuzione sulla base del solo dispositivo, l’appello venga proposto in un momento in cui è stata depositata la sentenza, con un atto denominato “appello con riserva dei motivi” e, tuttavia, contenente motivi di appello (pur espressamente articolati dal difensore con dichiarazione di non conoscenza della motivazione), il giudice di appello, ove l’appellante non abbia successivamente svolto alcuna attività di integrazione a norma dell’art. 434, secondo comma, c.p.c., può considerare l’atto come introduttivo di un appello pieno, se i motivi si presentano idonei a criticare la motivazione della sentenza impugnata in quanto pongano questioni con essa correlate, o, altrimenti deve dichiararne l’inammissibilità per tale ragione.
Cass. civ. n. 23625/2010
Nelle controversie di lavoro il difetto di trascrizione della procura al difensore nella copia notificata di un ricorso in appello, è privo di rilevanza quando la prova del tempestivo conferimento della procura può desumersi dall’originale del ricorso, sottoscritto dal procuratore prima del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza e di nomina del relatore. Pertanto, la mancanza dell’indicazione di elementi essenziali nella copia del ricorso consegnata all’appellato in sede di notifica, contenuta invece nell’originale dell’atto stesso, determina una nullità che investe non il ricorso predetto ma solo la notifica del medesimo, ove la stessa non sia autonomamente idonea a far conoscere al destinatario il contenuto dell’atto notificato che è sanata dalla costituzione in giudizio del convenuto.
Cass. civ. n. 20344/2010
Al fine di verificare la tempestività dell’appello di una sentenza decisa dal giudice di primo grado secondo il rito del lavoro, deve aversi riguardo al deposito del ricorso in cancelleria, a nulla rilevando il momento della successiva riassunzione del giudizio disposta dalla sezione lavoro della corte di appello per il passaggio della causa ad altra sezione civile del medesimo ufficio giudiziario, essendosi ormai determinato l’effetto conservativo, sostanziale e processuale, dell’impugnazione originariamente proposta. (Principio affermato dalla S.C. in relazione ad una causa in materia di locazione).
Cass. civ. n. 12101/2010
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, qualora l’appello abbia contenuto esclusivamente rescindente, in quanto il riscontro del motivo di invalidità esaurisce l’oggetto della cognizione riservata al giudice di secondo grado, la parte soccombente ha interesse a dedurre un mero vizio di nullità del giudizio di primo grado, dovendo la causa essere rimessa al primo giudice perché il giudizio sia rinnovato con contraddittorio regolarmente costituito. Ove, invece, l’appello cumuli in sé “iudicium rescindens” e “iudicium rescissorium”, in quanto diretto non alla mera eliminazione di un atto illegittimo, ma alla rinnovazione del giudizio di merito, è necessario che la parte soccombente non si limiti a censurare i vizi di attività del primo giudice – che hanno carattere meramente strumentale – ma deduca ritualmente e tempestivamente le questioni di merito, dovendosi, diversamente, ritenere l’inammissibilità dell’appello per difetto d’interesse in quanto l’eventuale fondatezza della censura non comporta il potere del giudice di pronunciare sul merito della controversia. Ne consegue che ove sia stata rilevata la nullità dell’introduzione del giudizio, determinata dall’inosservanza del termine dilatorio di comparizione stabilito dall’art. 415, quinto comma, c.p.c., il giudice d’appello non può limitarsi a dichiarare la nullità e a rimettere la causa al giudice di primo grado (non ricorrendo in detta ipotesi nè la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, nè alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, primo comma, c.p.c.), ma deve trattenere la causa e, previa ammissione dell’appellante, rimasto contumace in primo grado, ad esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere se il processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito.
Cass. civ. n. 15166/2008
Il requisito della specificità dei motivi di appello, previsto dall’art. 434 c.p.c., richiede che l’appellante indichi le parti della sentenza ritenute errate e le ragioni, di fatto e diritto, su cui fonda la relativa impugnazione ; ne consegue che detto requisito non è soddisfatto ove la parte pretenda di dedurre l’erroneità ritenendola logicamente presupposta di una parte della sentenza attraverso la formulazione di un motivo di impugnazione relativo ad altra parte della sentenza ed altra, diversa, questione di diritto (nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso ritenendo che, correttamente, il giudice di appello avesse ritenuto, in assenza di uno specifico motivo d’impugnazione, insufficiente la deduzione della qualità di lavoratore subordinato che logicamente implicava la negazione della qualità di agente ad evitare il passaggio in giudicato della condanna al pagamento delle indennità dovute al proponente ).
