10 Gen Art. 151 — Separazione giudiziale
La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all’educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
[adrotate group=”6″]
Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 3925/2018
Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.
Cass. civ. n. 25966/2016
L’allontanamento di uno dei coniugi dalla casa familiare costituisce, in difetto di giusta causa, violazione dell’obbligo di convivenza e la parte che, conseguentemente, richieda la pronuncia di addebito della separazione ha l’onere di provare il rapporto di causalità tra la violazione e l’intollerabilità della convivenza, gravando, invece, sulla controparte la prova della giusta causa.
Cass. civ. n. 14728/2016
In tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa, e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto, configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost., non può di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che l’adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore previsti dagli artt. 143 e 147 c.c., in tal modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per l’interesse della prole. (Nella specie, la S.C. ha escluso l’addebitabilità della separazione al marito in ragione della adesione di quest’ultimo alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, non potendo attribuirsi rilievo all’impegno assunto in sede di celebrazione del matrimonio religioso di conformare l’indirizzo della vita familiare ed educare i figli secondo i dettami della religione cattolica, estraneo alla disciplina civilistica del vincolo).
Cass. civ. n. 19328/2015
In tema di separazione personale dei coniugi, l’allontanamento dal domicilio coniugale, in quanto violazione dell’obbligo coniugale di convivenza, può costituire causa di addebito della separazione, a meno che sia avvenuto per giusta causa, che può essere rappresentata dalla stessa proposizione della domanda di separazione, di per sé indicativa di pregresse tensioni tra i coniugi e, quindi, dell’intollerabilità della convivenza, sicché, in caso di allontanamento e di richiesta di addebito, spetta al richiedente, e non all’altro coniuge, provare non solo l’allontanamento dalla casa coniugale, ma anche il nesso di causalità tra detto comportamento e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Cass. civ. n. 16909/2015
La separazione consensuale è un negozio di diritto familiare avente un contenuto essenziale – il consenso reciproco a vivere separati, l’affidamento dei figli, l’assegno di mantenimento ove ne ricorrano i presupposti – ed un contenuto eventuale, che trova solo occasione nella separazione, costituito da accordi patrimoniali del tutto autonomi che i coniugi concludono in relazione all’instaurazione di un regime di vita separata (nella specie vendita della casa familiare e attribuzione del ricavato a ciascun coniuge in proporzione al denaro investito nel bene stesso). Ne consegue che questi ultimi non sono suscettibili di modifica (o conferma) in sede di ricorso “ad hoc” ex art. 710 c.p.c. o anche in sede di divorzio, la quale può riguardare unicamente le clausole aventi causa nella separazione personale, ma non i patti autonomi, che restano a regolare i reciproci rapporti ai sensi dell’art. 1372 c.c.
Cass. civ. n. 16859/2015
In tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.
Cass. civ. n. 8713/2015
Ai sensi dell’art. 151 c.c. la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno della vita dei coniugi, purché oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile; a tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere da una condizione di disaffezione al matrimonio di una sola delle parti, che renda incompatibile la convivenza e che sia verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso ogni addebito alla moglie, dando conto dello stato di depressione in cui ella era piombata, sfociato in un tentativo di suicidio, così ampiamente motivando sull’intollerabilità della convivenza coniugale).
Cass. civ. n. 12182/2014
In tema di separazione giudiziale, non può costituire motivo di addebito della separazione la commissione, dopo il deposito del ricorso per separazione personale e nelle more dell’udienza presidenziale, di un grave reato in danno del coniuge (nella specie, tentato sequestro a scopo di estorsione) ove il fatto sia avvenuto in un contesto di oggettiva e perdurante assenza tra le parti del “consortium vitae” e nell’ambito di rapporti interpersonali non più connotati dall'”affectio coniugalis”, per la risalente e stabilizzata cessazione della convivenza delle parti.
Cass. civ. n. 7998/2014
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, ed al fine della addebitabilità della separazione, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell’art. 2730 cod. civ., ma possono essere utilizzate – unitamente ad altri elementi probatori – quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili, sempre che esprimano non opinioni o giudizi o stati d’animo personali, ma fatti obiettivi, suscettibili, in quanto tali, di essere valutati giuridicamente come indice della violazione di specifici doveri coniugali. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, estrapolando acriticamente alcune frasi da una lettera inviata dal marito alla moglie nella quale il primo riconosceva di non essere stato un buon marito, vi ravvisava una sostanziale confessione della violazione dei doveri coniugali, con conseguente venir meno, ai fini della pronuncia di addebito, della rilevanza causale della violazione del dovere di fedeltà da parte della moglie).
Cass. civ. n. 1164/2014
In tema di separazione tra coniugi, la situazione di intollerabilità della convivenza va intesa in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, verificabile in base a fatti obiettivi, come la presentazione stessa del ricorso ed il successivo comportamento processuale, (e, in particolare alle negative risultanze del tentativo di conciliazione), dovendosi ritenere, in tali evenienze, venuto meno quel principio del consenso che, con la riforma attuata attraverso la legge 19 maggio 1975, n. 151, caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale.
