12 Mag Art. 545 — Pubblicazione della sentenza
1. La sentenza è pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante la lettura del dispositivo.
2. La lettura della motivazione redatta a norma dell’articolo 544 comma 1, segue quella del dispositivo e può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva.
3. La pubblicazione prevista dal comma 2 equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all’udienza [ 475 2, 488 2] .
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”22″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 12822/2010
La sentenza pronunciata in appello all’esito di giudizio abbreviato deve essere pubblicata mediante lettura del dispositivo in udienza camerale dopo la deliberazione, e non mediante deposito in cancelleria. Tuttavia, in caso di omessa lettura, la sentenza non è abnorme o nulla, verificandosi una mera irregolarità, che produce effetti però giuridici, impedendo il decorso dei termini per l’impugnazione.
Cass. pen. n. 6221/2006
La sopravvenuta interruzione del collegamento in videoconferenza, che non consenta all’imputato di assistere alla lettura del dispositivo, non determina la nullità della sentenza perché la violazione delle norme sulla pubblicazione della sentenza non è assistita dalla previsione di sanzioni processuali.
Cass. pen. n. 10163/2002
In tema di vizio della motivazione, la possibilità di procedere all’integrazione delle sentenze di primo e secondo grado, così da farle confluire in un prodotto unico cui il giudice di legittimità deve fare riferimento, richiede che le due decisioni abbiano utilizzato criteri omogenei e seguito un apparato logico argomentativo uniforme; in assenza di tali condizioni non è possibile integrare le argomentazioni della Corte di appello con quelle adottate dalla motivazione della sentenza di primo grado ed eventuali carenze della seconda decisione in ordine alle censure contenute nell’atto d’impugnazione non sono superabili mediante il richiamo agli argomenti adottati dalla prima sentenza.
Cass. pen. n. 45458/2001
È nulla, ai sensi degli artt. 125, comma 3 e 546, comma 1, lett. E] c.p.p., la sentenza che rechi una motivazione vergata a mano con grafia incomprensibile, non potendo farsi carico alla parte né di un obbligo, non previsto dalla legge e dall’esito incerto, di attivarsi per ottenere una diversa redazione del provvedimento, né del rischio di incorrere medio tempore nella decorrenza dei termini concessi per l’impugnazione.
Cass. pen. n. 21142/2001
È manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 546 c.p.p. sollevata in riferimento agli artt. 24 e 97 Cost., per la mancata previsione della illeggibilità della sentenza quale causa di nullità, atteso che, a norma dell’art. 116 dello stesso codice, la parte che vi ha interesse può sempre richiedere una copia autentica del provvedimento che sia leggibile.
Cass. pen. n. 6674/1997
In tema di pubblicazione della sentenza, nell’ipotesi di contestuale redazione del dispositivo e della motivazione, è legittimo, sull’accordo delle parti, “dare per letta” la motivazione, con la conseguenza che il termine per la impugnazione decorre da tale fittizia lettura, a norma dell’art. 585, comma secondo, lett. b] c.p.p.
Cass. pen. n. 6026/1996
Se è vero che nei provvedimenti del giudice il dispositivo ha l’essenziale funzione di esprimere la volontà della legge nel caso concreto, è altrettanto vero che il decisum deve essere accertato e chiarito anche alla luce delle ragioni delle decisioni esposte nella parte motiva della sentenza, che rappresenta un tutto organico il cui contenuto va ricostruito mediante il coordinamento con la motivazione anche se quest’ultima, per le sentenze pronunciate a seguito di dibattimento, non può porsi in contrasto con il dispositivo letto in udienza, cui va data prevalenza in caso di difformità.
Cass. pen. n. 851/1996
Allorché l’appello si sia svolto con le forme previste dall’art. 599 c.p.p., e cioè in camera di consiglio, la lettura del dispositivo in udienza, imposta dall’art. 545 stesso codice solo per i processi che si svolgono in dibattimento pubblico, è meramente facoltativa e l’omissione di tale lettura, seguita da regolare deposito in cancelleria, ha come semplice conseguenza lo spostamento della data di pubblicazione della sentenza — e, quindi, del dies a quo ai fini dell’impugnazione — dalla data di udienza a quella dell’avviso di deposito della pronuncia, secondo quanto previsto dall’art. 585, comma 2, lett. a], c.p.p.
Cass. pen. n. 9984/1993
La pubblicazione [art. 545 c.p.p.] e il deposito [art. 548 c.p.p.] della sentenza hanno finalità diverse. La prima conclude la fase della deliberazione in camera di consiglio e consacra la decisione definitiva non più modificabile, il secondo serve a mettere l’atto a disposizione delle parti e segna i tempi dell’impugnazione in determinati casi. Ne consegue che la pubblicazione delle sentenze attiene al dispositivo che contiene la decisione e garantisce l’immediatezza della deliberazione stabilita dall’art. 525 c.p.p. e che il deposito della sentenza non può essere né assorbente né sostitutivo di tale adempimento anche quando dispositivo e motivazione sono contestuali. Ciò vale anche per le sentenze emesse con la procedura dell’art. 599 c.p.p., che devono essere pubblicate immediatamente, mediante redazione del dispositivo contenente la decisione con la data e la sottoscrizione del giudice e del presidente del collegio. La mancata pubblicazione immediata della sentenza nel procedimento svoltosi con il rito della camera di consiglio rappresenta una irregolarità non sanzionata da nullità, non prevista dagli artt. 525 e 545 c.p.p.