Cass. civ. n. 25097/2005
Nell’ipotesi in cui la sentenza impugnata abbia pronunciato su cause legate da uno stretto rapporto di dipendenza, è applicabile la disciplina delle cause inscindibili; ne consegue, in materia di impugnazione, l’applicabilità del principio in base al quale, nel processo con pluralità di parti, stante l’unitarietà del termine per l’impugnazione, la notifica della sentenza eseguita ad istanza di una sola delle parti segna, nei confronti della stessa e di quella destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per la proposizione dell’impugnazione contro tutte le altre parti. (Nella specie, la S.C., ha confermato la decisione di merito, nel giudizio promosso per l’accertamento della nullità del licenziamento e la prosecuzione del rapporto di lavoro per trasferimento d’azienda con la società acquirente, con la quale era stato ritenuto inammissibile l’appello del lavoratore, perché proposto oltre il termine breve decorrente dalla ricevuta notificazione della sentenza impugnata, ancorché proposta solo nei confronti di una parte diversa, l’impresa cessionaria, da quella che aveva provveduto alla notifica del provvedimento, l’impresa cedente).
Cass. civ. n. 9069/2005
In mancanza di espressa previsione in deroga alle disposizioni generali (quale quella prevista per il ricorso per cassazione dall’art. 134 att. c.p.c., non suscettibile di applicazione analogica) il deposito presso la cancelleria a mani del cancelliere costituisce, per i procedimenti introdotti con ricorso, il necessario strumento per portare alla cognizione del giudice l’atto d’impulso processuale, strumento che, pertanto, non è suscettibile di interventi integrativi o sostitutivi; ne consegue che, con riferimento al ricorso in appello nel rito del lavoro, non è possibile configurare alcun tipo di sanatoria in relazione ad attività inidonee a determinare la fattispecie legale della proposizione del ricorso, dovendosi in particolare escludere una sanatoria per raggiungimento dello scopo dell’atto in caso d’invio del ricorso a mezzo del servizio postale, entro il termine previsto dalla legge; né ciò può suscitare dubbi di illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost. in relazione alla diversa disciplina prevista per il giudizio di cassazione (trattandosi di previsione eccezionale rispondente alle particolari esigenze di un giudizio devoluto ad un organo centralizzato in funzione di giudice dell’impugnazione rispetto a pronunce rese su tutto il territorio nazionale), e neppure in relazione alla disciplina prevista per la notificazione a mezzo posta in seguito alla sentenza n. 477 del 2002 della Corte costituzionale, sia perché il deposito di atti presso un ufficio giudiziario è attività diversa della notificazione di un atto alla controparte, sia perché non è nemmeno configurabile una disparità di trattamento, riguardo al termine di decadenza, tra le impugnazioni proposte a mezzo di ricorso e quelle proposte a mezzo di citazione, posto che il perfezionamento della notificazione, per il notificante, al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario è inteso ad evitare che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un’attività riferibile a soggetti diversi dal notificante, rischio inesistente nell’ipotesi di impugnazione introdotta con ricorso, in quanto, in tal caso, l’elusione della decadenza si verifica già al momento della consegna dell’atto al cancelliere.
Cass. civ. n. 22746/2004
In tema di ricorso in appello nel processo del lavoro, il richiamo contenuto nell’art. 434 c.p.c. alle indicazioni contenute nell’art. 414 dello stesso codice non ne equipara totalmente la disciplina al ricorso introduttivo, in quanto la «ratio» della precisa indicazione del nome, cognome e della residenza, domicilio o dimora del convenuto risponde alla necessità di identificazione della parte evocata in giudizio, mentre nel giudizio di appello l’indicazione degli appellati può avvenire «per relationem» con riferimento ai soggetti che hanno partecipato al giudizio di primo grado proponendo il ricorso o la memoria difensiva, senza che si verifichi quella incertezza sui soggetti evocati in giudizio che, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., è sanzionata con la nullità dell’atto.
