10 Gen Art. 129 bis — Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio [ 68, 117 ss. c.c. ] è tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. È tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati [ 156, 433 ].
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente.
In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile [ 1292 ss. ] con lo stesso per il pagamento dell’indennità.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 9484/2013
In tema di riconoscimento dell’obbligazione indennitaria ex art. 129 bis cod. civ., solo il positivo accertamento della derivazione causale della nullità dall’incapacità d’intendere e volere al momento della celebrazione del matrimonio determina in via generale l’applicabilità dell’articolo richiamato, in quanto produttivo di una condizione soggettiva incolpevole d’incapacità, temporanea o definitiva, di prestare il consenso, mentre le altre cause, riconosciute in sede ecclesiastica e delibate positivamente, o direttamente accertate dal giudice italiano, devono essere valutate concretamente. Ne consegue che, ai fini del riconoscimento della relativa indennità, va accertata non solo la riferibilità oggettiva della causa d’invalidità al coniuge e la sua consapevolezza certa o probabile di essa, ma anche la circostanza che egli abbia posto in essere un comportamento, commissivo od omissivo, contrario al generale dovere di correttezza, il quale abbia contribuito alla celebrazione del matrimonio nullo.
Cass. civ. n. 23073/2005
In tema di nullità del matrimonio, allorché la causa giuridica (formale) della nullità risieda nell’errore (essenziale) su qualità personali dell’altro coniuge, ex art. 122, secondo e terzo comma, c.c., ovvero su altro tipo di qualità cui l’ordinamento canonico (diversamente regolando la materia rispetto alle disposizioni del codice civile) assegni rilievo invalidante e che derivi, quanto alla sua dimostrazione, dalla sentenza ecclesiastica di accertamento della relativa invalidità, il pagamento dell’indennità di cui al primo comma dell’art. 129 bis c.c. non è dovuto dal coniuge che sia incorso in un simile errore, atteso che la mala fede, presupposta da quest’ultima norma, risiede nella consapevolezza dell’esistenza di fatti (come le indicate qualità personali) su cui l’errore stesso è caduto ed appare, quindi, riferibile, non al coniuge anzidetto, bensì, eventualmente, al coniuge che in tale errore abbia indotto l’altra parte.
Cass. civ. n. 9801/2005
Il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente del nucleo familiare assume il connotato di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo da un lato ritenersi che diritti definiti inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare (e ciò considerato che la famiglia è luogo di incontro e di vita comune nel quale la personalità di ogni individuo si esprime, si sviluppa e si realizza attraverso l’instaurazione di reciproche relazioni di affetto e di solidarietà, non già sede di compressione e di mortificazione di diritti irrinunciabili); e dovendo dall’altro lato escludersi che la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio — se ed in quanto posta in essere attraverso condotte che, per la loro intrinseca gravità, si pongano come fatti di aggressione ai diritti fondamentali della persona — riceva la propria sanzione, in nome di una presunta specificità, completezza ed autosufficienza del diritto di famiglia, esclusivamente nelle misure tipiche previste da tale branca del diritto (quali la separazione e il divorzio, l’addebito della separazione, la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale nel caso di allontanamento senza giusta causa dalla residenza familiare), dovendosi invece predicare una strutturale compatibilità degli istituti del diritto di famiglia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti, con la conseguente, concorrente rilevanza di un dato comportamento sia ai fini della separazione o della cessazione del vincolo coniugale e delle pertinenti statuizioni di natura patrimoniale, sia (e sempre che ricorrano le sopra dette caratteristiche di gravità) quale fatto generatore di responsabilità aquiliana. E siccome l’intensità dei doveri derivanti dal matrimonio, segnati da inderogabilità ed indisponibilità, non può non riflettersi sui rapporti tra le parti nella fase precedente il matrimonio, imponendo loro — pur in mancanza, allo stato, di un vincolo coniugale, ma nella prospettiva di tale vincolo — un obbligo di lealtà, di correttezza e di solidarietà, sostanziantesi anche in un obbligo di informazione di ogni circostanza inerente alle proprie condizioni psico-fisiche e di ogni situazione idonea a compromettere la comunione materiale e spirituale alla quale il matrimonio è rivolto, è configurabile un danno ingiusto risarcibile allorché l’omessa informazione, in violazione dell’obbligo di lealtà, da parte del marito, prima delle nozze, della propria incapacità coeundi a causa di una malformazione, da lui pienamente conosciuta, induca la donna a contrarre un matrimonio che, ove informata, ella avrebbe rifiutato, così ledendo quest’ultima nel suo diritto alla sessualità, in sè e nella sua proiezione verso la procreazione, che costituisce una dimensione fondamentale della persona ed una delle finalità del matrimonio.
Cass. civ. n. 4953/1993
In tema di nullità di matrimonio, l’art. 129 bis c.c., relativo alla responsabilità del coniuge in mala fede al quale sia imputabile la nullità, sebbene formulato lessicalmente in modo diverso dall’art. 139 c.c. (che commina una sanzione penale al coniuge che, conoscendo prima della celebrazione una causa di nullità, l’abbia lasciata ignorare all’altro), comprende, nella sua portata più ampia, anche l’ipotesi disciplinata da quest’ultima norma. Pertanto, per l’affermazione della responsabilità in questione e, prima ancora, della imputabilità richiesta, non è sufficiente la pura e semplice riferibilità oggettiva della causa di invalidità, e neppure la consapevolezza di essa, occorrendo, invece, oltre alla consapevolezza di quei fatti che vengono definiti invalidanti, anche quella della loro attitudine invalidante, mentre la prova di tale consapevolezza e del comportamento omissivo o commissivo del responsabile, incombe secondo le regole generali, su chi afferma l’esistenza di tale imputabilità.
Cass. civ. n. 8703/1990
Al fine dell’obbligazione indennitaria del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio, ai sensi dell’art. 129 bis c.c., il requisito della buona fede dell’altro coniuge, da presumersi fino a prova contraria, si identifica nella incolpevole ignoranza della specifica circostanza per la quale, nella concreta vicenda, è stata pronunciata la nullità. Pertanto, in caso di declaratoria d’invalidità, che sia stata resa dal giudice ecclesiastico, con sentenza dichiarata esecutiva nell’ordinamento interno, per esclusione del bonum sacramenti individuata nella riserva di uno dei coniugi di successivo ricorso al divorzio, la dimostrazione della conoscenza di detta riserva da parte dell’altro coniuge implica di per sé il superamento della indicata presunzione, a prescindere da ogni questione sull’esattezza dell’identificazione della riserva medesima di quella esclusione del bonum sacramenti.
Cass. civ. n. 140/1988
L’art. 129 bis c.c. prevede, in caso di nullità del matrimonio, un indennizzo a carico del coniuge «imputabile», cioè di quello che abbia contratto il matrimonio conoscendo (o dovendo conoscere) il vizio che lo inficiava. Pertanto, in sede di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, ed al fine delle statuizioni provvisorie sui rapporti economici, contemplate dall’art. 8, n. 2, ultima parte, degli accordi di Roma del 18 febbraio 1984 (ratificati con L. 25 marzo 1985, n. 121), deve negarsi la possibilità di far ricorso ai criteri posti dal cit. art. 129 bis, ove si tratti di liquidare un assegno mensile a carico del coniuge per la cui amentia sia stata rilevata la nullità del vincolo.
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