Cass. pen. n. 6508/1993
Non è causa di nullità nè, tanto meno, di giuridica inesistenza della sentenza il fatto che il dispositivo della medesima non sia stato letto in udienza [principio affermato, nella specie, in relazione a sentenza d’appello pronunciata all’esito di giudizio camerale, ai sensi dell’art. 599 c.p.p.].
Cass. pen. n. 3005/1993
Nel caso in cui il processo di appello sia stato trattato, ai sensi dell’art. 599 c.p.p., con il rito camerale disciplinato dalla normativa prevista dall’art. 127 stesso codice in quanto applicabile, il provvedimento terminativo può rivestire non la forma dell’ordinanza bensì quella della sentenza, tra i cui requisiti, peraltro, non vi è quello della lettura del dispositivo in udienza, che è previsto solo per i processi che si svolgono con dibattimento «pubblico» [art. 545 c.p.p.].
Cass. pen. n. 5433/1992
Il dispositivo della sentenza emessa a seguito di procedura in camera di consiglio non va pubblicato mediante lettura in udienza, ma mediante deposito della decisione in un momento successivo a quello in cui si è tenuta l’udienza camerale. [Applicazione in tema di giudizio abbreviato].
Cass. pen. n. 183/1992
Nel caso in cui, nell’ambito di procedimento condotto nell’osservanza del codice di rito previgente, il giudice abbia dato pubblica lettura oltre che del dispositivo, anche della motivazione della sentenza [così come è previsto solo dall’art. 545 del codice attuale], non può da ciò farsi derivare, neppure mediante richiamo al disposto di cui all’art. 166, comma IV, c.p.p. [1930], la possibilità di derogare agli adempimenti prescritti dall’art. 151 stesso codice tra cui, in particolare, la notificazione dell’avviso di deposito della sentenza ad ogni titolare del diritto di impugnazione. Ne consegue che il termine per impugnare, anche per la parte che sia stata presente alla lettura, decorre sempre da detta notifica, e non dalla data della decisione.
Cass. pen. n. 12203/1991
Per l’inosservanza delle disposizioni concernenti la pubblicazione della sentenza la legge non prevede alcuna sanzione, sicché la mancata lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza comporta unicamente l’effetto di rendere inapplicabile la disposizione dell’art. 545, terzo comma, nuovo codice di procedura penale e di impedire la decorrenza dei termini per l’impugnazione.
Cass. pen. n. 5070/1991
Il principio secondo cui è il dispositivo l’atto nel quale viene estrinsecata la volontà del giudice in ordine all’applicazione della legge al caso concreto, sicché esso non può subire modifiche, integrazioni o sostituzioni con la motivazione, non vale quando la motivazione sia stata resa pubblica, subito dopo il dispositivo, mediante lettura integrale in udienza ai sensi dell’art. 545, comma secondo, nuovo c.p.p. Ciò perché, in tal caso, dispositivo e motivazione concorrono a formare un unico documento e, quindi, è pienamente legittimo interpretarne, od anche integrarne, una parte mediante il contenuto dell’altra.
Cass. pen. n. 1053/1991
Nel caso in cui le attenuanti generiche, concesse all’imputato dal giudice di merito e da questi non menzionate nel dispositivo, siano state esplicitamente indicate nella motivazione, pubblicata e letta congiuntamente a quello, per la stretta ed immediata relazione che viene a stabilirsi tra le due parti della decisione giudiziale, l’espressione della volontà della legge nel caso concreto — che costituisce la funzione essenzionale del disposito — ben può ricevere dalla motivazione elementi di integrazione che, senza snaturarla, la completino e la rendano pienamente intelleggibile [nell’affermare il principio di cui in massima la Cassazione ha rigettato il ricorso proprosto dal P.M. avverso una sentenza di applicazione della pena su richiesta].
Cass. pen. n. 15938/1990
Nei casi in cui la motivazione della sentenza sia stata letta insieme col dispositivo, in pubblica udienza, non si verifica più quell’assoluta prevalenza del contenuto del dispositivo su quella della motivazione, che caratterizzava il sistema processuale previgente, in quanto, in tali casi, entrambi i documenti manifestano a pieno titolo, e con uguale forza probante, la volontà del giudice. [Nella specie il P.M. aveva denunciato violazione di legge, sostenendo che l’omessa menzione delle attenuanti generiche nel dispositivo avrebbe reso inferiore al minimo edittale la pena irrogata].
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