16 Mar Art. 89 — Vizio parziale di mente
Chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, era, per infermità, in tale stato di mente da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità d’intendere o di volere, risponde del reato commesso; ma la pena è diminuita [ 95, 108 2, 148, 219; c.p.p. 70, 305, 507 ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”12″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 17606/2016
Nell’ipotesi di accertato grave disturbo della personalità, funzionalmente collegato all’agire e tale da incidere, facendola scemare grandemente, sulla capacità di volere, l’accertamento della circostanza aggravante della premeditazione richiede un approfondito esame delle emergenze processuali che porti ad escludere, con assoluta certezza, che la persistenza del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione od alla persistenza della volontà criminosa.
Cass. civ. n. 25608/2013
La premeditazione può risultare incompatibile con il vizio parziale di mente nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il proposito coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che una sindrome paranoide tale da rendere l’imputato infermo di mente potesse escludere la premeditazione).
Cass. pen. n. 25608/2013
La premeditazione può risultare incompatibile con il vizio parziale di mente nella sola ipotesi in cui consista in una manifestazione dell’infermità psichica da cui è affetto l’imputato, nel senso che il proposito coincida con un’idea fissa ossessiva facente parte del quadro sintomatologico di quella determinata infermità. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che una sindrome paranoide tale da rendere l’imputato infermo di mente potesse escludere la premeditazione).
Cass. pen. n. 15571/2013
Non sussiste, sul piano astratto, alcuna incompatibilità tra il vizio parziale di mente e la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 1 c.p. in quanto i due particolari motivi (abietti o futili) non costituiscono in sé una costante e diretta estrinsecazione della infermità per la quale la capacità di intendere e di volere può risultare grandemente scemata. (In motivazione, la Corte ha precisato che il giudizio di compatibilità deve essere svolto tramite un apprezzamento della situazione sottoposta in concreto al giudice di merito).
Cass. pen. n. 17305/2011
Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, nessun rilievo può assumere la presenza, in capo all’autore della condotta delittuosa, di un generico stato di agitazione determinato da una crisi di astinenza dall’abituale consumo di sostanze stupefacenti, e non accompagnato da una grave e permanente compromissione delle sue funzioni intellettive e volitive. (In motivazione, la S.C. ha precisato che la su descritta condizione integra gli estremi di uno stato emotivo e passionale, valutabile nella determinazione del trattamento sanzionatorio).
Cass. pen. n. 40812/2010
Il vizio parziale di mente, attenendo alla sfera dell’imputabilità, è una circostanza inerente alla persona del colpevole ed è pertanto soggetto al giudizio di comparazione, che ha carattere unitario.
Cass. pen. n. 21405/2009
L’attenuante della provocazione è incompatibile con la diminuente del vizio parziale di mente nei casi in cui vi sia sostanziale coincidenza tra lo stato d’ira e l’infermità mentale o quest’ultima abbia avuto preponderante incidenza sul primo.
Cass. pen. n. 36190/2007
In tema di imputabilità, il disturbo della personalità, per rilevare ai fini del vizio parziale di mente, deve influire concretamente sul motivo e la decisione che conducono alla commissione del reato. Ne consegue che, in relazione a un soggetto che soffra di un disturbo di mancanza di controllo degli impulsi, la valutazione del ruolo della patologia, anche ai fini della determinazione della pena, richiede l’analisi delle condotte poste in essere con riferimento al grado della loro riprovevolezza, morale e giuridica, per stabilire fino a che punto tale valenza possa, anche in un soggetto con diminuite capacità di controllo degli impulsi, esercitare una funzione di freno. (Nella fattispecie la Corte ha ritenuto immune da errori la pronunzia di merito che, nonostante il riconosciuto vizio parziale di mente, ha condannato l’imputato dello stupro continuato ai danni della figlia minorenne ad una pena molto limitatamente ridotta in considerazione delle azioni compiute, le quali – nella loro evidente gravità – avrebbero dovuto attivare l’inibizione anche in un soggetto portatore della patologia mentale accertata nel colpevole).
