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Art. 907 — Distanza delle costruzioni dalle vedute

Art. 907 — Distanza delle costruzioni dalle vedute

Quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell’articolo 905.

Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita.

Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 11287/2018

La titolarità del diritto reale di veduta costituisce una condizione dell’azione volta ad ottenere l’osservanza da parte del vicino delle distanze di cui all’art. 907 c.c. e, come tale, va accertata anche d’ufficio dal giudice, salvo che da parte del convenuto vi sia stata ammissione, esplicita o implicita, purché inequivoca, della sussistenza di tale diritto.

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Cass. civ. n. 15244/2017

Il diritto di veduta sancito dall’art. 907 c.c. intende assicurare, attraverso l’esercizio della “inspectio” e della “prospectio”, la piena e completa visione del fondo servente in ogni direzione, sia in orizzontale, che in verticale, che, eventualmente, in maniera obliqua, ed impone, pertanto, che la distanza della nuova costruzione dalla preesistente veduta sia misurata in maniera radiale, non rilevando in senso contrario che la conformazione fisica dei luoghi impedisca la veduta cd. “in appiombo”.

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Cass. civ. n. 26383/2016

Posto che nella disciplina legale dei “rapporti di vicinato” l’obbligo di osservare nelle costruzioni determinate distanze sussiste solo in relazione alle vedute, e non anche alle luci, la dizione “pareti finestrate” contenuta in un regolamento edilizio che si ispiri all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 – il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti – non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come “vedute”, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette “lucifere”.

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Cass. civ. n. 16808/2016

La disciplina sulle distanze delle costruzioni dalle vedute, di cui all’art. 907 c.c., ha natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quella delle distanze tra costruzioni, di cui all’art. 873 c.c., poiché la prima mira a tutelare il proprietario del bene dall’indiscrezione del vicino, mentre la seconda è volta ad evitare la formazione di intercapedini dannose, sicché incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda che denuncia la violazione delle distanze tra le costruzioni, condanni il convenuto per la violazione dell’art. 873 c.c.

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Cass. civ. n. 19429/2013

Il divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalle vedute, sancito dall’art. 907 c.c., intende assicurare al titolare del diritto di veduta aria e luce sufficienti all’esercizio della “inspectio” e della “prospectio”, sicché il giudice di merito, pur in presenza dell’accertata violazione della distanza, è tenuto a valutare specificamente se l’opera edificata (nella specie, un’inferriata di recinzione) ostacoli l’esercizio della veduta.

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Cass. civ. n. 12051/2013

In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute, agli effetti dell’art. 907 cod. civ., il divieto di fabbricare opere in pregiudizio dell’esercizio di una servitù di veduta, supponendo una modifica dell’assetto dei luoghi richiedente un’attività costruttiva, non può estendersi alla creazione di barriere naturali, quali le siepi vive, cui è applicabile la diversa disciplina prevista dall’art. 892, primo comma, n. 3, cod. civ.

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Cass. civ. n. 955/2013

Il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta in appiombo fino alla base dell’edificio e di opporsi conseguentemente alla costruzione di altro condomino (nella specie, un pergolato realizzato a copertura del terrazzo del rispettivo appartamento), che, direttamente o indirettamente, pregiudichi l’esercizio di tale suo diritto, senza che possano rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l’art. 907 c.c. il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita.

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Cass. civ. n. 79/2013

In tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, l’obbligo del proprietario di non fabbricare a distanza minore di tre metri dai lati della finestra da cui si esercita sia la veduta diretta che la veduta obliqua, ai sensi dell’art. 907, secondo comma, c.c., sussiste solo nel caso in cui la duplice veduta sia aperta verso lo stesso fondo.

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Cass. civ. n. 20699/2012

Per effetto delle limitazioni previste dall’art. 907 c.c. a carico del fondo su cui si esercita una veduta (sia che questa sia stata aperta “jure servitutis”, sia che venga esercitata “jure proprietatis”), deve osservarsi un distacco di tre metri in linea orizzontale dalla veduta diretta, da rispettare eventualmente anche dai lati della finestra da cui si esercita la veduta obliqua, dovendosi osservare analogo distacco anche in senso verticale per una profondità di tre metri al di sotto della soglia della veduta. Nel caso di veduta diretta e obliqua, la distanza minima di tre metri “sotto soglia”, prescritta dal terzo comma dell’art. 907 cit., non va, peraltro, considerata solo in linea perpendicolare rispetto al davanzale della finestra, ma si estende in basso anche obliquamente rispetto ai punti estremi di tale davanzale.

