14 Mag Cassazione civile Sez. III sentenza n. 16121 del 9 luglio 2009
Testo massima n. 1
Competente ad accertare e liquidare il danno derivante dall’uso di espressioni offensive contenute negli atti del processo, ai sensi dell’art. 89 c.p.c., è di norma lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge il giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni. A tale competenza, tuttavia, è necessario derogare quando il giudice non possa, o non possa più, provvedere con sentenza sulla domanda di risarcimento, il che accade, in particolare, nei seguenti casi: A ] quando le espressioni offensive siano contenute in atti del processo di esecuzione, che per tale sua natura non può avere per oggetto un’azione di cognizione e quindi destinata ad essere decisa con sentenza; B ] quando siano contenute in atti di un processo di cognizione che però, per qualsiasi motivo, non si concluda con sentenza [ come nel caso di estinzione del processo ]; C ] quando i danni si manifestino in uno stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere tempestivamente davanti al giudice di merito [ come nel caso in cui le frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado ]; D ] quando la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti non della parte ma del suo difensore.
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Testo massima n. 2
Per effetto del principio della cosiddetta “perpetuatio” dell’ufficio di difensore [ di cui è espressione l’art. 85 c.p.c. ], nessuna efficacia può dispiegare, nell’ambito del giudizio di cassazione [ oltretutto caratterizzato da uno svolgimento per impulso d’ufficio ], la sopravvenuta rinuncia che il difensore del ricorrente abbia comunicato alla Corte prima dell’udienza di discussione già fissata.
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