17 Mar Articolo 100 Codice di procedura civile — Interesse ad agire
Per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”16″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 31012/2017
Le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, – sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale – le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto illegittimo il frazionamento della pretesa creditoria poiché, già nei gradi di merito, a fronte delle deduzioni della parte convenuta, il ricorrente si era limitato a giustificare il proprio interesse ad agire separatamente richiamando il rischio di prescrizione, senza specificare né la decorrenza né la scadenza della stessa, e non evidenziando l’esistenza di elementi di fatto idonei a diversificare le prestazioni, tali da giustificare una trattazione separata delle sue pretese creditorie).
Cass. civ. n. 25235/2017
L’attore non può impugnare per incompetenza – anche per materia – la pronuncia, pur a lui sfavorevole nel merito, del giudice da esso stesso adito, non sussistendo l’interesse ad impugnare la sentenza, per la non configurabilità di una soccombenza in punto di competenza.
Cass. civ. n. 6128/2017
Il condomino che intenda impugnare una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla detta deliberazione di un apprezzabile pregiudizio personale, in termini di mutamento della sua posizione patrimoniale.
Cass. civ. n. 4257/2017
L’accordo transattivo di carattere novativo, stipulato tra le parti in causa ed avente ad oggetto il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio, determina la cessazione della materia del contendere, atteso che da detto negozio derivano obbligazioni oggettivamente diverse da quelle preesistenti.
Cass. civ. n. 1309/2017
L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi al giudice contabile e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad impugnarne la sentenza per denunciarne il difetto di giurisdizione, in quanto non soccombente su tale, autonomo capo della decisione.
Cass. civ. n. 16162/2015
Colui che agisce con l’azione di accertamento, anche se negativo, deve essere titolare dell’interesse, attuale e concreto, ad ottenere un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa. (Nella specie, la S.C. ha escluso l’interesse dei ricorrenti all’azione inibitoria con riferimento allo sfruttamento economico di alcuni film, non avendo gli stessi validamente acquistato i relativi diritti).
Cass. civ. n. 12893/2015
In tema di azione di mero accertamento, l’interesse ad agire postula che colui che agisce si qualifichi titolare di diritti o di rapporti giuridici e non anche l’attualità della lesione del diritto poiché è sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, dovendosi ritenere che la rimozione di tale incertezza non rappresenti un interesse di mero fatto ma un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto sussistere l’interesse ad agire della ricorrente in relazione all’oggettiva incertezza dei termini di un contratto di assicurazione, ingenerata dalla condotta stragiudiziale e processuale tenuta dalla compagnia assicuratrice).
Cass. civ. n. 10036/2015
La valutazione dell’interesse ad agire deve essere effettuata con riguardo all’utilità del provvedimento richiesto rispetto alla lesione denunciata, non rilevando la valutazione delle diverse, ed eventualmente maggiori, utilità di cui l’attore potrebbe beneficiare in forza di posizioni giuridiche soggettive alternative a quella fatta valere. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto l’interesse ad agire di cittadini italiani dipendenti di società statunitense controllata da impresa italiana al fine di ottenere il trattamento previdenziale italiano pur non avendo essi svolto una comparazione tra il vantaggio perseguito e le utilità derivanti dal sistema previdenziale statunitense e delle forme assicurative private attivate dal datore di lavoro).
Cass. civ. n. 9934/2015
L’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. deve valutarsi alla stregua della prospettazione operata dalla parte, sicché non può negarsene la sussistenza nell’impugnazione proposta contro il decreto reiettivo del reclamo avverso la pronuncia risolutiva di un concordato preventivo ex art. 186 legge fall. (nel testo, utilizzabile “ratione temporis”, anteriore alla modifica apportatagli dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169), di cui si censuri l’omessa, contestuale ed asseritamente automatica dichiarazione di fallimento del debitore, sul solo presupposto che le conseguenze da trarsi dai fatti allegati siano diverse da quelle sostenute dall’istante, ciò riguardando la fondatezza nel merito della domanda.
Cass. civ. n. 3598/2015
In caso di intervenuta transazione extraprocessuale, ove le parti non concordino sulla rilevanza giuridica dell’atto o sul suo contenuto, occorre accertare se la transazione investa o meno l’oggetto della domanda contenziosa, sicché non può esservi declaratoria di cessazione della materia del contendere, che costituisce pronuncia processuale per sopravvenuta carenza di interesse, inidonea a formare giudicato solo processuale, ma va esaminato il merito della domanda, che va rigettata qualora si accerti che la transazione ha regolamentato tutti i rapporti contenziosi tra le parti.
Cass. civ. n. 13485/2014
L’accertamento dell’interesse ad agire, inteso quale esigenza di provocare l’intervento degli organi giurisdizionali per conseguire la tutela di un diritto o di una situazione giuridica, deve compiersi con riguardo all’utilità del provvedimento giudiziale richiesto rispetto alla lesione denunziata, prescindendo da ogni indagine sul merito della controversia e dal suo prevedibile esito.
Cass. civ. n. 3885/2014
Sussiste l’interesse ad agire con un’azione di mero accertamento negativo della propria condotta di contraffazione di un brevetto altrui, posto che tale azione mira a conseguire, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva, un risultato utile giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice. (Nella specie, l’imprenditore chiedeva di accertare che il proprio prodotto – un rubinetto valvolato – non costituiva la contraffazione di un altro, in tal modo chiarendo una situazione di incertezza relativamente alla possibilità di produrlo e distribuirlo lecitamente).