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Cass. civ. n. 11729/2012

Al proprietario del fondo gravato da una servitù di veduta è vietato costruire a meno di tre metri dal lato inferiore dell’apertura dalla quale si esercita la veduta, distanza che va rispettata sia nella sua proiezione orizzontale, sia in quella verticale. La violazione di tale distanza minima di rispetto, tuttavia, comporterà per il proprietario del fondo servente non già l’obbligo di demolire la nuova costruzione, ma solo di arretrarla sino a quando sia ripristinata la suddetta distanza minima.

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Cass. civ. n. 4608/2012

La distanza minima di tre metri che, ai sensi dell’art. 907 c.c., deve separare il fondo del titolare d’una servitù di veduta dalla costruzione realizzata dal proprietario del fondo servente, deve sussistere non solo tra la veduta e la parte di costruzione che le sta di fronte, ma anche tra la prima e la parte di costruzione che si trova lateralmente o al di sotto di essa (nella specie, il proprietario di un terrazzo a livello, posto al di sotto di un ballatoio il cui proprietario era titolare del diritto di veduta, aveva realizzato una tettoia sporgente rispetto alla proiezione verticale del ballatoio. Il proprietario di quest’ultimo aveva perciò chiesto la demolizione della tettoia, ma il giudice di merito l’aveva accordata solo “fino alla distanza di metri tre dal margine esterno” del ballatoio. La S.C., applicando il principio di cui alla massima, ha cassato tale decisione).

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Cass. civ. n. 12033/2011

L’obbligo di costruire a non meno di tre metri dalle vedute dirette aperte nella costruzione esistente sul fondo vicino, di cui all’art. 907 c.c., ha natura assoluta e va osservato anche quando l’erigenda costruzione non sia tale da impedire di fatto l’esercizio della veduta, mentre una valutazione circa l’idoneità dell’opera ad ostacolare il diritto di veduta può venire in rilievo soltanto quando si intenda erigere un manufatto diverso da una costruzione in senso tecnico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto irrilevante, ai fini dell’esonero dal rispetto della distanza minima prescritta dall’art. 907 c.c., la circostanza che l’erezione di un muro di cinta, da intendersi quale costruzione in senso proprio, non avesse impedito l’esercizio del diritto di veduta al proprietario del fondo vicino).

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Cass. civ. n. 7772/2011

La servitù di veduta o prospetto, goduta dal proprietario di un edificio sul sottostante tetto a piano inclinato dell’edificio contiguo, impedisce qualsiasi innalzamento del tetto, che incida negativamente sull’esercizio del diritto di veduta nella sua naturale espansione, anche se la distanza tra il fondo dominante e quello servente, per una situazione di fatto consolidata, risulti già inferiore ai limiti stabiliti dalla legge.

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Cass. civ. n. 11956/2009

In materia di luci e di vedute, il diritto di proprietà di un immobile fronteggiante il fondo altrui non può attribuire, in assenza di titoli specifici (negoziali o originari, come l’usucapione), anche l’acquisto della servitù di veduta; ne consegue che una situazione di mero fatto – che si sia concretizzata nell’esistenza, a distanza inferiore di quella prescritta dall’art. 905 c.c., di aperture che consentano la “inspectio” e la “prospectio” nel fondo confinante – non è di per sé suscettibile di tutela in via petitoria, al fine di pretendere, da parte del vicino che edifichi sul proprio fondo, l’osservanza delle distanze previste dall’art. 907 c.c.

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Cass. civ. n. 21501/2007

In tema di violazione delle norme sulla distanza delle costruzioni dalle vedute, ai sensi dell’articolo 907 c.c., per costruzione deve intendersi l’opera destinata per la sua funzione a permanere nel tempo, e, tuttavia, il carattere di precarietà della medesima non esclude la sua idoneità a costituire turbativa del possesso della veduta come in precedenza esercitata dal titolare del diritto.