Cass. civ. n. 25843/2013
La dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio, cui sia ricollegabile l’irreversibile crisi del rapporto fra coniugi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto, da un lato, che la condotta, consistente in furti di danaro ai familiari ed ai terzi ed in acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili, configurasse violazione dei doveri matrimoniali, e, dall’altro lato, che il disturbo della personalità del coniuge, caratterizzato da un impulso compulsivo all’acquisto, non escludesse la capacità di intendere e di volere e l’imputabilità di detti comportamenti).
Cass. civ. n. 17199/2013
Non può costituire motivo di addebito della separazione la circostanza che uno dei coniugi, pur non avendone la necessità, per essere l’altro disposto ad assicurargli con le proprie risorse il mantenimento di un tenore di vita adeguato al livello economico-sociale del nucleo familiare, abbia voluto dedicarsi ad una attività lavorativa retribuita o ad un’altra occupazione più o meno remunerativa ed impegnativa, al fine di affermare la propria personalità anche al di fuori dell’ambito strettamente domestico, purché tale decisione non comporti una violazione dell’ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi, in quanto contrastante con l’indirizzo della vita familiare da essi concordato prima o dopo il matrimonio, e non pregiudichi l’unità della famiglia, in quanto incompatibile con l’adempimento dei fondamentali doveri coniugali e familiari.
Cass. civ. n. 16270/2013
In tema di separazione personale con richiesta di addebito, proposta da uno dei coniugi e basata sulla infedeltà dell’altro, la successiva generica manifestazione di una volontà riconciliativa da parte del coniuge non infedele, poiché di per sé non elide la gravità del “vulnus” subito ed, in ogni caso, costituisce un “posterius” rispetto alla proposizione della domanda di separazione con richiesta di addebito, in tanto può assumere valore ai fini della esclusione di una efficienza causale dell’infedeltà in ordine alla crisi dell’unione familiare in quanto ad essa corrisponda un positivo riscontro da parte del coniuge infedele.
Cass. civ. n. 15486/2013
In tema di separazione giudiziale, l’addebitabilità della colpa del fallimento del matrimonio deve essere riferita anche al periodo di convivenza pre-matrimoniale, allorchè questo si collochi rispetto al matrimonio come un periodo di convivenza continuativo, che consente, quindi, di valutare complessivamente la vita della coppia e le reciproche responsabilità dei coniugi.
Cass. civ. n. 10719/2013
Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto; tale prova è più rigorosa nell’ipotesi in cui l’allontanamento riguardi pure i figli, dovendosi specificamente ed adeguatamente dimostrare, anche riguardo ad essi, la situazione d’intollerabilità.
Cass. civ. n. 8929/2013
La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 cod. civ quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge.
Cass. civ. n. 2274/2012
Ai fini della separazione giudiziale, l’esistenza di una nuova famiglia, composta dal coniuge, dalla nuova convivente e dal loro figlio minore costituisce sicuro indice della intollerabilità della convivenza matrimoniale.
Cass. civ. n. 2059/2012
Grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà.
Cass. civ. n. 9074/2011
In tema di separazione tra coniugi, la reiterata inosservanza da parte di entrambi dell’obbligo di reciproca fedeltà non costituisce circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione in capo all’uno o all’altro o ad entrambi, quando sia sopravvenuta in un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale quale rispondente al dettato normativo e al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da “affectio coniugalis”.
Cass. civ. n. 8548/2011
In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili – traducendosi nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale dell’altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner – essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest’ultimo e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l’addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.
Cass. civ. n. 4540/2011
L’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato unilateralmente dal coniuge, cioè senza il consenso dell’altro coniuge, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale ed conseguentemente causa di addebitamento della separazione; non concreta, invece, tale violazione il coniuge se risulti legittimato da una “giusta causa”, vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza, ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare. (Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che, addebitando la separazione alla moglie, non aveva ravvisato la giusta causa del suo allontanamento nei frequenti litigi domestici con la suocera convivente e nel conseguente progressivo deterioramento dei rapporti tra gli stessi coniugi).
Cass. civ. n. 817/2011
In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poichè lesivo della pari dignità di ogni persona.
Cass. civ. n. 24574/2008
Nel giudizio di separazione personale, ove venga dedotto come causa di addebitabilità della separazione il mancato accordo sulla fissazione della residenza familiare, il giudice di merito, al fine di valutare i motivi del disaccordo, deve tenere presente che l’art. 144 c.c. rimette la scelta relativa alla volontà concordata di entrambi i coniugi, con la conseguenza che questa non deve soddisfare solo le esigenze economiche e professionali del marito, ma deve soprattutto salvaguardare le esigenze di entrambi i coniugi e quelle preminenti della serenità della famiglia. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di merito, che aveva tenuto conto unicamente delle esigenze economiche e lavorative prospettate dal marito, omettendo di valutare quelle, offerte dalla moglie, inerenti al suo stato di gravidanza ed all’imminente maternità).
Cass. civ. n. 15557/2008
La relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 c.c. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge.