Cass. civ. n. 2447/2014
La legittimazione generale all’azione di nullità, prevista dall’art. 1421 cod. civ., non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse, a norma dell’art. 100 cod. proc. civ., non potendo tale azione essere esercitata per un fine collettivo di attuazione della legge. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato improponibile la domanda di un cittadino che, promossa una raccolta di firme contro la vendita di un edificio comunale, aveva chiesto di invalidarla ai sensi dell’art. 1471, n. 1, cod. civ.).
Cass. civ. n. 11214/2013
L’interesse all’impugnazione per vizi formali di una deliberazione dell’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., pur non essendo condizionato al riscontro della concreta incidenza sulla singola situazione del condomino, postula comunque che la delibera in questione sia idonea a determinare un mutamento della posizione dei condomini nei confronti dell’ente di gestione, suscettibile di eventuale pregiudizio. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell’enunciato principio, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato la carenza di interesse del condomino all’impugnativa di due delibere, l’una concernente la nomina di un tecnico per la verifica di necessità dei lavori di manutenzione sollecitati dallo stesso ricorrente, l’altra volta a precisare la portata della precedente espressione della volontà assembleare, proprio nel senso di eliminare il contenuto negativo ravvisato dal singolo partecipante nella prima deliberazione).
Cass. civ. n. 9722/2013
In assenza di prova di un concreto pregiudizio subìto dal ricorrente, sussiste difetto di interesse all’impugnazione in relazione alla censura con cui si faccia valere l’apposizione, ai sensi dell’art. 133 cod. proc. civ., di una data di pubblicazione della sentenza diversa da (e precedente a) quella di deliberazione della stessa.
Cass. civ. n. 15944/2012
L’interesse ad agire del socio per l’impugnazione delle delibere approvative del bilancio attiene alla corretta informazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa. Ne consegue che al socio non può essere negato il diritto di essere posto a conoscenza dei fatti che nel corso dell’esercizio hanno inciso sul patrimonio e sull’andamento economico della società, che non viene a cessare, ma solo a trasferirsi in capo ai liquidatori, in conseguenza della sopravvenienza di una causa di scioglimento della società.
Cass. civ. n. 7096/2012
L’interesse ad agire con azione di mero accertamento sussiste ogni qualvolta ricorra una pregiudizievole situazione d’incertezza relativa a diritti o rapporti giuridici, la quale, anche con riguardo ai rapporti di lavoro subordinato, non sia eliminabile senza l’intervento del giudice, sicché è ammissibile la domanda del datore di lavoro diretta all’accertamento della legittimità del licenziamento, ancorché questo risulti essere già stato impugnato dal lavoratore con l’instaurazione di un precedente giudizio, salva in ogni caso l’applicabilità della disciplina della continenza delle cause ex art. 39 c.p.c.; né è configurabile un abuso dello strumento processuale da parte del datore di lavoro, in considerazione della sussistenza di un interesse ad agire degno di tutela.
Cass. civ. n. 6770/2012
La regola dell’art. 100 cod. proc. civ., a norma della quale per proporre una domanda, o per resistere ad essa, è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, nel senso che l’interesse ad impugnare presuppone una soccombenza, anche parziale, intesa in senso sostanziale e non formale. Nell’accertamento dell’interesse all’impugnazione non si può prescindere dalla prospettazione delle domande formulata dalla parte, anche con specifico riferimento all’eventuale preferenza per l’accoglimento dell’una domanda o dell’altra, rilevando in tal senso il principio dispositivo e non potendo il giudice valutare una domanda come più vantaggiosa per la parte, senza riguardo all’ordine di preferenza nel quale la parte stessa l’abbia introdotta.
Cass. civ. n. 3229/2012
Qualora il giudice, oltre a dichiarare l’inammissibilità della domanda o del gravame, con ciò spogliandosi della “potestas iudicandi” sul merito della controversia, la abbia anche rigettata, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; tale principio deve essere logicamente esteso anche ai casi in cui l’inammissibilità riguardi solo un capo di domanda o motivo di gravame.
Cass. civ. n. 1236/2012
Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, in cui l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di una sua parte. Ne consegue che deve considerarsi inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta, ove non sussista la possibilità, per la parte che l’ha fatta, di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile. (Nella specie, il giudice di gravame aveva confermato la statuizione di primo grado in ordine al rigetto di un’eccezione di nullità dell’atto di citazione, rilevando che, nonostante essa fosse stata erroneamente ritenuta intempestiva, era poi stata fondatamente respinta nel merito; la S.C. ha, quindi, reputato inammissibile per difetto di interesse il motivo di ricorso con cui ci si doleva dell’omesso esame e statuizione sulla tempestività dell’anzidetta eccezione).
Cass. civ. n. 6597/2011
Ove sia stata eseguita la trascrizione di una domanda giudiziale al di fuori dei casi di cui agli artt. 2652 e 2653 c.c., sussiste l’interesse della controparte ad agire, anche in separato giudizio, per il relativo risarcimento del danno, a prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza che rigetta la domanda illegittimamente trascritta; in tal caso, infatti, la cancellazione della trascrizione non è collegata al mancato accoglimento della domanda, ma alla sua intrinseca illegittimità, del tutto autonoma rispetto al giudizio di merito nel cui ambito la trascrizione era stata disposta.
Cass. civ. n. 3386/2011
Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. (Nella specie, relativa ad una controversia tra fratelli relativa alla divisione del patrimonio confluito in una comunione tacita familiare, il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda rilevando sia l’infondatezza delle singole pretese, sia, in ogni caso, che i ricorrenti erano stati equamente compensati per l’attività prestata nell’ambito dell’impresa familiare, e la corte d’appello aveva dichiarato inammissibile il gravame attesa l’omessa impugnazione di quest’ultima “ratio decidendi”; la S.C., in applicazione del principio di cui alla massima, ha dichiarato inammissibile il ricorso).