Cass. pen. n. 19248/2005
La diminuente del vizio parziale di mente è compatibile con una maggiore intensità del dolo, che può giustificare il diniego delle attenuanti generiche in considerazione delle gravi modalità della condotta criminosa. (Nel caso di specie, la Corte di cassazione ha ritenuto corretta la valutazione dei giudici di merito i quali, pur avendo accertato la sussistenza di un vizio parziale di mente dell’imputato, avevano negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla base dell’elevata gravità della condotta da questi posta in essere, consistita in reiterate molestie anche di carattere sessuale — ai danni di una giovane donna, di natura simile ad altri specifici precedenti penali).
Cass. pen. n. 24614/2003
In tema di imputabilità, le anomalie che influiscono sulla capacità di intendere e di volere sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze celebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche, contraddistinte, queste ultime, da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità. Ne consegue che esula dalla nozione di infermità mentale il gruppo delle cosiddette abnormità psichiche, come le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anamalie del carattere non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p., in quanto hanno natura transeunte, si riferiscono alla sfera psico-intellettiva e volitiva e costituiscono il naturale portato di stati emotivi e passionali.
Cass. pen. n. 22765/2003
In tema di imputabilità, gli articoli 88 e 89 c.p. – che disciplinano rispettivamente l’infermità totale e parziale di mente, quali cause che escludono o diminuiscono la capacità di intendere e di volere – postulano l’esistenza di una vera e propria malattia mentale, ossia di uno stato patologico che incide sui processi volitivi e intellettivi della persona oppure di anomalie psichiche che, seppure non classificabili secondo precisi schemi nosografici, perché sprovviste di una sicura base organica, siano tali, per la loro intensità, da escludere totalmente o scemare grandemente la capacità di intendere e di volere del colpevole. Ne consegue che una condizione di perturbamento psichico transitoria, di natura non patologica, dovuta ad una sindrome ansiosa depressiva, non essendo destinata ad incidere sulla capacità di intendere e di volere, non è in grado di compromettere l’imputabilità dell’imputato. (Contrasto segnalato con relazione n. 74 del 2003).
Cass. pen. n. 9202/2001
In ipotesi di reato commesso da un seminfermo di mente va comunque accertata la sussistenza dell’elemento psicologico, atteso che quest’ultimo non è incompatibile con il vizio parziale di mente, residuando pur sempre, anche nello status di imputabilità diminuita, la capacità di intendere e di volere, la cui diminuzione può avere rilevanza nei reati a dolo specifico, ma non in quelli caratterizzati dal dolo generico.
Cass. pen. n. 1078/1998
In tema di imputabilità, in mancanza di una infermità o malattia mentale, o comunque di una alterazione anatomico-funzionale della sfera psichica, le alterazioni di tipo caratteriale ed i connessi disturbi della personalità non acquistano rilievo per escludere o ridurre l’imputabilità: l’eventuale difetto di capacità intellettiva e/o volitiva che ne deriva rimane priva di rilevanza giuridica.
Cass. pen. n. 967/1998
Gli stati emotivi o passionali, per loro stessa natura, sono tali da incidere, in modo più o meno massiccio, sulla lucidità mentale del soggetto agente senza che ciò, tuttavia, per espressa disposizione di legge, possa escludere o diminuire l’imputabilità, occorrendo a tal fine un quid pluris che, associato allo stato emotivo o passionale, si traduca in un fattore determinante un vero e proprio stato patologico, sia pure in natura transeunte e non inquadrabile nell’ambito di una precisa classificazione nosografica. L’esistenza o meno di detto fattore va accertata sulla base degli apporti della scienza psichiatrica la quale, tuttavia, nella vigenza dell’attuale quadro normativo e nella sua funzione di supporto alla decisione giudiziaria, non potrà mai spingersi al punto di attribuire carattere di “infermità” (come tale rilevante, ai sensi degli artt. 88 e 89 c.p., ai fini della esclusione e della riduzione della capacità d’intendere e di volere), ad alterazioni transeunti della sfera psico-intellettiva e volitiva che costituiscano il naturale portato degli stati emotivi o passionali di cui si sia riconosciuta l’esistenza.
