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Articolo 433 Codice di procedura civile — Giudice d’appello

Articolo 433 Codice di procedura civile — Giudice d’appello

L’appello contro le sentenze pronunciate nei processi relativi alle controversie previste nell’articolo 409 deve essere proposto con ricorso davanti alla Corte di appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro.

Ove l’esecuzione sia iniziata prima della notificazione della sentenza, l’appello può essere proposto con riserva dei motivi che dovranno essere presentati nel termine di cui all’articolo 434.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 682/2005

Ove una controversia sia stata erroneamente trattata in primo grado con il rito ordinario, anzichè con quello speciale del lavoro, le forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell’appello, che, dunque, va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anzichè con quello ordinario, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio della ultrattività del rito, che quale specificazione del piú generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice — trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice.

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Cass. civ. n. 13617/2004

Nel processo del lavoro, cui è improntato anche il rito locatizio, l’appello è proponibile prima del deposito della sentenza soltanto nell’ipotesi eccezionale di esecuzione iniziata in base al dispositivo, al solo scopo di investire il giudice del gravame della decisione in ordine all’istanza di sospensione dell’esecuzione; ne consegue che è inammissibile l’appello proposto anteriormente al deposito della sentenza in difetto d’inizio di esecuzione della medesima in virtù del solo dispositivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto a seguito della sola notificazione del precetto di rilascio, in quanto l’esecuzione per consegna e rilascio ha inizio non con la notifica del precetto ma solo con l’accesso dell’ufficiale giudiziario sul luogo dove devono compiersi gli atti esecutivi).

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Cass. civ. n. 4615/2004

Nei procedimenti ai quali si applica il rito del lavoro non è ammissibile l’appello contenente l’articolazione dei motivi proposto prima del deposito della sentenza di primo grado, essendo consentito prima di tale momento, ex art. 433 comma 2, c.p.c., solo il gravame con riserva dei motivi e sempre che sia stata iniziata l’esecuzione sulla base del dispositivo; l’atto di appello proposto intempestivamente senza riserva dei motivi può convertirsi in un appello validamente proposto qualora il successivo atto depositato dall’appellante principale contenga tutti i requisiti indicati dagli artt. 434 e 414 c.p.c., e non si limiti a richiamare i motivi contenuti nell’atto precedente.

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Cass. civ. n. 12013/2002

Nel rito del lavoro — che si applicsa anche alle controversie in materia di locazione urbana, ai sensi degli artt. 447 bis e 8, secondo comma, n. 2, (norma, quest’ultima, abrogata a decorrere dal 2 giugno 1999) c.p.c., l’introduzione del giudizio d’appello con citazione, quando questa è stata depositata nei termini indicati dagli artt. 434, secondo comma, e 327, primo comma, c.p.c., determina soltanto la necessità processuale del mutamento di rito, o, in mancanza, una mera irregolarità processuale attinente ad una questione di rito, che non può essere autonomamente dedotta come motivo di gravame e che assume rilievo, ai fini dell’impugnazione, solamente se abbia arrecato alla parte un pregiudizio processuale che abbia inciso sulla competenza, sul regime delle prove o sui diritti di difesa.

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Cass. civ. n. 10278/2002

Per il principio dell’ultrattività del rito, ove il giudizio di primo grado (nella specie: controversia agraria in tema di risoluzione del contratto di affitto) sia stato definito dal giudice specializzato con la procedura speciale, la proposizione dell’appello deve avvenire con l’osservanza delle disposizioni dettate per il rito speciale.

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Cass. civ. n. 13984/2000

Nel processo del lavoro, non è configurabile un onere di impugnazione rispetto al dispositivo letto in udienza; infatti il potere di impugnazione postula che sia stata depositata la sentenza completa di tutti i suoi elementi costitutivi e l’art. 431 (Recte: 433 – N.d.R.) c.p.c., — che prevede la proponibilità dell’appello prima del deposito della sentenza, nell’ipotesi di esecuzione iniziata in base al dispositivo — costituisce norma di carattere eccezionale.

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Cass. civ. n. 938/1999

Nel rito speciale del lavoro va dichiarata l’inammissibilità dell’appello ove il ricorso sia stato depositato presso la cancelleria di giudice incompetente; né, a causa dell’intervenuto giudicato, il vizio può essere sanato dalla costituzione in giudizio dell’appellato.

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Cass. civ. n. 4829/1998

La competenza del giudice d’appello è funzionale ed inderogabile ai sensi dell’art. 341 c.p.c. e del successivo art. 433 c.p.c. relativo alle controversie di lavoro e previdenziali, in considerazione della peculiarità del giudizio di impugnazione che è circoscritto dalle censure esplicitamente formulate dalle parti in relazione alla decisione emessa dal primo giudice e che non è compatibile, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, come avviene per le questioni rilevabili d’ufficio, con la trattazione di questioni non discusse nel precedente grado di giudizio. Ne consegue che nelle controversie che si svolgono con il rito del lavoro l’incompetenza per territorio ed ora, a seguito della modifica introdotta nell’art. 38 c.p.c. dall’art. 4 della legge 26 novembre 1990, n. 353, anche quella per materia in relazione alle cause che hanno avuto inizio dopo il 30 aprile 1995, ove non eccepite dalla parte e non rilevato d’ufficio dal giudice in primo grado, nei modi e nei termini stabiliti dalla legge (artt. 38 e 428 c.p.c.) non possono essere dedotte d’ufficio o su eccezione di parte per la prima volta in grado di appello, dovendo essere individuata la competenza in tale grado facendo esclusivo riferimento alla circoscrizione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata.