Cass. civ. n. 15355/2010
L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui il tribunale, accogliendo l’opposizione agli atti esecutivi proposta dal ricorrente aveva annullato un’ordinanza del giudice dell’esecuzione con cui era stata dichiarata la nullità del pignoramento per impignorabilità del credito sottoposto ad espropriazione, astenendosi dallo statuire in ordine alla domanda di accertamento dell’obbligo del terzo debitore, proposta in via subordinata dal creditore precedente).
Cass. civ. n. 10909/2010
Poichè l’interesse all’impugnazione – quale manifestazione del generale interesse ad agire, di cui all’art 100 c.p.c. – è costituito dalla soccombenza rispetto alla domanda proposta, il creditore del simulato alienante, che abbia proposto in via principale l’azione di simulazione ed in via subordinata l’azione revocatoria e che, pur vittorioso rispetto a quest’ultima, sia rimasto soccombente rispetto alla prima, ha interesse ad appellare la sentenza del primo giudice nella parte relativa al rigetto dell’azione di simulazione, stante la più penetrante tutela offerta da quest’ultima azione con l’effetto restitutorio del bene nel patrimonio del simulato alienante.
Cass. civ. n. 5569/2010
L’interesse ad agire in “negatoria servitutis” sussiste anche quando, pur non denunciandosi l’avvenuto esercizio di atti materialmente lesivi della proprietà dell’attore, questi, a fronte di inequivoche pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa, intenda far chiarezza al riguardo con l’accertamento dell’infondatezza delle dette pretese.
Cass. civ. n. 4830/2010
Il fideiussore non può esercitare, nei confronti del creditore a favore del quale ha prestato garanzia, un diritto facente capo al debitore garantito, trattandosi di un diritto del tutto estraneo alla propria sfera giuridica. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la “legitimatio ad causam” del fideiussore relativamente all’azione di risarcimento dei danni patiti dal debitore principale per effetto della violazione del dovere di buona fede da parte del creditore).
Cass. civ. n. 2999/2010
In tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall’art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell’atto impugnato, essendo l’interesse ad agire, richiesto dall’art. 100 c.p.c. come condizione dell’azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall’accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni.
Cass. civ. n. 1011/2010
Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale l’amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all’edificio condominiale. Ne consegue che ciascun condomino è legittimato ad impugnare personalmente, anche per cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettività condominiale ove non vi provveda l’amministratore.
Cass. civ. n. 24532/2009
Nel processo di esecuzione il diritto del cittadino al giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost. (come modificato dalla L. costituzionale n. 2 del 1999), deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. Ne consegue che, non potendosi configurare un generico ed astratto diritto al contraddittorio, è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare a fondamento dell’impugnazione stessa le ragioni per le quali tale lesione abbia comportato l’ingiustizia del processo stesso, causata dall’impossibilità di difendersi a tutela di quei diritti o di quelle posizioni giuridicamente protette.
Cass. civ. n. 18557/2009
Nel caso in cui il lavoratore dipendente abbia fatto istanza di accertamento del suo diritto al superiore inquadramento e, nelle more, il datore di lavoro sia stato assoggettato a procedura fallimentare, resta inalterato l’interesse ad agire da parte del lavoratore medesimo atteso che la domanda principale è finalizzata, nella sostanza, ad accertare lo “status” del lavoratore in funzione della successiva istanza di ammissione al passivo del fallimento.
Cass. civ. n. 12283/2009
In tema di mediazione, ai sensi dell’articolo 1755 c.c. la conclusione dell’affare, che dell’azione dal mediatore promossa per ottenere la provvigione costituisce condizione, non deve necessariamente sussistere al momento dell’introduzione della domanda, ben potendo sopravvenire nel corso del giudizio stesso, che, in tale caso, deve proseguire per la decisione nel merito.
Cass. civ. n. 3758/2009
Nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, è inammissibile per difetto di interesse la doglianza dedotta come motivo di impugnazione, relativa alla mancata adozione di un diverso rito, qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato; l’esattezza del rito, infatti, non deve essere considerata fine a sé stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale. (Nella specie, le S.U. hanno confermato la sentenza di condanna emessa dalla Sezione disciplinare del Cons. Sup. Magistratura, evidenziando che il ricorrente – il quale lamentava che il procedimento fosse stato trattato secondo le norme del d. lgs. n. 109 del 2006 – non aveva in concreto indicato quali attività difensive avrebbe potuto svolgere, diverse da quelle effettivamente compiute, ove il procedimento fosse stato trattato secondo le disposizioni del r.d. n. 511 del 1946).
Cass. civ. n. 12642/2008
Mentre il passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento relativa al quantum debeatur essendo obiettivamente condizionata al permanere della precedente sentenza non definitiva sull’an non fa venire meno l’interesse all’impugnazione già proposta contro quest’ultima sentenza, altrettanto non avviene ove sia passata in giudicato la pronuncia di rigetto della domanda di liquidazione dei danni, venendo in tal caso meno ogni interesse a proseguire nel giudizio sull’an con conseguente inammissibilità dell’impugnazione proposta contro quest’ultima sentenza.
