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Art. 6 — Reati commessi nel territorio dello Stato

Art. 6 — Reati commessi nel territorio dello Stato

Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana [ 11 ].

Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione, che lo costituisce, è ivi avvenuta in tutto o in parte, ovvero si è ivi verificato l’evento che è la conseguenza dell’azione od omissione.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 35165/2017

In caso di concorso di persone nel reato commesso in parte all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana e per la punibilità di tutti i concorrenti è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificata anche solo una frazione della condotta ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, che, seppur priva dei requisiti di idoneità e di inequivocità richiesti per il tentativo, sia comunque significativa e collegabile in modo chiaro e univoco alla parte restante realizzata in territorio estero. (Fattispecie in tema di concorso di persone nel reato di importazione di sostanza stupefacente, in cui la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza della Corte territoriale che aveva ravvisato la giurisdizione italiana nella condotta dell’imputato trovato in possesso di sostanza stupefacente all’aeroporto di Caracas, ivi arrestato e giudicato, sulla base del rilievo che la sostanza detenuta dallo stesso gli era stata affidata affinché la trasportasse in Italia per consegnarla a determinati soggetti; la S.C. ha ritenuto la motivazione della sentenza insufficiente, non avendo indicato i correi, né descritto gli accordi tra loro intercorsi e nemmeno individuato la frazione di condotta realizzata nel territorio dello Stato collegata con quella commessa all’estero).

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Cass. pen. n. 3315/2017

In caso di reato commesso nel territorio nazionale da un cittadino appartenente ad uno Stato con cui non vigono accordi idonei a derogare alla disciplina di cui all’art. 11 cod. pen., il processo celebrato in quello Stato non preclude la rinnovazione del giudizio in Italia per i medesimi fatti, non essendo quello del “ne bis in idem”principio generale del diritto internazionale, come tale applicabile nell’ordinamento interno. (Fattispecie relativa ad imputato cittadino albanese, in cui la Corte ha confermato la sentenza che aveva escluso l’applicabilità del principio del “ne bis in idem”, non avendo la legge 4 giugno 2011, n. 97, di ratifica dell’Accordo fra l’Italia e l’Albania in materia di assistenza giudiziaria, codificato il principio del “ne bis in idem”sostanziale).

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Cass. pen. n. 41093/2014

In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico “iter”delittuoso da considerarsi come inscindibile. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto sottoposto alla giurisdizione italiana il delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in riferimento a persona operante all’estero per conto di una consorteria la cui attività in Italia, posta in essere da altri sodali, era consistita esclusivamente nello sbarco di casse di tabacchi lavorati esteri e nella vendita di tali prodotti di contrabbando, senza esplicazione del metodo mafioso).

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Cass. pen. n. 20281/2013

In tema di mandato di arresto europeo, il motivo di rifiuto della consegna previsto dall’art. 18, comma primo, lett. p), L. 22 aprile 2005, n. 69, sussiste quando anche solo una parte della condotta si sia verificata in territorio italiano, purchè tale circostanza risulti con certezza, non potendosi ritenere sufficiente la mera ipotesi che il reato sia stato commesso in tutto o in parte in Italia.
In tema di mandato di arresto europeo, quando la richiesta di consegna riguardi fatti commessi in parte nel territorio dello Stato ed in parte in territorio estero, la sussistenza del motivo di rifiuto previsto dall’art. 18, comma primo, lett. p), L. 22 aprile 2005, n. 69, deve essere valutata alla luce dell’art. 31, comma secondo, della Decisione quadro 2002/584/GAI del 13 giugno 2002, il quale fa salvi eventuali accordi o intese bilaterali o multilaterali, vigenti al momento della sua adozione e volti a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna della persona richiesta. (Fattispecie relativa ad un m.a.e. emesso dall’autorità tedesca per reati in tema di stupefacenti, alcuni dei quali commessi in parte in Italia, in cui la S.C. ha ritenuto applicabile l’art. II dell’Accordo bilaterale italo-tedesco del 24 ottobre 1979, ratificato con legge 11 dicembre 1984, n. 969, con il quale le parti avevano limitato l’incidenza del motivo di rifiuto di cui all’art. 7 della Convenzione europea di estradizione del 1957, nell’ipotesi in cui la domanda di consegna avesse riguardato anche reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio, e fosse risultato opportuno far giudicare tutti i reati nello Stato richiedente).

