17 Mar Articolo 612 Codice di procedura civile — Provvedimento
Chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell’esecuzione che siano determinate le modalità dell’esecuzione.
Il giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza designa l’ufficiale giudiziario che deve procedere all’esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell’opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”16″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 7402/2017
In tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c., che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva, non può considerarsi – neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali – come una sentenza decisiva di un’opposizione all’esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all’uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 c.p.c..
Cass. civ. n. 3643/2013
La sentenza di condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi (nella specie, per l’accertata violazione del limite legale della proprietà stabilito dall’art. 913 c.c.), pronunciata nei confronti del dante causa, ha efficacia di titolo esecutivo altresì nei confronti dell’avente causa, che abbia acquistato dopo la formazione del giudicato, per atto tra vivi a titolo particolare, il fondo assoggettato all’esecuzione delle opere eliminative. Ove, tuttavia, il trasferimento del bene sia avvenuto prima dell’inizio del processo di esecuzione forzata di obblighi di fare, la legittimazione passiva all’azione esecutiva spetta esclusivamente a chi, tra l’alienante condannato e l’acquirente del diritto, abbia la materiale disponibilità della cosa, e possa, perciò, realizzare il risultato dovuto in base al titolo; qualora, invece, la titolarità o il possesso del bene vengano trasferiti nella pendenza del processo esecutivo, gli atti già compiuti contro il dante causa conservano validità nei confronti del successore, rimanendo a quest’ultimo consentito di interloquire sulle modalità dell’esecuzione, anche in sostituzione del primo.
Cass. civ. n. 3722/2012
In tema di esecuzione forzata, l’ordinanza, con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., determina le modalità dell’esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si caratterizza come un provvedimento con il quale vengono fissate le regole dello svolgimento del procedimento esecutivo e, quindi, non attiene al diritto della parte di procedere all’esecuzione, bensì ai modi con cui questa deve essere condotta, con la conseguenza che essa è soggetta soltanto al rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali; mentre il provvedimento con cui il giudice, ancorché in forma di ordinanza (come espressamente indicato nell’art. 612 c.p.c.), nel determinare le modalità dell’esecuzione, dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall’esecutato o rilevata d’ufficio dal giudice, ed è, pertanto, impugnabile con l’appello. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto avverso una prima ordinanza, con cui il giudice dell’esecuzione, in una procedura relativa alla determinazione degli obblighi di fare previsti da una sentenza di divisione di un compendio immobiliare, si era limitato a disporre la comparizione delle parti e del c.t.u., dichiarando nello stesso tempo inammissibile l’appello avverso una seconda ordinanza, con cui il medesimo giudice aveva dato ordine al c.t.u. di procedere a tutte le attività e le opere necessarie secondo una delle soluzioni alternative precedentemente individuate dallo stesso consulente).
Cass. civ. n. 15727/2011
In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, spetta al giudice dell’esecuzione verificare se il risultato indicato dal creditore procedente nel precetto corrisponda a quello prescritto nel titolo esecutivo; a tal fine, il giudice interpreta il titolo e ne detta le modalità di esecuzione, determinando quali siano le opere da realizzare coattivamente, poiché la parte esecutata, che avrebbe dovuto eseguirle spontaneamente, è invece rimasta inadempiente. Se, nel compiere tale attività, il giudice dell’esecuzione abbia disposto il compimento di opere contrastanti con il titolo esecutivo, ovvero abbia risolto questioni sorte tra le parti circa la rispondenza delle pretese esecutive al contenuto del titolo, o abbia dichiarata la conformità (o non) al titolo delle opere già eseguite spontaneamente dall’obbligato, oppure abbia affrontato una controversia insorta tra le parti sulla portata sostanziale dello stesso titolo esecutivo, il provvedimento perde natura esecutiva per assumere quella di una statuizione cognitiva, e perciò non si presta più ad essere impugnato nei modi propri degli atti esecutivi. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell’enunciato principio, ha cassato per vizio di motivazione l’impugnata sentenza di accoglimento di un’opposizione all’esecuzione, ritenendo sussistente un giudicato esterno derivante da precedente provvedimento del giudice dell’esecuzione, il quale, dpo aver nominato un consulente tecnico d’ufficio per l’individuazione degli spazi di parcheggio da assegnare ai singoli condomini, si era altresì pronunciato sulle questioni insorte in ordine alla conformità al titolo delle opere presupposte dai quesiti dettati al consulente, così decidendo in merito all’individuazione del preciso contenuto del diritto da riconoscersi ai creditori procedenti, nonché alla portata dell’obbligo del soggetto esecutato e, in definitiva, risolvendo la medesima questione poi oggetto dell’opposizione all’esecuzione).
Cass. civ. n. 6665/2011
In tema di esecuzione coattiva di obblighi di non fare, l’art. 2933 c.c. consente di ottenere il ripristino della situazione precedente soltanto nei limiti delle statuizioni contenute nella sentenza di condanna al “non facere” e, in caso di non adempimento spontaneo, mediante il procedimento di esecuzione coattiva disciplinato nell’art. 612 c.p.c.. Ne consegue che una pronuncia emessa in sede possessoria che abbia ad oggetto esclusivamente atti di molestia compiuti su una specifica porzione di terreno non può, nel procedimento instaurato ai sensi dell’art. 612 c.p.c., essere estesa ad ogni tipo di molestie realizzabili sui fondi, anche diversi da quello indicato nel ricorso possessorio, che si trovino nella disponibilità dei ricorrenti.