Cass. civ. n. 22154/2004
Nell’ipotesi in cui nel termine di legge sia stata depositata una dichiarazione di appello con richiesta di riforma della sentenza di primo grado, ma priva dei motivi, contenuti nella relazione tecnica di parte alla quale si sia fatto semplice riferimento nell’atto di appello, la parte appellante non può chiedere — diversamente dall’ipotesi di vizio della notificazione dell’atto di impugnazione — la fissazione di un termine per la rinnovazione della notifica dell’atto suddetto, con l’integrazione, come allegato, della consulenza di parte in quanto non è consentito scindere la dichiarazione di appello dai motivi di impugnazione e, se può ammettersi che i motivi possano risultare da atto materialmente diverso da quello contenente la dichiarazione di impugnazione, al quale quest’ultimo faccia rinvio, sia l’uno che l’altra devono essere depositati nella cancelleria del tribunale entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata o, comunque, in caso di mancanza di notifica della sentenza impugnata, nel termine lungo previsto dall’art. 327 c.p.c.
Cass. civ. n. 21856/2004
Anche nel rito del lavoro, il giudizio di appello — in relazione al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato cui fa riscontro quello del tantum devolutum quantum appellatum — ha per oggetto la controversia decisa dalla sentenza di primo grado entro i limiti della devoluzione, quali risultano fissati dai motivi specifici che l’appellante ha l’onere di proporre con l’atto di appello; conseguentemente, la sentenza di secondo grado non può rilevare il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado qualora tale profilo, in difetto di specifico motivo d’appello, risulti ormai coperto da giudicato sostanziale interno ed in tal caso, configurandosi un error in procedendo, la Cassazione è giudice anche del fatto, con il conseguente potere-dovere di procedere direttamente all’interpretazione degli atti processuali. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, riformando quella di primo grado, aveva limitato temporalmente gli adeguamenti economici dei lettori di lingua straniera presso le Università).
Cass. civ. n. 5150/2004
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, la inammissibilità dell’impugnazione, perchè depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dell’art. 434, secondo comma, c.p.c. e, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all’art. 327, primo comma, stesso codice, non trova deroga con riguardo all’ipotesi in cui l’impugnazione sia stata irritualmente proposta nella forma della citazione, ancorchè questa sia suscettibile di convalidazione a norma dell’art. 156, ultimo comma c.p.c., trattandosi di inosservanza di un adempimento prescritto a pena di decadenza, dal quale deriva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Cass. civ. n. 4053/2004
Il thema decidendi nel giudizio di secondo grado è delimitato dai motivi di impugnazione, la cui specifica indicazione è richiesta, ex artt. 342 e 434 c.p.c., per l’individuazione dell’oggetto della domanda d’appello e per stabilire l’ambito entro il quale deve essere effettuato il riesame della sentenza impugnata; tuttavia, allorquando sia impugnata una sentenza di totale reiezione della domanda originaria, poiché il bene della vita richiesto non può che essere, in linea di massima, quello negato in primo grado, ovvero delimitato dagli stessi motivi di impugnazione così che, ove questi siano «specifici» e chiaramente rivolti contro le argomentazioni che avevano condotto il primo giudice al rigetto della domanda, va escluso che, pur in mancanza di conclusioni precise, possa ravvisarsi acquiescenza alla reiezione di essa, dovendosi ravvisare la riproposizione della domanda negli identici termini iniziali, con le eventuali delimitazioni evidenziate dalla specificazione dei motivi di gravame e dalla eventuale incompatibilità rispetto ad essi. (Nella specie, relativa a impugnazione di licenziamento, il lavoratore si era limitato a richiedere «in riforma della sentenza impugnata» l’accoglimento «del presente gravame» la corte di appello, con sentenza confermata dalla S.C, aveva ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, perché il contenuto della domanda risultava dalla parte espositiva dell’atto e le censure erano implicite nel richiamo ad altra precedente sentenza pretorile già oggetto di annullamento).
Cass. civ. n. 6488/2003
Sussistono i requisiti di specificità dei motivi di appello, prescritti dall’art. 434 c.p.c., qualora la parte appellante indichi, sia pure a mezzo di una esposizione sommaria, le proprie doglianze in modo che il giudice del gravame sia posto in grado di identificare le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, non richiedendosi l’adozione di argomentazioni nuove e differenti rispetto a quelle contenute negli atti difensivi di primo grado, in quanto non esiste una stretta correlazione tra la specificità dei motivi e la novità degli argomenti addotti a sostegno di essi.