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Cass. pen. n. 44837/2012

Sono punibili, secondo la legge italiana, come se commessi per intero in Italia, anche i reati la cui condotta sia avvenuta solo in parte nel territorio dello Stato o il cui evento si sia ivi verificato, ancorché si tratti di frammento di condotta privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto commesso in Italia il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sub specie di offerta, messa in vendita e cessione di sostanze stupefacenti, in quanto lo scambio della droga, ancorché materialmente avvenuto in territorio estero, era stato preceduto da contatti telefonici con i singoli acquirenti i quali percepivano la disponibilità alla cessione della droga in Italia da dove chiamavano).

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Cass. pen. n. 22147/2011

Il reato omissivo colposo si considera commesso nello Stato, in applicazione del principio di territorialità della legge penale, qualora abbia avuto luogo in tale territorio anche una sola parte della omissione causativa dell’evento.

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Cass. pen. n. 15280/2008

In tema di ricettazione, il reato deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato qualora in Italia si sia proceduto alla sola predisposizione, mediante la creazione di un doppio fondo, del veicolo utilizzato per importare la merce illecita successivamente acquistata all’estero, non rilevando in proposito che l’originario programma criminoso prevedesse l’acquisto di beni, comunque di natura illecita, di genere diverso rispetto a quelli poi effettivamente acquisiti. (Fattispecie in tema di ricettazione di armi da guerra acquistate all’estero in luogo dell’originario programmato acquisto di una partita di stupefacente ).

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Cass. pen. n. 1180/2008

Ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana in relazione a reati commessi in parte all’estero, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificata anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminoso. Connotazione che tuttavia non può essere riconosciuta ad un generico proposito, privo di concretezza e specificità, di commettere all’estero fatti delittuosi, poi lì integralmente realizzati, sotto il profilo soggettivo e oggettivo (fattispecie in tema di mandato di arresto europeo).

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Cass. pen. n. 34116/2007

In tema di stupefacenti, nel caso in cui il «corriere» della droga proveniente da uno Stato estero, sia sbarcato in un aeroporto italiano al solo fine di transitarvi verso una ulteriore destinazione estera, il delitto di importazione di sostanze stupefacenti deve ritenersi comunque consumato in Italia con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice italiano, individuato, sotto il profilo della competenza territoriale, in quello del luogo d’ingresso della droga entro il confine di Stato.

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Cass. pen. n. 13151/2005

In base al dettato dell’art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione od omissione che lo costituisce è ivi avvenuta, in tutto od in parte, ovvero si è verificato nel territorio italiano l’evento che è conseguenza dell’azione od omissione; pertanto, la condotta del reato di frode in commercio che abbia avuto inizio in Italia, con la consegna della merce da parte dell’imputato al vettore per la spedizione agli acquirenti, in territorio estero, radica la giurisdizione del giudice italiano.

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Cass. pen. n. 38019/2004

Per il principio della territorialità, previsto dall’art. 6 c.p., è sufficiente che un frammento dell’iter criminoso si sia verificato in Italia, purché risulti preordinato, con valutazione ex post, al raggiungimento dell’obiettivo criminoso. Ne consegue che la giurisdizione appartiene all’autorità giudiziaria italiana, anche se l’omicidio è stato commesso all’estero allorché l’arma del delitto e la benzina per bruciare il cadavere siano state procurate in Italia, in quanto si tratta di condotte preordinate a raggiungere l’obiettivo criminoso.