Cass. civ. n. 19605/2010
Il provvedimento giudiziale assunto, in forma d’ordinanza ai sensi dell’art. 612 c.p.c.. al fine di determinare le modalità di esecuzione degli obblighi di fare, nel sistema delle opposizioni esecutive introdotto dalla legge 50 del 2006 ed anteriore alla legge n. 69 del 2009, non può essere qualificabile come sentenza relativa all’opposizione all’esecuzione o provvedimento conclusivo di un’opposizione agli atti esecutivi ove il giudizio non si sia chiuso con la risoluzione di una controversia relativa al titolo esecutivo o al diritto d’intraprendere l’esecuzione forzata o la risoluzione di una questione relativa alla validità del titolo idonee a definire il giudizio, oltre ad un’espressa statuizione sulle spese di lite. Ne consegue che non è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione (unico mezzo d’impugnazione applicabile “ratione temporis” alle opposizioni esecutive) nel caso in cui il provvedimento del giudice dell’esecuzione, assunto ai sensi dell’art. 612 c.p.c. semplicemente non contenga la fissazione del termine per l’iscrizione a ruolo, trattandosi di provvedimento ordinatorio agevolmente integrabile, attraverso l’istanza formulabile ai sensi dell’art. 289 c.p.c., o mediante iscrizione direttamente eseguita dall’interessato e non certo idoneo a ritenere concluso il giudizio.
Cass. civ. n. 10959/2010
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l’ordinanza di cui all’art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell’attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo.
Qualora, con riguardo all’esecuzione di una sentenza di condanna alla demolizione di opere edili, in sede di comparizione delle parti davanti al giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 612 c.p.c. insorgano contestazioni circa la necessità o meno del rilascio di apposita concessione amministrativa per il compimento dei lavori, ovvero in ordine all’individuazione del soggetto tenuto a richiedere il provvedimento concessorio, le relative questioni non investono l’esistenza del titolo ed il diritto dell’esecutante, ma attengono alle modalità dell’esecuzione stessa. Ne consegue che il provvedimento con cui il suddetto giudice statuisca sulle indicate questioni, così come il provvedimento con cui si limiti a disporre la sospensione dell’esecuzione fino al rilascio della menzionata concessione, integrano atti del processo esecutivo, come tali non impugnabili con l’appello.
Cass. civ. n. 11703/2009
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare, è inammissibile l’opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il provvedimento di rigetto dell’istanza, ex art. 487 c.p.c., di modifica o di revoca del provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., abbia determinato le modalità dell’esecuzione, in quanto, scaduti i termini per proporre opposizione avverso quest’ultimo provvedimento, non è possibile “recuperare” tale facoltà con un’istanza di modifica o revoca.
Cass. civ. n. 11458/2007
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, il provvedimento che il pretore pronuncia, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., per determinare le modalità dell’esecuzione, stabilendo il modo in cui, in concreto, deve essere eseguito ciò che illegittimamente non è stato fatto o deve essere distrutto ciò che illegittimamente è stato fatto, e designando altresì l’ufficiale giudiziario e le persone che devono provvedere all’attuazione pratica della volontà della legge accertata nel titolo, ha natura ordinatoria e configura un atto esecutivo, come tale impugnabile, da parte dei soggetti interessati, soltanto con l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c. Qualora, nelle more di detto giudizio, il giudice dell’esecuzione modifichi l’ordinanza impugnata, dando luogo a un provvedimento ricognitivo di quello precedente, detto provvedimento, in quanto privo di contenuto precettivo autonomo, non ha bisogno di essere a sua volta impugnato, poiché l’opposizione già proposta è idonea a rimuovere gli effetti scaturenti da quello precedente. (Nella specie, l’ordinanza impugnata, da un lato, aveva impartito indicazioni circa le modalità di esecuzione del titolo, cagionando per questa parte la declaratoria di cessazione della materia del contendere, dall’altro, aveva confermato la pronuncia sulle spese resa nel precedente provvedimento, su cui la sentenza confermata dalla S.C. si è validamente pronunciata).
Cass. civ. n. 407/2006
I provvedimenti interinali di reintegrazione hanno il carattere della esecutività, ma non danno luogo ad esecuzione forzata, atteso che, con essi, non si realizza ad un’alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di esecuzione che si svolge ex officio iudicis. Pertanto, la loro esecuzione deve avvenire omettendo l’osservanza delle formalità dell’ordinario processo di esecuzione e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto, bastando, nei confronti dell’intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva, con la conseguenza che le spese del precetto, ove intimato, non sono ripetibili.
