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Art. 1224 — Danni nelle obbligazioni pecuniarie

Art. 1224 — Danni nelle obbligazioni pecuniarie

Nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno . Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, [ 1284 3 ] gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura [ 1950 ].

Al creditore che dimostra di [ 2697 ] aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 21315/2017

Il contraente che si avvale legittimamente del diritto di sospendere l’adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell’inadempimento dell’altra parte non può essere considerato in mora e non è, perciò, tenuto al pagamento degli interessi moratori, non essendo applicabile l’art. 1224 c.c., se non nei limiti in cui l’eccezione è proporzionata all’inadempimento della controparte; nei contratti sinallagmatici, la valutazione di detta proporzionalità è rimessa all’apprezzamento del giudice del merito e va effettuata in termini oggettivi, con riferimento, cioè, all’intero equilibrio del contratto ed alla buona fede.

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Cass. civ. n. 18049/2017

In materia di liquidazione del risarcimento del danno futuro, gli interessi di mora, da calcolarsi sul credito risarcitorio scontato e reso attuale, sono dovuti con decorrenza dalla data del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1219 c.c.. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che, nel quantificare il danno da lucro cessante distinguendo i redditi già perduti dal danneggiato al momento della liquidazione da quelli che sarebbero stati perduti in futuro, dopo aver compensato gli interessi moratori dovuti sui primi con la mancata applicazione dello sconto matematico sui secondi, aveva erroneamente riconosciuto gli interessi sull’intero capitale residuo dalla data della sentenza, anziché sul solo importo dovuto per il lucro cessante futuro, in quanto non oggetto della disposta compensazione, e, comunque, anch’essi dal giorno dell’illecito).

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Cass. civ. n. 8242/2012

In tema di prova dell’inesatto adempimento di un’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro, allorquando il creditore deduca che l’inesattezza è costituita dal ritardo nel pagamento, in quanto effettuato oltre il termine stabilito dal contratto o dalla legge, è suo onere, allo scopo di conseguire per tale ritardo gli interessi moratori, indicare non solo il giorno di scadenza dell’obbligazione, ma anche quello (successivo) in cui è stato eseguito il pagamento della somma capitale; ove tale onere venga osservato, compete al debitore dimostrare l’avvenuto esatto adempimento.

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Cass. civ. n. 6784/2012

In tema di obbligazioni pecuniarie, in caso di mora del debitore, gli interessi legali ex art. 1224, primo comma, c.c. sono dovuti, in favore del creditore, anche quando egli abbia ottenuto il sequestro conservativo delle somme necessarie all’estinzione dell’obbligazione, sia perché il tempo del processo di merito non può andare a danno del creditore, sia perché la misura cautelare non immette il sequestratario nella disponibilità giuridica della somma e non ne soddisfa direttamente il credito

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Cass. civ. n. 26403/2010

In tema di obbligazioni pecuniarie costituite dai crediti di imposta, cui non sono applicabili gli artt. 1224, primo comma, e 1284 c.c., stante la speciale disciplina dell’art. 44 del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602 – relativa a tutti gli interessi dovuti dall’amministrazione finanziaria in dipendenza di un rapporto giuridico tributario – la specialità della fattispecie tributaria impone un’interpretazione restrittiva dell’art. 1224, secondo comma, c.c.; pertanto, il creditore non può limitarsi ad allegare la sua qualità di imprenditore e a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve, alla stregua dei principi generali dell’art. 2697 c.c., fornire indicazioni in ordine al danno subito per l’indisponibilità del denaro, a cagione dell’inadempimento, ed ad offrirne prova rigorosa.

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Cass. civ. n. 26226/2009

In tema di obbligazione avente ad oggetto il pagamento degli interessi sulle somme di denaro liquidate a titolo risarcitorio per responsabilità contrattuale, la decorrenza di detti interessi, benché in generale muova dalla data della domanda giudiziale, deve essere diversamente individuata qualora in giudizio sia stata accertata la verificazione del colpevole inadempimento in un momento successivo alla domanda, giacché, avendo l’obbligazione per interessi natura accessoria, una sua decorrenza in epoca diversa da quella della obbligazione principale è priva di causa.

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Cass. civ. n. 14621/2009

In materia di contratto autonomo di garanzia, la mora del fideiussore produce gli effetti di cui all’art. 1224 c.c., con la conseguenza che il ritardato pagamento del fideiussore oltre il termine indicato nelle condizioni di polizza, configurando un debito di valuta, può soltanto implicare, ai sensi del secondo comma della citata norma, il riconoscimento del maggior danno – oltre gli interessi – che al creditore sia derivato dall’impossibilità di disporre della somma durante il periodo di mora. Qualora, poi, si tratti di polizza fideiussoria prestata nei confronti di P.A. (nella specie, da parte di una ditta aggiudicataria di lavori in base a contratto di appalto), essendo pacifica la destinazione a fini pubblici delle somme ad essa appartenenti, la svalutazione monetaria, nel caso in cui il relativo tasso superi quello degli interessi legali, si configura come danno ulteriore ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., ed è pertanto risarcibile, per cui possono essere riconosciuti gli interessi legali sulla somma garantita e la rivalutazione monetaria nella misura in cui sussista differenza tra il tasso dell’interesse legale e l’indice di svalutazione calcolato dall’ISTAT.