Cass. civ. n. 7450/2008
In tema di separazione personale tra i coniugi, non è ammissibile, successivamente alla pronuncia di separazione senza addebito, così come all’omologazione della separazione consensuale, chiedere il mutamento del titolo della separazione stessa, da consensuale a giudiziale con addebito, né per fatti sopravvenuti né per fatti anteriori alla separazione ma emersi successivamente, stante il disposto dell’art. 151, secondo comma, c.c. che attribuisce espressamente al giudice della separazione la competenza ad emettere la eventuale ed accessoria pronuncia di addebito.
Cass. civ. n. 19450/2007
In materia di separazione tra i coniugi, ai fini dell’accertamento dell’addebito, è rilevante il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio posto in essere da un coniuge, benché tollerato negli anni dall’altro; tuttavia, seppure la tolleranza non sia una «esimente oggettiva» può essere espressione di una sostanziale cessazione dell’affectio coniugalis e quindi della conversione del matrimonio in una protratta convivenza meramente formale, con la conseguenza dell’esclusione della rilevanza del comportamento in violazione, ai fini della valutazione di cui all’art. 151, secondo comma, c.c. (Nella specie la S.C. ha cassato con rinvio la decisione impugnata che non aveva censurato, ai fini dell’addebitabilità della separazione, le ventennali angherie della moglie poiché tollerate dal marito). La dichiarazione di addebito della separazione implica la sussistenza di comportamenti «oggettivamente» contrari ai valori sui quali la Costituzione italiana fonda il matrimonio, benché nella «soggettiva» opinione del coniuge agente siano conformi alla «propria» personale etica o visione sociale o religiosa od ai propri costumi o siano espressivi di una spontanea reattività a stili di vita non condivisi. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che aveva ritenuto non censurabili, ai fini dell’addebito della separazione, le condotte della moglie vessatorie e violente nei confronti del marito, in quanto scaturite da uno stato di disagio profondo e cagionate dalla peculiare cultura e storia personale della donna).
Cass. civ. n. 17056/2007
In tema di separazione personale dei coniugi, l’abbandono della casa familiare, di per sè costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sè sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi — e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono — che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.
Cass. civ. n. 3356/2007
Ai sensi del novellato art. 151 c.c. la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile; a tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e di distacco spirituale di una sola delle parti, verificabile in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione, ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità. (Nella specie, alla stregua del principio di cui alla massima, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ravvisato i fatti dimostrativi della intollerabilità della convivenza in contrasti di vario genere e gravi litigi, evidenziati, tra l’altro, da una relazione del servizio sociale, nonché dal comportamento processuale del marito in relazione ad una lettera della moglie che denunciava una condizione di forte insoddisfazione, delusione e sofferenza per il fallimento del matrimonio, e, in generale, alla dimostrazione della incapacità dell’uomo di comprendere e dare significato alle emozioni ed alle aspirazioni della moglie).
Cass. civ. n. 8512/2006
In tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Pertanto, la riferita infedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell’addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell’unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito.
Cass. civ. n. 18000/2005
Nell’accertamento relativo all’eventuale addebito della separazione personale dei coniugi, il giudice di merito può legittimamente utilizzare le risultanze delle indagini espletate dal consulente tecnico dí ufficio, nominato ad altri fini (nella specie per la determinazione delle modalità di affidamento dei figli minori), con l’audizione delle parti e dei loro figli.
Cass. civ. n. 17710/2005
Ai sensi dell’art. 144 c.c., prevedente l’obbligo per i coniugi di concordare tra di loro l’indirizzo della vita familiare, le scelte educative e gli interventi diretti a risolvere i problemi dei figli devono essere adottati d’intesa tra i coniugi. Un atteggiamento unilaterale, sordo alle valutazioni ed alle richieste dell’altro coniuge, a tratti violento ed eccessivamente rigido, può tradursi, oltre che in una violazione degli obblighi del genitore nei confronti dei figli, anche nella violazione dell’obbligo, nei confronti dell’altro coniuge, di concordare l’indirizzo della vita familiare e, in quanto fonte di angoscia e dolore per il medesimo, nella violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall’art. 143 c.c.. Ove tale condotta si protragga e persista nel tempo, aprendo una frattura tra un coniuge e i figli ed obbligando l’altro coniuge a schierarsi a difesa di costoro, essa può divenire fonte di intollerabilità della convivenza e rappresentare, in quanto contraria ai doveri che derivano dal matrimonio sia nei confronti del coniuge che dei figli in quanto tali, causa di addebito della separazione ai sensi dell’art. 151, secondo comma, c.c. Il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, sebbene privo, in sé, di efficacia autonoma nel determinare l’intollerabilità della convivenza stessa, può nondimeno rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa.
Cass. civ. n. 7321/2005
Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sè sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse, e da esonerare il giudice del merito, che abbia accertato siffatti comportamenti, dal dovere di comparare con essi, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento dei coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei.
Cass. civ. n. 22786/2004
Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, ed al fine dell’addebitabilità della separazione stessa, vertendosi in materia di diritti indisponibili, le ammissioni di una parte non possono assumere valore di confessione in senso stretto, a norma dell’art. 2730 c.c., ma possono essere utilizzate dal giudice del merito quali presunzioni ed indizi liberamente valutabili.