Cass. pen. n. 10422/1997
La malattia di mente rilevante per l’esclusione o per la riduzione dell’imputabilità è solo quella medico-legale, dipendente da uno stato patologico veramente serio, che comporti una degenerazione della sfera intellettiva o volitiva dell’agente; di conseguenza deve ritenersi sussistente la capacità di intendere e di volere in un soggetto affetto solo da anomalie psichiche o da disturbi della personalità.
Cass. pen. n. 8972/1997
In tema di imputabilità, sussiste compatibilità tra il vizio parziale di mente ed il dolo, poiché i due concetti operano su piani diversi ed è la stessa legge che concepisce la compatibilità del funzionamento dell’intelligenza e della volontà — cui va ricondotto il dolo — con una parziale infermità di mente. (Nella fattispecie è stata ritenuta la compatibilità tra il vizio parziale di mente ed il dolo eventuale).
Cass. pen. n. 2553/1996
La circostanza aggravante del motivo futile può essere applicata anche nel caso in cui il colpevole abbia agito in stato di ubriachezza. Infatti ai sensi dell’art. 92 c.p. l’ubriachezza volontaria o colposa non esclude l’imputabilità, di guisa che i motivi che hanno determinato l’ubriaco al delitto debbono essere valutati con criteri analoghi a quelli adottati per la persona normale.
Cass. pen. n. 5924/1995
L’accertamento della capacità di intendere e di volere di chi è affetto da intossicazione cronica da alcool spetta al giudice indipendentemente da ogni onere probatorio a carico dell’imputato, una volta che questi abbia allegato documentazione attestante il suo etilismo cronico.
Cass. pen. n. 3633/1995
Sussiste piena compatibilità logica e giuridica tra ritenuta intensità del dolo e riconoscimento del vizio parziale di mente. Tra la diminuente del vizio parziale di mente, che attiene alla capacità di intendere e di volere ed all’imputabilità, e la intensità del dolo, considerata come grado rilevante della determinazione a conseguire il proposito criminoso, esiste infatti autonomia concettuale, posto che la prima riguarda la sfera psichica del soggetto ed il momento formativo della volontà, mentre la seconda concerne il momento nel quale la volontà si manifesta e persegue l’obiettivo considerato.
Cass. pen. n. 4954/1993
In tema di imputabilità, gli artt. 88 e 89 c.p. postulano una infermità di tale natura e intensità da compromettere seriamente i processi conoscitivi e volitivi della persona, eliminando o attenuando la capacità della medesima di rendersi conto del significato delle proprie azioni e di comprenderne, quindi, il disvalore sociale, nonché di determinarsi in modo autonomo. Le infermità che influiscono sulla imputabilità sono le malattie mentali in senso stretto, cioè le insufficienze cerebrali originarie e quelle derivanti da conseguenze stabilizzate di danni cerebrali di varia natura, nonché le psicosi acute o croniche. Queste ultime sono contraddistinte da un complesso di fenomeni psichici che differiscono da quelli tipici di uno stato di normalità per qualità e non per quantità, come accade invece per il vasto gruppo delle «abnormità psichiche», quali le nevrosi e le psicopatie, che non sono indicative di uno stato morboso e si sostanziano in anomalie del carattere o della sfera affettiva, non rilevanti ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p. Ne consegue che, quando a causa di una situazione conflittuale dovuta a particolari tensioni psichiche si determini un’accentuazione di alcuni tratti del carattere del soggetto, inducendolo, come avviene nelle reazioni «a corto circuito», a tenere una condotta animale, non si può certamente parlare di malattia di mente, sicché la disposizione cui occorre riferirsi è quella di cui all’art. 90 c.p.