Cass. civ. n. 13914/2005
In caso di compravendita di bene immobile stipulata (e trascritta nei registri immobiliari) in pendenza di giudizio di cognizione avente il medesimo ad oggetto ed al cui esito sia stato imposto un obbligo di fare mediante esecuzione di determinate opere (nel caso, demolizione), l’acquirente ha diritto a che, nell’ambito del successivo giudizio di determinazione delle modalità dell’esecuzione ex art. 612 c.p.c., gli vengano notificati il titolo esecutivo ed il precetto, al fine di essere posto in grado di svolgere in tale sede la propria attività difensiva.
Cass. civ. n. 13666/2003
L’esecuzione dei provvedimenti interinali in tema di reintegrazione e manutenzione del possesso si colloca al di fuori del processo di esecuzione previsto e regolato dal libro terzo del codice di procedura civile, stante la natura e funzione propria degli anzidetti provvedimenti, diretti a soddisfare in via temporanea ed urgente l’esigenza di tutelare il possessore da attentati che il suo potere di fatto sulla cosa abbia subito o stia subendo e perciò revocabili e modificabili dallo stesso giudice che li ha emessi. Ne consegue che l’esecuzione coattiva dei provvedimenti anzidetti non si realizza nelle forme dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare ex art. 612 c.p.c., ma si svolge senza essere vincolata a quelle forme o a quelle competenze sotto il controllo e la determinazione delle modalità dello stesso giudice che li ha emessi.
Cass. civ. n. 10994/2003
Anche prima della entrata in vigore delle disposizioni sul procedimento cautelare uniforme, i provvedimenti urgenti aventi come contenuto ordini di fare o di non fare, ovvero di consegna o rilascio, — e quindi tutti i provvedimenti cautelari aventi come contenuto ordini diversi dalla dazione di somme di denaro — non avevano natura di titolo esecutivo forzata; per la loro attuazione era ed è necessario rivolgersi al giudice della cautela affinché emetta i provvedimenti che si rendono necessari.
Cass. civ. n. 3992/2003
In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, qualora il giudice dell’esecuzione, dopo aver pronunziato ex art. 612 c.p.c. per determinare le modalità dell’esecuzione (stabilendo il modo in cui, in concreto, deve essere eseguito ciò che illegittimamente non è stato fatto o deve essere distrutto ciò che illegittimamente è stato fatto, con designazione dell’ufficiale giudiziario e delle persone che devono provvedere all’attuazione pratica della volontà della legge accertata nel titolo), emetta una seconda ordinanza con la quale disponga nuovamente in ordine al mero svolgimento dell’esecuzione, rimane integrata una mera violazione dell’art. 131 c.p.c. rimediabile con le impugnazioni ordinarie ovvero, se ne ricorrono i presupposti, con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (sempre che il giudice non eserciti, anche su sollecitazione di parte, i poteri di relativa revoca ai sensi dell’art. 487 c.p.c.); ove per contro con la detta (seconda) ordinanza il giudice dell’esecuzione dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva intrapresa, va a tale provvedimento riconosciuta natura sostanziale di sentenza, in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (cioè su una opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall’esecutato o rilevata d’ufficio dal giudice), e come tale esso è impugnabile con l’appello. (In applicazione del suindicato principio, la S.C., nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha ritenuto avere il giudice dell’esecuzione correttamente disposto, con riferimento ad opere di demolizione, che dovesse tenersi conto delle regole e delle cautele fissate dalla legislazione urbanistica e suggerite dal c.t.u., in quanto la fissazione di tali regole faceva parte del provvedimento esecutivo, suscettibile di impugnazione per vizi di questo procedimento).
In tema di esecuzione forzata in forma specifica, il titolo esecutivo indica il risultato perseguito e l’ordinanza ex art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della pubblica amministrazione, che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell’esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva della realizzazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo. (In applicazione del suindicato principio, la Suprema Corte, nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha ritenuto essere stato dal giudice dell’esecuzione, con riferimento ad opere di demolizione, correttamente richiesto — su indicazione del Ctu — il nulla osta del Genio civile e del Comune, trattandosi di richieste amministrative che il medesimo poteva e doveva proporre quali strumenti indispensabili per l’attuazione del diritto indicato nel titolo, appartenenti alla fase esecutiva del procedimento e non incidenti sulla posizione sostanziale dei creditori).
Poiché ai sensi degli artt. 2931 c.c. e 612, 613 c.p.c. la titolarità dei diritti e degli obblighi delle parti deve rimanere identica prima e dopo l’esecuzione forzata, la tutela esecutiva non può andare al di là dell’attuazione della situazione sostanziale, la quale, pertanto, non può essere modificata dal giudice dell’esecuzione. Ne consegue che chi intende ottenere l’esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di obblighi di fare (o di non fare) deve chiedere al giudice dell’esecuzione che siano determinate (con provvedimento revocabile o modificabile, ove non abbia avuto ancora esecuzione, dallo stesso giudice che l’ha emesso ai sensi dell’art. 487 c.p.c., nonché impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi) le modalità dell’esecuzione (art. 612, primo comma, c.c.), specificando la prestazione indicata nel titolo, da eseguirsi da parte del debitore.