Cass. civ. n. 11903/2008
La doglianza relativa alla mancata adozione di un diverso rito, dedotta come motivo di impugnazione, è inammissibile per difetto di interesse qualora non si indichi uno specifico pregiudizio processuale che dalla sua mancata adozione sia concretamente derivato, in quanto l’esattezza del rito non deve essere considerata fine a sé stessa, ma può essere invocata solo per riparare una precisa ed apprezzabile lesione che, in conseguenza del rito seguito, sia stata subita sul piano pratico processuale.
Cass. civ. n. 24246/2007
In tema di licenziamento ingiustificato, non sussiste un interesse all’affermazione dell’esistenza di una forma di illiceità piuttosto che di un’altra, sotto il profilo della non giustificatezza, ove la distinzione non produca rilevanti effetti in ordine alle conseguenze dell’illegittimità del recesso (principio affermato in controversia in cui la S.C. ha confermato la decisione della corte territoriale — che a fronte dell’ingiustificatezza del licenziamento di un dirigente, aveva condannato il datore di lavoro a corrispondere soltanto una penale e l’indennità supplementare, rigettando la domanda di reintegrazione in ragione della qualifica dirigenziale rivestita dal lavoratore —, respingendo le censure del lavoratore, secondo cui il licenziamento ad nutum potesse essere intimato soltanto al dirigente apicale e non al dirigente meramente convenzionale, sul presupposto dell’inerenza delle censure al mero carattere illecito del licenziamento e non già agli effetti della reintegrazione).
Cass. civ. n. 17877/2007
La tutela giurisdizionale e l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., hanno per oggetto diritti o interessi legittimi nella loro intera fattispecie costitutiva e non, invece, singoli fatti giuridicamente rilevanti, peculiari interpretazioni o singoli presupposti della complessiva situazione di diritto sostanziale, non suscettibili di tutela giurisdizionale in via autonoma, separatamente dal diritto nella sua interezza. (Nella specie, in una controversia relativa a cessione di credito derivante da contratto di assicurazione e ritenuta inefficace dalla sentenza di primo grado, la S.C., confermando la sentenza di appello, ha ritenuto la società appellante priva di interesse ad impugnare, atteso che le posizioni toccate erano meramente accessorie e strumentali alla posizione di diritto sostanziale della società nei confronti delle altre parti).
Cass. civ. n. 27187/2006
Poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza. Parimenti non sono ammissibili questioni di interpretazioni di norme o di atti contrattuali se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto. (In applicazione del principio soprariportato, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza di merito che aveva affermato la giurisdizione del giudice ordinario su questioni interpretative relative a clausole contrattuali attinenti alla base di calcolo della pensione di ex dipendenti delle Ferrovie dello Stato, spettando tale interpretazione alla Corte dei Conti, giudice fornito di giurisdizione sulla domanda)
Cass. civ. n. 26906/2006
Solo nell’ambito del medesimo processo (e delle diverse fasi di impugnazione ) è consentito dedurre errori, nullità, illegittimità o irregolarità in esso verificatesi, ed ove tali deduzioni intervengano in un diverso processo il giudice adito non ha il potere di rilevare, dichiarare e/o correggere gli eventuali errori o le nullità ed illegittimità dell’altro processo, con conseguente inammissibilità per difetto di interesse della parte alla relativa proposizione. Il principio non subisce eccezione neanche nell’ipotesi in cui la parte contumace non abbia avuto conoscenza del processo per la nullità di citazioni o notificazioni e siano decorsi i termini di impugnazione, poiché anche in tale caso deve sempre essere impugnata la sentenza emessa nel processo in cui si siano verificate le nullità che la medesima parte intende denunciare, deducendo la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 327, secondo comma, c.p.c. (e perciò l’inapplicabilità della disciplina in materia di decadenza dall’impugnazione, di cui al primo comma del medesimo articolo), se non altro perché, in mancanza di impugnazione, passerebbe in giudicato la decisione pronunciata nel processo asseritamente affetto da nullità, e tale giudicato esterno sarebbe rilevabile d’ufficio anche in sede di legittimità (nella specie, in applicazione di tali principi, è stata cassata senza rinvio la sentenza della commissione tributaria regionale che aveva omesso di dichiarare l’inammissibilità del ricorso avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di registro relativo ad un precedente avviso di accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, ricorso con cui il contribuente si doleva di vizi di notifica di quella pronuncia).
Cass. civ. n. 17234/2006
Presupposto indefettibile del potere di impugnazione della parte è la difformità della pronuncia rispetto alle conclusioni prese dalla stessa, e non anche la mera esigenza teorica di correttezza processuale, priva di utilità pratica in quanto non finalizzata ad una diversa pronuncia sul bene della vita che è oggetto del procedimento. Tale presupposto è richiesto anche qualora sia il P.M. ad impugnare, in quanto questi, anche se portatore di un interesse pubblico, è comunque una parte, sia pure formale, e, in quanto tale, soggetto al principio in base al quale l’interesse ad una pronuncia di carattere processuale non può mai essere disgiunto da un interesse sostanziale.
Cass. civ. n. 17026/2006
L’interesse ad agire con un’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della lesione d’un diritto o una contestazione, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sulla esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, non superabile se con con l’intervento del giudice. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva dichiarato improponibile, per difetto di interesse, in considerazione della mancata contestazione della controparte, l’azione promossa dagli acquirenti di un bene immobile per accertare che il loro titolo di acquisto si estendeva anche ad un vano i cui estremi catastali non erano stati indicati nel contratto).