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Cass. pen. n. 20925/2004

In caso di commissione di un reato su parte del territorio italiano successivamente ceduto ad altro Stato in virtù di un trattato di pace, la giurisdizione spetta all’autorità giudiziaria dello Stato cessionario, in quanto la cessione di un territorio sulla base di un atto legittimo dà luogo — salvo patto contrario — ad un immediato trasferimento della sovranità e delle connesse potestà già esercitate sui luoghi ceduti (in applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che avevano dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana in relazione ad un reato commesso nel 1945 nella città di Fiume, ceduta dall’Italia alla Repubblica Jugoslava con il trattato di pace del 15 settembre 1947).

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Cass. pen. n. 5583/2004

Agli effetti della legge penale non può considerarsi commesso, neanche in parte, nel territorio dello Stato il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale di cittadini extracomunitari previsto dall’art. 12, primo e terzo comma, del D.L.vo n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 11 della L. n. 189 del 2002, allorché, essendosi la condotta concretata nel trasporto clandestino degli stranieri a mezzo di un autocarro traghettato su nave non battente bandiera italiana, la scoperta del “carico umano” sia avvenuta in acque internazionali, in quanto in tale eventualità le persone trasportate, dal momento della scoperta, cessano di trovarsi nella disponibilità di fatto del trasportatore. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che l’occultamento degli stranieri operato dal trasportatore sotto copertura di un apparente carico di merce era stato commesso per intero all’estero e che il risultato finale voluto, e cioè quello dell’introduzione dei clandestini in territorio italiano, non era ricollegabile allo stratagemma a tal fine escogitato dall’autore del fatto, bensì all’autonoma decisione del comandante della nave di adottare, in relazione al luogo e al momento dell’accertamento, le misure impostegli dal dovere di condurla a destinazione per apprestare efficace soccorso a persone che, per le disumane condizioni di trasporto, versavano in concreto pericolo di danni all’integrità fisica).

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Cass. pen. n. 29702/2003

In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana, è sufficiente che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione ad opera di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sé carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico iter delittuoso da considerarsi come inscindibile. Ne consegue che anche per il cittadino straniero il quale, pur essendo stato sempre all’estero, abbia collaborato con un cittadino italiano per l’importazione in Italia di sostanza stupefacente, nella consapevolezza che si dava esecuzione a un reato quivi deliberato, il reato stesso deve considerarsi commesso nel territorio dello Stato.

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Cass. pen. n. 20198/2003

In considerazione della natura istantanea del reato di ricettazione, il quale si consuma nel momento in cui l’agente ottiene il possesso della cosa, nessun rilievo può essere attribuito, a fini della perseguibilità in Italia, al luogo in cui viene accertata la detenzione della res (in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto commesso all’estero il delitto di ricettazione di un bene consegnato al ricettatore, cittadino italiano, in territorio estero, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, difettando nella specie la condizione di procedibilità della richiesta del Ministero della giustizia prevista dall’art. 9 c.p.).

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Cass. pen. n. 38401/2002

Il bene giuridico protetto dall’art. 9 della legge n. 497 del 1974 è la sicurezza interna dello Stato e la salvaguardia dell’ordine pubblico interno. Ne consegue che i reati in materia di armi previsti da tale norma sono rigorosamente soggetti al principio di territorialità della legge penale, potendo quindi essere commessi soltanto da chi abbia posto in essere almeno in parte la condotta vietata o abbia realizzato l’evento nel territorio italiano, nei termini specificati dal secondo comma dell’art. 6 c.p. (Nell’applicare tale principio con riferimento al trasferimento di armi da guerra da paesi dell’Est Europa alla Liberia in violazione di risoluzioni dell’Onu, la Corte ha tra l’altro escluso nel caso di specie l’applicabilità dell’art. 25 della legge 9 luglio 1990 n. 185, in quanto non estensibile a situazioni realizzate integralmente all’estero da chi, non iscritto nell’apposito registro, abbia effettuato esportazioni senza alcun transito nel territorio italiano e senza che in Italia siano state compiute attività finalizzate al movimento delle armi «estero su estero»).

