17 Mar Articolo 89 Codice di procedura civile — Espressioni sconvenienti od offensive
Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive.
Il giudice, in ogni stato dell’istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa [ 279 n. 3 ], può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l’oggetto della causa [ 2059 c.c. ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”16″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 14364/2018
L’apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’oggetto della lite, nonché l’emanazione o meno dell’ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell’art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 14659/2015
Il potere del giudice di merito di ordinare la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al giudice costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di contesa tra le parti ed il suo esercizio d’ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae all’obbligo di motivazione e non è sindacabile in sede di legittimità né è impugnabile il provvedimento di reiezione dell’istanza di cancellazione.
Cass. civ. n. 20593/2012
In tema di diffamazione, la competenza a decidere sulla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale per le offese contenute in scritti o discorsi dinanzi alla autorità giudiziaria, scriminabili ai sensi dell’art. 598 c.p., spetta solo al giudice della causa nell’ambito della quale furono pronunciate le frasi offensive, il quale è l’unico idoneo a valutare, a conclusione del giudizio, se la giustificazione di quelle offese debba escludere anche la risarcibilità del danno non patrimoniale eventualmente patito da colui cui furono rivolte, rimanendo conseguentemente improponibile la domanda risarcitoria formulata davanti a diverso giudice.
Cass. civ. n. 27001/2011
In tema di responsabilità civile per espressioni offensive contenute in scritti processuali, sia la norma dell’art. 89 c.p.c. – finalizzata a regolare la correttezza formale del contraddittorio, senza individuare alcuna causa di non punibilità – sia quella dell’art. 598 cod. pen. – che prevede la non punibilità delle offese contenute negli scritti presentati dinanzi all’Autorità Giudiziaria allorché esse riguardino l’oggetto della causa – si riferiscono espressamente ed esclusivamente alle parti ed ai loro difensori, non potendo quindi trovare applicazione nei confronti del consulente tecnico di parte, che è figura processuale diversa e non equipabile alle predette. (Fattispecie relativa ad affermazione della responsabilità civile di un consulente tecnico di parte per espressioni diffamatorie nei confronti del consulente tecnico d’ufficio contenute in una memoria peritale depositata in un procedimento giudiziario).
Cass. civ. n. 21696/2011
L’art. 89 secondo comma c.p.c., che prevede la possibilità di assegnare alla persona offesa dalle espressioni sconvenienti od offensive contenute negli atti difensivi di un giudizio, una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale,non trova applicazione quando l’offeso non sia una delle parti ma il giudice che ha deciso la controversia.
Cass. civ. n. 16121/2009
Competente ad accertare e liquidare il danno derivante dall’uso di espressioni offensive contenute negli atti del processo, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., è di norma lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni. A tale competenza, tuttavia, è necessario derogare quando il giudice non possa, o non possa più, provvedere con sentenza sulla domanda di risarcimento, il che accade, in particolare, nei seguenti casi: A) quando le espressioni offensive siano contenute in atti del processo di esecuzione, che per tale sua natura non può avere per oggetto un’azione di cognizione e quindi destinata ad essere decisa con sentenza; B) quando siano contenute in atti di un processo di cognizione che però, per qualsiasi motivo, non si concluda con sentenza (come nel caso di estinzione del processo); C) quando i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice di merito (come nel caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado); D) quando la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti non della parte ma del suo difensore.
Cass. civ. n. 14552/2009
L’uso di espressioni sconvenienti od offensive negli atti difensivi obbliga la parte al risarcimento del danno solo quando esse siano del tutto avulse dall’oggetto della lite, ma non anche quando, pur non essendo strettamente necessarie rispetto alle esigenze difensive, presentino tuttavia una qualche attinenza con l’oggetto della controversia, e costituiscano perciò uno strumento per indirizzare la decisione del giudice.
Cass. civ. n. 6439/2009
La Corte di cassazione è competente ad ordinare, ai sensi dell’art. 89 cod. proc. civ., la cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive contenute nei soli scritti ad essa diretti, con la conseguenza che è inammissibile il motivo del ricorso per cassazione con cui si chieda la cancellazione delle frasi del suddetto tenore contenute nelle fasi processuali anteriori, essendo riservata la relativa statuizione al potere discrezionale del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità. Per la stessa ragione non è proponibile per la prima volta in cassazione la richiesta di risarcimento danni per responsabilità aggravata, prevista dall’art. 96 cod. proc. civ., quando venga riferita al comportamento delle parti tenuto nelle fasi precedenti del giudizio.
Cass. civ. n. 1018/2009
Il provvedimento di rigetto dell’istanza di cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute nella sentenza impugnata ha carattere ordinatorio e non incide sul merito della causa, al quale è anzi estraneo e, pertanto, non è suscettibile d’impugnazione con ricorso per cassazione.
