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Art. 1102 — Uso della cosa comune

Art. 1102 — Uso della cosa comune

Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto . A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.

Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 9280/2018

In tema di cd. condominio minimo, in mancanza di tabelle regolarmente approvate, la quota di partecipazione alle spese gravante sui singoli proprietari deve essere determinata dal giudice in base alla disciplina del condominio di edifici di cui all’art. 1123 c.c. e, quindi, tenendo conto del valore delle loro proprietà esclusive, e non, invece, applicando la regolamentazione in materia di comunione prevista dall’art. 1101 c.c., secondo la quale, in assenza di altra indicazione degli accordi, le quote si presumono uguali.

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Cass. civ. n. 9100/2018

Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l’intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo (“uti dominus”), non ha la necessità di compiere atti di “interversio possessionis” alla stregua dell’art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed “animo domini” della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui, non essendo al riguardo sufficienti atti soltanto di gestione, consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri, o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o l’erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dare luogo ad una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore.

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Cass. civ. n. 24781/2017

In tema di comunione, il comproprietario che sia nel possesso del bene comune può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri comunisti, senza necessità di interversione del titolo del possesso e, se già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, a tal fine occorrendo che goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, senza che possa considerarsi sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune.

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Cass. civ. n. 15705/2017

L’uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la normale ed originaria destinazione (per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi dei partecipanti) e di impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto, configurando, pertanto, un abuso la condotta del condomino consistente nella stabile e pressoché integrale occupazione di un “volume tecnico” dell’edificio condominiale (nella specie, il locale originariamente destinato ad accogliere la caldaia centralizzata), mediante il collocamento in esso di attrezzature e impianti fissi, funzionale al miglior godimento della sua proprietà individuale.

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Cass. civ. n. 8507/2017

Il principio di cui all’art 1102 c.c. sull’uso della cosa comune consentito al partecipante non è applicabile ai rapporti tra proprietà individuali (e loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme attinenti alle distanze legali ed alle servitù prediali, ossia da quelle che regolano i rapporti tra proprietà contigue od asservite e che non contraddicono alla particolare normativa della comunione.

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Cass. civ. n. 6253/2017

Il condomino che abbia in uso esclusivo il lastrico di copertura dell’edificio e che sia proprietario dell’appartamento sottostante ad esso può, ove siano rispettati i limiti ex art. 1102 c.c., collegare l’uno e l’altro mediante il taglio delle travi e la realizzazione di un’apertura nel solaio, con sovrastante bussola, non potendosi ritenere, salvo inibire qualsiasi intervento sulla cosa comune, che l’esecuzione di tali opere, necessarie alla realizzazione del collegamento, di per sé violi detti limiti e dovendosi, invece, verificare se da esse derivi un’alterazione della cosa comune che ne impedisca l’uso, come ad esempio, una diminuzione della funzione di copertura o della sicurezza statica del solaio.

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Cass. civ. n. 25775/2016

In presenza di un edificio strutturalmente unico, su cui insistono due distinti ed autonomi condominii, è illegittima l’apertura di un varco nel muro divisorio tra questi ultimi, volta a collegare locali di proprietà esclusiva del medesimo soggetto, tra loro attigui ma ubicati ciascuno in uno dei due diversi condominii, in quanto una simile utilizzazione comporta la cessione del godimento di un bene comune, quale è, ai sensi dell’art. 1117 c.c., il muro perimetrale di delimitazione del condominio (anche in difetto di funzione portante), in favore di una proprietà estranea ad esso, con conseguente imposizione di una servitù per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini.

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Cass. civ. n. 20565/2016

L’atto interruttivo del possesso “ad usucapionem” posto in essere dall’unico possessore dell’immobile nei confronti di uno o più dei suoi comproprietari, ha effetto anche verso gli altri, ed altrettanto dicasi per la rinuncia del primo a far valere l’usucapione eventualmente già maturata sul medesimo cespite, atteso che l’esercizio del predetto possesso non è configurabile in modo diverso su quote ideali indivise dello stesso bene, che il riconoscimento del diritto altrui, come atto unilaterale non recettizio incompatibile con la volontà del godere del bene “uti dominus”, interrompe il termine utile per l’usucapione anche se effettuato nei confronti di soggetti diversi dal titolare del diritto stesso, e che l’efficacia della rinuncia postula solo la inequivocità della volontà del rinunciante.

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Cass. civ. n. 17512/2016

Il compossessore che intenda usucapire l’intero bene deve manifestare il dominio esclusivo sull’intera “res” comune attraverso un’attività incompatibile con il possesso altrui, che non sussiste ove provveda al regolare invio dei rendiconti della gestione agli altri quotisti.

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Cass. civ. n. 5551/2016

A norma dell’art. 840 c.c., la proprietà del sottosuolo spetta al proprietario del suolo, salvo che in senso contrario disponga lo stesso titolo di acquisto di quest’ultimo oppure che detta proprietà risulti spettare ad altri in base ad un titolo opponibile del proprietario del suolo, ossia per un negozio antecedentemente trascritto o per un fatto di acquisto originario. Tale fatto non può consistere nella mera situazione dei luoghi, come la esclusiva possibilità di accesso al sottosuolo (nella specie una grotta) dal fondo altrui. In materia di condominio degli edifici, lo spazio aereo sovrastante a cortili comuni – la cui funzione è di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano – non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840, comma 3, c.c., l’utilizzazione, ancorché parziale, a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa.

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Cass. civ. n. 11903/2015

In tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicché, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva. (In applicazione dell’anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse, correttamente, escluso l’avvenuto acquisto per usucapione, da parte di un condomino, della porzione del condotto di scarico della spazzatura adiacente al suo appartamento per non essersi palesata in forme inequivoche per gli altri condomini l’intenzione di possedere attesa l’impossibilità, per loro, di ispezionare il condotto a causa del blocco degli sportelli di accesso – presenti su tutti i ballatoi – dovuto a ragioni pratiche e di sicurezza).

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Cass. civ. n. 7466/2015

La nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell’art. 1102 cod. civ., non va intesa nei termini di assoluta identità dell’utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l’identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell’oggetto della comunione.

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Cass. civ. n. 4501/2015

In tema di uso della cosa comune, è illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale da un comproprietario al fine di mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva, ubicato nel medesimo fabbricato, con altro immobile pure di sua proprietà ma estraneo al condominio, comportando tale utilizzazione la cessione del godimento di un bene comune in favore di soggetti non partecipanti al condominio, con conseguente alterazione della destinazione, giacché in tal modo viene imposto sul muro perimetrale un peso che dà luogo a una servitù, per la cui costituzione è necessario il consenso scritto di tutti i condomini.

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Cass. civ. n. 4372/2015

L’uso della cosa comune, in quanto sottoposto dall’art. 1102, cod. civ. ai limiti consistenti nel divieto di ciascun partecipante di alterare la destinazione della stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non può estendersi all’occupazione di una parte del bene tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, all’usucapione della porzione attratta nella propria esclusiva disponibilità.

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Cass. civ. n. 24295/2014

L’apertura nell’androne condominiale di un nuovo ingresso a favore dell’immobile di un condomino è legittima, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., in quanto, pur realizzando un utilizzo più intenso del bene comune da parte di quel condomino, non esclude il diritto degli altri di farne parimenti uso e non altera la destinazione del bene stesso.

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Cass. civ. n. 19915/2014

In tema di condominio negli edifici, non è automaticamente configurabile un uso illegittimo della parte comune costituita dall’area di terreno su cui insiste il fabbricato e posano le fondamenta dell’immobile, in ipotesi di abbassamento del pavimento e del piano di calpestio eseguito da un singolo condomino, dovendosi a tal fine accertare o l’avvenuta alterazione della destinazione del bene, vale a dire della sua funzione di sostegno alla stabilità dell’edificio, o l’idoneità dell’intervento a pregiudicare l’interesse degli altri condomini al pari uso della cosa comune.

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Cass. civ. n. 14245/2014

In tema di uso della cosa comune, per verificare se l’utilizzo diretto e più intenso da parte di un condomino sia legittimo ex art. 1102 cod. civ. e non alteri il rapporto di equilibrio tra i partecipanti, occorre aver riguardo non tanto alla posizione di coloro che abbiano agito in giudizio a tutela del loro diritto, quanto all’uso potenziale spettante a tutti i condomini, proporzionalmente alla rispettiva quota del bene in comunione.

