16 Mar Art. 306 — Banda armata: formazione e partecipazione
Quando, per commettere uno dei delitti indicati nell’articolo 302, si forma una banda armata, coloro che la promuovono o costituiscono od organizzano, soggiacciono, per ciò solo, alla pena della reclusione da cinque a quindici anni.
Per il solo fatto di partecipare alla banda armata, la pena è della reclusione da tre a nove anni.
I capi o i sovventori della banda armata soggiacciono alla stessa pena stabilita per i promotori.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”12″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 12098/2004
Il principio del ne bis in idem stabilito con riguardo alle sentenze penali pronunciate dai Paesi dell’Unione Europea dall’art. 54 della legge 30 settembre 1993, n. 388, attuativa della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, presuppone l’identità del fatto. Nel caso di partecipazione all’estero ad un’associazione criminale ( nella specie: delitto di banda armata, per la partecipazione alla struttura “estero” delle Brigate Rosse) formatasi ed operante in Italia, da parte di un cittadino italiano, tale condotta è rilevante ai fini della giurisdizione penale italiana, risultando il reato associativo non solo commesso in Italia ma caratterizzato dal programma criminoso di compiere atti di violenza con fini di eversione dell’ordine democratico dello Stato italiano. Ne consegue che non può ritenersi ostativa la sentenza definitiva pronunciata nel Paese straniero a carico del predetto in relazione alla responsabilità per la fattispecie generale di delitto associativo (nella specie association de mailfaiteurs in quanto il fatto già giudicato è del tutto diverso da quello in relazione al quale viene esercitata la giurisdizione penale in Italia.
Cass. pen. n. 7451/1998
La fattispecie ipotizzata dall’art. 306 c.p. corrisponde a un reato plurisoggettivo a concorso necessario di carattere permanente, la cui consumazione si protrae nel tempo sino a quando perdura la partecipazione alla banda armata e nel quale la permanenza è interrotta solo quando sia raggiunta la prova dell’estromissione o del recesso della persona dall’associazione criminosa.
Cass. pen. n. 11344/1993
In tema di banda armata (nella specie, organizzazione terroristica denominata «Brigate rosse»), l’adesione, penalmente rilevante, al sodalizio criminoso può configurarsi anche quando l’aderente sia mosso esclusivamente da interessi personali, sempre che tali interessi risultino in consonanza con gli interessi e gli obiettivi propri del suddetto sodalizio, di cui il medesimo aderente abbia cognizione.
Poiché l’assunzione di un ruolo organizzativo da parte di un aderente ad un’entità associativa di carattere criminoso non è necessariamente collegata alla creazione della struttura organizzativa dell’associazione (atto di per sé irripetibile, finché l’associazione dura), ma è piuttosto collegata alla prestazione, anche (ma non necessariamente) protratta nel tempo, di una qualsivoglia attività che risponda a bisogni essenziali della associazione medesima e presenti al tempo stesso caratteri di (relativa) infungibilità, ne deriva che la protrazione di una siffatta attività oltre la data indicata come terminativa di essa in una precedente sentenza di condanna non può non essere considerata come un fatto nuovo e diverso, suscettibile di autonoma sanzione. (Fattispecie in tema di banda armata e associazione terroristico-eversiva).
Una volta accertato il carattere penalmente illecito di un determinato organismo associativo, la spendita di una qualsiasi attività in favore di esso, con il beneplacito di coloro che nel medesimo organismo operano già a livello dirigenziale, non può che essere ragionevolmente interpretata come prova dell’avvenuto inserimento, per facta concludentia, del soggetto resosi autore di detta condotta nel sodalizio criminoso, nulla rilevando che, secondo le regole interne di quest’ultimo, la medesima attività non implichi, invece, per sé, il titolo di sodale. (Nella specie, il principio è stato applicato con riguardo all’organizzazione terroristica «Brigate rosse», in relazione alle ipotesi di reato di cui agli artt. 270 bis e 306 c.p.).
Cass. pen. n. 6682/1992
La competenza territoriale a conoscere del delitto di banda armata va stabilita in relazione al luogo ove la banda si è formata e non a quello in cui essa ha operato.
Cass. pen. n. 5437/1992
La circostanza aggravante della finalità di terrorismo e di eversione dell’ordinamento costituzionale è compatibile con il delitto di banda armata.