Cass. civ. n. 13897/2000
Nell’ipotesi di mancato reperimento del fascicolo d’ufficio di primo grado nell’incartamento processuale, il giudice di appello, qualora la parte interessata non abbia provveduto a depositare il fascicolo di parte, secondo quanto richiesto con formale ordinanza, e, anzi, non sia comparsa all’udienza di discussione non è tenuto a disporre le opportune ricerche a carico dell’ufficio ma può, valutando discrezionalmente – e, quindi, in modo non censurabile in sede di legittimità – in senso sfavorevole l’inerzia della parte, respingerne la domanda in quanto priva della pur necessaria documentazione.
Cass. civ. n. 7094/2000
L’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 c.p.c. e, nel rito del lavoro, dall’art. 434 c.p.c., non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame — che può validamente consistere anche nella mera richiesta di riforma della sentenza impugnata e di accoglimento della domanda iniziale, sia delle ragioni della doglianza, che possono essere integrate anche con il rinvio ad atti del processo già ritualmente acquisiti, i quali si presumono noti.
Cass. civ. n. 899/1999
Nel rito della cause di lavoro la mancata produzione della sentenza impugnata, in sede di deposito del ricorso in appello, non determina l’automatica declaratoria dell’improcedibilità del gravame, ai sensi dell’art. 348, secondo comma, c.p.c., ma comporta che il giudice, ove non possa supplire con gli atti di causa all’impossibilità di esaminare detta sentenza, il cui esame sia necessario ai fini della decisione, debba ordinare il suo deposito all’appellante, a norma dell’art. 421, primo comma, stesso codice, e, quindi, in caso di inosservanza dell’ordine, con conseguente persistente carenza della documentazione necessaria ai fini della decisione, debba rigettare nel merito l’impugnazione.
Cass. civ. n. 498/1999
La specificità dei motivi di appello richiesta dagli artt. 342 e 434 c.p.c. impone all’appellante di individuare con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza impugnata, in modo che sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata, dovendosi perciò ritenere inammissibile l’appello quando, per l’individuazione dei motivi, l’appellante si richiami genericamente alle deduzioni, eccezioni e conclusioni della comparsa depositata in primo grado.
Cass. civ. n. 433/1997
Ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni per l’impugnazione, previsto dagli artt. 325 e 434 c.p.c., la notificazione della sentenza – che deve essere fatta al procuratore costituito ai sensi dell’art. 170 c.p.c. – ove quest’ultimo eserciti il proprio ufficio in un giudizio che si svolge fuori della circoscrizione del tribunale al quale lo stesso è assegnato e non abbia eletto, all’atto della costituzione in giudizio, domicilio (ai sensi dell’art. 82, primo comma, del R.D. 22 gennaio 1934, n. 87) nel luogo dove ha sede l’autorità giudiziaria presso la quale il giudizio ha corso (non potendosi ravvisare la suddetta elezione di domicilio nella dichiarazione con cui la parte, nel conferire la procura al suddetto procuratore, abbia indicato il proprio domicilio per le notificazioni, atteso che si tratta di dichiarazione non proveniente da colui che avrebbe dovuto formulare l’elezione e perciò inidonea a conseguire l’effetto di cui al citato art. 82), deve essere effettuata presso la cancelleria della stessa autorità giudiziaria a norma del secondo comma dello stesso art. 82.
Cass. civ. n. 355/1997
Essendo i poteri cognitori del giudice circoscritti, all’infuori delle questioni rilevabili d’ufficio, dall’iniziativa della parte istante, spettando ad essa di attivarsi per la riforma delle decisioni sfavorevoli contenute nella sentenza di primo grado, l’onere della specificazione dei motivi d’appello esige che la manifestazione volitiva dell’appellante, indirizzata a ottenere la suddetta riforma, trovi un supporto argomentativo idoneo a contrastare la motivazione in proposito della sentenza impugnata, con la conseguenza che i motivi stessi devono essere più o meno articolati a seconda della maggiore o minore specificità, nel caso concreto, di quella motivazione. L’inosservanza di detto onere determina la nullità dell’atto di appello, quando nessun capo della sentenza del primo giudice sia censurato con sufficiente specificazione, nullità sanabile per effetto della costituzione dell’appellato, sia pure con salvezza dei diritti anteriormente acquisiti.