Cass. civ. n. 3990/2003
In materia di esecuzione di obblighi di fare, l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione decide la controversia insorta tra le parti in ordine al contenuto della condanna ha natura di sentenza ed è, quindi, impugnabile con l’appello, ma il giudice del gravame deve limitarsi a pronunziare in ordine a detto profilo e non può stabilire le modalità dell’esecuzione, in quanto la fissazione di queste ultime è riservata alla competenza funzionale del giudice dell’esecuzione.
In materia di esecuzione forzata di un’obbligazione di fare (nella specie, avente ad oggetto la riduzione delle luci e vedute illegittimamente aperte in un edificio), derivante da una sentenza pronunciata nei confronti di più persone (nel caso in esame, comproprietarie dell’immobile), soggetto passivo dell’esecuzione è esclusivamente quella di esse che versa in una situazione possessoria che gli permetta di eseguire l’obbligazione e, quindi, non occorre che il titolo esecutivo ed il precetto siano notificati a tutti i soggetti obbligati; pertanto, l’obbligato che si trovi in detta situazione, identificato quale soggetto passivo dell’esecuzione, è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), qualora non gli sia stato notificato il titolo esecutivo o il precetto, ovvero opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.), se non sia contemplato nel titolo come soggetto obbligato, oppure vanti una situazione possessoria prevalente e non pregiudicata dal titolo, ma non può eccepire la mancata notificazione del titolo esecutivo e del precetto agli altri coobbligati.
Cass. civ. n. 3979/2003
Qualora, con riguardo all’esecuzione forzata di una sentenza di condanna alla demolizione di opere per il ripristino di una stradella di accesso a un fabbricato, dopo la pronunzia dei provvedimenti ex art. 612 c.p.c. siano insorte difficoltà di esecuzione ed il pretore, adito da una delle parti, abbia emesso un’ordinanza onerando il direttore dei lavori di attivarsi per il rilascio di tutte le autorizzazioni e con concessioni amministrative prima di procedere alla demolizione, il provvedimento non configura una limitazione del diritto sostanziale dei creditori, trattandosi di richieste appartenenti alla fase esecutiva del procedimento, in quanto strumentali all’attuazione del diritto indicato nel titolo. Ne consegue che detto provvedimento non è impugnabile con l’appello.
Cass. civ. n. 3786/2003
In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare spetta al giudice dell’esecuzione accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell’obbligazione idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto, e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo, con provvedimento impugnabile con l’appello là dove si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, giacché in tale caso esso non costituisce più manifestazione dei poteri del giudice dell’esecuzione e conseguentemente non è impugnabile nelle forme proprie degli atti esecutivi. La sentenza che decide sull’appello in ordine a tale questione è a sua volta ricorribile per cassazione per motivi concernenti l’interpretazione fornita dal giudice del merito circa l’accertamento compiuto e l’ordine impartito dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, la cui disamina non attribuisce tuttavia alla Corte Suprema di Cassazione il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l’interpretazione della sentenza è conforme ai principi che regolano tale giudizio nonché funzionale alla concreta attuazione del comando in essa contenuto.
In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, ai fini di accertare la portata della sentenza della cui esecuzione si tratta il giudice dell’esecuzione può avvalersi anche di atti del processo diversi dalla sentenza, come la relazione del consulente tecnico cui sia stato dal giudice (della cognizione) affidato il compito di compiere le indagini poste a base dell’accertamento dei fatti e del comando formulato nella decisione.
Cass. civ. n. 9202/2001
L’efficacia esecutiva della sentenza di spoglio non è esaurita da un comportamento dell’obbligato, che solo apparentemente si sostanzia in un’esecuzione spontanea della decisione, perché il contrasto con la situazione possessoria tutelata continua ad essere presente, sebbene per effetto di altre situazioni create dall’obbligato; tale efficacia è invece esaurita dal ristabilimento dell’originaria situazione di possesso ottenuta attraverso l’esecuzione coattiva della sentenza, posto che questa può consentire l’eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso che sia trovata in atto durante l’esecuzione forzata. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto che potesse ottenersi l’eliminazione coattiva degli impedimenti al possesso diversi da quelli rispetto ai quali la sentenza costituente titolo esecutivo si era pronunciata, e anche successivi alla stessa e alla sua iniziale esecuzione spontanea).
Cass. civ. n. 6381/1997
Alla dichiarazione di illegittimità del provvedimento di assegnazione del lavoratore a mansioni non equivalenti a quelle precedentemente svolte consegue la condanna del datore di lavoro ad adibire nuovamente il dipendente alle precedenti mansioni, essendo egli obbligato a rimuovere gli effetti dell’atto illegittimo, ma tale condanna ad un facere, oltre a non essere coercibile, non è equiparabile all’ordine di reintegrazione previsto, per le ipotesi di declaratoria di inefficacia, annullamento o nullità del licenziamento, dall’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che ha i caratteri della tipicità e dell’eccezionalità ed efficacia reale. (Nella specie il giudice di primo grado aveva ordinato alla società convenuta di riassegnare il lavoratore alle precedenti mansioni o ad altre di equivalente contenuto professionale; il giudice di appello, nel confermare tale sentenza, aveva in motivazione affermato l’applicabilità in via analogica dell’art. 18 legge n. 300 del 1970; la S.C. ha confermato quest’ultima sentenza correggendone la motivazione in base al riportato principio, nonché rilevando che «l’ordine» giudizialmente rivolto al datore di lavoro equivale ad una condanna ad un facere e dichiarando la mancanza di interesse del datore di lavoro a dolersi del riferimento nella pronuncia di condanna anche a mansioni equivalenti).