Cass. civ. n. 15241/2004
In tema di separazione personale tra coniugi, il mutamento di fede religiosa — e la conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto —, connettendosi all’esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 della Costituzione, non può, di per sé solo, considerarsi come ragione di addebito della separazione, a meno che non vengano superati i limiti di compatibilità con i concorrenti doveri di coniuge e di genitore fissati dagli artt. 143, 147 c.c., determinandosi, per l’effetto, una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio della prole. (Nell’affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha ritenuto, nel caso di specie, che la scelta di appartenenza ad una confessione religiosa
tale da determinare l’allontanamento dalla casa coniugale e la rinuncia alla convivenza non potesse rientrare nell’ambito dell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito onde escludere l’addebitabilità della separazione).
Cass. civ. n. 6970/2003
Ai sensi dell’art. 151, c.c., la separazione dei coniugi deve trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, che non può essere implicita nella volontà di un coniuge di separarsi; peraltro, la situazione di intollerabilità della convivenza neppure può essere esclusa per il solo fatto che uno dei coniugi assuma un atteggiamento di accettazione e disponibilità, in quanto un tale atteggiamento può trovare spiegazione in motivi di ordine pratico o materiale, ovvero nella prevalenza di concezioni di carattere etico, oppure in irreali prospettive di recupero del rapporto che possono rendere il predetto eccezionalmente tollerante rispetto ad una situazione pur obiettivamente priva di contenuti minimi di reciproca affectio che devono assistere una comunione non meramente materiale, e comunque non coercibile, quale quella coniugale.
Cass. civ. n. 12130/2001
In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l’art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito.
Cass. civ. n. 10682/2000
In tema di separazione personale dei coniugi, l’abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.
Cass. civ. n. 7859/2000
La reiterata violazione, in assenza di una consolidata separazione di fatto, dell’obbligo della fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave dell’obbligo della fedeltà coniugale, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi di regola causa della separazione personale dei coniugi e quindi circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Né ad escludere la rilevanza della infedeltà è ammissibile la qualificazione della stessa quale reazione a comportamenti dell’altro coniuge, non essendo possibile una compensazione delle responsabilità nei rapporti familiari, e potendo invece essere addebitata la separazione a entrambi i coniugi, ove sussistano le relative domande. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza annullata con rinvio dalla S.C., pur in presenza dell’ammissione da parte del marito della relazione adulterina intrattenuta, aveva affermato che nel fallimento dell’unione coniugale aveva avuto un’incidenza decisiva la condotta della moglie, caratterizzata dall’impiego di espressioni spiccatamente volgari e oscene nei confronti del coniuge — con coinvolgimento anche dei figli — omettendo l’esame dei fatti rilevanti nel loro complesso, nel rispetto dei criteri suindicati, oltre che inadeguatamente accertando le stesse circostanze di fatto concretamente valorizzate).
Cass. civ. n. 279/2000
Ai fini dell’addebitabilità della separazione, il giudice deve accertare che la crisi coniugale sia ricollegabile al comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi e che sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione per la pronuncia di separazione. Il giudice, inoltre, nel valutare il comportamento riprovevole del coniuge, non potrà prescindere dall’esaminare anche la condotta dell’altro e procedere dunque ad una valutazione comparativa, al fine di individuare se il comportamento censurato non sia solo l’effetto di una frattura coniugale già verificatasi e possa, pertanto, considerarsi relativamente giustificato. Eventuali violazioni dei doveri coniugali dovranno, in tal caso, essere giudicate irrilevanti ai fini dell’addebitabilità, sempre che si configurino come una reazione immediata e proporzionata ad un torto ricevuto e non si traducano in una violazione nell’ambito familiare di regole di condotta imperative ed inderogabili o di norme morali di particolare rilevanza. Altrimenti, una trasgressione grave dei doveri coniugali, pur se determinata dal comportamento dell’altro coniuge, dovrà dal giudice essere valutata come autonoma violazione dei doveri e causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, con conseguente dichiarazione di addebito (se richiesto) a carico di entrambi (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva rigettato le reciproche richieste di dichiarazione d’addebito per l’impossibilità di stabilire con certezza quali delle due condotte coniugali si fosse posta come antecedente causale dell’altra).
Cass. civ. n. 2444/1999
Le contrapposte richieste dei coniugi di addebitabilità della separazione all’altro coniuge formano oggetto di domande autonome aventi ciascuna un proprio petitum ed una autonoma causa petendi, ma al tempo stesso non sono alternative, ben potendo essere accolte entrambe, con conseguente addebito della separazione ad ognuno dei coniugi; ne consegue che, vigente l’art. 345, secondo comma c.p.c. nel testo antecedente alle modifiche introdotte con l’art. 52 della legge n. 353 del 1990, deve ritenersi «nuova», e perciò ammissibile in appello, la domanda di prova testimoniale avente ad oggetto una relazione extraconiugale del marito rispetto alla prova testimoniale assunta in primo grado e tendente a dimostrare l’inosservanza degli obblighi di assistenza familiare da parte della moglie, giacché trattasi di circostanze diverse e distinte, senza tuttavia essere neppure indirettamente contrapposte, atteso che la prova delle violazioni dei doveri coniugali addebitata alla moglie non è idonea a contrastare le violazioni addebitate al marito.