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Cass. civ. n. 12828/2009

In caso di inadempimento o di ritardato adempimento di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro – assoggettata, in quanto tale, alla disciplina dell’art. 1277 c.c. – la rivalutazione monetaria del credito può essere riconosciuta solo a condizione che il creditore alleghi e dimostri, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., l’esistenza del maggior danno derivante dalla mancata disponibilità della somma durante il periodo di mora, non compensato dalla corresponsione degli interessi legali nella misura predeterminata dall’art. 1224, primo comma, c.c., rimanendo comunque esclusa la possibilità del cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi compensativi.

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Cass. civ. n. 3042/2009

In caso di ritardato adempimento di un’obbligazione di valuta, ai fini del riconoscimento del maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ., il creditore imprenditore commerciale ha l’onere di dimostrare o di aver fatto ricorso al credito bancario, sostenendone i relativi interessi passivi, ovvero – con la produzione dei bilanci – di comprovare quale fosse la produttività della sua impresa, per le somme in essa investite. (Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, dando atto della dimostrazione, da parte del creditore imprenditore commerciale, dei tassi di interesse pagati per soli tre anni, aveva erroneamente ancorato a tali frammentari elementi la liquidazione del danno in questione, senza tener conto dell’intervenuto cambiamento della situazione economica generale all’epoca delle decisioni di merito e della modifica della disciplina degli interessi moratori, di cui alla nuova formulazione dell’art. 1284 cod. civ., introdotta dalla legge n. 353 del 1990).

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Cass. civ. n. 19499/2008

Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224, secondo comma, cod. civ può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale.

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Cass. civ. n. 24142/2007

Il maggior danno, dovuto al creditore ex art. 1224 c.c., ha natura risarcitoria e può essere riconosciuto solo se venga accertata la colpevolezza dell’inadempimento dell’obbligazione pecuniaria ed il nesso causale tra tale condotta e il danno patrimoniale lamentato. Incombe, pertanto, sul creditore che richieda il riconoscimento di un importo pari agli interessi passivi praticati dalla propria banca nel periodo del ritardato pagamento, la prova dell’effettivo addebito di tali interessi nel corso della mora debendi e la ricollegabilità causale all’omesso inadempimento dell’avvenuto ricorso al credito. (Nella fattispecie, la Corte, per un credito professionale azionato da un avvocato, ha ritenuto insufficiente la produzione di documentazione bancaria, attestante la percentuale degli interessi passivi praticati dalla banca del creditore nel corso della mora, in mancanza della prova concreta del pregiudizio patrimoniale subito a causa del ritardo).

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Cass. civ. n. 19927/2007

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, la natura non imprenditoriale del creditore non preclude la possibilità che gli venga riconosciuto, ove fornisca la prova relativa, il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c., atteso che la qualità imprenditoriale non rileva di per sé ai fini dell’accertamento dell’esistenza di quel danno, ma eventualmente solo a fini probatori, nel senso della possibilità riconosciuta all’imprenditore commerciale di avvalersi di presunzioni onde fornire la prova del danno, pari alla svalutazione monetaria, conseguente al ritardo nell’adempimento da parte del soggetto obbligato.

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Cass. civ. n. 18450/2007

Ai fini del riconoscimento del maggior danno di cui all’art. 1224 cpv c.c., l’interessato deve fornire dei dati personalizzati, alla luce dei quali valutare, secondo criteri di probabilità e normalità, le modalità di utilizzazione del denaro e quindi gli effetti, nel caso concreto, della sua ritardata disponibilità. Nell’ipotesi di creditore esercente attività imprenditoriale, il calcolo forfettario del danno deve essere effettuato alla luce del costo del prestito bancario, posto che, laddove il ricorso al credito bancario immediatamente posteriore all’inadempimento sia stato provato, non può pretendersi, in mancanza di specifici elementi, l’ulteriore prova del nesso causale tra inadempimento e ricorso al credito, in quanto sussiste la presunzione semplice che a detto credito, che comporta dei costi, gli imprenditori commerciali ricorrono, poiché non sono nelle condizioni di autofinanziarsi.