Cass. civ. n. 10109/1996
Il principio per cui l’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non è suscettibile di esecuzione in forma specifica può applicarsi anche nel caso di sospensione in via giudiziaria del provvedimento di trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro, sussistendo pure in tale ipotesi la necessità di un comportamento attivo del datore di lavoro nell’ambito delle proprie competenze organizzative e funzionali, postoché egli può ottemperare all’ordine di reintegrazione assegnando il dipendente a mansioni diverse da quelle precedenti, purché ad esse equivalenti. Ne deriva che, ottenuta in via d’urgenza dal Pretore la sospensione del trasferimento, il lavoratore non è passibile di sanzioni disciplinari qualora, senza chiedere allo stesso Pretore la determinazione delle modalità di esecuzione del provvedimento di sospensione, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., offra al datore di lavoro le proprie prestazioni nella sede originaria, rifiutandosi di assumere servizio in quella nuova.
Cass. civ. n. 2911/1995
In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, ove il titolo esecutivo sia costituito da una sentenza di condanna all’esecuzione di opere rappresentanti un quid novum, la mancata indicazione specifica delle singole opere da eseguire non si traduce in un difetto di certezza e di liquidità del diritto riconosciuto dalla sentenza allorché, anche a seguito dell’integrazione del dispositivo con le altre parti della sentenza, compresa l’esposizione dei fatti, le opere da eseguire vengano qualificate dal loro preciso riferimento alle finalità della loro imposizione e, in particolare, all’eliminazione di un pregiudizio ben individuato, nonché ad una situazione di fatto sufficientemente precisata che valga ad individuare il tipo dell’intervento (nella specie, trattavasi di eliminare le cause della perdita di acqua da un laghetto, identificate nell’insufficiente compattezza del rilevato e nella mancanza di adeguate opere di ammortamento). In tali ipotesi, è rimessa al giudice dell’esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell’opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni.
Cass. civ. n. 10713/1994
Ai fini dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, il verbale di conciliazione giudiziale non costituisce titolo esecutivo — e la questione può essere rilevata d’ufficio anche in cassazione — ai sensi dell’art. 612 c.p.c., il quale menziona, quale titolo per l’esecuzione, solo la sentenza (per tale, peraltro, dovendosi intendere, estensivamente, ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione dell’esigenza di un previo accertamento circa la fungibilità e quindi la coercibilità dell’obbligo di fare o di non fare. (Nella specie era stato chiesto l’annullamento di sentenza che aveva accolto, per una ragione di merito, un’opposizione a precetto; la S.C. sulla base degli esposti principi, ha proceduto a cassazione senza rinvio).
Cass. civ. n. 2021/1993
In tema di esecuzione di obblighi di fare o non fare, e per il caso in cui il creditore, insorgendo contro l’ordinanza del pretore determinativa delle modalità di tale esecuzione, chieda al medesimo pretore la revoca di detta ordinanza, domandando anche una pronuncia dichiarativa dell’illegittimità di quelle modalità, l’inammissibilità di quest’ultima domanda, discendente dalla scadenza del termine fissato dall’art. 617 c.p.c. per l’opposizione agli atti esecutivi, non incide sul potere-dovere di pronunciare sull’istanza di revoca, in considerazione della sua inerenza ad un provvedimento di natura ordinatoria, come tale revocabile da parte del giudice che l’ha emesso.
Cass. civ. n. 7124/1991
Nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al giudice dell’esecuzione il quale deve risolvere solo i problemi e le difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell’obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere ad integrare il titolo stesso.
Cass. civ. n. 12160/1990
La sentenza che abbia pronunciato il divorzio ancorché comporti per la donna la perdita del cognome del marito aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (ai sensi dell’art. 5, secondo comma, L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 9 della L. 6 marzo 1987, n. 74), ove non contenga alcuna statuizione in ordine all’uso del detto cognome da parte della moglie, non costituisce titolo sufficiente per ottenere l’esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c. della relativa inibitoria nei confronti della moglie che, malgrado la sentenza di divorzio, continui ad usare il cognome del marito, essendo a tal fine necessaria un’esplicita enunciazione del divieto del relativo uso.
Cass. civ. n. 9584/1990
L’ordine di reintegrazione del lavoratore nelle specifiche mansioni esercitate prima che fosse dal datore di lavoro illegittimamente destinato ad altro incarico, dequalificante rispetto alla conseguita posizione professionale, non è suscettibile di esecuzione forzata in quanto il facere con esso imposto consiste nel ripristino di un rapporto di collaborazione riferito ad un’attività determinata, mentre lo stesso datore di lavoro può legittimamente ottemperare a detto ordine assegnando il dipendente a mansioni diverse e caratterizzate soltanto dal requisito della equivalenza alle precedenti, in ragione del legittimo esercizio dello jus variandi.