Cass. civ. n. 12479/2004
La valutazione da parte del giudice di merito sul carattere sconveniente o offensivo di espressioni contenute nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all’oggetto della lite, nonché l’emanazione o meno dell’ordine di cancellazione delle medesime a norma dell’art. 89 c.p.c. integrano esercizio di potere discrezionale, non censurabile in sede di legittimità, e l’istanza volta alla cancellazione costituisce una mera sollecitazione per l’applicazione dell’anzidetto potere discrezionale, sicché l’omesso esame di essa non può formare oggetto di impugnazione in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 2954/2003
Allorché le espressioni, in ipotesi sconvenienti od offensive, contenute in un atto di causa (nella specie: in un ricorso per cassazione) siano indirizzate al difensore che svolse il proprio patrocinio in favore della parte nel pregresso grado di giudizio, l’attuale difensore della medesima parte, non essendo destinatario di alcuna offesa, non ha interesse a formulare la domanda di risarcimento, dovendo questa essere presentata necessariamente in proprio; essa, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile.
Cass. civ. n. 15503/2002
In tema di cancellazione delle espressioni offensive o sconvenienti contenute in scritti difensivi, l’apprezzamento circa l’effettivo rapporto tra queste e l’oggetto della causa – rimesso alla valutazione del giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità – consegue all’istanza di cancellazione della parte, senza che l’istanza stessa costituisca, peraltro, domanda giudiziale, risultando essa, per converso, una semplice sollecitazione all’esercizio di un potere officioso del giudice, strumentale all’obbligo delle parti di comportarsi in giudizio con lealtà e probità.
Cass. civ. n. 11063/2002
La cancellazione delle espressioni offensive e il risarcimento del danno previsti dall’art. 89 c.p.c. sono sanzioni diverse, distinte ed autonome: pertanto la prima, che non ha alcuna finalità risarcitoria, ma attua un fine preventivo, di polizia generale, impedendo l’immanenza di una causa di danno, può aver luogo senza la seconda a viceversa. L’insussistenza di alcun rapporto di pregiudizialità fa sì che la sanzione del risarcimento del danno non è subordinata alla preventiva cancellazione.
La sussistenza dei presupposti per il risarcimento del danno di cui all’art. 89 c.p.c., il cui riconoscimento costituisce peraltro esercizio di un potere di cui all’art. 89 c.p.c., il cui riconoscimento costituisce peraltro esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità, va esclusa allorquando le espressioni contenute negli scritti difensivi non siano dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo e non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della controparte, ma, conservando pur sempre un rapporto, anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una valutazione negativa del comportamento della controparte, la scarsa attendibilità delle sue affermazioni. Né è precluso che nell’esercizio del diritto di difesa, il giudizio sulla condotta reciproca possa investire anche il profilo della moralità, fattore non del tutto estraneo per contestare la credibilità delle affermazioni dei contendenti.
Cass. civ. n. 7628/2002
La valutazione del carattere offensivo o non di uno scritto o di altra manifestazione del pensiero si pone, per il giudice che deve adottarla, come valutazione di un atto, in ordine alla quale esso ha l’obbligo di dare conto del convincimento cui perviene, nel rispetto dei canoni metodologici che, in maniera espressa o implicita, l’ordinamento pone: al riguardo, la regola contenuta nell’art. 360, n. 5, c.p.c. impone che la decisione impugnata debba essere convenientemente motivata su tutti i punti decisivi della controversia. Ciò implica che il sindacato di legittimità è circoscritto alla violazione del canone metodologico in sé, ed è esclusa ogni nuova valutazione del fatto rappresentato.
Cass. civ. n. 9946/2001
La cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute negli scritti difensivi può essere disposta, ex art. 89 c.p.c., anche nel giudizio di legittimità, rientrando essa nei poteri officiosi del giudice, e nessun rilievo ostativo può acquistare il profilo che la richiesta relativa — attenendo, ad esempio, a espressioni contenute nel controricorso — risulti formulata solo in sede di memorie ex art. 378 c.p.c., posto che in tal caso essa finisce con il valere comunque quale sollecitazione all’esercizio dei poteri d’ufficio. In tali ipotesi, tuttavia, non potrà però concedersi anche all’assegnazione di una somma di danaro a titolo di risarcimento danni, in quanto, risultando le memorie in questione destinate in via esclusiva ad illustrare e chiarire i motivi di impugnazione tempestivamente e ritualmente proposti, non potrebbe giammai trovare idonea tutela il diritto di difesa del destinatario della domanda risarcitoria, privato — in quanto tale — della possibilità di contare su un congruo termine per l’esercizio della facoltà di replica.
Cass. civ. n. 7527/2001
L’espressione “scritto presentato” di cui all’art. 96 c.p.c. va intesa nel senso di atto del processo portato alla conoscenza del giudice con i mezzi ed i modi fissati dal codice di rito; pertanto, quando l’esame dell’atto è precluso per ragioni di rito (nella specie, inammissibilità del ricorso per cassazione) non può darsi ingresso all’istanza di cancellazione di espressioni asseritamente sconvenienti ed offensive; in tal caso, infatti, non è possibile valutare né l’attinenza delle medesime all’oggetto della causa e la loro collocazione funzionale nell’ambito del contesto difensivo e quindi la violazione del dovere di lealtà e correttezza né la risarcibilità del danno, salva la rilevanza in altra sede dei contegni denunciati.