Cass. civ. n. 10742/1998
In tema di separazione personale tra coniugi, il giudice non può fondare la pronuncia d’addebito sulla mera inosservanza dei doveri di cui all’art. 143 c.c., dovendo, per converso, verificare l’effettiva incidenza delle relative violazioni nel determinarsi della situazione d’intollerabilità della convivenza. In particolare, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell’addebito della separazione sol quando risulti accertato che, a tale violazione, sia, in fatto, riconducibile la crisi dell’unione, mentre il comportamento infedele, se successivo al verificarsi di una situazione d’intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia d’addebito della separazione quando non sia qualificabile come causa concorrente della rottura del rapporto.
Cass. civ. n. 7945/1998
In base al testo dell’art. 151 c.c., non sono configurabili due modelli di separazione, uno con addebito e l’altro senza addebito, bensì un’unica figura, in quanto l’eventuale richiesta di addebito all’altro coniuge non sposta l’indagine del giudice, basata pur sempre sull’intollerabilità della prosecuzione della convivenza o sul grave pregiudizio all’educazione dei figli, da valutarsi, in caso di richiesta di addebito, anche sotto il profilo della responsabilità di uno o di entrambi i coniugi. Ne consegue che non è ipotizzabile un preventivo accertamento degli elementi su cui si fonda la separazione (con immediata pronunzia della stessa) ed un successivo esame dell’eventuale addebito in sede di prosieguo, poiché una volta pronunziata la separazione è già intervenuta la decisione avente per contenuto lo stesso oggetto dalla cui valutazione dipende anche il giudizio sull’addebito.
Cass. civ. n. 9287/1997
La violazione del dovere di fedeltà di cui all’art. 143 c.c. (inteso non solo come impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale fra i coniugi, ma anche come impegno di non tradire la fiducia reciproca) può essere causa anche esclusiva dell’addebito della separazione, quando si accerti, in fatto, che a quella violazione risale la crisi dell’unione. A tal riguardo, un tal dovere di fedeltà può permanere anche dopo l’insorgere dello stato di separazione, quando — però — si accerti la conservazione, tra i coniugi (ancorché separati), di un minimum di solidarietà tale da giustificare la permanenza di un simile dovere, che non ha più ragione d’essere quando tra i coniugi sia irreversibilmente venuta a cessare ogni intesa.
Cass. civ. n. 7630/1997
Ai fini dell’addebitabilità della separazione, deve esistere un nesso di causalità tra i comportamenti addebitabili al coniuge e il determinarsi dell’intolleranza alla convivenza, restando irrilevanti i comportamenti successivi al determinarsi di tale situazione. Gli atti contrari ai doveri nascenti dal matrimonio (nella specie intrattenimento di una relazione extraconiugale), compiuti prima dell’instaurarsi del procedimento di separazione personale – e ancor più se compiuti prima dell’instaurarsi di una stabile situazione di separazione di fatto – in base all’
id quod plerumque accidit debbono presumersi cause efficienti del formarsi o del consolidarsi di una situazione di definitiva intollerabilità della prosecuzione della convivenza, che ciascun coniuge, sino alla separazione legale, è tenuto ad evitare, pur se sussista una crisi coniugale in atto, la quale di per sé non provoca un allentamento dei doveri nascenti dal matrimonio ex art. 143 c.c.
Cass. civ. n. 6566/1997
L’obbligo di fedeltà fra i coniugi sancito dall’art. 143 c.c., risulta strettamente connesso alla convivenza e non è compatibile con il regime di separazione, come già affermato dalla Corte costituzionale con sentenza 18 aprile 1974, n. 99, resa ancora nel vigore della normativa precedente alla riforma del 1975. Tale ultima riforma, poi, ha abrogato il testo dell’art. 156 c.c., ove era previsto, al primo comma, che il coniuge incolpevole «conserva i diritti inerenti alla sua qualità di coniuge che non sono incompatibili con lo stato di separazione», e vi ha sostituito una norma intitolata «effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi». Una tale abrogazione, inserita in una riforma radicale del sistema in cui era collocata, non può essere interpretata se non nel senso della totale abolizione delle disposizioni in essa contenute, e della persistenza, in regime di separazione, dei soli diritti-doveri di carattere patrimoniale, con esclusione, in particolare, dell’obbligo reciproco di fedeltà.
Cass. civ. n. 5762/1997
Nell’ipotesi cui si sia verificata, durante la convivenza matrimoniale e prima della domanda di separazione, la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, il giudice, per ritenerla ininfluente in relazione all’addebitabilità della separazione, deve accertare in modo rigoroso e puntuale il carattere meramente formale della convivenza. A tal fine è, peraltro, irrilevante l’eventuale tolleranza di un coniuge rispetto alla violazione di tali doveri da parte dell’altro, vertendosi in materia in cui diritti e doveri sono indisponibili (nella specie, la sentenza del merito aveva escluso che le percosse inflitte dal marito alla moglie potessero costituire ragione di addebito all’uomo, in quanto già da molti anni prima il matrimonio s’era ridotto ad un «simulacro», rispetto al quale tutte le violazioni dei doveri coniugali da lui commesse non avrebbero avuto alcuna efficacia causale nel determinare l’intollerabilità della convivenza; la S.C., in applicazione dell’enunciato principio, ha cassato la sentenza, per avere omesso di dimostrare, con concreti elementi asseverativi, il presistente carattere meramente formale della convivenza all’epoca dei fatti).