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Cass. civ. n. 9633/2013

Il coerede che, dopo la morte del “de cuius”, sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può usucapire la quota degli altri eredi, purché il tempo necessario al verificarsi di detto acquisto risulti già decorso prima del momento in cui sia intervenuta la divisione negoziale dell’asse con gli altri comunisti, comportando tale atto un riconoscimento inequivocabile e formale della comproprietà, incompatibile, pertanto, con la pretesa di essere divenuto proprietario esclusivo del compendio assegnato.

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Cass. civ. n. 2500/2013

Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può effettuarne la parziale trasformazione in terrazza di proprio uso esclusivo, purché risulti – da un giudizio di fatto, sindacabile in sede di legittimità solo riguardo alla motivazione – che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione svolta dal tetto e che gli altri potenziali condomini-utenti non siano privati di reali possibilità di farne uso.

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Cass. civ. n. 944/2013

L’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino, perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune, per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini.

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Cass. civ. n. 2741/2012

In tema di condominio negli edifici, qualora il proprietario di un’unità immobiliare del piano attico agisca in giudizio per ottenere l’ordine di rimozione di una canna fumaria posta in aderenza al muro condominiale e a ridosso del suo terrazzo, la liceità dell’opera, realizzata da altro condomino, deve essere valutata dal giudice alla stregua di quanto prevede l’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso, non rilevando, viceversa, la disciplina dettata dall’art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, atteso che la canna fumaria (nella specie, un tubo in metallo) non è una costruzione, ma un semplice accessorio di un impianto (nella specie, forno di pizzeria).

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Cass. civ. n. 15203/2011

In tema di comunione, il criterio dell’uso promiscuo della cosa comune, desumibile dall’art. 1102 cod. civ, richiede che ciascun partecipante abbia il diritto di utilizzare la cosa comune come può e non in qualunque modo voglia, atteso il duplice limite derivante dal rispetto della destinazione della cosa e della pari facoltà di godimento degli altri comunisti. Ne consegue che, ove il godimento pregresso non sia possibile per uno dei partecipanti a causa del mutamento elettivo delle sue condizioni personali, questi non può esigere nei confronti degli altri una diversa utilizzazione della cosa comune, avendo il singolo condomino l’onere di conformare ai limiti anche quantitativi del bene le proprie aspettative di utilizzo. (Nella specie, la richiesta di modifica dell’utilizzazione di uno spazio comune destinato a parcheggio condominiale era stata dettata esclusivamente dal sopravvenuto aumento di dimensioni dell’autovettura del ricorrente).

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Cass. civ. n. 12310/2011

In tema di condominio negli edifici, il disposto dell’art. 1102 c.c., secondo cui ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità più intensa o anche semplicemente diversa da quella ricavata eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso, presuppone però che l’utilità, che il condomino intenda ricavare dall’uso della parte comune, non sia in contrasto con la specifica destinazione della medesima. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la liceità della collocazione, da parte di un condomino, di scivoli permanenti sopra un marciapiede per permettere l’accesso di autovetture al locale ad uso negozio di sua proprietà, dal medesimo utilizzato come box auto, così immutando la destinazione del marciapiede, avente per sua natura come funzione tipica quella consentire sicuro transito dei pedoni).

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Cass. civ. n. 1062/2011

Al singolo condòmino è consentito servirsi in modo esclusivo di parti comuni dell’edificio soltanto alla duplice condizione che il bene, nelle parti residue, sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali, analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione e che lo stesso, ove tutte le predette esigenze risultino soddisfatte, non perda la sua normale ed originaria destinazione, per il cui mutamento è necessaria l’unanimità dei consensi. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 360 bis, primo comma, n. 1, c.p.c.).

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Cass. civ. n. 24647/2010

Se la natura di un bene immobile oggetto di comunione non ne permette un simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l’uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; peraltro fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte degli altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo ad opera di taluni non può assumere la idoneità a produrre un qualche pregiudizio in danno di coloro che abbiano mostrato acquiescenza all’altrui uso esclusivo, salvo che non risulti provato che i comproprietari che hanno avuto l’uso esclusivo del bene ne abbiano tratto anche un vantaggio patrimoniale.

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Cass. civ. n. 11486/2010

In materia di comunione, ove sia provata l’utilizzazione da parte di uno dei comunisti della cosa comune in via esclusiva in modo da impedirne l’uso, anche potenziale, agli altri comunisti, deve ritenersi sussistente un danno “in re ipsa”.

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Cass. civ. n. 7221/2009

Il coerede che dopo la morte del “de cuius” sia rimasto nel possesso del bene ereditario, può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, il che avviene quando il coerede goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa comune.

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Cass. civ. n. 26737/2008

In tema di condominio, nel caso in cui un condomino utilizzi la canna fumaria dell’impianto centrale di riscaldamento – nella specie per lo scarico dei fumi da una pizzeria – dopo che questo sia stato disattivato dal condominio, sussiste violazione dell’articolo 1102 cod. civ., trattandosi non di uso frazionato della cosa comune, bensì della sua esclusiva appropriazione e definitiva sottrazione alle possibilità di godimento collettivo, nei termini funzionali praticati, per legittimare le quali è necessario il consenso negoziale (espresso in forma scritta. “ad substantiam”) di tutti i condomini.

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Cass. civ. n. 24243/2008

In tema di uso della cosa comune, vìola l’art. 1102 c.c. l’apertura praticata da un condòmino nella recinzione del cortile condominiale, senza il consenso degli altri condòmini al fine di creare un accesso dallo spazio interno comune ad un immobile limitrofo di sua esclusiva proprietà, determinando, tale utilizzazione illegittima della corte condominiale, la costituzione di una servitù di passaggio a favore del fondo estraneo alla comunione ed in pregiudizio della cosa comune.

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Cass. civ. n. 17208/2008

In tema di uso della cosa comune secondo i criteri stabiliti nel primo comma dell’art. 1102 cod. civ., lo sfruttamento esclusivo del bene da parte del singolo che ne impedisca la simultanea fruizione degli altri e non è riconducibile alla facoltà di ciascun condomino di trarre dal bene comune la più intesa utilizzazione, ma ne integra un uso illegittimo in quanto il principio di solidarietà cui devono essere informati i rapporti condominiali richiede un costante equilibrio tra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. (Nella fattispecie la Corte ha escluso la legittimità dell’installazione e utilizzazione esclusiva, da parte di un condomino titolare di un esercizio commerciale, di fioriere, tavolini, sedie e di una struttura tubolare con annesso tendone).

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Cass. civ. n. 11204/2008

L’androne o cortile condominiale, comunemente utilizzato per l’accesso veicolare alle singole proprietà private, è funzionalmente destinato anche alla sosta temporanea con veicoli, trattandosi di uso accessorio al passaggio.

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Cass. civ. n. 7143/2008

In tema di condominio di edifici, la costruzione da parte di uno dei condomini di una tettoia a copertura di alcuni posti auto siti all’interno della sua proprietà esclusiva non integra violazione delle norme che regolamentano l’uso della cosa comune (art. 1102 c.c.) neppure se essa sia ancorata al muro perimetrale comune, se la costruzione della
tettoia (come nella specie) non contrasti con la destinazione del muro e non impedisca agli altri condomini di farne uso secondo la sua destinazione.

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Cass. civ. n. 21246/2007

In tema di condominio, con riferimento all’uso della cosa comune ai sensi dell’articolo 1102 c.c., l’abbassamento del soffitto del corridoio condominiale di accesso alle singole unità abitative, effettuato dal condomino nel tratto del corridoio in corrispondenza della soffitta del proprio appartamento, peraltro anche con l’incremento di carichi non accertati dalla competente autorità e senza il rispetto della normativa antisismica — come nella specie —, non costituisce uso della cosa comune, ma acquisizione in maniera definitiva a vantaggio della proprietà esclusiva del singolo condomino di parte della volumetria del corridoio comune con contestuale sottrazione di tale parte comune alla funzione cui essa è destinata a svolgere nel contesto dell’intero corridoio.

