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Art. 2395 — Azione individuale del socio e del terzo

Art. 2395 — Azione individuale del socio e del terzo

Le disposizioni dei precedenti articoli non pregiudicano il diritto al risarcimento del danno spettante al singolo socio o al terzo [ 2419 ] che sono stati direttamente danneggiati da atti colposi o dolosi degli amministratori [ 2393, 2393 bis, 2394, 2394 bis ].

L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 8458/2014

In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 cod. civ., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, dovendosi proporre, altrimenti, l’azione, contrattuale, di cui all’art. 2394 cod. civ., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto la legittimazione del creditore ad agire ex art. art. 2395 cod. civ. nel caso in cui si accerti che gli amministratori della società fallita, attraverso il sostanziale trasferimento di tutte le attività e passività aziendali in favore di altro soggetto, avessero perseguito l’obiettivo di sottrarre la garanzia patrimoniale con riguardo unicamente all’obbligazione di cui l’attore era titolare).

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Cass. civ. n. 4548/2012

L’azione individuale del socio nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è esperibile quando il danno lamentato costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c. esige che il singolo socio sia stato danneggiato “direttamente” dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società; la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscono danno diretto del singolo socio, poichè gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.

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Cass. civ. n. 15501/2011

Quando il testatore provvede alla ripartizione in quote tra gli eredi del suo patrimonio immobiliare, individuando i beni destinati a far parte di ciascuna di esse, non si configura l’ipotesi della cosiddetta divisione regolata (art. 733 cod. civ.), che ricorre se il “de cuius” si limita a dettare norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di tale status per effetto dell’apertura della successione, bensì si verte in tema di cosiddetta “divisio inter liberos” (art. 734 cod. civ.), ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la specificazione dei beni destinati a far parte di ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell’apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali. Ne consegue che l’erede escluso dall’assegnazione del cespite cui si riferisce la controversia nel corso della quale si è verificato il decesso del dante causa versa in una situazione di carenza di legittimazione passiva per estraneità all’oggetto del giudizio.

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Cass. civ. n. 15220/2010

L’art. 2395 c.c. esige, ai tini dell’esercizio dell’azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori: pertanto, né l’inattività dell’assemblea, né la perdita del capitale sociale e né l’inadempimento contrattuale posto in essere dall’amministratore integrano, di per sé, i presupposti della disposizione, in quanto la prima inerisce al mero funzionamento degli organi sociali e non comporta necessariamente un danno alla società o al socio, mentre il capitale è un bene della società e non dei soci, i quali dalle perdite subiscono soltanto un danno riflesso a causa della diminuzione di valore della propria partecipazione, ed, infine, il mancato rimborso della somma presa a mutuo dalla società può comportare la responsabilità dell’amministratore soltanto quando derivi da un illecito colposo o doloso dell’organo nell’inadempimento del mutuo. (Fattispecie in tema di s.r.l., anteriore all’entrata in vigore del d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6).

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Cass. civ. n. 1195/2010

Il socio di una società di capitali è titolare, già prima che divenga esigibile il suo diritto alla quota di liquidazione, di una situazione giuridica direttamente tutelata, avente ad oggetto innanzi tutto il diritto alla durata tendenzialmente illimitata della società ed alla propria partecipazione al libero svolgimento dell’attività negoziale di essa e delle operazioni sociali. (Nel caso di specie, la C. S. ha cassato la sentenza impugnata, la quale – a fronte della domanda risarcitoria proposta dal socio per gli illeciti commessi, in concorso fra loro, dagli altri soci e dall’amministratore di una società a responsabilità limitata,.consistenti nella falsificazione delle scritture sociali, nella distruzione del libro dei soci e nella sostituzione dello stesso con un nuovo libro attestante falsamente la titolarità delle quote in capo ai soci – aveva omesso di individuare esattamente l’evento di danno lamentato, considerato unitariamente come risultato della condotta concorrente degli autori dell’illecito, e di accertare se tale evento fosse lesivo della situazione giuridica soggettiva del socio direttamente tutelata in capo allo stesso, come sopra individuata).

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Cass. civ. n. 6870/2010

In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il terzo (o il socio) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione (di natura aquiliana) per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione, essendo altrimenti proponibile la diversa azione (di natura contrattuale) prevista dall’art. 2394 c.c., esperibile, in caso di fallimento della società, dal curatore, ai sensi dell’art. 146 della legge fall.

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Cass. pen. n. 38578/2008

L’art. 103, comma Quinto, c.p.p., nel vietare le intercettazioni delle conversazioni o comunicazioni dei difensori, riguarda l’attività captativa in danno del difensore in quanto tale ed ha dunque ad oggetto le sole conversazioni o comunicazioni individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, a seguito di una verifica postuma inerenti all’esercizio delle funzioni del suo ufficio e non si estende ad ogni altra conversazione che si svolga nel suo ufficio o domicilio. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabile, ai fini dell’identificazione della voce dell’indagato captata nel corso di una intercettazione telefonica, una conversazione intervenuta sulla medesima utenza tra la di lui moglie e quello che era il suo difensore ).