Cass. civ. n. 13021/1995
In tema di separazione personale, il grave stato di infermità di uno dei coniugi, perdurante nel tempo e non reversibile, può costituire, per le modalità in cui si manifesti e per le implicazioni nella vita degli altri componenti il nucleo familiare, specialmente se investa la sfera psichica della persona precludendo ogni possibilità di comunicazione o di intesa, un elemento di così grave alterazione dell’equilibrio coniugale, da determinare di per sé stesso un’oggettiva impossibilità di prosecuzione della convivenza. In siffatta ipotesi, ove l’altro coniuge non adempia ai doveri di assistenza morale e materiale, ai fini della eventuale pronuncia di addebito, la violazione di tale dovere non può essere riguardata di per sé stessa, ma occorre invece accertare in concreto — con riferimento a tutte le circostanze del caso concreto ed alla successione temporale degli avvenimenti — se la condotta del coniuge rifletta un atteggiamento di mero rifiuto dell’impegno solidaristico assunto con il matrimonio, o non costituisca piuttosto una presa d’atto di una non superabile e già maturata situazione di impossibilità della convivenza.
Cass. civ. n. 3098/1995
A seguito della riforma del 1975, la separazione personale dei coniugi non è più determinata dalla cosciente violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, bensì dal dato oggettivo dell’intollerabilità della convivenza o dal grave pregiudizio per i figli, non necessariamente dipendente dalla condotta volontaria di uno o di entrambi i coniugi, e la dichiarazione di addebito, prevista dall’art. 151, secondo comma, c.c. si pone come una mera variante dell’accertamento della improseguibilità della convivenza, ossia come una modalità accessoria ed eventuale, accertabile solo se espressamente richiesta da una parte e ove ne ricorrano le circostanze. Ne consegue che la responsabilità della cessazione dell’unità familiare può essere accertata solo contestualmente alla pronuncia di separazione e che i comportamenti dei coniugi successivi a tale pronuncia potranno eventualmente rilevare solo ai fini del mutamento delle condizioni della separazione o per la richiesta di inibitoria dell’uso del cognome ai sensi dell’art. 156 bis c.c. (o in sede penale), ma non potranno costituire il fondamento di una sentenza di addebito successiva alla separazione, trattandosi di comportamenti ormai intrinsecamente privi di ogni influenza in ordine ad una già accertata impossibilità di prosecuzione alla convivenza.
Cass. civ. n. 4837/1993
L’applicazione della sanzione sostitutiva di cui all’art. 77 della L. 24 novembre 1981, n. 689 non può costituire, di per sé, motivo di addebito della separazione al coniuge cui detta sanzione è stata irrogata, quando manchi la prova che il fatto che ha dato luogo all’applicazione della sanzione sostitutiva (nella specie, abbandono del tetto coniugale) abbia determinato la situazione di intollerabilità della convivenza.
Cass. civ. n. 26/1991
Ai fini dell’addebitabilità della separazione, assume rilievo il comportamento complessivo dei coniugi anche successivo alla introduzione del giudizio di separazione, in quanto durante tale giudizio permane a carico dei medesimi il dovere del reciproco rispetto. Pur dopo la scomparsa della separazione per colpa, a seguito della riforma del diritto di famiglia, il concetto di addebitabilità della separazione, di cui al comma secondo dell’art. 151 c.c., come novellato dall’art. 33 della L. 19 maggio 1975, n. 151, non può avere altro significato che quello di imputabilità ovvero di riferibilità di un atto o comportamento cosciente e volontario ad una persona capace d’intendere e di volere.
Cass. civ. n. 11523/1990
La riconciliazione fra i coniugi — intesa quale situazione di completo ed effettivo ripristino della convivenza, mediante ripresa dei rapporti materiali e spirituali che, caratterizzando il vincolo del matrimonio ed essendo alla base del consorzio familiare, appaiono oggettivamente idonei a dimostrare una seria e comune volontà di conservazione del rapporto, a prescindere da irrilevantí riserve mentali — è fonte non soltanto di effetti processuali, preclusivi del giudizio di separazione in corso, ma altresì di effetti sostanziali, consistenti nel determinare l’inidoneità dei fatti ad essa anteriori — posti in essere durante la convivenza o la separazione di fatto — ad assumere autonomo valore giustificativo di una pronuncia di separazione personale, emessa su domanda successiva all’evento riconciliativo rimasto privo di esito definitivo, con la conseguenza che, ai fini di tale pronuncia e della valutazione dell’addebito, sono utilizzabili soltanto i fatti successivi all’evento medesimo, mentre quelli anteriori possono essere considerati al solo scopo di lumeggiare il contesto storico nel quale va operato l’apprezzamento in ordine all’intollerabilità della convivenza.