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Cass. civ. n. 4617/2007

L’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare.

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Cass. civ. n. 4386/2007

Nel regime giuridico della comunione di edifici, l’uso particolare che il comproprietario faccia del cortile comune, interrando nel sottosuolo una centrale termica del proprio impianto di riscaldamento, non è estraneo alla destinazione normale di tale area, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile un medesimo e analogo uso particolare.

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Cass. civ. n. 26226/2006

In tema di condominio negli edifici, la regolamentazione dell’uso della cosa comune, in assenza dell’unanimità, deve seguire il principio della parità di godimento tra tutti i condomini stabilito dall’art. 1102 c.c., il quale impedisce che, sulla base del criterio del valore delle singole quote, possa essere riconosciuto ad alcuni il diritto di fare un uso del bene, dal punto di vista qualitativo, diverso dagli altri. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva annullato, per violazione dell’art. 1102 c.c., una delibera assembleare che aveva attribuito il diritto di scegliere i posti auto nel garage condominiale — tra loro non equivalenti per comodità di accesso — a partire dal condomino titolare del pia alto numero di millesimi).

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Cass. civ. n. 23612/2006

In tema di condominio, con riferimento all’uso della cosa comune, nel caso in cui il condomino, pur autorizzato dall’assemblea condominiale a realizzare un solaio nel cavedio del ballatoio e a proteggere lo stesso con una vetrata, abbia invece realizzato, sul ballatoio medesimo, oltre al solaio, un manufatto in pannelli di alluminio e cartongesso, sottraendo aria e luce alla restante parte del ballatoio, in contrasto con la destinazione funzionale del cavedio, egli, nell’appropriarsi di tale area, accorpandola al proprio appartamento, incorre violazione dell’articolo 1102 c.c., che non consente di sottrarre definitivamente la cosa comune alle possibilità di utilizzazione collettiva, salvo il consenso unanime dei condomini.

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Cass. civ. n. 23608/2006

In tema di innovazioni ed uso della cosa comune, nel caso in cui il condomino, autorizzato dalla delibera dell’assemblea ad installare, a servizio del proprio laboratorio, un macchinario sul cortile del fabbricato, abbia stabilmente occupato una determinata superficie (nella specie, di circa quattro metri quadrati) dell’area comune condominiale, utilizzata in parte come strada di comunicazione con la pubblica via ed in parte come cortile, deve ritenersi realizzata una sottrazione definitiva di tale parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all’altrui godimento, in relazione alle restrizioni che il suddetto impianto comportava per lo spazio di manovra degli automezzi di trasporto e per le relative operazioni di carico e scarico della ditta del condomino confinante, con conseguente configurabilità della violazione dell’articolo 1120, secondo comma, c.c., avendo la impugnata delibera assembleare determinato la modifica della destinazione originaria di una parte comune con pregiudizio, per l’altro condomino, del godimento della stessa. Sussiste violazione altresì dell’articolo 1102 c.c. (applicabile a tutte le innovazioni che, come nella specie, non comportano ripartizione della relativa spesa fra tutti i condomini ma solo a carico del singolo condomino che se ne sia assunto l’onere), perché l’uso particolare o più intenso del bene comune da parte del condomino si configura come illegittimo quando ne risulta impedito l’altrui paritario uso e sia alterata la destinazione del bene comune, dovendosi escludere che l’utilizzo da parte del singolo della cosa comune possa risolversi nella compressione quantitativa o qualitativa di quella, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari.

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Cass. civ. n. 8429/2006

In tema di comunione, l’uso frazionato della cosa a favore di uno dei comproprietari può essere consentito per accordo fra partecipanti solo se l’utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall’art. 1102 c.c., rientri tra quelle cui è destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando l’utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri. Pertanto, qualora la cosa comune sia alterata o addirittura sottratta definitivamente, alla possibilità di godimento collettivo nei termini funzionali originariamente praticati, non si rientra più nell’ambito dell’uso frazionato consentito, ma nell’appropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale è necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti che — trattandosi di beni immobili deve essere espresso in forma scritta ad substantiam. (Nella specie, è stata ritenuta illegittima la costruzione di un porticato e di un marciapiede con cui un comproprietario, autorizzato verbalmente dagli altri, aveva occupato in modo esclusivo una porzione del cortile comune a vantaggio dell’adiacente immobile di sua proprietà, sottraendola in via definitiva all’utilizzazione degli altri comproprietari).

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Cass. civ. n. 15379/2005

In tema di condominio, l’art. 1102 c.c. consente al condomino l’utilizzazione più intensa della cosa comune al servizio della sua proprietà esclusiva, purché ne sia consentito il pari uso agli altri partecipi e non ne sia alterata la destinazione, sicché entro tali limiti è legittima anche l’imposizione di un vero e proprio peso sui beni condominiali a vantaggio del singolo appartamento o piano. (Sulla base di tali principi la S.C. ha, peraltro, cassato per insufficienza di motivazione la sentenza che, nel ritenere legittima la chiusura da parte di alcuni condomini, mediante una porta ancorché non chiusa, del pianerottolo in corrispondenza degli appartamenti di loro proprietà esclusiva, si era limitata a definire di scarsa rilevanza la menomazione al godimento della cosa comune, senza specificare — in relazione all’ubicazione, alle dimensioni e alla struttura del manufatto — la natura e l’entità della concreta diminuzione delle facoltà spettanti agli altri condomini secondo la destinazione naturale del bene comune, avuto riguardo anche al decoro dell’edificio).

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Cass. civ. n. 1076/2005

In considerazione dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c.al condomino che nell’uso della cosa comune non deve alterarne la destinazione ed impedirne il pari uso da parte degli altri comunisti, è legittima l’installazione da parte del condomino di una controporta, collocata a filo del muro di separazione tra l’appartamento e il ballatoio delle scale sul quale si apre, quando la stessa — non riducendo in modo apprezzabile la fruibilità del bene comune da parte degli altri condomini — non determini pregiudizievoli invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari.

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Cass. civ. n. 8852/2004

L’uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell’art. 1102 c.c. – dal quale esula ogni utilizzazione che si risolva in un’imposizione di limitazioni o pesi sul bene comune — presuppone, perché non si configuri come illegittimo, che non ne risultino impedito l’altrui paritario uso né modificata la destinazione né arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Ne consegue che l’inserimento di una canna fumaria all’interno del muro comune — costituente anche muro di delimitazione della proprietà individuale — ad esclusivo servizio del proprio immobile non può considerarsi utilizzazione in termini di mero «appoggio» della stessa al muro comune, secondo quello che, a determinate condizioni, può costituire uso consentito del bene comune ai sensi della norma in questione, stante il suo peculiare carattere di invasività della proprietà altrui (qual è anche quella non esclusiva bensì comune), anche sotto i meri profili delle immissioni di calore e della limitazione rispetto ad altre possibili e diverse utilizzazioni della cosa che ne derivano.

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Cass. civ. n. 17868/2003

Il muro perimetrale di un edificio condominiale può essere utilizzato dal singolo condominio per il migliore godimento della parte di edificio di sua proprietà esclusiva, ma non può essere invece utilizzato, senza il consenso di tutti i condomini, per l’utilità di un altro immobile di sua esclusiva proprietà, in quanto ciò implica la costituzione di una servitù in favore di un bene estraneo al condominio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso la necessità del consenso di tutti i condomini per la edificazione da parte di uno di essi di una tettoia di copertura di un’area di esclusiva proprietà di quest’ultimo, realizzata mediante il suo inserimento nel muro perimetrale comune, che aveva assunto la funzione di quarta parete del nuovo vano).

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Cass. civ. n. 13424/2003

Tenuto conto che, ai sensi del primo comma dell’art. 1102 c.c., l’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purché non ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri, la compromissione da parte di un comproprietario dell’uso da parte degli altri configura un atto illecito. Ad una tale conclusione non osta la previsione di cui al secondo comma dell’art. 1102 c.c. in quanto essa si limita a prevedere che il mutamento del compossesso in possesso esclusivo determina una situazione di fatto idonea all’acquisto per usucapione.