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Cass. civ. n. 22838/2005

Il principio secondo cui in materia di condominio trovano applicazione le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto di veduta) non ha carattere assoluto, non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto dell’art. 907 c.c., giacchè, dovendosi tenere conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, il giudice di merito deve verificare, nel singolo caso, se esse siano o meno compatibili con i diriiti dei condomini. (Nella specie, gli attori avevano chiesto la rimozione di una tenda installata dalla convenuta nel balcone di sua proprietà, lamentando la lesione del diritto di veduta laterale dai medesimi esercitato dal balcone di loro proprietà ubicato a fianco di quello della convenuta; la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, nel rigettare la domanda, aveva ritenuto l’inapplicabilità delle norme sulle distanze in materia di vedute sul rilievo che i due balconi si trovavano a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 c.c.).

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Cass. civ. n. 5764/2004

In tema di distanza delle costruzioni dalle vedute, se la ratio dell’art. 907 c.c., il quale fa divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalla veduta del vicino, è quella di assicurare al titolare del diritto di veduta sufficiente aria e luce consentendogli l’esercizio dell’
inspectio e della prospectio, l’accertamento e la valutazione della idoneità della costruzione a non ostacolare la fruizione di tali beni, nonché a non determinare modifica sostanziale di qualsivoglia altra situazione di godimento in cui si esplica il potere riconosciuto al titolare di veduta, richiedono al giudice una motivazione congrua e adeguata. (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza del tribunale perché la motivazione del giudice di appello si esauriva nella mera ripetizione dell’apprezzamento espresso dal giudice di primo grado, laddove tale apprezzamento — riguardante una tettoia di materiale plastico di spessore sottile e di colore trasparente — era stato contestato e messo in discussione, con il gravame).

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Cass. civ. n. 12479/2002

In tema di distanze tra costruzioni, il disposto di cui all’art. 907, comma secondo, c.c., postula, per la sua applicazione, l’esistenza di una veduta diretta, ovvero di una veduta diretta che formi anche una veduta obliqua, non anche solo obliqua (e, tanto meno, soltanto laterale).

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Cass. civ. n. 16117/2001

Il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri dalle vedute del vicino sussiste, se la costruzione appoggia sul muro su cui si apre la veduta, ancorché eretta su suolo pubblico, perché per l’esclusione del suddetto obbligo, a norma dell’art. 879, secondo comma, c.c., è necessario che la costruzione e la veduta siano separati da una pubblica via, non nel medesimo lato di essa.

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Cass. civ. n. 4712/2001

L’obbligo di rispettare le distanze per l’apertura di vedute sul fondo vicino non viene meno se la presenza di muri divisori o altre barriere impediscono in concreto l’affaccio sul medesirno.

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Cass. civ. n. 15394/2000

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile un’applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime (nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro condominiale ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria di un locale di altro condomino adibito ad esercizio di pizzeria).

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Cass. civ. n. 13012/2000

Il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall’art. 907, comma terzo, c.c. nel caso in cui il manufatto sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra. Infatti, tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa quella di «inspicere» e «prospicere» in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l’interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto. L’art. 907 c.c. in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute è applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto del citato art. 907 c.c.

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Cass. civ. n. 4976/2000

In ipotesi di nuova costruzione, l’obbligo della distanza in verticale di 3 metri dalla soglia delle vedute esistenti nel fabbricato del vicino va osservato in ogni caso, senza alcuna distinzione tra costruzioni in appoggio e costruzioni in aderenza.

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Cass. civ. n. 1832/2000

Ai fini dell’applicazione della disciplina di cui al terzo comma dell’art. 907 c.c., relativa alla distanza minima di tre metri in linea verticale da osservarsi nel caso dell’esistenza, nel muro del fabbricato altrui, di una veduta diretta, all’ipotesi della costruzione da realizzarsi in appoggio va equiparata quella della costruzione da realizzarsi in aderenza.

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Cass. civ. n. 13196/1999

Anche nell’ambito di un condominio si rendono configurabili e tutelabili l’esistenza e l’esercizio di una servitù di veduta a favore della singola porzione di proprietà esclusiva ed a carico di un’altra.