Cass. civ. n. 7899/1996
Nel rito del lavoro l’indicazione della procura, la cui omissione è sanzionata per il giudizio di cassazione dall’art. 366, primo comma, n. 5, c.p.c., non è richiesta dall’art. 434 c.p.c. in relazione all’art. 414 dello stesso codice e, in ogni caso, anche applicando, per il rinvio operato dall’art. 359 c.p.c., la regolamentazione al riguardo ricavabile dalle norme processuali riguardanti la citazione in primo grado, l’omissione suddetta non è compresa tra le violazioni che comportano la nullità dell’atto di citazione.
Cass. civ. n. 6170/1996
Nel rito del lavoro l’appellante non ha l’onere di riproporre le istanze istruttorie, ritualmente proposte in primo grado, sulle quali il pretore abbia omesso di provvedere per aver ritenuto diversamente provate le circostanze di fatto allegate a fondamento della domanda, con la conseguenza che il giudice di appello non può pervenire ad una valutazione diametralmente opposta se non dopo essersi pronunciato sull’ammissibilità dei mezzi di prova richiesti nel precedente grado di giudizio.
Cass. civ. n. 4570/1995
Non è concretamente realizzabile nel rito del lavoro l’ipotesi di improcedibilità dell’appello prevista dall’art. 348, comma 2, c.p.c. quale conseguenza del mancato deposito da parte dell’appellante del suo fascicolo, dopo la costituzione in giudizio, poiché le modalità introduttive del rito speciale non possono prescindere dal tempestivo deposito del ricorso e dei relativi allegati presso la cancelleria del giudice adito e, d’altra parte, ai fini in questione è irrilevante l’eventuale mancato nuovo deposito del fascicolo, che sia stato ritirato dopo l’iniziale regolare deposito.
Cass. civ. n. 2012/1995
Nel ricorso in appello relativo a controversie in materia di lavoro, disciplinato dall’art. 434 c.p.c., la mancata indicazione dei motivi specifici di impugnazione nonché delle indicazioni prescritte dall’art. 414 c.p.c., ed in particolare dell’esposizione degli elementi di diritto su cui si fonda la pretesa, rende inammissibili i motivi di appello, la cui specificità e chiarezza costituiscono un requisito imprescindibile; né il difetto di tali requisiti può essere sanato successivamente mediante note illustrative, la cui funzione non è quella di formulare censure ma solo quella di chiarire le censure già tempestivamente formulate.
Cass. civ. n. 2687/1994
In tema di appello nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’art. 434, secondo comma, c.p.c., ove fissa il termine di trenta giorni, dalla notificazione della sentenza di primo grado, per il deposito in cancelleria del ricorso introduttivo del procedimento di secondo grado, è applicabile anche nel caso in cui l’appellante irritualmente adotti la forma della citazione, di modo che la convertibilità del relativo atto non può prescindere dal suo deposito entro il suddetto termine, a pena d’inammissibilità (rilevabile di ufficio).
Cass. civ. n. 7096/1993
Nel rito del lavoro, l’indicazione nel ricorso in appello del nome del primo di più soggetti, nei cui confronti venga proposta l’impugnazione, e del numero complessivo di questi ultimi, seguita dalla dichiarazione di voler impugnare la sentenza che ha accolto le domande di tutti i litisconsorti, è sufficiente per identificare nella totalità di questi ed in ciascuno di essi i soggetti passivi dell’impugnazione, investendo la manifestazione di volontà dell’appellante inequivocamente la totalità delle controparti risultate vittoriose nel grado precedente, tal che ciascuna di queste resta individuata, con i propri dati anagrafici, dalla menzione che se ne fa nella sentenza impugnata.
Cass. civ. n. 6412/1993
Nel rito del lavoro, l’appellante che impugna in toto la sentenza di primo grado, insistendo per l’accoglimento delle domande proposte, non ha l’onere di reiterare in modo specifico le richieste istruttorie pertinenti a tali domande, essendo tale riproposizione delle istanze istruttorie insita nella richiesta di accoglimento delle domande stesse.