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Cass. civ. n. 11419/2003

In tema di possesso ad usucapionem di beni immobili, la fattispecie acquisitiva del diritto di proprietà si perfeziona allorché il comportamento materiale — continuo ed ininterrotto — attuato sulla res sia accompagnato dall’intenzione resa palese a tutti di esercitare sul bene una signoria di fatto corrispondente al diritto di proprietà, sicché — in materia di usucapione di beni oggetto di comunione — il comportamento del compossessore, che deve manifestarsi in un’attività apertamente ed obiettivamente contrastante con il possesso altrui, deve rivelare in modo certo ed inequivocabile l’intenzione di comportarsi come proprietario esclusivo.

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Cass. civ. n. 8830/2003

In applicazione del principio secondo il quale, in tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune un’utilità maggiore e più intensa di quella tratta eventualmente in concreto dagli altri comproprietari, purché non ne venga alterata la destinazione o compromesso il diritto al pari uso — e senza che tale uso più intenso sconfini nell’esercizio di una vera e propria servitù —, deve ritenersi che l’apertura di due porte su muri comuni per mettere in comunicazione l’unità immobiliare in proprietà esclusiva di un condomino con il garage comune rientra pur sempre nell’ambito del concetto di uso (più intenso) del bene comune, e non esige, per l’effetto, l’approvazione dell’assemblea dei condomini con la maggioranza qualificata, senza determinare, a più forte ragione, alcuna costituzione di servitù.

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Cass. civ. n. 8808/2003

La nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l’art. 1102 c.c — che in virtù del richiamo contenuto nell’art. 1139 c.c. è applicabile anche in materia di condominio negli edifici — non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione, a condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una materia in cui è prevista la massima espansione dell’uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini è stato dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto. Pertanto, raffigura un uso più ampio della cosa comune — ricompreso nelle facoltà attribuite ai condomini dall’art. 1102, primo comma, c.c. — l’apertura di un varco nella recinzione comune (con apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato.

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Cass. civ. n. 4900/2003

L’utilizzazione del muro comune con l’inserimento di elementi ad esso estranei e posti a servizio esclusivo della porzione di uno dei comproprietari, deve avvenire nel rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c., e in particolare del divieto di alterare la destinazione della cosa comune, impedendo l’uso del diritto agli altri proprietari, e di quelle dettate in materia di distanze, allo scopo di non violare il diritto degli altri condomini esercitabile sulle porzioni immobiliari di loro proprietà esclusiva. (In applicazione di tale principio, la Corte ha considerato corretta la valutazione di illegittimità, data dal giudice di merito, con riguardo all’inserimento — nel muro comune — di alcuni tubi di scarico, oltre la linea mediana, osservando che in tal modo veniva impedito al comproprietario di fare un uso del muro, nella metà di sua pertinenza, pari a quello fatto dall’altro proprietario).

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Cass. civ. n. 12569/2002

In tema di condominio negli edifici, la costruzione di balconi e pensili sul cortile comune è consentita al singolo condomino, purché, ai sensi dell’art. 1102 c.c., non risulti alterata la destinazione del bene comune e non sia impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (nella fattispecie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza con cui il giudice di merito aveva ritenuto che l’edificazione, nel cortile comune, di due balconi alterasse la destinazione del cortile medesimo, diminuendo l’utilizzazione dell’aria e della luce che il bene era destinato ad assicurare).

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Cass. civ. n. 10453/2001

In tema di comunione, ciascun comproprietario ha diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest’ultimi. In particolare, per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l’uso deve ritenersi in ogni caso consentito, se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene e sempre che detto uso, non dia luogo a servita a carico del suddetto bene comune. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito, secondo la quale la realizzazione di un passo carraio tra un fondo di proprietà esclusiva e la strada comune costituiva un uso consentito al condomino, in quanto non snaturava la funzione cui la strada era destinata, ne impediva l’uso della stessa da parte dell’altro comproprietario).

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Cass. civ. n. 6921/2001

È violato il disposto dell’art. 1102 c.c., quando la costruzione nel sottosuolo del fabbricato condominiale di un vano destinato esclusivamente al soddisfacimento di esigenze personali e familiari di un condomino, impedisce agli altri condomini di fare del sottosuolo e del relativo sedime un pari uso, soprattutto in considerazione della vastità della superficie interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo incompatibile con la natura condominiale del bene utilizzato.

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Cass. civ. n. 4135/2001

Le limitazioni poste dall’art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate in concreto, cioè con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità di tale utilizzazione. (Nella specie è stata confermata l’illegittimità dell’uso dei muri condominiali per praticarvi aperture di comunicazione fra le adiacenti aree condominiali ed un locale sotterraneo, che il condomino intendeva dotare di uscite di sicurezza per adibirlo a discoteca).

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Cass. civ. n. 15390/2000

La modifica di una finestra in una porta-finestra, per accedere da un’area rimasta in comune tra proprietari di unità abitative di proprietà esclusiva, ad una di queste, configura un asservimento del bene comune all’immobile esclusivo soltanto se detta area è del tutto avulsa dalle singole unità immobiliari e perciò non si inserisce in una più ampia situazione di condominialità. Diversamente, se l’area è strettamente funzionale al miglior godimento delle proprietà individuali, la trasformazione può esser inquadrata in una utilizzazione della cosa comune, ai sensi dell’art. 1102 c.c., nel qual caso è necessario valutare se con l’apertura della porta-finestra il condomino realizza una migliore utilizzazione dell’area, ovvero se ne altera la destinazione, e comunque se vi è compatibilità con il pari diritto degli altri partecipanti. Pertanto il giudice del merito deve prioritariamente accertare se sussiste l’una o l’altra situazione di fatto e poi derivarne le rispettive conseguenze giuridiche.

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Cass. civ. n. 8886/2000

L’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall’art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. La valutazione della legittimità di un uso particolare in riferimento ai parametri suindicati va verificato dal giudice del merito in base al confronto tra uso diverso e destinazione possibile della cosa, quale stabilita anche per implicito dai condomini.

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Cass. civ. n. 6341/2000

L’appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche l’apertura di piccoli fori nella parete) al muro comune perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione della stessa, che ciascun condomino — pertanto — può apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca l’altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilità ed alla sicurezza dell’edificio, e non ne alteri il decoro architettonico; fenomeno — quest’ultimo — che si verifica non già quando si mutano le originali linee architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull’insieme dell’armonico aspetto dello stabile.

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Cass. civ. n. 42/2000

… il condomino, nel caso in cui il cortile comune sia munito di recinzione che lo separi dalla sua proprietà esclusiva, può apportare a tale recinzione, pur essa condominiale, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche all’apertura di un varco di accesso dal cortile condominiale alla sua proprietà esclusiva, purché tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile, come in precedenza.

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Cass. civ. n. 11520/1999

Il limite che l’art. 1102 c.c. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino è quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto. Pertanto l’uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve determinare pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorché non ne sia impedito l’uso.

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Cass. civ. n. 8591/1999

In tema di condominio di edifici l’apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione il terreno di proprietà esclusiva di un singolo condomino con quello comune non dà luogo alla costituzione di una servitù (che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene già usato come passaggio pedonale e carrabile, sempre che l’opera realizzata non pregiudichi l’eguale godimento della cosa comune da parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio.

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Cass. civ. n. 6382/1999

Il godimento del bene comune può essere invocato dal comproprietario, al fine dell’usucapione della proprietà dello stesso, solo quando si traduca in un possesso esclusivo con riguardo sia al corpus che all’
animus incompatibile con il permanere del compossesso altrui.

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Cass. civ. n. 5546/1999

L’escavazione del sottosuolo condominiale da parte di un condomino per collegare con una scala le unità immobiliari al piano terreno con quelle poste al seminterrato, tutte di sua proprietà esclusiva, non comporta appropriazione del bene comune e non costituisce innovazione vietata, perché non determina l’inservibilità del bene comune all’uso e al godimento a cui è destinato.

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Cass. civ. n. 1367/1999

In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori non è, di per sé, idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale
all’esercizio dei possesso
ad usucapionem, e non anche, invece, conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte dell’altro compossessore, risultando, per converso, necessario, a fini di usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla res da parte dell’interessato attraverso un’attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l’onere della relativa prova su colui che invochi l’avvenuta usucapione del bene.