Cass. civ. n. 7635/2006
In tema di procedimento civile, l’interesse ad agire, comporta la verifica, da compiersi d’ufficio da parte del giudice, in ordine all’idoneità della pronuncia richiesta a spiegare un effetto utile alla parte istante, dovendo lo stesso escludersi soltanto nel caso in cui la decisione risulterebbe priva di conseguenze giuridicamente apprezzabili in relazione alla situazione giuridica fatta valere in giudizio. La sussistenza di tali requisiti non può ritenersi esclusa per il semplice fatto che la parte istante, o altra alla stessa legata da vincoli litisconsortili, abbia proposto domande di contenuto diverso nel medesimo o in altro giudizio, tanto meno nei casi in cui le prospettazioni siano alternative o gradate. (Nella specie, la S.C. ha escluso che la proposizione in un precedente giudizio della domanda di accertamento della natura condominiale del sottotetto — ancora sub iudice — potesse tradursi nella carenza di interesse a fare valere in un successivo giudizio il diritto di proprietà esclusiva sul medesimo bene statuendo che la seconda pronuncia avrebbe determinato per la parte istante un vantaggio ancora maggiore rispetto a quello derivante dall’accoglimento della prima domanda).
Cass. civ. n. 1755/2006
L’interesse ad agire, necessario anche ai fini dell’impugnazione del provvedimento giudiziale, va apprezzato in relazione alla utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi pratici sulla decisione adottata. È, pertanto, inammissibile, per difetto d’interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte e che sia diretta all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico. (In applicazione di tale principio, la Corte Suprema ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui il ricorrente aveva lamentato la mancata qualificazione della domanda proposta in giudizio nei di lui confronti, senza specificare quale danno tale omissione aveva in concreto arrecato all’esercizio dei suoi diritti nel processo, né in che modo essa aveva inciso sull’esito della lite).
Cass. civ. n. 21289/2005
La soccombenza di una parte e il suo conseguente interesse ad impugnare la sentenza sono da escludere nel caso in cui l’absolutio ab instantia sia avvenuta per effetto di statuizione meramente processuale, potendo in tal caso configurarsi interesse all’impugnazione soltanto in presenza di rituale proposizione di domanda riconvenzionale finalizzata all’esame del merito. Infatti, posto che l’interesse a proporre impugnazione ha origine e natura processuali e sorge dalla soccombenza, connessa ad una statuizione del giudice a quo capace di arrecare pregiudizio alla parte, la quale, proprio col mezzo dell’impugnazione, tende a rimuovere il pregiudizio stesso, non può ipotizzarsi una situazione di pregiudizio per il convenuto nel fatto che il giudice a quo ravvisando un ostacolo processuale all’esame della domanda, ne riconosca la soggezione a siffatta situazione ostativa, anziché esaminarla nel merito. (Nella specie la S.C., in mancanza di domanda riconvenzionale in ordine alla natura autonoma del rapporto, ha dichiarato inammissibile il ricorso incidentale avverso sentenza di merito che aveva verificato la natura subordinata del rapporto di lavoro ai soli fini della pronuncia sulla giurisdizione).
Cass. civ. n. 4778/2005
Poiché l’interesse all’impugnazione sussiste quando dalla decisione sfavorevole possa derivare alla parte soccombente un pregiudizio concreto e giuridicamente rilevante, che possa essere rimosso dal giudice ad quem l’attribuzione autoritativa del bene in sede di divisione ad un richiedente piuttosto che ad un altro implica necessariamente – salvo che non vi sia stato accordo fra i comunisti in ordine al soggetto o ai soggetti attributari dell’immobile medesimo – la soccombenza della parte di cui non è stata accolta la richiesta d’attribuzione e che, pertanto, ha interesse ad impugnare la decisione, chiedendone la riforma. Né tale interesse è escluso dalla natura dichiarativa della divisione e dalla postulata equivalenza economica delle porzioni dei condividenti, giacché lo stesso costituisce un riflesso dell’interesse sostanziale riconosciuto ai comunisti dall’art.720 c.c. di ottenere l’attribuzione in natura dell’immobile non comodamente divisibile od utilmente frazionabile.
Cass. civ. n. 2204/2005
Il passaggio in giudicato della sentenza definitiva sul quantum debeatur essendo questa condizionata al permanere della precedente sentenza non definitiva sull’an non fa venir meno l’interesse all’impugnazione già proposta contro quest’ultima sentenza.
Cass. civ. n. 18248/2004
Il principio secondo il quale il creditore che abbia ottenuto una pronuncia di condanna nei confronti del debitore ha esaurito il suo diritto di azione e non può, per difetto di interesse, richiedere ex novo un decreto ingiuntivo contro il medesimo debitore per lo stesso titolo e lo stesso oggetto trova deroga nei casi in cui la domanda di condanna rivolta al giudice, nella preesistenza di altro ed analogo titolo giudiziale, non mira alla duplicazione del titolo già conseguito, ma è diretta a far valere una situazione giuridica che non ha trovato esaustiva tutela, suscettibile di conseguimento di un risultato ulteriore rispetto alla lesione denunziata. (In applicazione del succitato principio di diritto la S.C. ha dichiarato improponibile, per difetto di interesse ad agire, la domanda di condanna all’adempimento del credito derivante dall’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione consensuale, dato che il relativo decreto di omologazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 1988, costituisce un titolo esecutivo, in forza del quale è anche possibile iscrivere ipoteca giudiziale).
Cass. civ. n. 8135/2004
La legittimazione generale prevista dall’art. 1421 c.c. all’azione di nullità non esime l’attore dall’onere di dimostrare il proprio, concreto interesse ad agire, e perciò, se oggetto dell’impugnazione è una delibera condominiale, essa non può esser impugnata per nullità da un terzo estraneo al condominio, bensì per l’esperibilità di detta azione è necessaria la qualità di condomino — presente o assente, consenziente o dissenziente che sia stato all’approvazione della delibera impugnata — la quale costituisce requisito essenziale per la configurabilità del suo interesse ad agire per la nullità della delibera medesima.