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Cass. civ. n. 6897/1999

In tema di distanze legali il limite di tre metri stabilito dall’art. 907 c.c. è inapplicabile allorquando le vedute esistenti sull’immobile vicino siano state aperte a distanza minore, cioè a titolo di servitù. In tal caso, colui che esegue le nuove opere, è obbligato a non ledere tale diritto, mentre può legittimamente eseguire sulla sua proprietà tutte le innovazioni che con esso non contrastino.

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Cass. civ. n. 5390/1999

Le vedute implicano il diritto ad una zona di rispetto che si estende per tre metri in direzione orizzontale dalla parte più esterna della veduta e per tre metri in verticale rispetto al piano corrispondente alla soglia della veduta medesima, sicché ogni costruzione che venga a ricadere in questa zona è illegale e va rimossa.

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Cass. civ. n. 4526/1998

L’obbligo di costruire rispettando la distanza stabilita dall’art. 907 c.c. dalla veduta diretta del vicino sussiste anche se tra i due fondi vi è un’intercapedine o la costruzione di un terzo, che non ne pregiudica però l’esercizio, perché tale norma non richiede che i predetti fondi siano confinanti, e perché tale obbligo viene meno soltanto se tra di essi vi è una strada o piazza pubblica.

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Cass. civ. n. 12299/1997

L’obbligo di osservare la distanza di tre metri dalle vedute dirette aperte nella costruzione eretta sul fondo finitimo di cui all’art. 907 c.c., integrando gli estremi di un divieto assoluto (e, come tale, indipendente dalla esistenza e dalla misura di un concreto nocumento all’esercizio della veduta medesima), va osservato anche quando la erigenda costruzione sia costituita da un muro di cinta, essendo l’esonero dal rispetto delle distanze legali previsto per questo manufatto (art. 878 c.c.) espressamente limitato a quelle di cui all’art. 873 c.c., onde il dovere del proprietario, che intenda proteggere il fondo dalle indebite intrusioni altrui con un muro, di erigerlo a distanza legale dalle vedute del vicino, aperte tanto iure proprietatis quanto iure servitutis.

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Cass. civ. n. 2180/1997

In relazione al principio secondo cui l’obbligo del proprietario del fondo vicino di non fabbricare a distanza inferiore ai tre metri dai lati della finestra da cui si sia acquisito il diritto di esercitare sia veduta diretta che veduta obliqua (art. 907, secondo comma, c.c.) sussiste solo nel caso in cui la duplice veduta si eserciti sullo stesso fondo, non osta all’unicità del fondo l’esistenza di più particelle catastali e la diversità delle relative destinazioni d’uso, se sussiste un’unitaria destinazione economico sociale del bene, tenuto conto della conformazione, ubicazione, funzione e reciproca interrelazione delle varie componenti immobiliari, alla luce anche dell’atto di acquisto. (Nella specie la sentenza impugnata, annullata dalla S.C. perla violazione dei principi suindicati, aveva dato preminente rilievo alla destinazione catastale di una particella ad abitazione e dell’altra a vigna, senza considerare la configurabilità di una casa con vigna come bene unitario).

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Cass. civ. n. 1261/1997

La veduta laterale, che ricorre quando il confine del fondo del vicino ed il muro dal quale si esercita la veduta formano un angolo di 180 gradi, può essere esercitata, oltre che di lato, anche in basso, verticalmente, assumendo, così, le caratteristiche della veduta in appiombo, che deve, perciò, considerarsi espressamente ammessa dal codice civile che, proprio per specificare
i limiti normali di tale veduta (e della veduta obliqua in basso), impone a colui che vuole appoggiare la nuova costruzione al muro da cui si esercita la veduta di arrestarsi almeno a tre metri sotto la soglia della medesima (art. 907 c.c.). Ricorre, conseguentemente, la servitù di veduta in appiombo tutte le volte in cui, per i maggiori contenuti della zona di rispetto prevista nel caso concreto, essa determini, per il fondo sul quale si esercita verticalmente, una restrizione dei poteri normalmente inerenti al diritto di proprietà delineati dalle norme sulle distanze, risolvendosi così in un peso imposto a tale fondo per il vantaggio (utilità) del fondo dal quale la veduta si esercita, come nel caso delle vedute esercitate anche verticalmente dai proprietari dei singoli piani di un edificio condominiale dalle rispettive aperture fino alla base dell’edificio.