Cass. civ. n. 9125/1990
, Cass. civ.,, sez. lav.,, 20 settembre 1990, n. 9584,, Pani c. Banco Sardegna.
Anche quando sia emesso nell’ambito di un procedimento di repressione di condotta antisindacale, l’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato — salva la indiretta coazione conseguente all’obbligo di continuare a corrispondere la retribuzione — non è suscettibile di esecuzione specifica, tenuto conto della lettera e della ratio (quale risultante anche dai relativi lavori preparatori) dell’art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300 ed atteso, in particolare, che, mentre l’esecuzione specifica è possibile per le obbligazioni di fare di natura fungibile, la reintegrazione suddetta comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell’azienda (e cioè un comportamento riconducibile ad un semplice pati) ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo-funzionale, consistente, fra l’altro, nell’impartire al dipendente le opportune direttive, nell’ambito di una relazione di reciproca ed infungibile collaborazione.
Cass. civ. n. 8729/1987
In sede di esecuzione forzata di una sentenza di condanna alla demolizione di edificio, passata in giudicato, le questioni attinenti alla compatibilità di detta condanna con i poteri dell’autorità municipale in materia urbanistica restano precluse dalla formazione di detto giudicato e non interferiscono sulla giurisdizione del pretore, in ordine alla determinazione delle modalità della esecuzione a norma dell’art. 612 c.p.c., né possono autorizzare un’impugnazione davanti al giudice amministrativo delle decisioni adottate in proposito dal pretore medesimo, trattandosi di provvedimenti giurisdizionali, non amministrativi.
Cass. civ. n. 245/1987
La pronuncia di condanna al ripristino di una preesistente situazione dei luoghi, resa a carico della parte che l’abbia mutata con opere illegittime, non richiede, al fine della specificazione del comando giurisdizionale e della sua conseguente idoneità a costituire titolo esecutivo, l’individuazione e descrizione di tali opere, essendo sufficiente che dal complessivo contesto della decisione sia evincibile la suddetta situazione, implicando quella condanna la rimozione di tutto ciò che sia incompatibile con la situazione medesima (mentre resta devoluta al giudice dell’esecuzione la soluzione di eventuali problemi tecnici che insorgano in sede di concreta attuazione del comando).
Cass. civ. n. 6901/1986
Il giudice dell’esecuzione, chiamato a dare i provvedimenti necessari per l’attuazione di un obbligo di fare, accertato con sentenza emessa in un giudizio di cognizione, è tenuto — per renderne possibile la concreta attuazione — a procedere all’interpretazione della sentenza stessa, individuando la sua portata precettiva sulla base delle statuizioni contenute nel dispositivo e delle considerazioni enunciate nella motivazione, che costituiscono le premesse logiche e giuridiche della decisione. Siffatta interpretazione, che attiene ad un giudicato esterno, è incensurabile in sede di legittimità, sempreché non risultino violati i criteri giuridici che regolano l’estensione ed i limiti della cosa giudicata ed il procedimento interpretativo sia immune da vizi logici o giuridici.
Cass. civ. n. 2458/1985
L’ordine di reintegrare nel posto di lavoro il lavoratore illegittimamente licenziato, emesso dal pretore ai sensi del primo comma dell’art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300 e non adempiuto spontaneamente dal datore di lavoro, è suscettibile di essere attuato in via esecutiva — oltre il mantenimento dell’obbligo della retribuzione — soltanto per quanto riguarda gli effetti realizzabili senza la collaborazione dell’obbligato (come, ad esempio, quello della ricostruzione della posizione contributiva presso gli enti previdenziali ed assistenziali) e non anche per quanto concerne la riammissione all’attività lavorativa presso l’azienda, derivando l’incoercibilità di tale particolare obbligo (la quale nulla toglie alla realità della tutela accordata dalla norma) dalla generale impossibilità di ottenere coattivamente l’esecuzione di un facere infungibile ed essendo lo stesso legislatore — con la previsione dell’obbligo del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni dalla data della sentenza di reintegrazione fino all’attuazione di questa — a riconoscere l’impossibilità, o, quanto meno, la inopportunità, di una forzosa reimmissione del lavoratore nella organizzazione aziendale.
Cass. civ. n. 2072/1985
Nel procedimento esecutivo relativo ad obblighi di fare, qualora l’esecutato sostenga di avere spontaneamente adempiuto la propria obbligazione e l’esecutante lo contesti, il giudice dell’esecuzione deve stabilire se l’adempimento dell’esecutato sia conforme al comando espresso nel titolo esecutivo, mentre non rientra tra i suoi poteri quello di indicare per l’esecuzione una modalità incompatibile con il contenuto sostanziale del precetto. Pertanto, disposta con sentenza passata in giudicato la rimozione di un muretto di appoggio di una sopraelevazione per essere costruito su altro muro di proprietà aliena, il giudice dell’esecuzione non può ritenere eseguita la detta condanna anche senza la rimozione del muretto sol perché questo abbia perduto, a seguito dei lavori eseguiti dall’esecutato, la funzione di appoggio ove non venga meno la sua insistenza sull’altrui manufatto, alla cui rimozione era diretta la statuizione posta in esecuzione.