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Cass. civ. n. 9938/1994

La regola della modifica della competenza territoriale per effetto di sopravvenienza legislativa L. 11 febbraio 1992, n. 128 applicabile ai sensi dell’art. 5 c.p.c. vecchio testo per i giudizi pendenti al 1° gennaio 1993 e sino al 18 dicembre 1994, vale esclusivamente per i giudizi di primo grado con la preclusione prevista dall’art. 428 c.p.c., che consente il rilievo d’ufficio e l’eccezione relativi alla conseguente incompetenza sino all’udienza di discussione prevista dall’art. 420 c.p.c. Nelle controversie in grado d’appello vige, invece, la regola stabilita dall’art. 443 (Recte: art. 433 – N.d.R.) c.p.c. ai sensi della quale l’appello contro la sentenza del pretore si propone al tribunale nella cui circoscrizione ha sede il giudice adito che ha pronunciato la sentenza, restando, perciò, irrilevanti le modificazioni postume dei criteri determinativi della competenza di quest’ultimo.

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Cass. civ. n. 3312/1991

Nel caso di proposizione dell’appello con riserva dei motivi, a norma del secondo comma dell’art. 433 c.p.c. fino a che il relativo termine di presentazione non sia ancora scaduto, il giudice di secondo grado può disporre il rinvio dell’udienza di discussione, per consentire all’appellante la presentazione dei motivi d’appello a seguito dell’avvenuta pubblicazione della sentenza appellata.

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Cass. civ. n. 2518/1991

Per il principio di ultrattività del rito, ove una controversia sia stata trattata in primo grado con rito ordinario, anziché con rito di lavoro, cui è assoggettata, devono essere seguite le forme ordinarie anche per proporre gravame contro la sentenza pronunciata in quel grado di giudizio, con la conseguenza che deve ritenersi tardivo l’appello proposto con ricorso, anziché con citazione a comparire ad udienza fissa, se questo, benché tempestivamente depositato, sia stato notificato oltre il termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza impugnata.

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Cass. civ. n. 9264/1990

L’appello con riserva dei motivi, previsto con riferimento al rito del lavoro dal secondo comma dell’art. 433 c.p.c., non è ammissibile nelle controversie in tema di locazione soggette al medesimo rito, poiché l’art. 51 della legge 27 luglio 1978 n. 392 non richiama, con riferimento all’appello contro le sentenze del pretore, il predetto art. 433, che prevede al secondo comma tale forma di impugnazione, né il secondo comma dell’art. 438 c.p.c. che, richiamando, a sua volta, il secondo comma dell’art. 431 c.p.c., prevede la possibilità di procedere ad esecuzione in base al solo dispositivo; senza che detta differenza di trattamento si ponga in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, trattandosi di situazioni e rapporti diversi, come tali non suscettibili di una disciplina omogenea.

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Cass. civ. n. 2543/1990

Per il principio della cosiddetta ultrattività del rito, qualora una controversia sia stata trattata con il rito ordinario, anziché secondo le norme del processo del lavoro, l’impugnazione – quale che sia il suo oggetto – deve essere proposta con citazione a udienza fissa, da notificarsi nei termini di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c. Tuttavia, qualora l’appellante adotti la forma del ricorso, propria del rito speciale, invece che quella ordinaria della citazione, l’impugnazione, in ossequio al principio processuale della conservazione degli atti, è da ritenersi egualmente ammissibile, sempre che la notifica di essa sia tempestiva ai sensi dei citati articoli.

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Cass. civ. n. 2171/1989

La sola intimazione del precetto, sulla base del dispositivo di sentenza di condanna esecutiva, pronunciata in primo grado in una controversia di lavoro, non costituisce, secondo i principi ordinari, inizio dell’esecuzione forzata e non consente, quindi, la proposizione dell’appello con riserva dei motivi ex art. 433, comma secondo, c.p.c.; tuttavia l’inammissibilità del gravame così sperimentato anteriormente al deposito della sentenza non impedisce di riconoscere nel successivo atto di deposito dei motivi un nuovo valido appello autonomamente rilevante, ove in esso si rinvengano tutti i requisiti di siffatta impugnazione indicati dagli artt. 434 e 414 del codice di rito, atteso che non si può avere irreparabile consumazione del diritto all’impugnazione quando questa sia stata una prima volta proposta in mancanza dello stesso suo oggetto, costituito dalla sentenza completa di tutti i suoi elementi costitutivi e ritualmente pubblicata.