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Cass. civ. n. 16871/2007

Nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione pecuniaria il danno da svalutazione monetaria non è in re ipsa ma può essere liquidato soltanto ove il creditore deduca e dimostri che un tempestivo adempimento gli avrebbe consentito di impiegare il denaro in modo tale da elidere gli effetti dell’inflazione. Tale principio trova applicazione anche alle pretese restitutorie vantate dal contribuente nei confronti dell’erario, rispetto alle quali peraltro — in considerazione della specificità della disciplina dell’obbligazione tributaria — la prova del danno da svalutazione monetaria deve essere valutata con particolare rigore da parte del giudice di merito.

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Cass. civ. n. 13359/2007

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie, qualora il maggior danno lamentato consista unicamente nella differenza, su base annua, tra il saggio degli interessi legali previsto nel periodo in osservazione ed il tasso di svalutazione monetaria fissato dall’Istat, deve essere riconosciuta la sola rivalutazione per i periodi in cui la relativa percentuale sia superiore al tasso degli interessi legali, mentre nella ipotesi inversa sono dovuti solo questi ultimi.

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Cass. civ. n. 24584/2006

Nessuna preclusione all’attribuzione del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c. può derivare dalla condanna, inflitta da una precedente sentenza, agli interessi legali dalla decisione al saldo, in base al principio per cui nessuna possibilità v’è per il creditore di prevedere, e quindi dedurre a causa petendi un evento futuro e incerto quale il maggior danno indotto dalla svalutazione monetaria o dalle condizioni di ricorso al credito da quella data a quella del saldo, nella permanente inadempienza, tenuto conto, altresì, che nell’attuale testo dell’art. 1284 c.c., anche il saggio degli interessi legali è non prevedibile nel quantum, sì che ancor meno prevedibile è l’
an e il quantum del differenziale tra il danno maggiore e tale saggio.

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Cass. civ. n. 13923/2006

Ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., ai fini della configurabilità del diritto al risarcimento del maggior danno derivante dal ritardato pagamento di un debito pecuniario è sufficiente — fatto salvo l’onere a carico del creditore di provare in concreto la sussistenza di tale maggior danno — che il ritardo sia imputabile a colpa del debitore, senza che sia, altresì, necessario che lo stesso debitore abbia agito con animus nocendi ovvero con dolo specifico finalizzato a danneggiare il creditore. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del riportato principio, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale era stata ravvisata, con riferimento all’affermazione della responsabilità conseguente al tardivo pagamento di un debito pecuniario da parte di una P.A., l’indispensabilità della prova che, oltre al requisito dell’imputabilità del ritardo a carico della stessa debitrice, quest’ultima avesse agito con l’indicato animus nocendi).

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Cass. civ. n. 13183/2006

La domanda di interessi moratori costituisce domanda nuova, perché presuppone l’introduzione in giudizio di un ulteriore elemento di fatto, quello della colpa del debitore, conseguendone che, anche nel vigore del vecchio testo dell’art. 184 c.p.c., tale domanda non poteva essere formulata al di fuori dell’atto introduttivo del giudizio, e particolarmente, per la prima volta, in sede di precisazione delle conclusioni, salva l’accettazione del contraddittorio di controparte.

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Cass. civ. n. 24858/2005

In tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi corrispettivi o compensativi avendo fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono, possono essere attribuiti solo su espressa domanda della parte interessata, e ciò contrariamente a quanto avviene nell’ipotesi di somma di denaro dovuta a titolo di risarcimento del danno di cui essi rappresentano integrano una componente necessaria.

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Cass. civ. n. 14202/2004

Nelle obbligazioni pecuniarie, il fenomeno inflattivo non consente un automatico adeguamento dell’ammontare del debito, né costituisce di per sé un danno risarcibile, ma può implicare, in applicazione dell’art. 1224, secondo comma, c.c., solo il riconoscimento in favore del creditore, oltre che degli interessi, del maggior danno che sia derivato dall’impossibilità di disporre della somma durante il periodo della mora, nei limiti in cui il creditore medesimo deduca e dimostri che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare o ridurre quegli effetti economici depauperativi che l’inflazione produce a carico di tutti i possessori di denaro; in particolare, e sempre nei limiti degli elementi forniti dal danneggiato, il suddetto principio può comportare, in favore del creditore esercente attività imprenditoriale, la considerazione del mancato impiego del denaro nel ciclo produttivo, ovvero della necessità di avvalersi del prestito bancario, e quindi il calcolo forfettario del danno in questione, rispettivamente, alla luce dei proventi medi dell’attività imprenditoriale o del costo del prestito bancario. (Nel caso di specie, la sentenza impugnata aveva ritenuto di poter considerare presuntivamente provato il maggior danno subito da una società, nell’esercizio della sua attività commerciale, per il fatto che la società medesima aveva semplicemente formulato dei progetti; enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha escluso che il maggior danno da mora possa essere presunto sulla base di meri progetti, la formulazione di essi non equivalendo ad averli realizzati e neppure — ove non dedotto — a non aver potuto realizzarli per difetto di liquidità).

