10 Gen Art. 2437 — Diritto di recesso
Hanno diritto di recedere, per tutte o parte delle loro azioni, i soci che non hanno concorso alle deliberazioni riguardanti:
- a) la modifica della clausola dell’oggetto sociale [ 2328, n. 3 ], quando consente un cambiamento significativo dell’attività della società;
- b) la trasformazione della società [ 2498, 2500, 2500 ter, 2500 sexies, 2500 octies ];
- c) il trasferimento della sede sociale all’estero [ 1373 ];
- d) la revoca dello stato di liquidazione;
- e) l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto;
- f) la modifica dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso;
- g) le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.
Salvo che lo statuto disponga diversamente, hanno diritto di recedere i soci che non hanno concorso all’approvazione delle deliberazioni riguardanti:
- a) la proroga del termine;
- b) l’introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.
Se la società è costituita a tempo indeterminato e le azioni non sono quotate in un mercato regolamentato il socio può recedere con il preavviso di almeno centottanta giorni; lo statuto può prevedere un termine maggiore, non superiore ad un anno.
Lo statuto delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio può prevedere ulteriori cause di recesso.
Restano salve le disposizioni dettate in tema di recesso per le società soggette ad attività di direzione e coordinamento.
È nullo ogni patto volto ad escludere o rendere più gravoso l’esercizio del diritto di recesso nelle ipotesi previste dal primo comma del presente articolo.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 26190/2017
Nelle società cooperative, il recesso convenzionale può essere subordinato alla ricorrenza di determinati presupposti o condizioni tra cui l’autorizzazione o l’approvazione del consiglio di amministrazione cui è attribuito il potere discrezionale di verificare la corrispondenza dei fatti specifici dedotti alle ipotesi statutariamente contemplate. Tale potere non può essere esercitato, neppure in caso di inerzia, da altri organi societari o da terzi estranei alla società, né rimesso all’autorità giudiziaria, perché riferito alla tutela dell’interesse della società cooperativa la cui valutazione è attribuita in via esclusiva all’organo ritenuto dal contratto sociale idoneo alle valutazioni necessarie.
Cass. civ. n. 2979/2016
Il recesso legale del socio, sancito dagli artt. 2523 e 2437 c.c. (nei rispettivi testi anteriori alle modifiche apportate dal d.l.vo n. 6 del 2003), non può essere limitato o soppresso, neppure da clausole statutarie, senza violare la norma di legge attributiva del diritto potestativo, mentre, qualora tale facoltà trovi la sua fonte nelle clausole statutarie e, dunque, sorga con l’atto costitutivo come manifestazione della volontà negoziale, è suscettibile di essere disciplinata e conformata attraverso clausole che specifichino le situazioni legittimanti il relativo esercizio, oppure lo limitino o condizionino, prevedendo (come nella specie) la necessità, per la sua efficacia, di una positiva constatazione del consiglio d’amministrazione circa l’effettiva ricorrenza della situazione legittimante il recesso stesso.
Cass. civ. n. 14/2014
Legittimato passivo nel giudizio per l’accertamento della paternità naturale è, ai sensi dell’art. 276, primo comma, cod. civ., il presunto genitore, ovvero, in caso di mancanza di questi, i suoi eredi. La necessità di tale litisconsorzio può trovare deroga per ragioni di economia processuale e ragionevole durata del processo, laddove i figli del presunto genitore naturale, già costituiti in proprio nel giudizio di primo grado quali eredi di quello, non siano stati successivamente citati nella qualità di eredi legittimi anche dell’altro coniuge superstite, il quale, benché litisconsorte necessario, non sia stato a sua volta evocato nel giudizio e sia deceduto in pendenza di esso, non ravvisandosi alcuna violazione del diritto di difesa, onde va esclusa la rimessione al tribunale di primo grado, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., e la declaratoria di nullità della sentenza, posto che l’integrazione del contraddittorio si risolverebbe nella mera chiamata in causa di parti già in condizione di contrastare la domanda attorea fin dall’origine.