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Cass. pen. n. 16386/2002

La preparazione, in territorio italiano, di un prodotto destinato al mercato estero avente caratteristiche diverse da quelle dichiarate è qualificabile come tentativo punibile di frode nell’esercizio del commercio (artt. 56 e 515 c.p.) ed è perseguibile, per il principio di territorialità di cui all’art. 6 c.p., davanti al giudice italiano (nella specie, trattatasi di condotta costituita dall’imbottigliamento, in uno stabilimento sito in territorio italiano, di olio destinato al mercato britannico, descritto nelle etichette già applicate sulle bottiglie come proveniente esclusivamente dalla spremitura di olive di produzione italiana, mentre una parte di esso era in realtà ricavato dalla spremitura di olive di diversa provenienza).

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Cass. pen. n. 4741/2000

Il giudice italiano è competente a conoscere della diffamazione compiuta mediante l’inserimento nella rete telematica (Internet) di frasi offensive e/o immagini denigratorie, anche nel caso in cui il sito web sia stato registrato all’estero e purché l’offesa sia stata percepita da più fruitori che si trovino in Italia; invero, in quanto reato di evento, la diffamazione si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono la espressione ingiuriosa.

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Cass. pen. n. 2329/2000

Deve ritenersi commesso in Italia, ai sensi dell’art. 6 c.p., il reato di associazione per delinquere (nella specie, di tipo mafioso), e sussiste, quindi, la giurisdizione del giudice penale italiano, nell’ipotesi in cui gli associati acquistino in uno Stato straniero (nel quale l’importazione di tabacchi non sia soggetta ad alcuna imposta) tabacchi lavorati esteri prodotti in altro Stato straniero al fine di introdurli, per la vendita, nel territorio italiano, in violazione di norme doganali, se, in tale territorio, siano predisposte strutture stabili per lo scarico, il controllo e lo «stoccaggio» delle merci illecitamente introdotte e sia organizzata una rete di corrieri che trasportino in territorio estero a scopo di riciclaggio la valuta ricavata dalla vendita in Italia. (Nella specie, concernente un procedimento incidentale de libertate, la Corte Suprema ha confermato il provvedimento dei giudici di merito che, allo stato delle indagini, avevano ritenuto che il reato associativo fosse stato commesso in territorio italiano, essendo emerso che l’associazione acquistava in Montenegro tabacchi lavorati prodotti in Svizzera e li importava in Italia, trasportandoli con motoscafi attraverso il canale d’Otranto e sbarcandoli sul litorale pugliese).

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Cass. pen. n. 6605/2000

Deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice italiano nei confronti del cittadino straniero che, pur senza essere mai stato in Italia, abbia collaborato, nella consapevolezza che si dava esecuzione ad un reato delibato sul territorio della Repubblica, con un cittadino italiano per l’acquisto di sostanze stupefacenti all’estero in vista della importazione in Italia, atteso che una porzione del fatto giuridicamente ascrivibile allo straniero si è, in tal caso, svolta nello Stato, con conseguente applicabilità dell’art. 6 c.p., potendosi qualificare il comportamento della persona che abbia svolto l’indicata attività all’estero quale concorso nell’esecuzione di un delitto plurisoggettivo, in cui le singole azioni perdono la loro individuabilità e di esse ciascun agente risponde per l’intero.