Cass. civ. n. 18736/2003
Il principio contenuto nell’art. 100 c.p.c., secondo il quale per proporre una domanda o per resistere ad essa è necessario avervi interesse, si applica anche al giudizio di impugnazione, nel quale, in particolare, l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di essa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone, e non può consistere nella sola correzione della motivazione della sentenza impugnata ovvero di parte di essa, per cui deve considerarsi inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta ove non sussista la possibilità per la parte che l’ha fatta di conseguire un risultato utile e giuridicamente apprezzabile (in applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha ritenuto inammissibile per difetto di interesse l’impugnazione proposta dal terzo chiamato, volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della chiamata, in quanto nel giudizio di merito la domanda di garanzia nei suoi confronti era stata rigettata).
Cass. civ. n. 12049/2003
In tema di assicurazione della responsabilità civile, nel caso di confluenza nello stesso processo della causa di risarcimento dei danni proposta dal danneggiato contro il responsabile e della causa di garanzia proposta da questo contro l’assicuratore in forza del contratto di assicurazione, il danneggiato non è parte del rapporto processuale relativo a questa seconda causa, che rimane del tutto distinta dalla prima (non potendo agire direttamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile del danno, facoltà prevista con disciplina speciale dalla legge n. 990 del 1969 e quindi non applicabile al di fuori della fattispecie di cui alla citata legge) e non ha, quindi, interesse ad impugnare le statuizioni relative alla azione di garanzia.
Cass. civ. n. 8200/2003
L’interesse ad agire consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice; pertanto, in presenza di assegno bancario oggetto di ammortamento ad istanza del portatore, sussiste l’interesse del traente a proporre azione di accertamento negativo del debito relativo al rapporto sottostante nei confronti del portatore medesimo, né la dichiarazione resa in giudizio da quest’ultimo di nulla avere a pretendere nei confronti del traente comporta la cessazione della materia del contendere, giacché, considerati gli effetti di reintegrazione della legittimazione cartolare che il decreto di ammortamento produce, deve ritenersi che tale dichiarazione liberatoria non realizzi quel soddisfacimento delle ragioni alla base dell’azione di accertamento negativo, che possono esser soddisfatte soltanto da una pronuncia giurisdizionale in ordine al rapporto sostanziale sottostante al titolo cartolare.
Cass. civ. n. 13906/2002
In materia di procedimento civile, l’interesse ad agire o a resistere in giudizio ex art. 100 c.p.c. deve essere apprezzato in relazione all’utilità concreta che dall’eventuale accoglimento della domanda, dell’eccezione o del gravame può derivare al proponente.
Cass. civ. n. 3330/2002
L’assenza di interesse ad agire, richiesto per qualsiasi domanda dall’art. 100 c.p.c. è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, poiché costituisce un requisito per la trattazione del merito della domanda; pertanto, la sua sussistenza va accertata dal giudice anche quando non vi è contrasto tra le parti sul merito della stessa.
Cass. civ. n. 12700/2001
Nei gradi di impugnazione, il principio dell’interesse ad agire si configura diversamente rispetto al giudizio di primo grado, dovendosi tener conto dell’intervenuta pronuncia della sentenza di primo grado, idonea ad assumere la consistenza del giudicato per le parti non impugnate, a causa dei limiti dell’effetto devolutivo dell’appello; ne deriva che nel decidere sulla sussistenza di tale interesse, e quindi sull’ammissibilità dell’impugnazione proposta, si deve aver riguardo agli effetti che potrebbero derivare dal suo accoglimento e alla loro idoneità a soddisfare un interesse della parte impugnante in relazione ai temi del giudizio. Pertanto, l’interesse, ed il conseguente onere della parte soccombente ad impugnare è esteso e nel contempo limitato alle rationes decidendi poste a base della sentenza, ma non coinvolge le questioni sulle quali questa non si sia pronunciata, perchè ritenute assorbite. (Sulla base del principio di cui in massima, la S.C. — in un caso in cui la Commissione tributaria di primo grado aveva annullato la cartella esattoriale impugnata dal contribuente, perché notificata oltre il termine, senza pronunciarsi su altri vizi della cartella denunciati dal contribuente, ritenuti assorbiti dal motivo di annullamento accolto — ha confermato la sentenza impugnata che aveva respinto l’eccezione, sollevata dal contribuente, di inammissibilità dell’appello proposto dall’Amministrazione che non toccava le questioni assorbite).
Cass. civ. n. 10288/2001
È ammissibile l’impugnazione con la quale l’appellante si limiti a dedurre soltanto i vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.; nelle ipotesi in cui, invece, il vizio denunciato non rientra in uno dei casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 cit., è necessario che l’appellante deduca ritualmente anche le questioni di merito, con la conseguenza che, in tali ipotesi, l’appello fondato esclusivamente su vizi di rito, dovrà ritenersi inammissibile, oltre che per difetto di interesse, anche per non rispondenza al modello legale di impugnazione.
Cass. civ. n. 5702/2001
È inammissibile, per difetto di interesse, un’impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande ed eccezioni proposte e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico. (Nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso, ribadendo il predetto principio, in quanto, non avendo i ricorrenti chiesto la condanna dei convenuti al recupero del bene o alla corresponsione del controvalore, un’eventuale cassazione della sentenza che non avesse qualificato l’azione come rivendicazione, non sortirebbe alcun effetto pratico).