Cass. civ. n. 14942/2000
Nelle disposizioni dell’art. 89 c.p.c. l’offensività e la sconvenienza delle espressioni usate in scritti o discorsi difensivi costituiscono nozioni distinte e la seconda non riguarda la lesività del valore e dei meriti di qualcuno — aspetti tutelati dal divieto delle espressioni offensive — ma una lesività di grado minore, inerente al contrasto delle espressioni con le esigenze dell’ambiente processuale e della funzione difensiva nel cui ambito esse vengono formulate. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto sconveniente, anche se non offensiva nella dialettica processuale, l’espressione subdolamente insinua contenuta nel ricorso e riferita al comportamento processuale della controparte).
Cass. civ. n. 2188/1992
A norma dell’art. 89 c.p.c. l’offesa all’onore ed al decoro comporta, indipendentemente dalla possibilità o meno della cancellazione delle frasi offensive contenute negli atti difensivi, l’obbligo del risarcimento del danno non solo nell’ipotesi in cui le espressioni offensive non abbiano alcuna relazione con l’esercizio della difesa, ma anche nell’ipotesi che esse si presentino come eccedenti le esigenze difensive; l’apprezzamento dell’avvenuto superamento dei limiti di correttezza e civile convivenza entro cui va contenuta l’applicazione della difesa integra, peraltro, esercizio di un potere discrezionale del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato.
Cass. civ. n. 520/1991
Ai fini di un corretto esercizio della professione forense, l’avvocato deve elevarsi al di sopra delle parti e, nel dare l’indispensabile contributo tecnico per la risoluzione della lite in favore del proprio cliente, deve mantenersi nei limiti invalicabili risultanti dal contemperamento della libertà di pensiero e delle esigenze di difesa con il necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo. Viene pertanto meno al dovere di correttezza, con conseguente lesione del decoro professionale (artt. 14 e 38 R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578), oltre la violazione dell’art. 89 c.p.c., l’avvocato che in uno scritto difensivo si abbandoni ad espressioni dispregiative per la controparte o per altri soggetti, tanto più se estranei al giudizio, ove dette espressioni non siano attinenti alla materia del contendere e tanto meno indispensabili per chiarire una situazione di fatto non diversamente rappresentabile, restando in tal caso priva di valore esimente la soggettiva convinzione del professionista di dover reagire ad uno scritto difensivo della controparte
Cass. civ. n. 4651/1990
L’ordine di cancellazione di frasi sconvenienti ed offensive connesso alla esigenza di assicurare il decoro del procedimento e la serenità del giudizio è affidato al potere discrezionale del giudice, esercitabile anche d’ufficio, ed è insindacabile in sede di legittimità, anche nel caso di motivazione sintetica, riferita cioè alla sola indicazione delle espressioni censurate.
Cass. civ. n. 5991/1979
Il comportamento delle parti e dei difensori nel giudizio è disciplinato dalla legge (artt. 88, 89 c.p.c.) in quanto nell’interesse superiore della giustizia e in quello particolare dei contendenti, la lite giudiziaria deve svolgersi correttamente con una condotta sempre ispirata a lealtà e probità e nel reciproco rispetto. La violazione delle norme di comportamento dà al giudice il potere di disporre, anche di ufficio, la cancellazione delle espressioni sconvenienti e ingiuriose, e tale potere può essere esercitato pure nel giudizio di legittimità per quanto riguarda le frasi offensive contenute negli atti diretti alla Corte di cassazione, la quale, in questa ipotesi, giudica anche nel merito. Ai sensi dell’art. 89 c.p.c., il giudice con la sentenza che decide la causa può assegnare alla persona offesa dalle frasi offensive contenute negli scritti difensivi della controparte o del suo patrocinatore una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto, solo quando le espressioni non riguardano l’oggetto della causa. Non si applica, pertanto, nel processo civile l’art. 598 c.p., che per l’assegnazione di una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, richiede la pertinenza delle frasi offensive all’oggetto della causa e del ricorso amministrativo, sia perché la norma del codice processuale civile è posteriore a quella del codice penale, sia soprattutto perché essa riguarda specificamente il giudizio civile, con la conseguenza che l’ambito di applicazione dell’art. 598 c.p. resta limitato al processo penale e a quello davanti all’autorità amministrativa. A norma dell’art. 89 c.p.c. le espressioni contenute negli scritti difensivi non debbono, nella forma e nel contenuto, eccedere i limiti di un civile esercizio del diritto di difesa e di critica, sicché le manifestazioni passionali e incomposte, caratterizzante dall’intento di offendere la controparte e i suoi difensori, costituendo abuso di quel diritto, debbono essere represse anche se abbiano attinenza con l’oggetto della causa; inoltre, devono essere cancellate le frasi che, pur nell’esercizio del diritto di critica nei confronti della decisione impugnata e dell’opera del magistrato, eccedono i limiti del rispetto dovuto ai giudici e all’amministrazione della giustizia.
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