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Cass. civ. n. 1162/1999

La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro maestro dell’edificio condominiale, rientra nell’uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni alla proprietà, o comproprietà, di altro condomino.

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Cass. civ. n. 10175/1998

L’art. 1102 c.c. vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell’orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarlo in tal modo alla possibilità di godimento degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa. L’utilizzazione della cosa comune o di una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti deve ritenersi legittima solo nel caso in cui sia attuata in esecuzione di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto.

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Cass. civ. n. 1708/1998

Il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro — ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi — e di non alterarne la normale destinazione. Costituisce, per converso, uso abnorme del muro perimetrale l’apertura, da parte di un condomino, di un varco che consenta la comunicazione tra il proprio appartamento ed altra unità immobiliare attigua, sempre di sua proprietà, ma
ricompresa in un diverso edificio condominiale, il collegamento tra tali unità abitative determinando, inevitabilmente, la creazione di una servitù a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato (a prescindere dalla creazione di una eventuale servitù di passaggio a carico di un ipotetico ingresso condominiale su via pubblica).

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Cass. civ. n. 1498/1998

Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune può aprire su esso abbaini e finestre – non incompatibili con la sua destinazione naturale – per dare aria e luce alla sua proprietà, purché le opere siano a regola d’arte e non ne pregiudichino la funzione di copertura, né ledano i diritti degli altri condomini sul medesimo.

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Cass. civ. n. 11631/1997

A norma dell’art. 1102 c.c., ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. La legge non richiede necessariamente una formale manifestazione di volontà da parte del comproprietario in ordine all’uso della cosa comune, in quanto l’ostacolo diretto al pari uso della cosa può risultare, oltre che da un rifiuto, anche da comportamenti al fine equivalenti da apprezzare in
relazione alle condizioni oggettive del bene comune ed alle modalità d’uso.

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Cass. civ. n. 4394/1997

Nel regime giuridico del condominio di edifici, l’uso particolare che il condomino faccia del cortile comune, interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad alimentare l’impianto termico del suo appartamento condominiale, è conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l’utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, né escluda per gli stessi la possibilità di fare del cortile stesso analogo uso particolare.

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Cass. civ. n. 3874/1997

La locazione a terzi di una unità immobiliare compresa in un edificio in condominio pone il conduttore in una posizione non diversa da quella del proprietario in nome del quale egli detiene. Pertanto il conduttore può, al pari del suo dante causa, liberamente godere ed eventualmente modificare le parti comuni dell’edificio, purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell’unità immobiliare oggetto primario della locazione (limite cosiddetto interno) e purché non risulti alterata la destinazione di dette parti, né pregiudicato il pari suo uso da parte degli altri condomini (limite cosiddetto esterno).

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Cass. civ. n. 12231/1995

La disposizione dell’art. 1102, comma 2, c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso, impedisce al compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota non solo l’usucapione ma anche la tutela possessoria del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli incompatibile con l’altrui possesso. Perché il compossessore possa estendere il suo possesso in via esclusiva sul bene comune non sono sufficienti singoli atti di utilizzazione della cosa comune al di là della misura del potere del singolo partecipante, i quali sono da presumersi compiuti per mera tolleranza degli altri partecipanti, ma occorrono atti integranti un comportamento durevole, tale da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini su tutta la cosa, incompatibile con il permanere dei possesso altrui.

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Cass. civ. n. 5640/1995

Il comproprietario può usucapire la proprietà esclusiva della cosa comune solo possedendola, animodomini, per il tempo necessario, in modo inconciliabile con la possibilità di fatto di un godimento comune, come nel caso in cui la cosa venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilità mediante una attività che valga, comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli altri comproprietari.

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Cass. civ. n. 3368/1995

La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe nell’utilizzare la cosa medesima deve consentire agli altri, a norma dell’art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico perché l’identità nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l’uso pia intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra partecipanti al condominio — e perciò da ritenersi non consentito a norma dell’art. 1102 — non deve aversi riguardo all’uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.

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Cass. civ. n. 11138/1994

L’esercizio della facoltà di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall’art. 1102 c.c., deve esaurirsi della sfera giuridica e patrimoniale del diritto di comproprietà sulla cosa medesima e non può essere esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse proprietà del medesimo condomino perché in tal caso si verrebbe ad imporre una servitù sulla cosa comune per la cui costituzione è necessario il consenso di tutti i condomini. Per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondità al di sotto dell’area superficiale che è alla base dell’edificio condominiale, ancorché non menzionato espressamente da detto art. 1117, va considerato di proprietà comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva a uno dei condomini, e ciò anche con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilità del fabbricato. Pertanto, un condomino non può senza il consenso degli altri partecipanti alla comunione procedere alla escavazione in profondità del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per ingrandire quelli preesistenti, giacché con l’attrarre la cosa comune nell’orbita della sua disponibilità esclusiva, viene a ledere il diritto di proprietà dei condomini su una parte comune dell’edificio.

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Cass. civ. n. 10704/1994

Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte corrispondente agli appartamenti di proprietà esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l’esercizio della indicata facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico dell’edificio e non menomi o diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla S.C., aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione di aria e luce in danno dell’appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare dell’edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).

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Cass. civ. n. 10699/1994

Poiché l’uso della cosa comune è sottoposto dall’art. 1102 c.c. ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esso non può estendersi alla occupazione di una parte del bene comune, tale da portare, nel concorso degli altri requisiti di legge, alla usucapione della parte occupata.

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Cass. civ. n. 9497/1994

La norma contenuta nell’art. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto, gli attribuisce la facoltà di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne consegue che l’abbattimento di un muro portante di un edificio in condominio — sia pur sostituito, come nella specie, da travi in ferro — incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non può farsi rientrare nell’ambito delle facoltà concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102 c.c., ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dall’art. 1120 c.c.

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Cass. civ. n. 7652/1994

L’art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l’esercizio del suo diritto, la maggior possibilità di godimento della cosa comune, nel senso che, purché non resti alterata la destinazione del bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, senza che possano costituire vincolo per lui forme più limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e può scegliere, tra i vari possibili usi quello più confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si è escluso che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l’occupazione periodica di un portico con legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell’occupazione e di un apprezzabile pregiudizio per gli altri condomini).

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Cass. civ. n. 7464/1994

Dal solaio che divide due unità abitative, l’una all’altra sovrapposta, formando una struttura comune che i proprietari delle due unità possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della cosa e che non sia impedito all’altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la copertura (o pavimento) del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell’abitazione sovrastante e che può essere, quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilità e convenienza.

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Cass. civ. n. 5223/1993

Ogni trasformazione che rende interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di regola, l’utilità perché impedisce di ricevere luce ed aria direttamente dall’esterno, sicché, quando la trasformazione riguarda il muro comune nel quale il condomino ha diritto di mantenere la luce, illecitamente eccede l’ambito dei poteri di utilizzazione della cosa comune, che l’art. 1102 c.c. riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia alterata la destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa secondo il loro diritto.

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Cass. civ. n. 5006/1993

Allorché un coerede utilizzi ed amministri un bene ereditario provvedendo, tra l’altro, alla sua manutenzione, sussiste la presunzione
iuris tantum che egli agisca in tale qualità e che anticipi le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi. Pertanto, il coerede che invochi l’usucapione ha l’onere di provare, a norma dell’art. 1102 c.c., il mutamento del titolo del possesso, ossia che il rapporto materiale con il bene si sia verificato in modo da escludere, con palese manifestazione del volere, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare un analogo rapporto con il bene ereditario.

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Cass. civ. n. 3923/1993

Chi intraprende la ricostruzione di un muro comune e non intende estenderla a tutto lo spessore del muro stesso, ha l’obbligo di iniziarla dal confine della sua proprietà esclusiva: diversamente egli attrarrebbe nella sua sfera di proprietà esclusiva una porzione della cosa comune, in violazione del disposto dell’art. 1102 c.c.

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Cass. civ. n. 1933/1993

Quando viene scoperto un testamento che modifica le quote che andrebbero attribuite agli eredi legittimi, il precedente compossesso dei beni ereditari da parte dei predetti eredi (legittimi) non può essere considerato possesso di beni altrui e, quindi, non può essere utile ai fini della usucapione.