Cass. pen. n. 3744/1992
Il reato di cui all’art. 306 c.p. si qualifica per il dolo specifico, costituito dallo scopo di commettere delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato, nonché per la organizzazione in banda e la disponibilità di armi; non è però richiesto che la gerarchia interna sia di tipo militare burocraticamente concepito e che ciascun compartecipe sia effettivamente armato, essendo sufficiente la disponibilità e, quindi, la concreta possibilità di utilizzare le armi da parte degli associati.
In tema di banda armata deve essere considerato organizzatore e non semplice partecipe colui che svolga funzioni di raccordo tra i vari gruppi eversivi ed abbia, quindi, un ruolo rilevante nella vita e nell’attività dell’organizzazione clandestina, non potendosi riconoscere nella sua attività il carattere della fungibilità, proprio dell’ipotesi criminosa della semplice partecipazione alla banda.
Cass. pen. n. 17574/1989
Quantunque sia astrattamente configurabile il concorso tra il reato di banda armata e quello di detenzione delle armi in dotazione alla banda, la semplice qualità di promotore, organizzatore, costitutore o dirigente non è da sola sufficiente a costituire la prova della detenzione medesima, occorrendo anche la prova di un rapporto materiale, anche mediato, con le armi o di un coinvolgimento nei fatti-reato nel corso dei quali le armi furono usate da altri.
Cass. pen. n. 13850/1989
Il delitto di banda armata non assorbe o comprende quello di associazione sovversiva ma può coesistere e concorrere con esso. Quando i due fatti, costituenti rispettivamente associazione sovversiva e banda armata, avvengono in tempi diversi, come nel caso che dapprima si costituisca un gruppo diretto a realizzare violentemente uno o più dei programmi indicati nell’art. 270 c.p. e successivamente tale gruppo si dia una struttura di banda armata, mirando così al compimento di un delitto contro la personalità dello Stato, non può invocarsi il principio del ne bis in idem, trattandosi di due fatti distinti e non di un solo fatto più volte addebitato alla medesima persona.
Cass. pen. n. 7063/1989
La finalità di terrorismo e di eversione dell’ordinamento costituzionale non è elemento essenziale del delitto di cui all’art. 306 c.p. (banda armata: formazione e partecipazione). Esso si pone come estremo eventuale e secondario rispetto alla sua concretazione secondo il paradigma normativo. Non sussiste pertanto incompatibilità fra il delitto considerato e la circostanza aggravante di cui all’art. 1 della L. 6 febbraio 1980, n. 15 (finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico).
Cass. pen. n. 6582/1989
Il dolo specifico del delitto di banda armata, consistente nella speciale intenzione di commettere o far commettere uno o più delitti contro la personalità dello Stato indicati dall’art. 306 c.p., rappresenta un elemento di distinzione decisivo fra il delitto di cui all’art. 306 c.p. e l’associazione sovversiva, dato che nella figura delittuosa di cui all’art. 270 c.p. risultano essenziali il fine e la volontà di realizzare violentemente un certo programma politico di per sé anche non costituente reato, mentre manca il fine di commettere un delitto contro la personalità dello Stato, a parte altri elementi distintivi sia in ordine alla struttura interna e soprattutto alla indispensabile componente dell’armamento come sopra specificata.
Cass. pen. n. 3160/1989
La banda armata — nelle due distinte ipotesi previste dal comma primo dell’art. 306 c.p. e dal comma secondo dello stesso articolo, quest’ultimo concernente la semplice partecipazione — rientra nel più vasto fenomeno associativo criminoso contro la personalità dello Stato e richiede, oltre la stabilità di un vincolo associativo tra una pluralità di consociati, proteso al conseguimento dello scopo comune — che ne costituisce il dolo specifico — di commettere uno o più delitti, non colposi, contro la personalità internazionale o interna dello Stato, la organizzazione in banda e la disponibilità di armi, requisiti specializzanti, per la cui sussistenza non è richiesto, rispettivamente, che la gerarchia interna sia di tipo militare burocraticamente concepito, o che ciascun partecipante sia effettivamente armato, bastando la disponibilità di armi in quantità adeguata al proseguimento dello scopo comune e la concreta possibilità di utilizzarle da parte degli associati. Proprio tali elementi specializzanti distinguono la banda armata dalla cospirazione politica mediante associazione, mentre gli scopi possono essere identici, ed anche dalla cospirazione politica mediante accordo la quale è caratterizzata dal semplice accordo, cioè dal momentaneo incontro di volontà per l’attuazione di un comune proposito criminoso, nonché dall’associazione sovversiva, reato che ha un ambito più limitato, essendo diretto soltanto a vietare determinate associazioni caratterizzate dall’uso della violenza per sovvertire gli ordinamenti economico-sociali costituiti nello Stato.