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Cass. civ. n. 3109/1993

Il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all’osservanza delle distanze prescritte dall’art. 907 c.c. nel caso in cui la veranda insista esattamente nell’area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del balcone sovrastante, giacché l’art. 907 citato non attribuisce a quest’ultimo la possibilità di esercitare dalla soletta o dal parapetto del suo balcone una inspectio o prospectio obliqua verso il basso e contemporaneamente verso l’interno della sottostante proprietà.

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Cass. civ. n. 1598/1993

Ai fini dell’art. 907 c.c., il quale fa divieto di fabbricare a distanza minore di tre metri dalla veduta del vicino, il concetto di fabbricare non riguarda esclusivamente i fabbricati in calce o mattoni e cemento, cioè le opere che abbiano le caratteristiche di un edificio o di una fabbrica in muratura, ma comprende ogni opera avente il carattere della stabilità ed una certa consistenza, indipendentemente dalla natura del materiale con cui è stata realizzata, dalla forma e dalla destinazione di essa, sempre che l’opera diversa dal fabbricato in senso proprio e tecnico ostacoli l’esercizio della veduta del proprietario del fondo vicino. Pertanto la fissazione di una rete plastificata con collegamento precario alla parete sottostante la veduta non realizza un manufatto idoneo ad incidere negativamente sull’esercizio del diritto di veduta, ove, secondo l’apprezzamento del giudice del merito, non comporti un ostacolo alla fruizione di aria e luce nella zona di rispetto, né una modificazione sostanziale di qualsivoglia altra situazione di godimento in cui si esplica il potere riconosciuto al titolare del diritto di veduta dall’art. 907 cit.

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Cass. civ. n. 2873/1991

Le disposizioni sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti fra condomini di un edificio, non derogando l’art. 1102 c.c. al disposto dell’art. 907 stesso codice. Tuttavia non può considerarsi «costruzione» vietata da quest’ultima disposizione una tenda di tela scorrevole con comando a manovella, pure se situata a distanza inferiore a tre metri dal balcone o dalla finestra del piano sovrastante, ancorché siano necessari per farla funzionare dei sostegni fissi, atteso che tale tenda, non pregiudica permanentemente la prospectio né diminuisce l’aria e la luce al condomino del piano sovrastante.

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Cass. civ. n. 11705/1990

A norma dell’art. 907 c.c., la veduta diretta gode di una zona di rispetto di tre metri, sia in linea orizzontale che verticale, con la conseguenza che, nel caso di costruzioni in appoggio o in aderenza al muro nel quale la veduta si apre, detta costruzione deve arrestarsi in altezza a tre metri della soglia della soprastante veduta e tale distanza deve essere rispettata anche in linea orizzontale, con riferimento al punto di arresto della costruzione in altezza.

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Cass. civ. n. 1268/1989

Il divieto di fabbricare a distanza inferiore a tre metri dalla veduta diretta del vicino (art. 907 c.c.) riguarda le costruzioni – non in appoggio o in aderenza – che raggiungono o superano in altezza il livello della veduta, mentre non opera per le costruzione che non eccedono detto livello, le quali, solo se appoggiate al muro in cui è aperta la veduta diretta, devono arrestarsi almeno tre metri sotto la sua soglia ai sensi del terzo comma del citato art. 907, restando in diversa ipotesi soggette solo alla disciplina dell’art. 873 c.c. in tema di distanze tra le costruzioni.
La trasformazione di un tetto in terrazza, anche se comporti un leggero innalzamento del livello di quota dei fabbricati, non è idoneo in sé e per sé ad alterare il contenuto di una servitù di veduta in precedenza esercitata sul tetto, a meno che il titolare di essa non provi che un uso abnorme del terrazzo o l’innalzamento del fabbricato abbiano in concreto modificato, riducendolo, il suo diritto.