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Cass. civ. n. 172/1993

Il condomino non ha il dovere di limitare l’uso della cosa comune ai soli casi in cui il suo interesse non possa essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perché il solo limite che l’art. 1102 c.c. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino è quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.

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Cass. civ. n. 3942/1991

La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale è consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa ai fini esclusivi (nella specie, trattavasi della costruzione di “bovindi”).

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Cass. civ. n. 3369/1991

La sostituzione, ad opera del proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale, del tetto con una diversa copertura (terrazza) che, pur non eliminando l’assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, valga ad imprimere al nuovo manufatto, per le sue caratteristiche strutturali e per i suoi annessi, anche una destinazione ad uso esclusivo dell’autore dell’opera, costituisce alterazione della destinazione della cosa comune in violazione del primo comma dell’art. 1102 c.c., e non può considerarsi insita nel più ampio diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell’ultimo piano.

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Cass. civ. n. 10294/1990

Il partecipante alla comunione può usucapire l’altrui quota indivisa del bene comune senza necessità di interversio possessionis, ma attraverso l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusività. A tal fine si richiede, tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si concreti in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa incompatibili con il permanere del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della cosa comune consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazione di spese per il miglior godimento della cosa comune, non possono dar luogo a una estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro compossessore.

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Cass. civ. n. 8040/1990

Con riguardo ad edificio in condominio, per cui il regolamento condominiale preveda l’assoluto divieto di sopraelevazione, l’erezione da parte del proprietario dell’ultimo piano di un comignolo sul tetto di proprietà comune per la fuoriuscita del fumo di un camino installato nella sua abitazione, ove non comporti pregiudizio per la stabilità e la sicurezza del fabbricato ovvero l’alterazione del suo decoro architettonico, non costituisce innovazione vietata ai sensi dell’art. 1122 c.c. bensì una mera modificazione del tetto comune, consentita ai termini dell’art. 1102 c.c., allorquando non incida sulla sostanza e struttura del bene comune, sì da alterare l’originaria ed unica funzione di copertura dell’edificio, senza impedire agli altri condomini l’eventuale identico uso del tetto stesso.

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Cass. civ. n. 7825/1990

Con riguardo ad un edificio in condominio ancorché dotato di antenna televisiva centralizzata, né l’assemblea dei condomini, né il regolamento da questa approvato possono vietare l’installazione di singole antenne ricetrasmittenti sul tetto comune da parte dei condomini, in quanto in tal modo non vengono disciplinate le modalità di uso della cosa comune, ma viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino all’uso della copertura comune, incidendo sul diritto di proprietà dello stesso.

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Cass. civ. n. 7704/1990

In tema di condominio negli edifici, i pianerottoli quali componenti essenziali delle scale comuni e così avendo funzionale destinazione al migliore godimento dell’immobile da parte di tutti i condomini, non possono essere trasformati, dal proprietario dell’appartamento che su di essi si affacci, in modo da impedire l’uso comune, mediante l’incorporazione nell’appartamento, comportando una alterazione della destinazione della cosa comune ed una utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini nonché – in sede possessoria – lesiva del compossesso degli stessi.

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Cass. civ. n. 2944/1990

In tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, né una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso, l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, per altro verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva.

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Cass. civ. n. 4201/1987

Il condomino che inserisce una canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandola stabilmente con opere murarie al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione della cosa comune non consentita dall’art. 1102 c.c. atteso che a differenza dell’installazione di canne fumarie nei muri perimetrali, che non ne altera la principale funzione, la collocazione di canne fumarie nel lastrico solare comporta una sottrazione della relativa porzione di bene comune all’uso degli altri condomini con limitazione della utilizzazione del piano di calpestio e la compromissione della sua funzione di copertura.

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Cass. civ. n. 2440/1987

Il solaio che divide due unità abitative, l’una all’altra sovrapposta, costituisce una struttura comune ai proprietari di dette unità, i quali, pertanto, ai sensi dell’art. 1102 c.c., possono apportarvi modifiche, alla condizione che non venga alterata la destinazione della cosa comune e che non sia impedito all’altro soggetto di farne parimenti uso, secondo il suo diritto.

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Cass. civ. n. 5949/1986

Il naturale scolo, in un cortile condominiale, delle acque grondanti da cornicioni, balconi o terrazze delle abitazioni che vi si affacciano, il quale non si ricollega ad un diritto di servitù, ma configura esercizio del diritto di comproprietà, resta soggetto ai limiti fissati dall’art. 1102 c.c., e non può quindi implicare un’alterazione della destinazione della cosa comune, od un impedimento del pari uso degli altri partecipanti, né un danneggiamento della cosa medesima o delle proprietà esclusive dei singoli condomini. (Nella specie, alla stregua del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito, che avevano dichiarato illegittima l’apertura di un foro, alla base di un parapetto, convogliante l’acqua piovana nel cortile con violenta caduta e danneggiamento di porzioni condominiali).

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Cass. civ. n. 1598/1986

Quando un cortile sia comune a due edifici, ciascuno costituente un autonomo condominio, e manchi al suo riguardo una disciplina contrattuale vincolante per tutti i comproprietari dei due edifici, l’uso del cortile da parte di questi ultimi non è assoggettato sia al regolamento dell’uno che a quello dell’altro condominio, essendo, invece, applicabili le norme sulla comunione in generale, e, in particolare, l’art. 1102 c.c., in base al quale ciascun partecipante alla comunione può servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la sua destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

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Cass. civ. n. 421/1986

Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilità di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti alla comunione secondo l’originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene comune delle quali i comproprietari si siano concordemente attribuito il godimento separato, in quanto anche in tal caso, non venendo meno la contitolarità dell’intero bene, la facoltà di utilizzazione della cosa attribuita a ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facoltà degli altri, con la conseguenza che sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una lesione del diritto di comproprietà degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi concretamente sottratta alla possibilità dell’attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o originariamente praticati.

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Cass. civ. n. 1529/1985

In tema di comunione ordinaria ed ereditaria il compartecipe può usucapire la cosa senza necessità dell’interversione del possesso (art. 1164 c.c.), attraverso la semplice estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, ma a questo fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo, altresì, che detto compartecipe ne abbia goduto in modo obiettivamente inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus. (Nella specie, in applicazione del surriportato principio, non si è ritenuto sufficiente, al fine della prova del possesso esclusivo di un immobile di proprietà comune, l’assunzione da parte di uno dei compartecipi, di tutti gli oneri ordinari e straordinari di miglioria).

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Cass. civ. n. 1132/1985

Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non può eseguire nella sua proprietà esclusiva opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell’art. 1122 c.c., rechino danno alle parti comuni dell’edificio stesso, né, a maggior ragione, opere che, attraverso l’utilizzazione delle cose comuni, danneggino le parti di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino. (Nella specie, in applicazione del surriportato principio la S.C. ha confermato la decisione di merito con cui si è ritenuto che al proprietario di un appartamento non sia consentito costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell’edificio condominiale la quale raggiunga l’altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell’aria e della luce al proprietario del piano contiguo).

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Cass. civ. n. 6192/1984

L’utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino può avvenire tanto secondo la destinazione usuale della cosa stessa, quanto in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti alla comunione, sempre però nell’ambito della destinazione normale della cosa senza alterazione del rapporto di equilibrio tra le utilizzazioni concorrenti attuali e anche potenziali di tutti i comproprietari, ma non quando quel godimento peculiare e inconsueto del singolo compartecipante determini pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti degli altri comproprietari. (Nella specie, si è ritenuto che il comproprietario di una striscia di terreno non abbia il diritto di occupare lo spazio aereo sovrastante la striscia stessa con una costruzione sullo stesso aggettante, in quanto in tal caso la occupazione si risolve in un’utilizzazione particolare realizzata mediante la stabile incorporazione al contiguo bene del singolo comproprietario di una porzione dello spazio aereo sovrastante il bene comune).