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Cass. pen. n. 4284/2000

In relazione a reati commessi in parte anche all’estero, ai fini dell’affermazione della giurisdizione italiana è sufficiente, a norma dell’art. 6 c.p., che nel territorio dello Stato si sia verificato l’evento o sia stata compiuta, in tutto o in parte, l’azione, con la conseguenza che, in ipotesi di concorso di persone, perché possa ritenersi estesa la potestà punitiva dello Stato a tutti i compartecipi e a tutta l’attività criminosa, ovunque realizzata, è sufficiente che in Italia sia stata posta in essere una qualsiasi attività di partecipazione da parte di uno qualsiasi dei concorrenti, a nulla rilevando che tale attività parziale non rivesta in sè carattere di illiceità, dovendo essa essere intesa come frammento di un unico iter delittuoso da considerarsi come inscindibile; la circostanza che l’autore (o gli autori) del reato siano già stati giudicati all’estero per lo stesso fatto non è di ostacolo alla rinnovazione del giudizio in Italia, atteso che nel nostro ordinamento, salvo diversi accordi a livello internazionale, non vige il principio del ne bis in idem internazionale. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto possibile la rinnovazione del giudizio in Italia a carico di persone già giudicate in Germania, non essendo intervenuti, tra l’Italia e la Germania, accordi bilaterali di ratifica né in relazione alla Convenzione Europea sulla validità internazionale di giudizi repressivi, resa esecutiva in Italia con legge n. 305 del 1977, né in relazione alla Convenzione di Bruxelles resa esecutiva in Italia con legge n. 350 del 1989).

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Cass. pen. n. 124/2000

In tema di abusiva organizzazione di scommesse su competizioni sportive svolgentisi in Stati esteri, il principio di ubiquità accolto dall’art. 6 c.p. comporta che quando nel territorio italiano si effettui anche solo una parte della organizzazione di pubbliche scommesse, come ad es. la raccolta delle puntate, trovano applicazione le disposizioni dell’art. 88 T.U.L.P.S. e della legge 13 dicembre 1989, n. 401, e pertanto l’esercizio senza licenza è punito ai sensi dell’art. 4 lett. c) L. cit., sebbene il resto dell’organizzazione faccia capo a società straniere e i giuochi e le competizioni oggetto delle scommesse si svolgano all’estero.

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Cass. pen. n. 225/2000

In tema di territorialità della giurisdizione penale, a norma dell’art. 6, comma secondo, c.p., deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato il delitto di favoreggiamento concretatosi nella consegna in territorio estero a un latitante di documenti falsificati, trattandosi di attività parzialmente maturatasi in Italia, da dove l’agente era partito per raggiungere il latitante, dopo avere concordato con quest’ultimo le modalità della consegna attraverso contatti telefonici.

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Cass. pen. n. 3089/1999

In virtù del principio di territorialità della legge penale di cui al secondo comma dell’art. 6 c.p., il reato si considera commesso nel territorio dello Stato anche quando l’azione o l’omissione, che ne costituisce la condotta, si è ivi realizzata soltanto in parte, dovendosi tale termine intendersi in senso naturalistico, come un momento dell’iter criminoso che, considerato unitariamente ai successivi atti compiuti all’estero, viene a integrare un’ipotesi di delitto tentato o consumato. Pertanto, con riferimento al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, l’adesione al sodalizio criminoso che si è formato e ha operato in Italia, integra partecipazione a un reato commesso nel territorio dello Stato anche se l’aderente materialmente rimanga sempre all’estero, ove la sua condotta di partecipazione all’associazione si sia svolta per intero, con l’apporto di contributi apprezzabili alla organizzazione.

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Cass. pen. n. 7204/1997

Per l’applicabilità del principio di territorialità, di cui all’art. 6 c.p., è sufficiente che in Italia sia avvenuta una parte dell’azione anche piccola, purché preordinata — secondo una valutazione ex post — al raggiungimento dell’obiettivo delittuoso. Ne consegue che, in tema di traffico internazionale di stupefacenti, se l’accordo tra i coimputati e la predisposizione dei mezzi occorrenti all’importazione e all’occultamento della droga, realizzati in Italia, appaiono preordinati all’acquisto e alla detenzione della stessa, poi effettivamente consumati all’estero, il reato deve ritenersi commesso in Italia.