Cass. pen. n. 2101/1989
La differenza tra il delitto di partecipazione a banda armata e di assistenza ai partecipi è da individuarsi nell’elemento psicologico che caratterizza il comportamento dell’agente. È così configurabile il paradigma legale dell’art. 307 c.p., quando l’ospitalità è consapevolmente prestata al singolo od anche a singoli componenti della banda, per soddisfare un bisogno esclusivo dello stesso. Ricorre invece l’ipotesi di cui all’art. 306 c.p., quando l’adesione a fornire rifugio sia ispirata dall’intento di soddisfare un bisogno della banda nella sua visione associativa e, quindi, di concorrere alla realizzazione dei fini ed alla permanenza in vita della stessa.
Cass. pen. n. 8347/1988
Il reato previsto dal primo comma dell’art. 306 c.p. (bande armate) esige da parte dell’agente una iniziativa programmatica o una preparazione della costituzione dell’associazione mediante una operosa iniziativa che ne determini la nascita, ovvero ancora un’opera di coordinamento dei singoli adepti, in modo da assicurare la vita e l’efficienza della associazione e la disciplina interna e da promuovere l’incremento. Per concretare il delitto è sufficiente una sola di tali attività, non essendo richiesto il concorso delle varie qualifiche (organizzatore, promotore, fondatore, sovventore).
Cass. pen. n. 6952/1988
A differenza dei delitti associativi di cui all’art. 270 e 270 bis c.p. dei quali basta soltanto l’in idem placitum consensum rivolto alla costituzione, promozione, organizzazione di una associazione od alla adesione ad essa con i fini previsti da tali norme, da raggiungere violentemente, il delitto di banda armata di cui all’art. 306 c.p. postula un minimo di struttura e di organizzazione od i cui componenti siano tra loro permanentemente vincolati con l’appartenenza di armi al gruppo come tale e di cui i membri abbiano la disponibilità pur se non il possesso, ma senza necessità che si pervenga ad una formazione di tipo militare o burocratico, né che ognuno dei componenti sia armato, né che le armi vengano concretamente usate.
Cass. pen. n. 9998/1987
Per poter affermare la penale responsabilità di un soggetto imputato di partecipazione, semplice o qualificata, ad un delitto di associazione è necessario accertare da un lato l’esistenza dell’organizzazione di fatto, strutturata e finalizzata secondo lo schema legale di riferimento, e verificare, dall’altro, se il contributo apportato dal singolo — e ovviamente accertato nel contenuto minimo ed essenziale richiesto dalla norma incriminatrice – si innesti o no nella struttura associativa ed in vista del perseguimento dei suoi scopi, e del suo convincimento su entrambi i punti il giudice del merito deve dar conto con adeguata motivazione per consentire l’esercizio del diritto di impugnazione (e con esso di quello di difesa) ed il susseguente controllo di legittimità. (Fattispecie concernente il delitto di partecipazione a banda armata).
Cass. pen. n. 6979/1985
In tema di reati commessi da appartenenti ad associazioni criminose, la sola appartenenza all’associazione ed anche l’eventuale previsione del reato fine, sono di per sé inidonee a far ritenere responsabile come compartecipe il singolo associato, rimasto estraneo all’ideazione e all’esecuzione del reato fine, in mancanza di una prova sicura circa il suo volontario apporto causale alla commissione del fatto, sia pure sotto forma di istigazione o di agevolazione causalmente rilevanti rispetto alla realizzazione del reato-fine. Infatti, per la sussistenza del dolo di partecipazione, non basta la semplice consapevolezza di concorrere all’altrui azione criminosa, ma occorre la volontà di contribuire, con il proprio operato, alla realizzazione del fatto. La qualcosa importa — per quanto concerne l’associato non implicato nella commissione materiale del fatto — un contributo di volontà di carattere determinante nella sua verificazione nonché l’accertamento della circostanza, secondo la quale questi sia munito di poteri deliberativi in ordine all’attività dell’associazione criminosa. Ne consegue che l’attribuzione, ai componenti di una banda armata, in maniera indistinta ed in presenza di atti di dissociazione, di tutti i delitti rivendicati dai rispettivi nuclei di appartenenza, riservandosi — da parte del giudice — la specifica individuazione dei responsabili solo di delitti non rivendicati, si risolve in una presunzione assoluta di responsabilità, estranea all’ordinamento giuridico e come tale illegittima. Nel caso di reati commessi da appartenenti ad associazioni criminose, ferma restando la responsabilità di tutti i componenti delle stesse per il reato associativo, ognuno di essi risponde anche del reato-fine da altri eseguito, solo se esso sia stato specificamente programmato e deliberato, con la sua piena consapevolezza, al momento della costituzione dell’associazione, mentre la singola desistenza volontaria discrimina l’autore solo se questi riesce ad impedire il compimento dell’azione da parte degli altri compartecipi.