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Cass. civ. n. 3599/1982

L’asservimento compiuto da uno dei comproprietari di parte del sottosuolo del terreno comune per suo uso esclusivo (nella specie, mediante la costruzione di una fossa di latrina), non costituisce un uso più intenso, ma appropriazione della parte stessa, vietata dall’art. 1102 c.c., poiché rimane precluso agli altri comproprietari di farne pari uso.

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Cass. civ. n. 2751/1982

Con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale è oggetto di comunione per tutta la sua estensione, ivi comprese le parti corrispondenti ai piani e ad appartamenti di proprietà individuale, l’utilizzazione del singolo partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri condomini un pari uso (art. 1102 c.c.), ma anche quando implichi una lesione del diritto di altro partecipante sul bene di sua proprietà esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un sottostante appartamento).

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Cass. civ. n. 6669/1981

Il comproprietario che abbia l’autonomo godimento del bene comune, per poterne utilmente invocare l’usucapione, deve dimostrare di avere usato detto bene, avendone il possesso esclusivo, inteso questo come costituito sia dal corpus che
dall’
animus, oltre la quota in relazione alla quale, nei limiti del suo diritto, tale possesso si presume, ovvero, qualora abbia successivamente esteso il proprio diritto, deve provare di avere, da un determinato momento, sostituito all’originario godimento uti condominus quello animo domini.

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Cass. civ. n. 2805/1981

Ricorre l’ipotesi di innovazione lesiva del diritto degli altri condomini nell’escavazione da parte di uno o più di essi nel sottosuolo comune, allorché vengano realizzate opere che ne limitino l’uso ed il godimento da parte degli altri condomini.

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Cass. civ. n. 3422/1978

L’inserimento di una canna fumaria entro un muro comune, da parte di un partecipante alla relativa comunione, rappresenta utilizzazione della cosa comune a norma dell’art. 1102 c.c.

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Cass. civ. n. 3405/1978

… non costituisce innovazione, ma rientra nell’uso legittimo del cortile comune, la costruzione, nel sottosuolo del cortile stesso, di tubo di scarico tra l’appartamento di un condomino e la fogna comunale, giacché essa, mentre non altera la destinazione obiettiva del cortile, che è quella di dare aria e luce agli appartamenti ed ai piani ed agli edifici circostanti, costituisce un’utilità accessoria che il suddetto bene comune può offrire ai condomini, purché tale uso sia mantenuto nei limiti dell’art. 1102 c.c.

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Cass. civ. n. 2816/1978

Il diritto del condomino di usare le parti comuni dell’edificio, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso (artt. 1102 e 1139 c.c.), implica per questi ultimi l’obbligo di comportarsi in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente più gravoso, l’uso del singolo e così il dovere di quell’attiva cooperazione necessaria per l’uso del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla comunione, ma di cui il condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo della cosa comune senza il preventivo nullaosta degli altri condomini, costoro non possono rifiutarne il rilascio, sempreché il rifiuto non risulti in concreto giustificato da un ragionevole motivo. (Nella specie l’ACEA e la soc. Romana Gas, richiesti da un condomino dell’installazione dei servizi di acqua e gas, avevano preteso il preventivo nullaosta del condominio).

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Cass. civ. n. 2814/1978

Il comproprietario di una stradella comune, posta al servizio dei singoli fondi appartenenti in proprietà esclusiva a ciascun partecipante alla comunione, può legittimamente aprirvi l’accesso ad un locale costruito sul proprio suolo e destinato ad autorimessa, ai sensi dell’art. 1102 c.c., qualora non ne derivi un mutamento dell’originaria destinazione della stradella né un impedimento per gli altri condomini di farne pari uso.

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Cass. civ. n. 2749/1978

L’indagine sulla illiceità o meno dell’uso della cosa comune, da parte del condomino di edificio, va condotta alla stregua degli obiettivi criteri legali della sussistenza o meno di un
pregiudizio alla cosa medesima, ovvero di una lesione del diritto di godimento spettante agli altri partecipanti, mentre rimane irrilevante, a tal fine, ogni valutazione sulla concreta idoneità di quell’uso ad arrecare utilità al suo autore, salva la configurabilità di atti d’emulazione, ai sensi ed agli effetti di cui all’art. 833 c.c. Nel contrasto fra le parti, il giudice è chiamato a dichiarare la volontà concreta della legge nel fatto dedotto ed accertato, non anche ad indicare astrattamente quali fatti sarebbero conformi o meno a diritto. Pertanto, nella controversia diretta a stabilire la liceità od illiceità di una determinata opera, eseguita da un condomino su parte comune di edificio (nella specie, vetrina apposta su muro perimetrale), non può ritenersi consentito di richiedere al giudice di indagare o pronunciarsi su quali eventuali modifiche di quell’opera potrebbero assicurarne la liceità.

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Cass. civ. n. 2666/1978

Nel caso di strada consortile, costituita ex agris collatis, ciascuno partecipante alla relativa comunione immobiliare non può, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della strada comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva proprietà, distinto dai fondi a servizio dei quali la strada medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell’imposizione di una servitù, a carico della cosa comune, con pregiudizio degli altri partecipanti alla comunione.

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Cass. civ. n. 2408/1978

Il proprietario di un appartamento sito in uno stabile condominiale ha diritto di ottenere l’eliminazione di uno sporto costruito sul muro comune, in corrispondenza dell’appartamento sovrastante, quando tale manufatto importa una sensibile diminuzione di luce e di aria ai danni dell’unità immobiliare di sua proprietà; e ciò indipendentemente dal fatto che il terreno contiguo allo stabile, cui aggetta il manufatto medesimo, appartenga al condominio ovvero al condomino attore in via esclusiva.

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Cass. civ. n. 1951/1978

L’interramento di un serbatoio per nafta in una strada comune non è astrattamente idoneo a violare il diritto di ciascun condomino di usare della cosa comune, ove il giudice del merito non abbia accertato che tale uso non consenta il passaggio sulla strada o che impedisca agli altri condomini di utilizzare analogamente il sottosuolo, secondo il loro diritto; il che non comporta che gli altri partecipanti debbano utilizzare quello stesso spazio occupato dal serbatoio, dal momento che lo spazio del sottosuolo non è oggetto del diritto, ma il luogo ove il diritto viene esercitato.

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Cass. civ. n. 1524/1978

Il proprietario di vani terranei in un edificio condominiale non può abbassare il livello dei relativi pavimenti per ingrandire il volume dei vani stessi o per ricavarne altri di sua esclusiva proprietà neppure ove esistano, sotto i pavimenti, massetti e vespai, destinati all’utilità dei vani cui sottostanno poiché anche ove risulti provata l’appartenenza di tali manufatti al proprietario dei vani sovrastanti, non diviene, per questo fatto, di proprietà singola l’area condominiale in cui i manufatti stessi si trovano immersi.

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Cass. civ. n. 1456/1978

La costruzione di un pozzo nero, eseguita nel cortile comune da parte di uno dei condomini dell’edificio, che ricada, in virtù del principio dell’accessione, in comunione pro indiviso, e del quale, pertanto, gli altri condomini possono fare uso al pari del condominio costruttore, rappresenta un uso consentito della cosa comune, non dando luogo ad alterazione dell’utilizzazione diretta dell’area sovrastante secondo la sua destinazione naturale e non impedendo, nel caso in cui non sia sufficiente a soddisfare le esigenze delle varie unità immobiliari, la possibilità di una pari utilizzazione della parte residua del fondo.

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Cass. civ. n. 3351/1977

La tollerabilità, o meno, del pregiudizio che la costruzione di uno sporto nel muro perimetrale comune può arrecare alla presa di aria e luce di locali appartenenti a uno dei condomini dipende non solo dall’ampiezza dello sporto e dalla superficie del cortile eventualmente antistante all’edificio, ma soprattutto, dalla distanza in cui tale sporto viene a trovarsi dalle sottostanti aperture; se tale distanza risulta esigua, anche l’esistenza di un ampio cortile potrebbe non compensare adeguatamente una diminuzione di aria e soprattutto di luce.

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Cass. civ. n. 2589/1977

Qualora risulti accertato dal giudice del merito che l’apertura praticata da un condomino in corrispondenza delle scale del fabbricato comune non abbia apportato alcun mutamento alla conformazione e allo spazio delle scale, non abbia limitato il godimento degli altri condomini, non abbia arrecato alcun danno alle parti comuni o pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico del fabbricato, la relativa fattispecie rientra nella disciplina dell’uso della cosa comune.