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Cass. civ. n. 4209/1987

A norma dell’ultimo comma dell’art. 907 c.c., secondo cui se si vuole appoggiare una nuova costruzione al muro, in cui vi sono vedute dirette ed oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia, quando la veduta è esercitata da un balcone anzi che da una finestra, per soglia deve intendersi il piano di calpestio del balcone stesso, sicché da questo e non dal margine superiore della ringhiera del balcone stesso operano i limiti di distanza previsti dalla citata norma).

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Cass. civ. n. 1058/1986

L’eccezionale non computabilità ai fini delle distanze può riguardare solo gli oggetti di modeste dimensioni e aventi funzione meramente decorativa o di rifinitura; pertanto, la costruzione di una soletta in cemento armato, sporgente in corrispondenza di un’apertura dei muri perimetrali di un edificio, è sufficiente a far nascere a favore del preveniente il diritto verso il vicino al rispetto delle distanze, di cui agli artt. 873 e 907 c.c., quando tale soletta costituisca la base di una balconata da rifinire.

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Cass. civ. n. 4512/1985

La sussistenza di una veduta, anche al fine dell’assoggettamento della costruzione del vicino alle distanze fissate dall’art. 907 c.c., deve essere riconosciuta in presenza di una situazione che consenta di esercitare la inspectio e la prospectio sul fondo di detto vicino, mentre resta in proposito irrilevante che tale esercizio non sia ameno (nella specie, trattandosi di affaccio su un angusto cortile), ovvero fornisca al fondo dominante una ridotta utilitas (nella specie, in relazione alla sua destinazione non abitativa).

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Cass. civ. n. 3859/1985

Qualora il proprietario esclusivo del terrazzo a piano attico di edificio condominiale agisca, in via possessoria, per denunciare che altro condomino, collocando una canna fumaria in aderenza al muro perimetrale e prolungandola oltre la ringhiera di detto terrazzo, ha arrecato pregiudizio al suo godimento di veduta, l’indagine sulla legittimità del fatto denunciato, nei limiti in cui sia consentita nel giudizio possessorio, va condotta con riferimento all’art. 907 c.c. (distanza delle costruzioni dalle vedute), non all’art. 1102 c.c. (uso della cosa comune), tenuto conto che la suddetta domanda è rivolta a tutelare il possesso del singolo appartamento, non il compossesso di un bene condominiale.

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Cass. civ. n. 4384/1982

Qualora sia stata aperta una veduta a distanza minore di un metro e mezzo dal confine del fondo vicino, il proprietario di quest’ultimo, ove intenda costruire, non è esonerato dall’obbligo (
ex art. 907 c.c.) di mantenere il fabbricato a distanza non minore di tre metri, misurata a norma dell’art. 905 c.c. potendo soltanto agire — quale titolare di un diritto soggettivo al rispetto della distanza legale — per l’eliminazione della veduta. In quest’ultimo caso il proprietario che abbia aperto la veduta può opporre il diritto di arretrare la stessa fino al limite della distanza, anche mediante mezzi tecnici correttivi, idonei a rendere l’arretramento effettivo, permanente e controllabile dall’esterno, con la conseguenza che solo ove non si verifichi tale ultima situazione, il proprietario del fondo vicino potrà osservare —rispetto al fabbricato nel quale era stata aperta la veduta — la distanza prevista dall’art. 873 c.c., da misurare cioè tra i muri perimetrali, salvo le ulteriori soluzioni in base al principio della prevenzione.

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Cass. civ. n. 3742/1982

Con riguardo a fabbricati in aderenza od appoggio sul confine fra due fondi, la sopraelevazione dell’uno, che non venga effettuata sul filo della preesistente costruzione, deve osservare dall’altro fabbricato, indipendentemente dal superamento o meno del livello di quest’ultimo, il distacco minimo previsto dal codice civile o dai regolamenti locali. Pertanto, ove tale sopraelevazione venga illegittimamente attuata con un arretramento della precedente linea costruttiva inferiore al distacco suddetto, deve escludersi la facoltà di aprire una veduta sulla sopraelevazione medesima (salvo il suo acquisto iure servitutis), mancando la prescritta distanza rispetto alla costruzione del vicino, e, correlativamente, deve escludersi che detta veduta, ove realizzata, possa essere invocata per imporre al vicino di rispettare, nella propria successiva sopraelevazione, la distanza prevista dall’art. 907 c.c.