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Cass. civ. n. 12123/2004

Ai fini della prova del maggior danno da svalutazione, l’EIMA, Ente per gli interventi nel mercato agricolo (già AIMA) non può avvalersi della presunzione di utilizzabilità in impieghi inflattivi dell’importo del credito (nella specie, relativo a quanto ad essa dovuto, a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito) per l’indebita percezione di aiuti comunitari per l’agricoltura; infatti, in base all’art. 8, settimo comma, della legge 23 dicembre 1986, n. 898, in materia di aiuti comunitari al settore agricolo, è precluso il reimpiego della somma restituita, che va essere immediatamente versata dall’ente «all’entrata del bilancio dello Stato, per essere iscritta nell’apposito capitolo di previsione …» per la successiva rimessa all’organismo comunitario.

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Cass. civ. n. 2508/2002

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie (nella specie, pagamento di canoni di locazione), l’obbligazione di risarcimento del maggior danno derivante dalla svalutazione monetaria costituisce debito di valore, che può essere provato in base a criteri presuntivi fondati sulla prova dell’appartenenza del creditore ad una determinata categoria (imprenditore commerciale, risparmiatore abituale, creditore occasionale, piccolo consumatore). Peraltro, in mancanza di prova specifica dell’appartenenza ad una di tali categorie, è legittima la liquidazione della svalutazione secondo gli indici Istat, alla stregua del criterio adottabile con riguardo alla categoria dei piccoli consumatori, essendo presumibile che il creditore appartenga quantomeno ad essa.

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Cass. civ. n. 10569/2001

Il risarcimento del danno derivante dalla svalutazione monetaria verificatasi durante la mora del debitore non costituisce una conseguenza automatica del fatto notorio della perdita del potere di acquisto della moneta, ma comporta l’onere dell’allegazione e della prova di circostanze tali che consentano al giudice di desumere, in via presuntiva, la sussistenza e l’entità del maggior danno subito dal creditore, il quale, allorquando alleghi la propria condizione di creditore occasionale di una somma di importo rilevante a lui spettante, null’altro è tenuto a dimostrare, essendo tale circostanza sufficiente perché il giudice possa determinare, in via presuntiva, l’ammontare del danno derivante dal mancato impiego di tale somma secondo una destinazione corrispondente agli impieghi usuali del denaro che, superando la misura necessaria al soddisfacimento delle esigenze della vita quotidiana, venga destinata al risparmio in forme tali da superare il ristoro derivante dalla corresponsione dell’interesse legale all’epoca applicabile in caso di mora del debitore.

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Cass. civ. n. 3646/2001

In tema di obbligazioni pecuniarie, la prova del maggior danno da inadempimento ex art. 1224, secondo comma, c.c., può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi che tengano conto delle qualità soggettive del creditore e della natura oggettiva del credito. Peraltro, il creditore ha comunque l’onere di allegare almeno il tipo di danno che lamenta di aver subito, verificandosi, in caso contrario, una violazione del principio dispositivo. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio di cui alla massima, ha confermato la decisione dei giudici di merito, che avevano ritenuto troppo generica, ai fini della dimostrazione del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, l’allegazione di uno stato di bisogno in cui si sarebbe trovato il creditore e che, tra l’altro, sarebbe stato non già conseguenza del ritardato soddisfacimento del credito, ma causa della decisione di stipulare una transazione).

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Cass. civ. n. 3160/2001

Il titolare di un’impresa artigianale, da qualificare piccolo imprenditore, il quale deduca di aver subito un danno dal ritardo del debitore nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria, è tenuto a fornire la prova dell’effettivo pregiudizio patrimoniale subito, non potendosi, in tale ipotesi, ricorrere alle presunzioni stabilite in favore degli imprenditori commerciali, in base alle quali, in caso di tempestivo adempimento, la somma dovuta sarebbe stata utilizzata in impieghi antinflattivi. (Nella specie, alla stregua del principio richiamato in massima, la S.C. ha confermato la decisione della Corte di merito che, in riferimento ad un credito vantato da un soggetto esercente attività di muratore, aveva ritenuto inidonea a fornire la prova dell’abituale ricorso al credito da parte dello stesso — tale da giustificare la necessità, da parte dello stesso, di affrontare, per effetto del mancato tempestivo pagamento del debito pecuniario di cui si tratta, un esborso di danaro con un danno eccedente la misura degli interessi legali — la sola produzione dei prospetti dell’Inps, né quella di due avvisi di scadenza di rate di mutuo ipotecario, escludendo che da ciò potessero inferirsi dati sulla possibilità giuridica o la convenienza economica di una parziale estinzione del mutuo stesso.