Cass. civ. n. 15785/2010
Nel caso di recesso da società non quotate in borsa, la liquidazione della partecipazione spettante al socio va effettuata, a norma dell’art. 2437, primo comma, c.c. (nel testo precedente alla riforma attuata con il d.l’vo 17 gennaio 2003, n. 6, non essendo invocabile per fattispecie anteriori l’art. 2437 ter c.c.), con riferimento alla situazione patrimoniale della società risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio;, tenendo conto, pertanto, unicamente degli elementi che possono essere iscritti in tale bilancio, secondo i criteri enunciati dagli art. 2423 e seg. del codice civile.
Cass. civ. n. 21641/2005
In tema di società per azioni, il primo comma dell’art. 2437 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile nella specie ratione temporis) attribuisce il diritto di recesso al socio dissenziente da deliberazioni assembleari riguardanti il mutamento dell’oggetto sociale, il cambiamento del tipo di società o il trasferimento della sede all’estero. Presupposto affinché il diritto sorga è, dunque, un dissenso che necessariamente postula la qualità di socio al momento in cui sia assunta la deliberazione della quale si discute: con la conseguenza che il diritto stesso non compete a chi abbia acquistato le azioni della società in data successiva a quella di adozione della deliberazione stessa, ancorché anteriore a quella della sua iscrizione nel registro delle imprese, senza che possa farsi leva, in senso contrario, sul rischio che detto socio ignori la modificazione del contratto sociale frattanto intervenuta, dovendo la corrispondente tutela essere ricercata nella sfera dei rapporti contrattuali tra venditore ed acquirente delle azioni, o comunque su un piano che non coinvolga la società.
Cass. civ. n. 17012/2004
Il diritto di rimborso delle azioni spettante al socio che recede, ai sensi dell’art. 2437 c.c., è rigorosamente ancorato (nel vigore della norma nel testo anteriore alla novella introdotta dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6) alle quotazioni di mercato registrate nel semestre anteriore al giorno in cui è stata assunta la deliberazione. assembleare che legittima il recesso, con la conseguenza che pretese variazioni di misura del possesso azionario del socio receduto, asseritamente verificatesi in un momento successivo al periodo compreso in quel semestre, non possono entrare nel calcolo del rimborso spettante, e ciò tanto piú quando le ulteriori azioni delle quali il socio sarebbe divenuto titolare in un momento successivo siano di nuova emissione, derivando da un’operazione di aumento del capitale sociale. (Nella fattispecie si trattava di deliberazione di aumento gratuito del capitale seguita a deliberazione di modifica dell’oggetto sociale).
Cass. civ. n. 5548/2004
Il recesso del socio da una società è un negozio unilaterale recettizio, destinato a perfezionarsi e a produrre i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime sia pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria; in caso di società per azioni, l’art. 2437, secondo comma, c.c. (nel testo anteriore alle modifiche apportatevi dal D.L.vo n. 6 del 2003) ne subordina l’esercizio al rispetto di un breve termine di decadenza (tre giorni dallà data dell’assemblea che ha assunto la deliberazione da cui il diritto di recesso del socio dissenziente trae origine, o quindici giorni dall’iscrizione di detta deliberazione nel registro delle imprese se il socio non abbia partecipato all’assemblea). Da tanto consegue, per un verso, che non è configurabile un preannuncio (quasi in guisa di prenotazione) dell’atto di recesso, formulato nel rispetto del predetto termine di decadenza, in vista dell’esercizio di un diritto di recesso da far poi valere al di fuori del termine decadenziale; per l’altro verso, che l’atto di recesso, almeno a partire dal momento in cui sono scaduti i termini per eventuali analoghe dichiarazioni di altri soci assenti o dissenzienti dalla medesima deliberazione, non è suscettibile di revoca né può essere subordinato a condizioni che ne rendano incerti gli effetti nel tempo.