Cass. civ. n. 4984/2001
L’accertamento e la valutazione dell’interesse ad agire (da compiersi in via preliminare, prescindendo dall’esame del merito della controversia e dall’ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili) si risolvono in un’indagine sull’idoneità astratta della pronuncia richiesta al conseguimento del risultato utile sperato e non altrimenti conseguibile se non con l’intervento del giudice, e va, pertanto, distinta dalla valutazione relativa al diritto sostanziale fatto valere in giudizio, poiché, nella prima, assume rilievo la questione dell’utilità dell’effetto giuridico richiesto e considerato con giudizio ipotetico conforme alla norma giuridica invocata, mentre, nella seconda, spiega influenza la (diversa) questione dell’effettiva conformità alla norma sostanziale dell’effetto giuridico che si chiede al giudice. (Principio affermato in fattispecie relativa alla richiesta di condanna al pagamento di spese e competenze di avvocato per attività professionale extraprocessuale instaurato dal cliente nei confronti della controparte: la S.C. ha ulteriormente precisato che la questione relativa alla pretesa impossibilità della parte ad agire in subiecta materia sollevava una questione non di interesse ad agire, ma di titolarità attiva del rapporto, attenente al merito, e non era, pertanto, deducibile in sede di legittimità come vizio della sentenza del giudice di pace pronunciata secondo equità a norma dell’art. 113 comma secondo c.p.c.).
Cass. civ. n. 338/2001
La legittimazione generale all’azione di nullità prevista dall’art. 1421 c.c., in virtù della quale la nullità del negozio può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse ed essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, non esime l’attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse ad agire secondo le norme generali e con riferimento all’art. 100 c.p.c., non potendo tale azione essere proposta sotto la specie di un fine generale di attuazione della legge e non potendo il giudice rilevare di ufficio la nullità ove la pronunzia di questa non sia rilevante per la decisione della lite.
Cass. civ. n. 2049/2000
La legittimazione ad agire costituisce una condizione dell’azione, una condizione, cioè, per ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito, la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione, prescindendo dalla effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, onde appartiene al merito della causa l’accertamento in concreto se l’attore e il convenuto siano, rispettivamente dal lato attivo e dal lato passivo, effettivamente titolari del rapporto fatto valere in giudizio. Ne consegue che, a differenza della legitimatio ad causam, intesa come il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sola allegazione di parte, una decisione di merito, favorevole o sfavorevole, la eccezione relativa alla concreta titolarità del rapporto dedotto in giudizio attiene al merito, e non è rilevabile d’ufficio, ma deve essere tempestivamente formulata.
Cass. civ. n. 2022/2000
Il principio enunciato nell’art. 100 c.p.c., secondo cui per proporre una domanda o per contraddire ad essa è necessario avervi interesse, si estende anche ai giudizi di impugnazione nei quali, in particolare, l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di questa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si ricollega pertanto ad una soccombenza, anche solo parziale, nel precedente giudizio, in difetto della quale l’impugnazione è inammissibile.
Cass. civ. n. 1148/2000
L’interesse a proporre impugnazione ha origine e natura processuali e sorge dalla soccombenza, connessa ad una statuizione del giudice a quo capace di recare pregiudizio alla parte (la quale, proprio con il mezzo di impugnazione, tende a rimuovere il pregiudizio stesso). Ne consegue che il convenuto non può considerarsi soccombente — e, pertanto, difetta di interesse ad impugnare — nel caso in cui l’indicato giudice, in presenza di espressa disposizione di legge (che precluda comunque l’esame nel merito della domanda), abbia dichiarato l’estinzione del giudizio. (In base al suddetto principio la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza che — in applicazione alla relativa normativa — aveva dichiarato l’estinzione di un giudizio avente ad oggetto l’accertamento del diritto alla doppia integrazione al minimo della pensione diretta e indiretta in godimento delle ricorrenti).
Cass. civ. n. 13690/1999
Anche nel caso di domande formulate in termini alternativi nei confronti di due diversi soggetti, va affermata la carenza di interesse all’impugnazione – nel caso, al ricorso per cassazione – ove sussista una situazione di indifferenza dell’attore rispetto all’uno o all’altro dei risultati della propria azione, per l’assoluta intrinseca equivalenza dei risultati stessi, in rapporto alla misura, all’entità dei diritti azionati e alle prospettive di assicurarne il soddisfacimento. (Nella specie, l’attore aveva chiesto la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento del danno alternativamente nei confronti di due diversi soggetti, che si erano rispettivamente impegnati all’assunzione in prova ed all’assunzione definitiva al termine del tirocinio; la S.C. ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse il ricorso proposto dal lavoratore avverso la sentenza di accoglimento della domanda nei confronti di uno solo dei convenuti, sul presupposto che il ricorrente non aveva dimostrato né prospettato che tale accoglimento si fosse tradotto nel rifiuto di un risultato più ampio ugualmente oggetto dell’azione da lui proposta).
Cass. civ. n. 9057/1999
In tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per difetto di interesse, anche del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre fondata, del tutto legittimamente, su di essa. (Nella specie il pretore, pronunciando su di una opposizione ad un’ordinanza-ingiunzione emessa dal Ministero del Tesoro, su indicazione della Consob, nei confronti di una società di intermediazione mobiliare all’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 1 del 1991, aveva accolto l’impugnazione ritenendo, da un canto non fondate nel merito le contestazioni, e, dall’altro, nella diversa ipotesi della loro fondatezza, legittimamente configurabile la fattispecie dell’errore scusabile in capo alla società. La Suprema Corte, rilevato che l’impugnazione del Ministero, soffermandosi esclusivamente sul merito della contestazione e sulla presunta fondatezza della medesima, non aveva affatto investito il secondo profilo motivazionale della pronuncia relativo all’errore scusabile, ha dichiarato inammissibile il gravame, enunciando il principio di diritto di cui in massima).