Cass. pen. n. 8771/1992
La premeditazione non è incompatibile con il vizio parziale di mente, in quanto anche un seminfermo di mente può essere capace di concepire un atteggiamento psicologico e volitivo più o meno fermo e di subire, opponendovi una diversa resistenza, valide controspinte al delitto. Anche un seminfermo di mente può essere dunque capace di agire sia con dolo d’impeto che con dolo di proposito, e l’unica ipotesi in cui è riscontrabile incompatibilità tra la circostanza aggravante e la diminuente è quella in cui la malattia che provoca la diminuita imputabilità ha diretta incidenza sul processo intellettivo o volitivo, tanto da identificarsi con esso.
Cass. pen. n. 2268/1992
Non sussiste incompatibilità concettuale tra la circostanza aggravante della premeditazione e vizio parziale di mente operando la prima sul piano del dolo ed il secondo sull’imputabilità. Ciò però non esclude che sul piano concreto, si verifichi siffatta incompatibilità tutte le volte che si riscontri che la malattia mentale incida sulle capacità critiche determinando la fissazione dell’ideazione, senza possibilità del sorgere di quel conflitto interiore tra spinte al delitto e controspinte inibitorie, che costituisce il fondamento del maggiore disvalore della condotta e dell’aggravamento di pena. È questo un accertamento di fatto, collegato alla tipologia e gravità della patologia, che sfugge a censure di legittimità quando sia adeguatamente e logicamente motivato.
Cass. pen. n. 11394/1991
La premeditazione è, in linea generale, compatibile con la seminfermità mentale. Il vizio parziale di mente può, tuttavia, portare ad escludere la premeditazione, quando attraverso la disamina e la valutazione critica della perizia psichiatrica e di tutti gli elementi in suo possesso, il giudice accerti che la diminuita capacità di intendere e di volere dell’agente ha influito, in modo determinante, sul modo di essere del suo atteggiamento psicologico, sotto il profilo della consapevole e voluta persistenza nel tempo della volontà criminosa e della sua capacità di comprendere il significato dei propri atti e di superare attraverso la revisione critica e la riflessione, le spinte criminogene, che si identificano con i caratteri e l’essenza dell’infermità, debitamente accertati.
Cass. pen. n. 3262/1991
Il giudice di merito ha il dovere di dichiarare d’ufficio la mancanza di condizioni di imputabilità soltanto quando sia evidente la prova della totale infermità di mente, mentre l’eventuale vizio parziale di mente costituisce una semplice circostanza attenuante che deve essere allegata dall’imputato.
Cass. pen. n. 16597/1990
La diminuente del vizio parziale di mente, prevista dall’art. 89 c.p., è compatibile con la sussistenza del dolo. Infatti non vi è contrasto fra l’ammettere la seminfermità di mente ed il ritenere provato il dolo — la coscienza e la volontà, cioè, sebbene diminuite — dal momento che è la stessa legge che concepisce la compatibilità del funzionamento dell’intelligenza e della volontà con il vizio parziale di mente.
Cass. pen. n. 13852/1989
Il giudice, una volta accertato l’elemento intenzionale del reato, risultante dalla volontà dell’agente e dalla rappresentazione dell’evento da parte del medesimo, non è tenuto, se l’imputato è seminfermo di mente, ad alcuna particolare indagine sul dolo, che non resta escluso dal vizio parziale di mente. Infatti, mentre quest’ultimo attiene alla imputabilità del soggetto, il dolo rappresenta la volontà del soggetto diretta verso l’evento ed appartiene alla struttura del reato, di cui costituisce elemento attuale ed operante ed attiene alla colpevolezza, la cui analisi presuppone il superamento logico di quella sulla imputabilità e non può ulteriormente essere influenzata da quet’ultima, neppure nell’ipotesi di ridotta capacità di intendere e di volere.