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Cass. civ. n. 1368/1977

Il muro perimetrale di un edificio condominiale, che abbia anche funzione di divisione e confine fra l’edificio medesimo e la proprietà esclusiva di un singolo condomino (nella specie, giardino con autorimessa), non può essere utilizzato dagli altri partecipanti per l’installazione di tubi del gas, in quanto, in tale ipotesi trovano applicazione le norme sui rapporti di vicinato, e, quindi, sussiste l’obbligo di tenere dette condutture alla distanza di almeno un metro dal confine (art. 889, secondo comma c.c.).

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Cass. civ. n. 1355/1977

Ciascun partecipante alla comunione immobiliare non può, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della cosa comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva proprietà, distinto dai fondi a servizio dei quali la cosa medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell’imposizione di una servitù. Pertanto, con riguardo ad un cortile comune fra i proprietari dei fabbricati circostanti ed adibito al miglior godimento dei medesimi, deve ritenersi precluso al proprietario del singolo fabbricato, in difetto di consenso degli altri condomini, di attraversare detto cortile con condutture di gas od acqua, che siano destinate ad approvvigionare non quel fabbricato, ma un altro distinto immobile di sua proprietà, rimanendo irrilevante che tale ultimo fine sia realizzato, non con condutture autonome, rispetto a quelle adducenti al fabbricato compreso nell’area condominiale, ma con successive derivazioni da tali condutture.

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Cass. civ. n. 620/1977

Costituisce pregiudizio al concorrente diritto degli altri condomini, di utilizzare in modo conveniente il muro comune, la installazione in esso di una canna fumaria che, per le sue dimensioni o per la sua ubicazione, riduca in modo apprezzabile la visuale di cui tali condomini godono dalle finestre site nello stesso muro.

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Cass. civ. n. 179/1977

Gli sporti che il singolo condomino ha diritto di costruire sul cortile comune debbono essere concretamente realizzati in maniera che non venga alterata la destinazione di tale cortile, che è principalmente quella di fornire luce ed aria agli immobili circostanti, ed in modo che la loro costruzione non si ponga in contrasto con le esigenze di un pari uso dello stesso cortile da parte degli altri comproprietari nonché con quelle di qualsiasi altro miglior uso che i medesimi possono fare in altra parte della cosa comune, nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., in relazione alle ragionevoli prospettive offerte dalla struttura, ubicazione e destinazione delle proprietà individuali

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Cass. civ. n. 78/1977

Anche nel caso in cui una parte dell’edificio condominiale necessaria all’uso comune si appartenga in proprietà esclusiva ad uno soltanto dei condomini, questi è tenuto, nell’esercizio delle sue facoltà di godimento, a rispettare la destinazione obiettiva della suddetta parte all’utilità generale dell’intero condominio. Per cui, financo al condomino che sia proprietario esclusivo dell’intero cortile sul quale prospettano gli appartamenti dello stabile, è vietato di eseguirvi costruzioni o manufatti che impediscano o limitino l’esercizio del diritto, spettante ex lege agli altri condomini, di trarre dallo stesso cortile la luce e l’aria necessarie ai loro rispettivi appartamenti.

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Cass. civ. n. 4658/1976

In tema di condominio negli edifici, al fine dell’indagine sulla legittimità o meno di opere che, partendo dalla cosa di pertinenza esclusiva del singolo proprietario o compossessore, incidano su spazio o superficie oggetto di comunione (nella specie, cortile), occorre distinguere il caso in cui quelle opere, per loro conformazione e struttura, determinino un’occupazione ed incorporazione stabile, nel bene individuale, di porzione dello spazio e superficie comune, dal caso in cui le medesime si limitino a sporgere e sovrastare su detto spazio o superficie. Nella prima ipotesi, l’illegittimità è insita nel fatto, comportando questo un’oggettiva sottrazione di porzione del bene comune all’uso degli altri compartecipanti. Nella seconda ipotesi, l’illegittimità ricorre ove risulti che il manufatto del singolo, in relazione alla dimensione, entità di sporgenza ed altezza della superficie sottostante, comporti, in concreto, impedimento od ostacolo al normale godimento del bene comune da parte degli altri compartecipanti.

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Cass. civ. n. 3256/1976

L’apposizione, da parte di un condomino e per la propria esclusiva utilità, di una canna fumaria lungo il muro perimetrale di un edificio non integra una modificazione della cosa comune necessaria al suo miglior godimento (s’intende: da parte di tutti i condomini) ai sensi dell’art. 1102 c.c., ma costituisce innovazione, che può, secondo la insindacabile valutazione del giudice del merito, alterare il decoro architettonico dell’edificio stesso, e di cui può pertanto ordinarsi la rimozione ex art. 1120, secondo comma, c.c.

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Cass. civ. n. 2543/1976

I balconi di un edificio condominiale prospicienti sul cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla colonna d’aria, soprastante a ciascuno di essi, ai proprietari dei singoli appartamenti ai quali accedono, in qualità di pertinenza. Ne consegue che ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua proprietà senza dover richiedere l’autorizzazione degli altri compartecipi imposta dal regolamento del condominio soltanto per le innovazioni delle parti comuni dell’edificio.

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Cass. civ. n. 1836/1976

A norma dell’art. 1102 c.c. ciascun condomino può servirsi della cosa comune apportandovi le modificazioni che egli ritenga utili per il miglior godimento di essa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalità. Tali facoltà, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla legge, e cioè con l’astensione da ogni alterazione del bene comune e conservando la possibilità dell’uso di esso da parte di ogni altro condomino nell’ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo fatto dell’uso più intenso da parte di uno o pia condomini, purché attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell’equilibrio con tutti i diritti di costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in vista dell’uso attuale, ma anche di quello potenziale secondo la natura della cosa e il fine al quale essa venne predisposta, sicché resta del tutto indifferente — salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini o di terzi — che da tempo più o meno lungo uno o più degli interessati non si siano serviti del bene in questione.

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Cass. civ. n. 624/1976

L’immissione di balconi e pensili su un cortile comune, pur comportando l’occupazione con un’opera solida e stabile dell’area sovrastante, si risolve in un ampliamento della presa di aria e luce da parte del singolo condomino e, non alterando la destinazione normale del cortile, deve ritenersi pienamente legittima, salvo che, per la dimensione degli sporti, non si verifichi un uso della cosa comune esorbitante dai limiti previsti dalla legge. Ben diversa, invece, è la situazione che si determina per l’aggetto di un vero e proprio corpo di fabbrica, poiché in tal caso alla incorporazione di una parte della colonna d’aria del cortile si connette anche la finalità di assegnare alla superficie del cortile stesso la qualità e la natura di spazio sfruttabile a fini costruttivi dai singoli comproprietari, a vantaggio delle rispettive proprietà, e quindi per l’utilità e disponibilità esclusiva degli stessi, con la conseguente alterazione della destinazione normale del cortile comune che non può essere consentita.

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Cass. civ. n. 501/1976

L’occupazione da parte di un condomino dello spazio aereo sovrastante una striscia di terreno comune, destinata a mettere in comunicazione due cortili, per mezzo di una costruzione aggettante che sporge all’altezza di tre metri dal suolo, costituisce un’illegittima estensione della proprietà individuale sulla cosa comune a danno degli altri proprietari, i quali subiscono una definitiva sottrazione del loro potere dispositivo e di utilizzazione a seguito di opere che impediscano o diminuiscano sensibilmente il passaggio e l’utilizzazione dell’aria e della luce.

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Cass. civ. n. 3282/1975

Uno dei coeredi può acquistare per usucapione non soltanto l’intero compendio ereditario, ma anche esclusivamente la quota di uno soltanto degli altri coeredi. Quest’ultima ipotesi si realizza nel caso in cui il coerede abbia posseduto animo
domini, il detto compendio in modo incompatibile con la possibilità di godimento di uno o di alcuni soltanto degli altri partecipanti alla comunione, fermo restando il compossesso dei restanti coeredi, limitatamente alle rispettive quote.

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