Cass. civ. n. 10062/1998
L’interesse ad agire, previsto quale condizione dell’azione dall’art. 100 c.p.c., con disposizione che consente di distinguere fra le azioni di mera iattanza e quelle oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un determinato diritto, va identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò che senza il processo e l’esercizio della giurisdizione l’attore soffrirebbe un danno, sicché esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece conseguentemente escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima od accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche. (Nella specie la S.C. ha dichiarato inammissibile la domanda proposta nella parte relativa alla computabilità di determinati elementi retributivi in relazione ai compensi per festività lavorate e permessi retribuiti, poiché il ricorrente non aveva dedotto e provato di avere lavorato durante festività o di avere fruito di permessi retribuiti).
Cass. civ. n. 3639/1998
La contestazione della titolarità passiva del rapporto controverso attiene al merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata, sicché non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, né può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 486/1998
L’interesse ad agire previsto dall’art. 100 del codice di rito consiste nell’esigenza di ottenere un risultato giuridicamente apprezzabile (e non altrimenti conseguibile se non) mediante il ricorso all’autorità giurisdizionale, sì che l’indagine circa la sua esistenza è volta ad accertare se l’istante possa ottenere, attraverso lo strumento processuale, il risultato ripromessosi, a prescindere da ogni esame del merito della controversia (e della stessa ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili), senza che tale interesse possa legittimamente dirsi escluso dalla possibilità di esperimento di azioni alternative, pur volte alla tutela della medesima situazione giuridica contro lo stesso (o contro altro) soggetto. (Nell’affermare il principio di diritto ora riportato, la S.C. ha confermato la pronuncia di merito con la quale si riconosceva la sussistenza dell’interesse ad agire in capo ad una società che, concesso un mutuo ad un soggetto del quale il notaio rogante l’atto aveva attestato la personale conoscenza, si era poi trovata nella materiale impossibilità di riscuotere le relative rate di ammortamento essendo emersa, all’esito dell’inadempimento del mutuatario, la falsità dei dati anagrafici da questi dichiarati. La società aveva, pertanto, convenuto il notaio in giudizio per il risarcimento dei danni — nonostante il mutuo stesso risultasse garantito da iscrizione ipotecaria di secondo grado — vedendosi, per l’effetto, riconosciuto dai giudici di merito l’interesse ad agire, giusto disposto dell’art. 100 del codice di rito, a prescindere dalla possibilità, pur concretamente configurabile, di esperire altre e diverse azioni giudiziarie a tutela del credito vantato).
Cass. civ. n. 6525/1997
Il creditore che abbia ottenuto sentenza di condanna del debitore ha esaurito il diritto di azione e non può, per difetto di interesse rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, richiedere ulteriormente un decreto ingiuntivo contro il medesimo debitore per lo stesso titolo e lo stesso oggetto di cui alla sentenza.
Cass. civ. n. 3110/1995
La legittimazione passiva attiene al dovere del convenuto di subire il giudizio instaurato dall’attore con una determinata prospettazione del rapporto oggetto della controversia, indipendentemente dalla effettiva sussistenza e titolarità del rapporto stesso. Costituisce, invece, questione di merito quella sollevata dal convenuto col dedurre la propria estraneità al rapporto, ossia la mancanza di titolarità affermata invece da parte attrice.
Cass. civ. n. 8451/1992
La parte nei cui confronti sia stato emesso un provvedimento di urgenza, ove intenda opporsi al precetto con cui la controparte gli ingiunge di eseguire delle ulteriori opere, sostenendo di averle eseguite, può domandare (come è consentito all’altra parte) l’accertamento della regolare esecuzione della misura cautelare, come anche la specificazione delle ulteriori opere eventualmente necessarie, al giudice che ha emesso il detto provvedimento o a quello davanti al quale si è iniziata la causa di merito, tal che è improponibile per carenza di interesse una siffatta domanda di accertamento in un distinto giudizio di cognizione instaurato con l’opposizione al precetto.
Cass. civ. n. 8025/1992
L’interesse ad agire, necessario anche ai fini della impugnazione della sentenza, va desunto ed apprezzato in relazione all’utilità giuridica che l’eventuale accoglimento del gravame può arrecare alla parte che lo propone e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, del tutto priva di riflessi pratici. Ne consegue che, in materia di controversie elettorali, è inammissibile l’impugnazione proposta avverso sentenza dichiarativa della decadenza per incompatibilità rispetto ad una data carica elettiva, allorché l’impugnante risulti essere dimesso dalla stessa carica.
Cass. civ. n. 115/1982
L’ordinamento processuale vigente riconosce l’esistenza di un interesse del convenuto a far dichiarare l’inesistenza in concreto di una volontà di legge che garantisca il bene della vita richiesto dall’attore con la domanda mediante una apposita richiesta di rigetto. Tale interesse diviene concreto solo quando una domanda ritualmente proposta nei confronti del convenuto sia rimessa all’esame del giudice in sede di decisione mediante la formulazione di una conclusione specifica, ovvero mediante il richiamo ricettizio delle conclusioni formulate nell’atto introduttivo o mediante un comportamento processuale considerato tacitamente confermativo delle conclusioni formulate con la domanda, ravvisabile quando l’attore non compare all’udienza di precisazione delle conclusioni.
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