Cass. pen. n. 13010/1989
L’accertamento sull’infermità di mente dell’imputato deve essere compiuto in relazione al fatto concreto addebitato ed al tempo in cui il fatto medesimo è stato commesso. L’indagine già esperita in altro procedimento non è vincolante nel successivo giudizio poiché la malattia precedentemente diagnosticata può essere al momento guarita o attenuata o localizzata ad una determinata sfera di attività.
Cass. pen. n. 8719/1988
Il dolo eventuale — inteso come atteggiamento di accettazione del rischio di un certo risultato — è compatibile con la seminfermità mentale, a meno che non si dimostri in concreto che la malattia incideva su un particolare aspetto di quell’atteggiamento, alterandolo in modo sostanziale.
Cass. pen. n. 5815/1987
Il vizio parziale di mente va considerato come elemento accidentale del reato, e quindi non può essere preso in considerazione dal giudice della impugnazione ove non formi oggetto di uno specifico punto di gravame o non sia, a questo, essenzialmente connesso.
Cass. pen. n. 1574/1986
Nel nostro sistema giuridico — penale il vizio parziale di mente non è incompatibile con l’elemento soggettivo del reato in quanto implicano due concetti operanti su piani diversi: l’uno riconduce alla imputabilità del soggetto, secondo la nozione fornita dall’art. 85 c.p. ossia a una condizione personale il cui contenuto è la capacità di intendere e di volere, l’altro al rapporto tra il volere del soggetto e un determinato atto preveduto dalla legge come reato; consegue che il reato commesso da un seminfermo di mente non si sottrae all’indagine relativa all’elemento soggettivo per accertare se esso sia attribuibile alla sua volontà.
Cass. pen. n. 3732/1985
La seminfermità mentale e le circostanze aggravanti della premeditazione e del motivo abietto o futile operano su piani distinti: l’una (la seminfermità) è aspetto della capacità di intendere e di volere, ossia dell’imputabilità, la quale è a sua volta uno status in base al quale l’autore di un fatto costituente reato è ritenuto responsabile dei suoi atti e quindi soggetto di diritto penale; le altre ineriscono invece al dolo, che è qualificato più intensamente nel caso di persistenza del proposito criminoso, sia in quello di abnormità del movente. Il seminfermo di mente è pertanto capace di nutrire un dolo (o una colpa) di intensità o di grado pari a quello del sano di mente e di persistere nell’intento criminoso, nonché di valutare l’eventuale abnormità o futilità del movente. L’incompatibilità è invece sussistente, quando le menzionate circostanze aggravanti siano espressioni o manifestazioni dell’essenza stessa dell’infermità psichica.
Cass. pen. n. 2079/1985
La circostanza aggravante del motivo futile non è astrattamente incompatibile con la diminuente del vizio parziale di mente, dovendo di volta in volta il giudice del merito accertare la reale incidenza dell’infermità sulla concreta sussistenza del movente, quale causa psichica dell’azione umana al reo imputabile.
Cass. pen. n. 10811/1984
L’aggravante della premeditazione e l’attenuante del vizio parziale di mente non sono in linea di principio incompatibili e quindi possono coesistere, eccetto il caso in cui vi sia identità fra la premeditazione e l’idea fissa ossessiva costituente l’essenza dell’infermità mentale ravvisata, poiché in tal caso non possono sussistere, per motivi patologici, le controspinte morali ed etiche avversanti e bilancianti il proposito delittuoso.
Cass. pen. n. 8862/1980
L’infermità totale o parziale di mente va intesa come uno stato patologico e quindi esulano dalla sua nozione quelle anomalie del carattere o altre anormalità – quali le psicopatie – che, pur influendo sul processo di determinazione o di inibizione, non sono, tuttavia, suscettibili di alterare la capacità di intendere e di volere. Il vizio, totale o parziale di mente, deve, in altri termini, dipendere sempre da uno stato patologico, che alteri il processo intellettivo o quello della volontà, annullando o scemando grandemente la capacità di intendere e di volere. (Nella specie era stata diagnosticata una “psicopatia disaffettiva”).
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