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Art. 260 — Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio

Art. 260 — Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio

È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:

  1. 1) si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l’accesso nell’interesse militare dello Stato [ 682 ];
  2. 2) è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 256, 257 e 258;
  3. 3) è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell’articolo 256.

Se alcuno dei fatti preveduti dai numeri precedenti è commesso in tempo di guerra, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

Le disposizioni del presente articolo si applicano, altresì, agli immobili adibiti a sedi di ufficio o di reparto o a deposito di materiali dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, l’accesso ai quali sia vietato per ragioni di sicurezza pubblica.

  1. 1) si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l’accesso nell’interesse militare dello Stato [ 682 ];
  2. 2) è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti preveduti dagli articoli 256, 257 e 258;
  3. 3) è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire le notizie indicate nell’articolo 256.
L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 5262/1988

Il reato di possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio in luoghi militari o in loro prossimità, di cui all’art. 260, primo comma, n. 2, c.p. consiste nella volontà cosciente di detenere i suddetti mezzi per servirsene per un uso non consentito dalla legge e presupposto di tale reato è proprio la mancanza o la insufficienza della prova che il soggetto abbia agito a scopo di spionaggio perché, altrimenti, sussisterebbe il tentativo del delitto di spionaggio. Infatti, la disposizione di cui all’art. 260, primo comma, n. 2 c.p. mira a reprimere alcuni contegni sospetti che si presentano oggettivamente idonei all’acquisizione di notizie segrete o riservate, di cui sia vietata la divulgazione, e punisce la oggettività di tale situazione di fatto per la pericolosità in essa insita, nonostante non risulti dimostrato che l’agente abbia inteso procurarsi notizie segrete o riservate. (Nella specie, dimostrato che gli imputati avevano eseguito riprese televisive dell’interno della base missilistica di Comiso senza autorizzazione e con la consapevolezza di non poter riprendere la zona, la S.C. ha ritenuto ingiustificato il possesso dei mezzi da loro detenuti e sussistente anche l’elemento intenzionale).

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Cass. pen. n. 1821/1965

Col termine «colto in possesso ingiustificato» usato nell’art. 260, n. 2, c.p., si è inteso fare riferimento alla detenzione materiale degli strumenti, collegata ad un rapporto di attualità e di immediatezza con le persone, essendo indubbio che la immediata disponibilità materiale di tali mezzi idonei allo spionaggio pone l’agente nella possibilità di servirsene per un uso vietato dalla legge, come quella di ritrarre fotografie della zona soggetta a controllo militare, che deve invece essere mantenuta segreta. Il solo fatto quindi che i mezzi siano detenuti per ragione di servizio, di ufficio, di mestiere, non vale di per sé a giustificare il possesso se di essi si faccia o s’intenda fare un uso non consentito dalla legge. L’art. 260, n. 2, c.p., intende reprimere in modo autonomo fatti nei quali si ravvisano «indizi» di una possibile attività spionistica, che di per sé non possono integrare gli estremi di un tentativo di spionaggio, giacché i mezzi possono servire anche per finalità diverse dallo spionaggio; cioè per diletto turistico, per ragioni di studio, di collezione. In questi casi, poiché l’uso di mezzi al fine di ritrarre fotografie nella zona militare pone pur sempre l’agente nella possibilità di conoscere, sia pure per ragioni diverse dallo spionaggio, il segreto militare (che la norma vuole sia tutelato nell’interesse dello Stato), il loro possesso deve ritenersi non giustificato, costituendo esso un pericolo, a meno che l’agente non dia la prova di essere stato autorizzato dalle autorità competenti a ritrarre fotografie o cineriprese della zona stessa, ovvero la prova positiva dell’uso legittimo, che di tali mezzi si vuole fare o immediatamente prima si sia fatto, non risulti aliunde dagli atti processuali.

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