Cass. civ. n. 4277/1984
Nell’imporre l’obbligo di fare un quid novi, il giudice della cognizione — affinché detta statuizione possa costituire idoneo titolo esecutivo — deve precisare in tutte le sue modalità la prestazione dovuta, la cui concretezza non può essere desunta che dal giudicato, diversamente da quanto avviene in tema di obbligo di ripristino di una situazione preesistente, nella quale ipotesi l’ordine di fare trova in tale situazione il necessario modello di raffronto da cui è dato desumere la misura, la portata ed i limiti del quid faciendum.
Cass. civ. n. 1312/1984
La determinazione della misura concreta della distanza da rispettare tra due costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della domanda diretta ad accertare la violazione delle norme sulle distanze fra edifici, senza alcuna possibilità per questo giudice di rimettere la relativa determinazione al giudice dell’esecuzione, il quale deve limitarsi a risolvere i problemi che possono insorgere in sede di attuazione dell’obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non già provvedere ad integrare il titolo onde renderlo effettivamente eseguibile.
Cass. civ. n. 6421/1983
A seguito del passaggio in giudicato della sentenza del giudice ordinario recante condanna del privato ad un fare, la giurisdizione dello stesso giudice ordinario, con riguardo al procedimento di esecuzione di tale sentenza, ai sensi degli artt. 612 e ss. c.p.c., nonché con riguardo al giudizio di opposizione avverso l’esecuzione medesima, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., non può trovare limitazioni o deroghe per il fatto che l’attuazione di quell’obbligo implicherebbe indebite interferenze in un settore in cui la pubblica amministrazione esercita poteri discrezionali, come quello delle opere edilizie, trattandosi di circostanza che non investe le attribuzioni giurisdizionali del giudice dell’esecuzione o dell’opposizione all’esecuzione, ma solo il merito delle questioni alla sua decisione affidate, e che inoltre, per quanto riguarda la sua eventuale rilevanza sulla giurisdizione del giudice che ha reso quella sentenza posta in esecuzione, resta preclusa dalla formazione del giudicato.
Cass. civ. n. 2441/1983
La giurisdizione del giudice ordinario, secondo la previsione dell’art. 612 c.p.c., con riguardo all’istanza rivolta ad ottenere la determinazione delle modalità di esecuzione di un obbligo di fare inerente ad opere edili, non resta esclusa per il fatto che sia sopravvenuto un provvedimento del sindaco, reso nell’esercizio dei poteri di vigilanza e repressione in materia edilizia, di demolizione di quelle opere, trattandosi di circostanza rilevante soltanto in ordine alle decisioni di merito del suddetto giudice, sotto il profilo dell’incidenza dell’atto amministrativo sulla concreta possibilità di procedere ad esecuzione forzata.
Cass. civ. n. 6912/1982
L’attuazione coattiva del diritto, attribuito con la sentenza di divorzio o di separazione al coniuge non affidatario della prole minorenne, di visitare periodicamente i figli e di intrattenersi con loro per un certo tempo (cosiddetto diritto di visita), deve avvenire nelle forme dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, sicché la competenza spetta, quale giudice dell’esecuzione, al pretore del luogo in cui l’obbligo deve essere adempiuto, e cioè nel cui mandamento si trova il comune di residenza del minore.
Cass. civ. n. 5946/1982
L’inizio dell’esecuzione forzata di obblighi di fare, anche al fine delle modalità di introduzione delle opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c. nonché dei poteri spettanti al giudice dell’esecuzione in caso di opposizione, non è segnato dalla notificazione del precetto, ma richiede il compimento di atti successivi.
La competenza del pretore, ai sensi degli artt. 16, 26 e 612 c.p.c., in ordine alla esecuzione di un provvedimento di affidamento di minore, in base alla riconducibilità dell’esecuzione medesima fra quelle attinenti ad obblighi di fare, non si estende al procedimento di carattere cognitivo che venga introdotto con opposizione a norma dell’art. 615 c.p.c., per il quale il giudice competente, stante la non utilizzabilità di criteri di valore, va individuato esclusivamente alla stregua dei criteri della competenza per materia. Pertanto, qualora detto provvedimento riguardi l’affidamento di un minore ad uno dei genitori naturali che l’hanno entrambi riconosciuto, e detta opposizione venga proposta avverso il precetto, prima cioè dell’inizio dell’esecuzione, l’opposizione stessa è devoluta al tribunale per i minorenni competente a conoscere dell’affidamento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 615 primo comma c.p.c., 317 bis c.c. e 38 disp. att. c.c., tenendo conto che, in caso di genitori naturali non conviventi, l’esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive (art. 317 secondo comma c.c.), e che tale convivenza rappresenta il parametro per il collegamento fra esercizio della potestà genitoriale e competenza del tribunale per i minorenni sulle controversie idonee ad incidere su detta potestà.