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Cass. civ. n. 15594/2000

In tema di risarcimento, ex art. 1224, secondo comma, c.c., del «maggior danno» che il creditore, il quale abbia la qualità di imprenditore commerciale (nella specie, titolare di farmacia che abbia fornito farmaci in favore di una USL), deduca di aver subito dal ritardo del debitore nell’adempimento di una obbligazione pecuniaria, la presunzione di ricorso al credito da parte dello stesso si connette alla normalità del finanziamento, salvo che non si provi la specifica e permanente sufficienza dell’autofinanziamento, pur in presenza di ritardi considerevoli nell’adempimento di obblighi solutori di consistenti somme da parte del debitore, solo in tal caso dovendosi limitare la liquidazione del maggior danno alla sola perdita del differenziale dei frutti ed interessi attivi rispetto all’interesse legale.

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Cass. civ. n. 15059/2000

La prova del maggior danno subito dal creditore in conseguenza della svalutazione monetaria può essere desunta, in via presuntiva, dalla sua appartenenza ad una delle categorie sociali giuridicamente determinate, quale quella degli imprenditori commerciali, relativamente alle quali vale la considerazione del mancato impiego del denaro nel ciclo produttivo, ovvero della necessità di avvalersi del prestito bancario. Ne consegue che, quando il creditore sia un ente che dispone di finanziamenti pubblici corrisposti per lo svolgimento dei propri compiti istituzionali (nella specie, si trattava di un Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale), la mera allegazione della sua qualità non consente l’applicabilità dei menzionati criteri presuntivi, né in ordine alla sussistenza del danno, né in ordine alla sua quantificazione.

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Cass. civ. n. 14089/2000

Il danno da inadempimento dell’obbligazione pecuniaria è per qualsiasi creditore non inferiore alla misura dell’inflazione della moneta, che ne costituisce l’elementare dato probatorio, salvo che esso assuma un diverso, maggiore valore per il singolo creditore in relazione al comprovato uso che della somma oggetto dell’obbligazione intendeva fare; di conseguenza, il creditore che intenda ottenere la rivalutazione nella misura ufficiale deve solo allegare gli indici ufficiali dell’Istat, mentre il creditore che ritenga che la mancata disponibilità del danaro abbia inciso sul suo patrimonio in misura superiore agli interessi legali e alla svalutazione ufficiale dovrà provare il maggiore danno, per esempio di aver dovuto rinunciare ad investimenti vantaggiosi oppure di aver dovuto ricorrere a prestiti particolarmente onerosi. (Fattispecie relativa alla rivalutazione di somme restituite dall’Inps per contributi indebitamente versati).

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Cass. civ. n. 943/2000

In tema di risarcimento del danno, mentre nei debiti di valore, pur se con le cautele necessarie ad evitare indebite locupletazioni del danneggiato, gli interessi decorrono dalla data dell’illecito, nei debiti di valuta, aggiungendosi il maggior danno rivalutato al lucro cessante costituito dagli interessi legali sulla sorte dovuta decorrenti dalla messa in mora, gli interessi sulla somma rivalutata decorrono dal momento della decisione.

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Cass. civ. n. 409/2000

In tema di obbligazioni pecuniarie la prova del «maggior danno» subito dal creditore in conseguenza della svalutazione monetaria può essere desunta dall’appartenenza del creditore ad una delle categorie sociali giuridicamente determinate quale quella degli imprenditori commerciali. In tal caso per la prova del pregiudizio patrimoniale subito in dipendenza del fatto notorio dell’inflazione può essere utilizzata la presunzione, in base all’
id quod plerumque accidit, che se vi fosse stato tempestivo adempimento la somma dovuta sarebbe stata destinata ad impieghi antinflattivi.

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Cass. civ. n. 14311/1999

Poiché gli interessi corrispettivi e quelli moratori possono essere attribuiti solo se la parte ne faccia richiesta, qualora tale richiesta venga formulata per la prima volta nel giudizio di appello, essi devono essere fatti decorrere dalla data della relativa domanda, atteso che, in una tale fase processuale possono domandarsi soltanto gli interessi maturati successivamente alla pronuncia della sentenza. Pertanto, in tale ipotesi, ove il debito sia stato saldato anteriormente alla pronuncia della sentenza impugnata, non v’è luogo all’attribuzione degli interessi in questione.

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Cass. civ. n. 9518/1999

In tema di giudizio sul danno ulteriore ex art. 1224, secondo comma, c.c., con riguardo al creditore che eserciti attività imprenditoriale (come nel caso dell’attività del farmacista) ben possono essere fatte valere presunzioni connesse con il normale impiego del denaro nel ciclo produttivo, in funzione di autofinanziamento o di copertura endogena del capitale, per cui l’esistenza e l’ammontare approssimativo del danno possono essere desunti con riferimento al costo del danaro, precisamente dallo scarto tra l’interesse legale ed il tasso di mercato dell’interesse praticato dalle banche alla migliore clientela per il credito a breve, cui l’imprenditore sia stato costretto a ricorrere (nella specie la Suprema Corte ha precisato potersi reputare possibile che un farmacista, pur ricorrendo normalmente all’autofinanziamento per pagare i medicinali ai fornitori, possa essere costretto a ricorrere al credito nell’ipotesi in cui lo stesso autofinanziamento sia reso insufficiente dalla circostanza che una U.S.S.L. — ora A.S.L. — ritardi il rimborso dovuto per il prezzo dei medicinali forniti).