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Cass. civ. n. 1425/1982

L’art. 907 c.c. — essendo diretto a prevenire od eliminare, a salvaguardia dell’igiene e della sicurezza pubblica, intercapedini eccessivamente anguste, così da assicurare aria e luce in quantità sufficiente, ed avendo come ulteriore specifica ratio la tutela dell’esercizio delle vedute da ogni eventuale ostacolo avente carattere di stabilità — concerne le sole opere idonee ad incidere negativamente su tali finalità.

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Cass. civ. n. 1225/1982

La norma dell’art. 907 c.c. che stabilisce il divieto di costruire a distanza inferiore a tre metri dalle vedute del vicino, non è applicabile nel caso in cui i fondi vicini siano separati da una strada pubblica.

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Cass. civ. n. 3457/1978

Il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino rende illegittima da parte del proprietario di questo la costruzione di qualunque manufatto a distanza minore di quella fissata dall’art. 907 c.c., che intralci non solo la possibilità di guardare (inspicere) e di affacciarsi (prospicere) sul fondo stesso, ma anche quella di ricevere da esso luce ed aria. Deve perciò ritenersi illegittima l’installazione di vetro traslucido a distanza inferiore a quella legale.

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Cass. civ. n. 4719/1977

La convenzione con la quale il proprietario di un fabbricato consenta al vicino di aprire vedute a distanza inferiore a quella legale, costituisce una servitù di veduta in favore del fondo confinante, e non una servitù in favore di quel fabbricato, avente ad oggetto il diritto di mantenerlo a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 c.c., dal momento che tale ultima servitù presuppone la posteriorità della costruzione rispetto alla veduta.

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Cass. civ. n. 4554/1976

Quando si è acquistato il diritto di avere una veduta verso il fondo vicino, il proprietario di questo, ove intenda costruire, deve rispettare le distanze previste dall’art. 907 c.c., la cui deroga può essere consentita solo in forza di conforme servitù prediale, a carico del fondo dal quale si esercita la veduta. La costituzione contrattuale di tale servitù richiede un patto che ne specifichi chiaramente gli estremi, e, pertanto, non può essere desunta dalla sola circostanza della concessione della comproprietà del muro perimetrale su cui si apre la veduta.

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Cass. civ. n. 3763/1976

L’obbligo, posto dall’art. 907, secondo comma, c.c., a carico del proprietario del fondo vicino, di non fabbricare a distanza inferiore a tre metri dai lati della finestra dalla quale si esercita la veduta obliqua, concerne la sola ipotesi in cui la veduta obliqua coesista con la veduta diretta sullo stesso fondo e non anche il caso in cui la veduta obliqua incida su di un fondo diverso da quello sul quale si esercita la veduta diretta. In quest’ultima ipotesi trova applicazione la diversa norma di cui all’art. 906 c.c. e la distanza da osservarsi è solo quella di settantacinque centimetri dal più vicino lato della finestra obliqua.

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Cass. civ. n. 56/1976

La norma di cui al terzo comma dell’art. 907 c.c. secondo cui, quando si è acquistato il diritto di aprire jure proprietatis o jure servitutis vedute dirette sul fondo vicino, le costruzioni erette su quest’ultimo debbono rispettare la distanza di tre metri — in senso verticale al di sotto della soglia della veduta, è applicabile anche nel caso in cui la costruzione non realizzata in appoggio al muro in cui è aperta la veduta, sorga a meno di tre metri, in senso orizzontale, dalla veduta stessa; in tal caso, la distanza in senso verticale va calcolata come se la costruzione fosse stata eseguita in appoggio, con la conseguenza che la demolizione può essere disposta soltanto per la parte di essa che idealmente proiettata sul muro in cui si apre la veduta, invada lo spazio di tre metri calcolato in senso verticale al di sotto della soglia della veduta medesima.

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Cass. civ. n. 1927/1974

L’art. 907 c.c., nella parte in cui prescrive una distanza verticale di tre metri dalla soglia della veduta per le nuove costruzioni, presuppone che queste ultime siano appoggiate al muro in cui è aperta la veduta; diversamente si applicano le distanze previste in via orizzontale e laterale.

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