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Cass. pen. n. 873/1997

A norma dell’art. 6 c.p., che è diretto ad affermare il principio di territorialità del diritto penale ed a privilegiare la giurisdizione italiana, è sufficiente, perché il reato si consideri commesso nel territorio dello Stato, che quivi si sia verificato anche solo un frammento della condotta, intesa in senso naturalistico, e, quindi, un qualsiasi atto dell’iter criminis. In conseguenza non è necessaria la richiesta del Ministro di grazia e giustizia per il delitto di tentata importazione di droga, sequestrata all’estero, ma diretta in Italia, qualora nel territorio italiano siano avvenuti atti preliminari e strumentali, quali la domanda di spedizione o il consenso, in qualsiasi forma espresso, all’inoltro o alla ricezione della droga, atti che incidono, in modo rilevante, sull’elemento psicologico del reato.

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Cass. pen. n. 2640/1996

La regola posta al comma 2 dell’art. 6 c.p., secondo la quale, in applicazione del principio della territorialità della legge penale, il reato si considera commesso nel territorio dello Stato quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, va intesa nel senso che il reato si considera commesso in Italia anche quando sia stato posto in essere anche uno solo degli atti del processo criminoso essenziali per la configurabilità del reato medesimo; nel novero di tali atti, considerato sotto l’aspetto naturalistico, vale a dire come frammenti di un’azione più ampia preordinata al raggiungimento di un determinato obiettivo, rientra pertanto il conferimento di un mandato ad uccidere, accettato dal mandatario, direttamente o per interposta persona, in quanto costituente il momento iniziale della condotta produttiva dell’evento dannoso.

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Cass. pen. n. 5617/1994

Ai fini della applicazione del principio di territorialità della legge penale (art. 6 c.p.), per azione deve intendersi il complesso dei comportamenti consapevolmente finalizzati al raggiungimento dello scopo o dell’evento delittuoso, sicché fra essi rientra, nel caso di accordo fra più persone che con le loro condotte partecipano concorsualmente al reato, anche tutto ciò che, pur essendo limitato all’elemento psicologico (il quale rientra tra quelli essenziali del reato), può essere ricondotto al determinismo volitivo coagulante o influente sulle condotte dei correi. Ne consegue che un’azione delittuosa ispirata o rafforzata nella volontà ovvero ordinata da concorrenti morali in Italia, deve essere considerata penalmente quivi realizzata ancorché l’esecuzione materiale, l’evento o l’omissione che costituisce il reato siano posti in essere all’estero da taluno dei concorrenti materiali. E ciò anche se i contatti organizzativi si siano verificati solo fra alcuni dei correi e non fra tutti, in quanto il reato è effetto del contributo di ciascun correo e di tutti insieme, attesa la comune finalizzazione partecipativa.

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Cass. pen. n. 1972/1994

A norma dell’art. 6 c.p. sono punibili secondo la legge italiana, come fossero commessi per intero in Italia, anche i reati la cui condotta è avvenuta solo in parte nel territorio dello Stato o ivi si è verificato l’evento. Ne risulta che anche i reati commessi in parte all’estero, al pari di quelli realizzatisi soltanto nel territorio nazionale, assumono rilevanza penale per l’ordinamento italiano nella loro globalità, ivi compresa la parte della condotta realizzata all’estero e, pertanto, debbono essere valutati e puniti dai giudici italiani nella loro interezza, avendo riguardo pure alle modalità e alla gravità della parte dell’azione verificatasi al di fuori dello Stato. Ne consegue che deve tenersi conto di questa parte della condotta anche ai fini dell’individuazione dell’inizio della permanenza, non essendo consentito considerare isolatamente la frazione della condotta realizzatasi in Italia. (Nella specie, per un reato permanente la cui consumazione era iniziata all’estero la Corte ha escluso l’operatività, quale criterio di riparto fra i giudici italiani, dell’art. 8, terzo comma, c.p.p., dovendosi in tal caso la competenza determinare secondo il criterio suppletivo di cui all’art. 9 primo comma c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione).
In tema di competenza per territorio in ordine a reati permanenti commessi in parte all’estero, si applica il criterio dettato dall’art. 8, terzo comma, c.p.p. quando la condotta criminosa ha avuto inizio in una individuata località nel territorio nazionale, proseguendo poi all’estero. Invece, il luogo d’inizio della permanenza non può fungere quale criterio di riparto fra i giudici italiani se è ubicato al di fuori dello Stato. In tal caso, la competenza si stabilisce secondo il criterio suppletivo di cui all’art. 9 primo comma c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione.