Cass. civ. n. 8013/1990
Al fine dell’addebitabilità della separazione, il comportamento di un coniuge, rivolto ad imporre i propri particolari principi o la propria particolare mentalità, può assumere rilevanza solo se si traduca in violazione dei doveri discendenti dal matrimonio, o comunque sia inconciliabile con i doveri medesimi, atteso che, in caso contrario, e per quanto detti principi o mentalità siano criticabili, si resta nell’ambito delle peculiarità caratteriali, le quali valgono a spiegare le difficoltà del rapporto, ed eventualmente l’errore originariamente commesso nella reciproca scelta (o nell’affidamento sulla superabilità o conciliabilità di divergenti impostazioni della vita familiare), ma non integrano situazioni d’imputabilità della crisi, nel senso previsto dall’art. 151 secondo comma c.c.
Cass. civ. n. 4920/1990
La separazione personale dei coniugi deve essere pronunciata, ai sensi dell’art. 151 c.c., ogni volta che sia accertata la sussistenza di fatti obiettivi che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza o che siano di pregiudizio per la prole, anche quando non risulti che i coniugi abbiano avuto un comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. Pertanto, può essere considerato idoneo a determinare, in concreto, una situazione di improseguibilità della convivenza o di grave pregiudizio per la prole anche il comportamento del coniuge, ispirato a motivi ideologici, che si ricolleghi all’esercizio di diritti garantiti dall’art. 19 Cost. e che rientri, inoltre, nell’ambito dei poteri-doveri inerenti alla potestà genitoriale,
quando il detto comportamento si traduca in atti oppressivi di intolleranza ed aggressività. (Nella specie, la S.C. in base all’enunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano dichiarato la separazione con riguardo ad un contrasto tra i coniugi sul modo di professare la religione e di educare i figli dal punto di vista religioso).
Cass. civ. n. 4620/1990
In materia di separazione personale tra i coniugi, al fine dell’accertamento dell’intollerabilità della convivenza possono essere presi in considerazione anche episodi risalenti ad epoca anteriore ad una riconciliazione intervenuta in passato tra i coniugi, ove detti episodi si siano ripetuti in epoca successiva, dando conferma dei comportamenti che, con il protrarsi nel tempo, hanno reso non sopportabile la convivenza tra i coniugi.
Cass. civ. n. 4252/1989
Ai fini dell’addebitabilità della separazione personale fra coniugi, non può essere aprioristicamente esclusa la rilevanza delle violazioni dei doveri matrimoniali verificatesi dopo che i coniugi sono stati autorizzati a vivere separatamente (art. 708 c.p.c.), atteso che tali doveri — e, in particolare, quello di fedeltà — vanno osservati anche nelle more del giudizio di separazione.
Cass. civ. n. 2648/1989
In tema di separazione personale dei coniugi, l’indagine sull’intollerabilità della prosecuzione della convivenza e sulla sua addebitabilità non può basarsi sull’esame di singoli episodi di frattura o contrasto, ivi incluso l’eventuale allontanamento dalla residenza familiare, occorrendo valutare il complessivo comportamento dei coniugi medesimi, nella continuità dei reciproci rapporti.
Cass. civ. n. 145/1988
Al fine del mutamento del titolo della separazione, da consensuale in giudiziale, con addebito ad uno dei coniugi, non è, rilevante. la sopravvenuta procreazione di un figlio naturale, ove ricollegabile ad una relazione adulterina già in atto e conosciuta dall’altro coniuge all’epoca della separazione consensuale, trattandosi di fatto che integra normale sviluppo di detto pregresso comportamento e non può assurgere a causa successiva ed autonoma della frattura coniugale.
Cass. civ. n. 5813/1987
L’accertamento del verificarsi di una situazione d’intollerabilità della convivenza, a causa d’incompatibilità di carattere fra coniugi, non rende di per sé irrilevante, al fine della pronuncia di addebitabilità della separazione, ogni successiva violazione da parte di uno dei coniugi dei doveri derivanti dal matrimonio, occorrendo in proposito riscontrare se tale posteriore comportamento costituisca o meno causa concorrente del deterioramento del rapporto coniugale, e quindi della pronuncia di, separazione, in presenza di questo requisito. Pertanto, l’addebito della separazione a carico di un coniuge può conseguire anche dall’abbandono dell’altro coniuge e della prole commesso dopo l’instaurarsi della suddetta situazione di rottura per incompatibilità di caratteri, tenendo conto che la violazione del dovere di collaborazione ed assistenza materiale e morale (non consentita dalla mera proposizione della domanda di separazione, né dall’autorizzazione presidenziale a vivere temporaneamente separati) può ritenersi giustificata solo quando configuri proporzionata reazione a gravi fatti posti in essere dall’altro coniuge, e sempreché non superi quella soglia minima di solidarietà necessaria a non mettere l’altro coniuge ed i figli in situazione di pericolo per le loro essenziali esigenze di vita.