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Cass. civ. n. 1547/1989

Nel rito del lavoro, l’appello immediato, con riserva dei motivi, avverso il dispositivo della sentenza del pretore, previsto dall’art. 433, secondo comma, c.p.c. al fine di consentire al debitore esecutato di ottenere la sospensione dell’esecuzione, non consuma il potere d’impugnazione, e, pertanto, ove sia inammissibile, come nel caso in cui non sia stato ancora compiuto il primo atto della esecuzione forzata, non osta alla valida instaurazione del giudizio di gravame con atto successivo, ivi incluso quello di presentazione dei motivi, purché munito dei requisiti prescritti dall’art. 434 c.p.c. (in relazione all’art. 414 c.p.c.).

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Cass. civ. n. 3652/1986

Nel rito delle controversie di lavoro, l’art. 433, secondo comma, c.p.c. – il quale prevede la proponibilità dell’appello prima del deposito della sentenza, nell’ipotesi in cui l’esecuzione sia stata iniziata in base al dispositivo letto in udienza – configura una norma di carattere eccezionale, insuscettibile di interpretazione analogica, con la conseguenza che, in tutti gli altri casi, il potere d’impugnazione postula che sia stata depositata la sentenza completa di tutti i suoi elementi costitutivi, poiché solo con tale adempimento il provvedimento assurge a giuridica esistenza nella sua interezza, a nulla rilevando che la parte che intende proporre impugnazione possa essere in grado, in relazione alla particolare fattispecie o situazione processuale, di svolgere compiutamente le proprie censure.

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Cass. civ. n. 118/1986

In tema di riserva di gravame differito avverso la sentenza non definitiva, anche nel rito del lavoro opera l’art. 340 c.p.c. anche se, rispetto al rito ordinario, il termine iniziale decorre, anziché dalla comunicazione del deposito della sentenza, dalla lettura del dispositivo da parte a conclusione dell’udienza di discussione, che rende possibile l’immediata riserva di gravame differito, non essendo indispensabile per tale proposizione il deposito della sentenza completa di motivazione. Conseguentemente, qualora dopo tale lettura e della pedissequa ordinanza di prosecuzione del giudizio per l’ulteriore istruttoria, si dia luogo, in immediata prosecuzione, alla prima udienza istruttoria, la parte soccombente, che ometta di inserire a verbale la propria dichiarazione di impugnazione differita, decade dalla facoltà di scelta tra le due forme d’impugnazione, restandole l’esercizio del potere di impugnazione immediata, e cioè nel termine breve di cui all’art. 325 c.p.c. decorrente dalla notificazione della sentenza definitiva oppure, in difetto di notifica, nel termine lungo decorrente, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., dalla pubblicazione della sentenza stessa.

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Cass. civ. n. 4477/1984

In base al principio della conservazione dell’atto nullo, nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, è utilmente proposto l’appello anche con la forma della citazione invece che con quella del ricorso, purché la citazione venga depositata, nella cancelleria del giudice adito, entro i termini perentori di cui al secondo comma dell’art. 434 (nuovo testo) c.p.c. ovvero, in caso di mancata notificazione della sentenza impugnata, entro il termine generale di cui al primo comma dell’art. 327 c.p.c.; fermo restando l’obbligo di rispettare il termine di venticinque giorni tra la data della notifica e l’udienza di discussione, stabilito dall’art. 435, terzo comma, c.p.c., la cui inosservanza comporta in ogni caso la nullità della notificazione dell’atto d’appello sanabile, ove l’appellato non si sia costituito, mediante la rinnovazione della notifica con il rispetto dell’anzidetto termine, secondo il disposto dell’art. 291 c.p.c. che contiene una norma di carattere generale applicabile a tutte le ipotesi di nullità della notificazione.

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Cass. civ. n. 1005/1983

Nelle controversie soggette al rito del lavoro è inammissibile l’istanza di regolamento di competenza contro il dispositivo della sentenza letto in udienza perché il termine per la proposizione di essa decorre dalla data della comunicazione della sentenza depositata ed atteso che i motivi specifici dell’impugnazione presuppongono di necessità la conoscenza della motivazione della sentenza che ne è oggetto.

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Cass. civ. n. 6517/1982

Nel rito del lavoro, il principio generale dell’impugnabilità della sentenza solo dopo che, con il deposito in cancelleria del testo della stessa, completo di dispositivo e motivazione, sia venuto a compimento il relativo procedimento di formazione, soffre la sola deroga eccezionalmente prevista dall’art. 433 (appello con riserva di motivi) per il caso in cui sia stata intrapresa l’esecuzione forzata sulla base del dispositivo letto in udienza e, pertanto è inammissibile il ricorso per cassazione notificato dopo tale lettura e prima del compimento del deposito suddetto, ferma restando la possibilità di tempestiva proposizione di un nuovo ricorso successivamente al deposito stesso, non ostandovi il disposto dell’art. 358 c.p.c., a norma del quale soltanto l’intervenuta dichiarazione giudiziale di inammissibilità o improcedibilità del gravame — e non anche la semplice pendenza di un’impugnazione in sé inammissibile o improcedibile — vale a precludere, sempre che il termine utile non sia decorso, la sua valida rinnovazione.

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