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Cass. civ. n. 5876/1999

In caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il giudice può procedere a rivalutare la somma dovuta soltanto ove il creditore alleghi e dimostri (anche per mezzo di presunzioni semplici) sia l’esistenza del fenomeno inflattivo, sia che quest’ultimo ha causato un danno maggiore rispetto a quello risarcito dagli interessi legali.

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Cass. civ. n. 5678/1999

In tema di maggior danno da svalutazione monetaria (art. 1224, comma secondo c.c.), il — pur legittimo — ricorso al notorio ed a presunzioni da parte del giudice non può prescindere dall’assolvimento, da parte del creditore (quantunque imprenditore commerciale), di un onere quantomeno di allegazione, che consenta al giudice di merito di verificare se, tenuto conto delle sue qualità personali e dell’attività da lui in concreto esercitata, il particolare danno allegato (quale, ad esempio, quello derivante da specifici investimenti programmati e non attuati, ovvero da acquisto di danaro a condizioni particolarmente vantaggiose non realizzato) possa essersi verosimilmente prodotto.

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Cass. civ. n. 346/1999

In tema di obbligazioni pecuniarie, la prova del maggior danno da inadempimento, ex art. 1224, comma secondo c.c., può essere fornita anche attraverso elementi presuntivi, senza che sia necessaria l’appartenenza ad una determinata categoria economico-produttiva, potendo il creditore assumere, in concreto, anche la semplice veste di medio e/o occasionale risparmiatore.

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Cass. civ. n. 11571/1998

La conversione del debito di valore in debito di valuta per effetto della liquidazione effettuata dalla sentenza di secondo grado determina il diritto del danneggiato agli interessi legali sulla somma riconosciuta, con decorrenza dalla data della sentenza di secondo grado al saldo, nella misura normativamente stabilita (nella specie dapprima dall’art. 1 legge 26 novembre 1990, n. 353, quindi dall’art. 2, comma centottantacinquesimo, della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

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Cass. civ. n. 6082/1998

In tema di obbligazioni pecuniarie, la prova del maggior danno subito dal creditore in conseguenza della svalutazione monetaria, può essere desunta dall’appartenenza del creditore ad una delle categorie sociali giuridicamente determinate. Il risarcimento di tale tipo di danno compete anche se il creditore appartiene alla categoria del «modesto consumatore», ben potendo il danno essere rapportato, in tal caso, alla capacità del soggetto di produrre un reddito medio. Ed infatti, l’appartenenza ad una determinata categoria economica, consentendo di dedurre, con una valutazione di probabilità e normalità, il tipo e le modalità di reimpiego del danaro abituali per ciascuna categoria, permette di determinare, sia pure in via equitativa, il danno subito dal soggetto in dipendenza del fatto notorio dell’inflazione.

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Cass. civ. n. 5908/1998

Le obbligazioni di valore si trasformano in obbligazioni di valuta solo in seguito al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione, e pertanto solo da tale momento restano assoggettate alla disciplina dettata dall’art. 1224 c.c. per le obbligazioni di valuta, con la conseguenza che gli interessi corrispettivi vanno riconosciuti con decorrenza dalla liquidazione e non dalla data in cui è intervenuto il fatto generatore del debito, a meno che non sia fornita, anche con presunzioni semplici, la prova del danno subito per la mancata tempestiva disponibilità della somma di denaro rappresentante l’equivalente del bene perduto o danneggiato.

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Cass. civ. n. 2865/1998

Ai fini del risarcimento del maggior danno per il ritardo nell’adempimento delle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell’art. 1224, comma secondo, c.c., l’onere del creditore di allegare la propria qualità di imprenditore, onde fruire delle presunzioni che a tale qualità si ricollegano in ordine all’incidenza degli effetti depauperativi dell’inflazione, ben può ritenersi assolto con la stessa attivazione della domanda quando questa, pur senza contenere una specifica dichiarazione della suddetta qualità, presupponga necessariamente nell’attore il possesso della stessa, come allorquando risulti pacifica in atti l’attività di imprenditore commerciale (nella specie era pacifica la qualità di imprenditore commerciale riferita ad una Srl successivamente fallita).