Cass. civ. n. 4390/1987
Al fine della statuizione sull’addebitabilità della separazione personale fra coniugi, possono essere presi in considerazione anche comportamenti successivi all’inizio della causa di separazione o al provvedimento presidenziale di esonero dall’obbligo della convivenza, purchè siano idonei a fornire elementi per una migliore valutazione degli atteggiamenti morali e materiali dei coniugi o costituiscano di per sè una condotta contraria ai doveri del perdurante vincolo matrimoniale. Tuttavia il giudice del merito ben può escludere l’incidenza, ai fini suddetti, della relazione adulterina di uno dei coniugi qualora sia stata contratta in epoca largamente successiva alla separazione personale e non sia stata causa di manifestazioni pubbliche intollerabili per l’altro coniuge.
Cass. civ. n. 3168/1986
Il comportamento di un coniuge, consistente nel sistematico rifiuto di fissare o comunque concordare con l’altro coniuge la residenza familiare; ove sia privo di apprezzabili giustificazioni (quali quelle derivanti da esigenze di lavoro), e resti ricollegabile a meri atteggiamenti sregolati di vita, può determinare non solo la separazione giudiziale, quando renda intollerabile la prosecuzione della convivenza, ma anche l’addebito della separazione medesima, a norma dell’art. 151, secondo comma, c.c., poiché si traduce in una violazione dei doveri scaturenti dal matrimonio (art. 144 c.c.). Tale principio non può trovare deroga in relazione alla circostanza che la suddetta condotta di vita sussisteva anche prima del matrimonio ed era conosciuta dall’altro sposo, poiché gli indicati doveri, incluso quello della fissazione della residenza della famiglia, non possono essere esclusi o limitati, né espressamente, né implicitamente, tramite l’accettazione di comportamenti incompatibili con la loro osservanza.
Cass. civ. n. 67/1986
L’art. 151 c.c. — nel testo risultante dalla modifica apportata alla norma con l’art. 33 della L. 19 maggio 1975, n. 151 — pur svincolando la pronuncia della separazione giudiziale dalle situazioni tipiche previste nel precedente testo dell’art. 151, non ha inteso configurarla come una automatica conseguenza di qualsiasi ragione di contrasto nell’ambito del rapporto di coniugio, in quanto, anche nel nuovo sistema, l’istituto conserva, sia pure in una sfera di situazioni e di valutazioni più ampia rispetto a quella consentita nel regime anteriore, il carattere di rimedio ad uno stato di fatto di particolare gravità, nel senso di rendere intollerabile la convivenza, da qualunque causa dipendente. Di modo che non è sufficiente, ai fini della detta pronuncia, un mero atteggiamento soggettivo di rifiuto della convivenza, occorrendo anche che esso si rifletta in circostanze che rendano oggettivamente apprezzabile (e quindi giudizialmente controllabile) la situazione di intollerabilità nella sua essenza e nella sua dinamica causale.
Cass. civ. n. 2882/1985
L’attività lavorativa, che venga espletata da uno dei coniugi (nella specie, la moglie) senza il gradimento dell’altro, non può di per sé costituire motivo di addebito della separazione, quando oggettivamente non contrasti con i fondamentali obblighi coniugali e familiari. Ma può essere valutata al fine della suddetta addebitabilità solo ove sia stata intrapresa con il rifiuto di sottostare al metodo dell’accordo, fissato dall’art. 144 c.c. in tema d’indirizzo della vita familiare, in relazione cioè alla violazione dell’ampio dovere di collaborazione gravante su entrambi i coniugi.
Cass. civ. n. 7156/1983
L’infedeltà apparente, fra coniugi separati, integra l’ipotesi dell’ingiuria grave e costituisce causa di addebito qualora: a) la condotta del coniuge infedele sia tale da ingenerare nell’altro coniuge e nei terzi il fondato sospetto del tradimento; b) il comportamento sia animato dalla consapevolezza e dalla volontà di commettere un fatto lesivo dell’altrui onore e dignità; c) dalla condotta dell’infedele sia derivato un pregiudizio per la dignità personale dell’altro coniuge, attesa la sensibilità del tradito e dell’ambiente in cui vive.
Cass. civ. n. 3323/1982
I fatti antecedenti alla separazione consensuale possono essere invocati da un coniuge, al fine di conseguire un mutamento del titolo della separazione con pronuncia di addebitabilità a carico dell’altro coniuge, solo quando deduca e dimostri di averli conosciuti dopo detta separazione consensuale.
Cass. civ. n. 2494/1982
In base alle nuove disposizioni dettate dalla L. 19 maggio 1975, n. 151, in tema di separazione personale dei coniugi, la violazione del reciproco dovere di fedeltà, ancorché questo sia stato ribadito come regola di condotta dei coniugi (art. 143 c.c.), non legittima di per sé, automaticamente, la pronunzia di separazione con addebito al coniuge adultero, ma solo se abbia reso intollerabile la prosecuzione della convivenza o recato grave pregiudizio all’educazione della prole; pertanto, il giudice deve controllare l’oggettivo verificarsi di tali conseguenze, valutando, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, in qual misura la violazione di quel dovere abbia inciso sulla vita familiare, tenuto conto delle modalità e frequenze dei fatti, del tipo di ambiente in cui si sono verificati e della sensibilità morale dei soggetti interessati.
[adrotate group=”7″]