Cass. civ. n. 7687/1992
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza previsto dall’art. 434, secondo comma, c.p.c. e, in caso di mancata notifica della sentenza, nel termine di cui all’art. 327, primo comma, stesso codice, non trova deroga con riguardo all’ipotesi in cui l’impugnazione sia stata irritualmente proposta nella forma della citazione, ancorché questa sia suscettibile di convalidazione a norma dell’art. 156, ultimo comma c.p.c., trattandosi di inosservanza di un adempimento prescritto a pena di decadenza, dal quale deriva il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Cass. civ. n. 7827/1991
La notificazione della sentenza, ai fini del decorso del termine breve d’impugnazione, nei confronti della parte costituita, deve essere effettuata, anche nel rito del lavoro, al procuratore, nel domicilio (reale od eletto) del medesimo, sicché resta irrilevante sia l’indicazione di residenza o l’elezione di domicilio fatte dalla parte stessa, sia l’eventuale mancanza di tale indicazione od elezione.
Cass. civ. n. 7658/1991
Nelle cause di lavoro ed al fine della decorrenza del termine breve per l’appello contro la sentenza del pretore, nei confronti della parte costituitasi a mezzo di procuratore, la sentenza medesima va notificata in cancelleria, indipendentemente dalla circostanza che detta parte abbia o meno dichiarato la residenza od eletto il domicilio ai sensi degli artt. 414 n. 2 e 416 primo comma c.p.c. (circostanza influente solo se la parte stessa stia in giudizio personalmente), esclusivamente quando quel procuratore, esercitando il proprio ministero fuori dalla circoscrizione del tribunale cui è assegnato, non abbia eletto domicilio nel luogo in cui il giudice ha sede, atteso che, ove operi nell’ambito di tale circoscrizione, la notificazione deve essere eseguita al domicilio risultante dall’albo professionale.
Cass. civ. n. 2543/1990
Per il principio della cosiddetta ultrattività del rito, qualora una controversia sia stata trattata con il rito ordinario, anziché secondo le norme del processo del lavoro, l’impugnazione – quale che sia il suo oggetto – deve essere proposta con citazione a udienza fissa, da notificarsi nei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. Tuttavia, qualora l’appellante adotti la forma del ricorso, propria del rito speciale, invece che quella ordinaria della citazione, l’impugnazione, in ossequio al principio processuale della conservazione degli atti, è da ritenersi egualmente ammissibile, sempre che la notifica di essa sia tempestiva ai sensi dei citati articoli.
Cass. civ. n. 2260/1990
Nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’appello per tardivo deposito del relativo atto è rilevabile d’ufficio e non è sanata dalla costituzione dell’appellato, in quanto la tardività dell’impugnazione implica il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
Cass. civ. n. 3870/1986
La disciplina del computo dei termini dettata dall’art. 155 c.p.c., e, in particolare, la previsione dell’ultimo comma di tale norma, concernente la proroga di diritto del giorno di scadenza, se festivo, al primo giorno seguente non festivo, si applica, per il suo carattere generale, a tutti i termini, anche perentori, contemplati dal codice di rito, compreso il termine breve, fissato dal secondo comma dell’art. 434 di detto codice, per la proposizione dell’appello nelle controversie soggette al nuovo rito del lavoro.
Cass. civ. n. 1353/1985
Nel nuovo rito del lavoro, la costituzione dell’appellante richiede soltanto il deposito del ricorso e pertanto il mancato deposito del fascicolo di parte e della copia della sentenza impugnata non comporta l’improcedibilità del gravame, ma l’obbligo per il giudice di esaminare il merito della controversia; tale obbligo sussiste anche quando non sia possibile desumere aliunde i motivi posti a sostegno della sentenza impugnata o controllare i limiti e la tempestività dell’impugnazione oppure l’acquiescenza tacita eventualmente verificatasi, soccorrendo allora i poteri istruttori (art. 421 c.p.c.) del giudice, il quale deve ordinare all’appellante il deposito (non contrastante con il divieto di nuovi mezzi di prova stabilito dal secondo comma dell’art. 437 c.p.c.) della documentazione e, in particolare, della copia della sentenza appellata, necessaria per giudicare il merito della controversia.
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