Cass. civ. n. 5332/1982
Con riguardo all’esecuzione promossa per l’adempimento, nelle forme di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., di obbligo di fare (nella specie, demolizione di un fabbricato) a carico di un privato, in forza di sentenza di condanna resa dal giudice ordinario, e nel corso della causa di opposizione avverso l’esecuzione medesima, è inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, da parte del debitore, diretto a sostenere che il provvedimento di condanna richiesto al giudice ordinario esorbiterebbe dai suoi poteri, perché ricadente nell’ambito riservato alle valutazioni della pubblica amministrazione, giacché una siffatta tesi può riflettersi sulla giurisdizione soltanto in sede di cognizione.
Cass. civ. n. 4798/1982
In tema di esecuzione forzata di un obbligo di fare, il ricorso alla procedura prevista dall’art. 612 c.p.c., affinché siano determinate le modalità dell’esecuzione, non è necessario nella particolare ipotesi in cui la stessa sentenza costituente titolo esecutivo abbia, con una statuizione di carattere ultrattivo, già disposto al riguardo, affidando il relativo incarico da svolgersi d’ufficio, pur se nel contraddittorio delle parti, dopo la conclusione del processo di cognizione ad un consulente tecnico già nominato nel corso di tale processo.
Cass. civ. n. 6500/1981
Ai sensi dell’art. 2933 c.c. l’inadempimento dell’obbligo di non fare può dare luogo ad esecuzione forzata in danno dell’obbligato solo qualora la condotta del trasgressore siasi concretizzata in un quid novi, suscettibile di essere posto coattivamente nel nulla, giacché soltanto in tal caso l’intervento del giudice può determinare il ripristino della situazione preesistente, compromessa ed alterata dal soggetto che era tenuto ad astenersi da qualsiasi modificazione. (In applicazione di tale principio si è, nella specie ritenuto che l’intimazione — emessa nel corso di un procedimento possessorio a carico del titolare di un frantoio — non fosse eseguibile in forma specifica mediante distruzione delle strutture del frantoio stesso potenzialmente idonee a consentire scarichi siffatti).
Cass. civ. n. 292/1979
L’attuazione coattiva di un provvedimento relativo all’affidamento di minori, contenuto in una sentenza munita di efficacia esecutiva (nella specie, ordine di restituzione del minore ai genitori, a seguito di revoca della dichiarazione di adottabilità in esito a giudizio di opposizione) è disciplinata dalle norme sull’esecuzione forzata di un obbligo di fare, a norma dell’art. 612 c.p.c., e, pertanto, dopo la notificazione del precetto, deve essere proposto ricorso al pretore, il quale, sentita la parte obbligata, determina i tempi e le modalità dell’esecuzione.
Cass. civ. n. 2869/1978
L’interpretazione del titolo esecutivo, diretta a stabilire il contenuto dell’obbligo di fare, rientra nell’esclusiva competenza funzionale del pretore quale giudice dell’esecuzione, qualunque sia il valore pecuniario del facere, costituendo essa il logico e necessario presupposto dei provvedimenti demandatigli dall’art. 612 c.p.c.
Cass. civ. n. 4656/1976
In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, l’ordinanza con la quale il pretore, anziché determinare le modalità dell’esecuzione (art. 612 secondo comma c.p.c.), risolva il contrasto insorto fra le parti sulla ricorrenza o meno di un adempimento spontaneo del precetto contenuto nel titolo esecutivo, ha contenuto e natura di sentenza, ove ne sussistano i requisiti formali indispensabili, e, pertanto, ancorché affetta da vizi comportanti nullità (quale la mancanza di motivazione), acquista autorità di cosa giudicata, in difetto di impugnazione. In tale ipotesi, la successiva pronuncia con la quale lo stesso pretore revochi quel provvedimento, erroneamente ritenendolo un’ordinanza, è viziata da violazione di giudicato interno, rilevabile d’ufficio anche dalla Corte di cassazione, cui spetta, a detto fine, il potere di interpretare e qualificare il provvedimento medesimo.
Cass. civ. n. 2674/1976
Nell’indagine volta a controllare se il titolo posto a base dell’esecuzione forzata ai sensi dell’art. 612 c.p.c. abbia il requisito della liquidità, va distinta la condanna a fare un quid novi da quella che disponga di fare alcunché per il ripristino della situazione anteriormente esistente, giacché nella prima ipotesi il giudice di cognizione deve precisare in tutte le sue modalità la prestazione dovuta, la cui concretezza non può essere desunta che dal giudicato, mentre nella seconda ipotesi l’ordine di fare trova nella situazione anteriore da ripristinare il necessario modello di raffronto, da cui è dato desumere la misura, la portata e i limiti del quid faciendum. Pertanto il pretore, adito quale giudice dell’esecuzione per la determinazione delle modalità di attuazione dell’obbligo direintegrazione nel possesso di una servitù, non esorbita dai limiti segnati ai suoi poteri dall’art. 612 c.p.c. qualora determini le opere necessarie per il ripristino dello stato di fatto preesistente allo spoglio, disponendo anche l’eliminazione di quelle che tale stato avevano alterato, perché solo in tal modo può aver luogo il detto ripristino, così come ordinato dal titolo esecutivo.
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