12 Mag Art. 494 — Dichiarazioni spontanee dell’imputato
1. Esaurita l’esposizione introduttiva, il presidente informa l’imputato che egli ha facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione [ 492 2] e non intralcino l’istruzione dibattimentale. Se nel corso delle dichiarazioni l’imputato non si attiene all’oggetto dell’imputazione, il presidente lo ammonisce e, se l’imputato persiste, gli toglie la parola .
2. L’ausiliario [ 126 ] riproduce integralmente le dichiarazioni rese a norma del comma 1, salvo che il giudice disponga che il verbale sia redatto in forma riassuntiva [ 140 ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”22″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 33666/2014
La facoltà dell’imputato di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione, va coordinata con la previsione del comma sesto dell’art. 523 cod. proc. pen., in base al quale l’interruzione della discussione può essere giustificata solo dall’assoluta necessità di assunzione di nuove prove, talché, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell’imputato a nuove prove, deve escludersi la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni, fermo restando il suo diritto di avere la parola per ultimo, se lo richiede.
Cass. pen. n. 25239/2001
Il criterio distintivo tra l’omicidio volontario e l’omicidio preterintenzionale risiede nell’elemento psicologico, nel senso che nell’ipotesi della preterintenzione la volontà dell’agente è diretta a percuotere o a ferire la vittima, con esclusione assoluta di ogni previsione dell’evento morte, mentre nell’omicidio volontario la volontà dell’agente è costituita dall’animus necandi, ossia dal dolo intenzionale, nelle gradazioni del dolo diretto o eventuale, il cui accertamento è rimesso alla valutazione rigorosa di elementi oggettivi desunti dalle concrete modalità della condotta [il tipo e la micidialità dell’arma, la reiterazione e la direzione dei colpi, la distanza di sparo, la parte vitale del corpo presa di mira e quella concretamente attinta].
Le dichiarazioni spontanee, rese ai sensi dell’art. 494 c.p.p. da più imputati che si sono avvalsi della facoltà di non sottoporsi ad esame nel contraddittorio fra le parti, per quanto convergenti tra di loro, non sono idonee a svalutare l’efficacia probatoria di una chiamata in correità, resa da altro imputato, purché sorretta da ampi e pregnanti riscontri.
Cass. pen. n. 4384/1999
In tema di dichiarazioni difensive dell’imputato, poiché esse sono rimesse al potere discrezionale dello stesso, e poiché egli, in quanto titolare dello ius dicendi et postulandi, può articolare come meglio crede la sua difesa [sottoponendosi o meno ad esame e/o rilasciando dichiarazioni spontanee in qualsiasi momento del dibattimento], non grava sul giudice di merito alcun obbligo di acquisizione di dichiarazioni eventualmente rese dallo stesso imputato in altro processo connesso, in quanto egli ben avrebbe potuto direttamente difendersi innanzi al predetto giudice.
Cass. pen. n. 13682/1998
Le dichiarazioni spontanee rese ai sensi dell’art. 494 c.p.p., con le quali soggetti precedentemente avvalsisi della facoltà di non sottoporsi ad esame abbiano genericamente confermato quanto da essi dichiarato in fase di indagini preliminari e quindi anche le accuse all’epoca formulate a carico di terzi, non possono essere equiparate, ai fini di cui al combinato disposto dell’art. 238, commi 1 e 2 bis, c.p.p., a dichiarazioni rese in sede di esame e, pertanto, anche se ad esse abbiano assistito i difensori degli accusati, i relativi verbali non possono essere acquisiti ed utilizzati come prove.
Cass. pen. n. 10041/1998
Le dichiarazioni spontanee dell’imputato previste dall’art. 494 c.p.p. possono anche avere contenuto accusatorio nei confronti di coimputati, nel qual caso vengono a costituire vere e proprie chiamate in correità da valutarsi come elementi di prova a carico dei chiamati secondo la disciplina dettata dall’art. 192, comma 3, c.p.p.
Cass. pen. n. 1708/1994
La facoltà dell’imputato, sancita dall’art. 494, primo comma, c.p.p., di «rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione», va coordinata con le norme dettate dall’art. 523 c.p.p., che disciplina lo svolgimento della discussione finale e, segnatamente, con il sesto comma di detto articolo, in base al quale l’interruzione della discussione può essere giustificata solo dalla assoluta necessità di assunzione di nuove prove. Ne consegue che, in detta fase, non essendo assimilabili le dichiarazioni spontanee dell’imputato a nuove prove, deve considerarsi inoperante la facoltà dello stesso imputato di rendere dette dichiarazioni.
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