Cass. civ. n. 5850/2002
Per le società non quotate in borsa, il rimborso delle azioni del socio receduto deve avvenire, a norma dell’art. 2437, primo comma, c.c., con riferimento alla situazione patrimoniale della società risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, per esso intendendosi stante la finalità della norma, consistente nella necessità di liquidare in favore del socio una quota che sia la più vicina possibile al reale ed effettivo valore del patrimonio della società non già l’ultimo bilancio approvato, ma il bilancio relativo all’ultimo anno, conclusosi precedentemente al giorno del recesso.
Cass. civ. n. 256/1999
Il danno alla salute (o «danno biologico») comprende ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito che la lesione del bene alla salute abbia provocato alla vittima e non è concettualmente diverso dal danno estetico o dal danno alla vita di relazione, che rispettivamente rappresentano, l’uno, una delle possibili lesioni dell’integrità fisica e l’altro uno dei possibili risvolti pregiudizievoli della menomazione subita dal soggetto. Di entrambi il giudice deve tenere conto nella liquidazione del danno alla salute complessivamente considerato al fine di assicurare il corretto ed integrale risarcimento dell’effettivo pregiudizio subito dalla vittima, ma non è tenuto all’analitica indicazione delle somme che a suo avviso valgono ad indennizzare ciascuno dei virtualmente infiniti pregiudizi nei quali la lesione del bene salute si risolve.
Cass. civ. n. 12/1998
L’atto col quale il socio dissenziente in relazione a deliberazioni riguardanti il cambiamento dell’oggetto o del tipo di società o il trasferimento della sede sociale all’estero esercita il diritto di recesso a norma dell’art. 2437 c.c. ha natura di atto unilaterale recettizio e pertanto produce i suoi effetti nel momento in cui viene portato a conoscenza della società, con la conseguenza che i termini di cui al citato art. 2437 potranno ritenersi rispettati solo se entro lo scadere di essi la dichiarazione di recesso sia stata portata a conoscenza della società e non soltanto inviata dal recedente, a nulla rilevando che, per la brevità del termine e per la prescrizione normativa richiedente la trasmissione della dichiarazione con raccomandata, l’esercizio del diritto di recesso da parte del socio dissenziente verrebbe ad essere oltremodo compresso, posto che la norma, pur prevedendo l’invio di raccomandata, non esclude che la trasmissione della dichiarazione di recesso avvenga attraverso altre forme (telegrafo, telex, notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario) che presentino le medesime (o maggiori) caratteristiche di certezza della raccomandata.
Cass. civ. n. 8958/1995
In tema di assicurazione della responsabilità civile per danni prodotti a terzi da cose, il valore dell’edificio per il quale l’assicurato intende essere coperto da assicurazione non incide né sul rischio in senso tecnico (cioè sulla probabilità di verificazione del sinistro), né sulla stessa entità della prestazione dell’assicuratore (e quindi sul premio), in quanto in tale tipo di contratto l’ammontare massimo dell’eventuale esposizione debitoria dell’assicurato e perciò dell’obbligazione dell’assicuratore di liberarlo dal debito che lo ha colpito non è determinato in funzione del valore del bene, ma dei danni subiti dal terzo. Ne consegue che in siffatto tipo di assicurazione non può trovare applicazione la norma di cui all’art. 1907 c.c. e l’unica possibilità di introdurre un limite convenzionale alla garanzia prestata dall’assicuratore è costituita dal massimale previsto in contratto.
Cass. civ. n. 531/1990
Colui che ha stipulato la cessione di propri beni ai creditori non può invocare, ai fini della risoluzione per eccessiva onerosità di una vendita compiuta dal liquidatore di quei beni, il proprio stato di bisogno come conseguenza automatica della situazione di difficoltà in cui versa, atteso che la cessione dei beni ai creditori non postula di per sé, l’esistenza di uno stato di bisogno del cedente, potendo determinare il debitore alla cessione anche considerazioni opportunistiche o di calcolo, quale l’intento di ricavare dalla cessione dei beni un risultato più vantaggioso di quello correlato all’assoggettamento dello stesso a plurime azioni esecutive.
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