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Cass. civ. n. 11937/1997

In caso di inadempimento di obbligazioni pecuniarie deve escludersi la possibilità di cumulo degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, essendo consentito soltanto allegare l’esistenza di un maggior danno rispetto agli interessi ai sensi dell’art. 1224 c.c. L’anzidetto cumulo va, invece, riconosciuto per i debiti di valore, tra i quali è compreso anche quello di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale, in quanto la rivalutazione monetaria e gli interessi sulla somma liquidata assolvono funzioni diverse, poiché la prima mira a ripristinare la situazione patrimoniale del danneggiato quale era anteriormente al fatto generatore del danno ed a porlo nelle condizioni in cui si sarebbe trovato se l’evento non si fosse verificato, mentre i secondi hanno natura compensativa, con la conseguenza che le due misure sono giuridicamente compatibili e pertanto debbono essere corrisposti anche gli interessi.

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Cass. civ. n. 9660/1997

In caso di inadempimento di obbligazioni pecuniarie la prova del maggior danno, a norma dell’art. 1224 c.c., non è implicita nel fatto stesso della svalutazione monetaria, occorrendo invece la prova da parte del creditore dell’effettivo pregiudizio patrimoniale subito, anche se a tal fine è utilizzabile ogni mezzo di prova, comprese le presunzioni fondate sulle condizioni e qualità personali del creditore e sulle modalità d’impiego del denaro coerenti con tali elementi.

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Cass. civ. n. 6111/1997

Il risarcimento del danno subito dalla pubblica amministrazione creditrice, in base ad un rapporto contrattuale (nella specie: di appalto di servizi), di una prestazione pecuniaria, per la mancata tempestiva disponibilità della somma dovutale, a causa del ritardo del debitore nel pagamento, richiede, esclusa ogni automatica applicazione, a fini rivalutativi, degli indici di inflazione rilevati dall’Istat, la dimostrazione dell’esatto ammontare del pregiudizio subito. Ai fini della quale, tenuto conto che nel caso di mancata tempestiva realizzazione del credito, l’amministrazione non può liberamente disporre delle proprie risorse secondo criteri di opportunità idonei a permetterle di evitare le conseguenze dell’inflazione monetaria né può indiscriminatamente far ricorso al credito per adempiere ai propri compiti istituzionali, non possono essere utilizzati i criteri, applicabili nei rapporti interprivati, della qualità e delle condizioni della categoria di appartenenza del creditore quali elementi di prova presuntiva del ridetto pregiudizio, né può farsi ricorso al fatto notorio del ricorso allo strumento del debito pubblico, per giustificare l’applicazione del tasso di svalutazione rilevato dall’Istat, pena un ingiustificato privilegio per la p.a. rispetto ai privati creditori. E invece necessaria, allo scopo sopraindicato, la dimostrazione da parte dell’amministrazione delle variazioni dei tassi dei titoli del debito pubblico con riferimento alle singole annualità durante le quali si è protratta la mora del debitore, onde consentire il calcolo dell’incremento anno per anno del credito originario, per la parte non coperta dalla corresponsione dell’interesse di mora nella misura legale.

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Cass. civ. n. 2762/1997

Ai fini del riconoscimento in favore del creditore del maggior danno derivante dalla sopravvenuta svalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., il giudice può utilizzare il fatto notorio acquisito alla comune esperienza unitamente a presunzioni fondate su condizioni e qualità personali del creditore, e quindi quantificare il danno, ad esempio, alla stregua dei perduti interessi bancari (in considerazione del più comune e normale impiego in denaro), o con valutazione equitativa, o mediante rivalutazione del credito non cumulabile con gli interessi legali. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza con cui il giudice di merito aveva riconosciuto la rivalutazione senza cumulo con gli interessi, relativamente alle somme dovute in sede di rendiconto a seguito dell’amministrazione per un lungo periodo di un bene immobile di cui gli attori erano comproprietari).

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Cass. civ. n. 2516/1997

In tema di pagamento di obbligazioni pecuniarie, il cosiddetto «maggior danno» non differisce, per natura e presupposti, dal danno liquidato nella misura degli interessi, e, pertanto, può avere ad oggetto solo l’eccedenza rispetto all’indennizzo già coperto dagli interessi moratori. Ne consegue che, una volta riconosciuto l’ulteriore risarcimento del danno sotto forma di rivalutazione monetaria, non può procedersi ancora alla liquidazione di interessi e rivalutazione anche con riferimento all’importo già calcolato quale rivalutazione della sorte capitale, atteso che questa — espressione del complessivo danno subito dal creditore fino al momento della liquidazione — copre l’intera area del danno risarcibile e non consente spazi, se non sotto il profilo rigorosamente convenzionale, ad ulteriori pretese risarcitorie, cui deve ritenersi del tutto sostituita, configurandosi, in caso contrario, una duplicazione risarcitoria per il medesimo fatto — inadempimento in favore del creditore.