Cass. pen. n. 5601/1985
Ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 306 c.p. il termine «sovventore» non va inteso in senso civilistico, ossia in riferimento esclusivo alle prestazioni di carattere finanziario, ma in senso largo, comprensivo degli aiuti o soccorsi, in favore dell’intera banda o di taluno dei suoi componenti, di qualsiasi specie, anche in natura, quali il vitto o il rifugio, a meno che, riguardo a questi ultimi, la prestazione non avvenga a favore di singoli componenti la banda. In questo ultimo caso, il fatto, salvo ad integrare gli estremi del favoreggiamento, può realizzare la meno grave ipotesi di cui all’art. 307 c.p.
Cass. pen. n. 5577/1985
Nel reato di banda armata, colui il quale collabori con un organizzatore non deve, per ciò solo, rispondere come se fosse uno di essi, ai sensi dell’art. 110 c.p. Poiché infatti il legislatore ha previsto condotte delittuose tipiche e diverse per le varie forme di partecipazione a banda armata, non possono, in tale caso, trovare applicazione i principi in materia di concorso nel reato.
Cass. pen. n. 1540/1985
Per ritenersi realizzata l’ipotesi di reato di cui al primo comma dell’art. 306 c.p. si richiede da parte del soggetto agente un’iniziativa programmatica o una preparazione della costituzione dell’associazione mediante un’operosa iniziativa che ne determini la nascita, ovvero ancora un’opera di coordinamento ai singoli partecipi in modo da assicurare la vita e l’efficienza dell’associazione e la disciplina interna e da promuovere l’incremento. Per concretare tale delitto, che costituisce un’ipotesi di reato a concorso necessario, è sufficiente una sola di tali attività non essendo richiesto il concorso delle varie qualifiche (organizzatore, promotore, fondatore ecc.). Diversa è, invece, l’ipotesi di partecipazione di cui al secondo comma dell’art. 306, che costituisce una fattispecie monosoggettiva integrata dalla manifestazione individuale della volontà di adesione ed è configurabile a carico di chiunque sia entrato a far parte dell’organizzazione criminosa e ne risponde per ciò solo, anche senza esplicare alcuna particolare attività.
Cass. pen. n. 1964/1984
L’aggravante di cui all’art. 1, d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella L. 6 febbraio 1980, n. 15 (finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico) è compatibile con il delitto di banda armata previsto dall’art. 306 c.p. Gli elementi costitutivi di tale delitto, infatti, vanno individuati attraverso l’analisi della fattispecie tipica, di cui all’art. 306 c.p. e non in base alla realtà concreta della specifica banda armata oggetto della contestazione. Pertanto la finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, se in concreto esistente, deve essere considerata circostanza aggravante, e non elemento costitutivo, anche nel caso di banda armata finalizzata alla commissione di delitti previsti dagli artt. 270 bis (associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico), 284 (insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 286 c.p. (guerra civile).
Cass. pen. n. 14/1984
Il dolo specifico, nella previsione dell’art. 306 c.p., estrinsecandosi nel proposito di commettere uno dei delitti contro la personalità interna o internazionale dello Stato, punibili con le pene dell’ergastolo o della reclusione, non si radica necessariamente nella finalità di terrorismo o di eversione dello ordine democratico. Ne deriva che quest’ultima finalità si connota solo come elemento eventuale o secondario del delitto di banda armata, rispetto alla quale è dunque compatibile l’aggravante ex art. 1 della legge n. 15 del 1980. (Fattispecie in tema d’individuazione del termine massimo di custodia preventiva).
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