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Cass. civ. n. 21130/2008

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sè, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, secondo la previsione dell’art. 2395 cod. civ., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi, come si evince, fra l’altro, dall’utilizzazione dell’avverbio “direttamente”, la quale esclude che detto inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità.

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Cass. civ. n. 14558/2008

La responsabilità risarcitoria dell’amministratore di una società di capitali nei confronti dei soci e dei terzi non è in alcun modo dipendente, sul piano logico, da quella, di natura contrattuale, eventualmente fatta valere nei confronti della società, cosi come questa seconda non presuppone l’accertamento di quella; ne consegue che, promossa una causa in primo grado nei confronti sia dell’amministratore che della società, e deceduto nelle more l’amministratore, la mancata integrazione del contraddittorio, in grado di appello, relativamente ad uno degli eredi di questo, non si traduce in conseguente inammissibilità del gravame proposto contro la società, non configurandosi una situazione di inscindibilità delle cause, ai sensi dell’art. 331 c.p.c.

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Cass. pen. n. 34065/2006

Il divieto di intercettazione di conversazioni o comunicazioni di difensori, previsto dall’art. 103, comma Quinto, c.p.p., ha per oggetto soltanto conversazioni o comunicazioni inerenti alla funzione difensiva, individuabili, ai fini della loro inutilizzabilità, anche a seguito di una verifica successiva all’eventuale captazione che non sia stata disposta nei confronti del difensore in quanto tale. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto utilizzabili, ai fini dell’identificazione del presunto responsabile di un reato, la cui utenza telefonica cellulare era stata sottoposta ad intercettazione, elementi tratti da una conversazione del medesimo soggetto con quello che era il suo difensore in un procedimento civile, trattandosi di elementi non attinenti alla funzione difensiva di cui il legale era stato investito).

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Cass. civ. n. 10271/2004

Nelle società a responsabilità limitata (nel vigore della disciplina dettata dal codice civile del 1942, anteriormente alla riforma organica di cui al D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6), posto che gli utili sono parte del patrimonio sociale fin quando l’assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la sottrazione indebita di tali utili ad opera dell’amministratore lede il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull’interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota. Pertanto è da escludere che al singolo socio competa, in tal caso, l’azione di responsabilità contemplata dall’ari. 2395 c.c., la quale presuppone invece l’esistenza di un danno subito dal medesimo socio direttamente, non cioè come mero riflesso del danno sociale di cui solo la società, tramite gli organi a ciò abilitati e con il procedimento a tal fine prescritto dal precedente art. 2393 c.c., può chiedere il risarcimento all’amministratore.

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Cass. pen. n. 5658/2002

Non costituisce indebita anticipata manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell’imputazione, e non può quindi dar luogo a ricusazione del giudice ai sensi dell’art. 37, comma 2 c.p.p., la pronuncia di ordinanza con la quale venga respinta una richiesta di rinvio del procedimento in attesa della pubblicazione di una sentenza della Corte costituzionale di cui si affermi, da parte della difesa, l’incidenza sulla posizione processuale dell’imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che l’ordinanza emessa nel processo non possa costituire espressione “indebita” del convincimento del giudice, ed ha affermato che il giudizio sui “fatti oggetto dell’imputazione” è rappresentato solo dalle valutazioni di merito circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato o circa le condizioni di applicabilità dell’art. 129 c.p.p.).

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Cass. civ. n. 2850/1996

L’art. 2395 c.c. che, oltre all’azione di responsabilità attribuita alla società ed ai creditori sociali, disciplinata nei precedenti artt. 1393 e 2394, contempla un’azione individuale spettante al socio e al terzo, nel caso in cui abbiano risentito un danno diretto per il comportamento doloso o colposo degli amministratori richiede unicamente che il danno causato dagli amministratori abbia investito in via immediata il patrimonio del socio o del terzo, senza che assuma rilievo che il danno sia stato arrecato dagli amministratori nell’esercizio delle loro incombenze o al di fuori di esso, né, infine, che l’atto lesivo sia stato eventualmente compiuto dagli amministratori nell’interesse della società o a vantaggio della stessa. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile, pur affermandone l’infondatezza nel merito, l’azione di annullamento di una delibera del consiglio d’amministrazione di una Spa, con la quale, in occasione di aumento di capitale con emissione di nuove azioni, veniva fissato, per l’assegnazione delle azioni rimaste non optate, un prezzo diverso da quello stabilito per l’opzione).

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Cass. civ. n. 9385/1993

Il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per potersi esperire l’azione individuale di responsabilità contro gli amministratori. Tale danno diretto, peraltro, non sussiste neppure per il solo fatto che nel comportamento degli amministratori possa configurarsi un illecito penale, né può consistere nella mancata distribuzione degli utili, perché questi, prima della distribuzione appartengono alla società, si che il danno derivante dalla loro distrazione ad opera degli amministratori è della società e non dei soci, Che De vengono pre giudicati solo di riflesso, tanto da non essere neppure abilitati a proporre azione di indebito arricchimento per conseguire la quota di utili occultata nel bilancio di esercizio.

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