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Cass. pen. n. 7478/1993

In tema di reati associativi, per determinare la sussistenza della giurisdizione italiana occorre verificare soprattutto il luogo dove si è realizzata, in tutto o in parte, la operatività della struttura organizzativa, mentre va attribuita importanza secondaria al luogo in cui sono stati realizzati i singoli delitti commessi in attuazione del programma criminoso, a meno che questi, per il numero e la consistenza, rivelino il luogo di operatività del disegno. Da ciò consegue che la partecipazione di un soggetto ad un sodalizio criminoso che ha diramazioni e centri operativi in varie parti del mondo acquista rilevanza ai fini della giurisdizione se uno o più dei centri sia operante in Italia perché in caso positivo il reato dovrà ritenersi interamente punibile secondo la legge italiana e ad opera dell’autorità giudiziaria dello Stato. Il tutto secondo quanto si desume dall’art. 6 c.p., una norma che interpreta e definisce l’interesse dello Stato a punire coloro che, in qualche modo, abbiano posto in essere un’attività illecita che abbia violato le norme penali, attribuendo così valenza espansiva ad una frazione di attività commessa nel territorio dello Stato anche da taluno che partecipi al sodalizio, in modo che l’applicazione della norma penale si estenda a tutti i compartecipi ed a tutta l’attività criminosa dovunque realizzata.
Nell’ipotesi di concorso di più persone nel reato, alcune delle quali abbiano realizzato una parte della condotta in Italia ed una parte all’estero, oppure totalmente all’estero alcune e totalmente in Italia altre, coloro che attuarono una collaborazione nella esecuzione del fatto in territorio estero risponderanno del reato come se commesso in Italia, perché la loro condotta è considerata come un aspetto o come una frazione di un tutto che ha trovato la sua attuazione anche nel territorio dello Stato e, ai sensi dell’art. 6 c.p., suscita l’interesse punitivo dello Stato e ne determina l’intervento e la persecuzione in sede penale.

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Cass. pen. n. 1544/1993

È sufficiente, perché il reato si consideri commesso nel territorio dello Stato, che ivi si sia verificato anche solo un frammento dell’iter criminoso e costituiscono parte dell’azione tutti i movimenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla consumazione del reato. (Nella fattispecie, trattavasi di imputato giudicato all’estero dopo essere stato arrestato dalla polizia francese perché sorpreso a trasportare, diretto in Italia, droga nascosta in un doppio fondo ricavato nel serbatoio di benzina dell’auto su cui viaggiava. I giudici, rilevato che il reato era iniziato in Italia quando era stato deciso il disegno criminoso, progettata ed organizzata l’operazione, preparati i serbatoi di benzina dell’auto, hanno escluso che fosse necessaria la richiesta del Ministero di grazia e giustizia per giudicare nuovamente nello Stato l’imputato).

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Cass. pen. n. 7455/1992

Per il principio di territorialità della legge penale di cui al secondo comma dell’art. 6 c.p. il reato si considera commesso nel territorio dello Stato anche quando l’azione o l’omissione che lo costituisce si sia ivi realizzata soltanto in parte; tale termine deve intendersi in senso naturalistico, cioè come un momento dell’iter criminoso che, considerato unitamente ai successivi atti commessi all’estero, integri un’ipotesi di delitto tentato o consumato; ne consegue che, una volta concertata in Italia l’azione criminosa diretta all’importazione nel territorio dello Stato di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti, ivi apprestando anche i mezzi finanziari necessari per gli acquisti e reclutando uno dei corrieri incaricati del trasporto, la fattispecie criminosa, ancorché accertata all’estero, è da considerare come realizzata in Italia, per cui deve escludersi la necessità della richiesta ministeriale per la sua procedibilità nel territorio dello Stato.

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