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Cass. civ. n. 5548/1996

Al fine del riconoscimento del «maggior danno» di cui al secondo comma dell’art. 1224 codice civile, è consentito far ricorso alla presunzione di impiego della somma di denaro dovuta nella forma (quanto meno) del deposito bancario riguardo a qualunque creditore occasionale di rilevanti somme pecuniarie. In tal caso, il «maggior danno» conseguito dalla svalutazione monetaria verificatasi durante la mora va liquidato alla stregua del tasso di interesse bancario che il creditore avrebbe percepito dall’istituto di credito, sottraendosi dal maggior tasso che la banca avrebbe applicato a favore del creditore quello corrispondente al saggio legale degli interessi già attribuiti (nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza del merito che aveva negato il riconoscimento del «maggior danno» al creditore di un’ingente somma da risarcimento del danno conseguito all’occupazione illegittima di un suolo edificatorio da parte della pubblica amministrazione ed alla successiva accessione invertita. In particolare, benché il creditore avesse prodotto un certificato attestante i tassi di interesse praticati in suo favore da un istituto di credito, la sentenza impugnata aveva affermato che egli, non appartenente ad alcuna categoria particolare di creditori, aveva omesso di fornire la prova del danno da svalutazione monetaria subito).

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Cass. civ. n. 12422/1995

Nel caso di inadempimento di obbligazioni pecuniarie il creditore, il quale intenda ottenere il risarcimento dell’ulteriore danno non assorbito dal tasso legale degli interessi, ai sensi dell’art. 1224 comma secondo c.c., ha l’onere di allegare e provare la propria appartenenza ad una categoria economica (imprenditori, risparmiatori abituali, creditori occasionali, modesti consumatori). In mancanza di tale prova, deve escludersi sinanco la mera rivalutazione del credito in base all’indice di svalutazione elaborato dall’Istat, in quanto l’applicazione di tale indice, che è collegato al mero consumo, presuppone la prova anche presuntiva dell’appartenenza almeno alla categoria dei modesti consumatori.

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Cass. civ. n. 7501/1995

Il principio secondo cui, ex art. 1224, secondo comma, c.c., il maggior danno da svalutazione monetaria è cumulabile con gli interessi legali, non ha sofferto deroga a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1 della legge 26 novembre 1990, n. 353, poiché detta norma, nel dettare il nuovo testo dell’art. 1284 c.c., mentre ha elevato al dieci per cento annuo il saggio degli interessi legali, non ha determinato alcun mutamento del regime di cui al menzionato art. 1224 c.c.

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Cass. civ. n. 7235/1995

In tema di obbligazioni pecuniarie, e per il caso di ritardo nel pagamento, la liquidazione del danno in misura corrispondente al tasso della svalutazione monetaria non necessita di una prova specifica, costituendo detta svalutazione un dato notorio, non bisognoso, in quanto tale, di dimostrazione neppure con riguardo alla misura della sua incidenza sul patrimonio del creditore.

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Cass. civ. n. 7159/1995

In tema di obbligazioni pecuniarie (nell’ipotesi, quella dell’ente occupante per il pagamento dell’indennità di occupazione legittima, determinata in sede giudiziaria), mentre l’obbligazione di corrispondere gli interessi legali trova la sua fonte in una valutazione legislativa dell’esistenza e della misura minima del danno patito dal creditore, l’ulteriore pregiudizio ricollegabile alla mora del debitore non è presunto e deve essere, quindi, dimostrato dalla parte interessata, la quale, se può avvalersi di ogni mezzo di prova, non può limitarsi ad invocare generiche presunzioni, da desumere dalla notoria svalutazione, né da investimenti produttivi o acquisti non meglio indicati.

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Cass. civ. n. 7024/1995

In tema di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie il risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria postula che il creditore, escluso ogni automatismo fondato sugli indici Istat, deduca e dimostri il pregiudizio in concreto da lui subito, avvalendosi di ogni mezzo di prova, con riferimento anche alla categoria economica di appartenenza. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva determinato il maggior danno del creditore attraverso l’aumento del 2% del tasso degli interessi legali nel periodo in cui questo era stabilito nel 5% l’anno, mentre dopo che quel saggio è stato elevato al 10% l’anno ex art. 1 L. 26 novembre 1990, n. 353, aveva ritenuto che il maggior danno fosse interamente compreso nel nuovo saggio).

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Cass. civ. n. 3233/1995

Nelle obbligazioni pecuniarie, ed in genere in tutti i crediti di valuta, il danno di cui all’art. 1224, secondo comma, c.c., poiché è definito dalla norma come maggiore rispetto a quello compensato con gli interessi previsti dal primo comma, ha identità di natura con questi, per cui è comune la decorrenza dell’una e dell’altra voce dalla data di messa in mora del debitore.

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Cass. civ. n. 1307/1995

Nelle obbligazioni pecuniarie gli interessi moratori accordati al creditore dal primo comma dell’art. 1224 c.c. hanno funzione risarcitoria, rappresentando il ristoro, in misura forfettariamente predeterminata, della mancata disponibilità della somma dovuta. Pertanto, qualora, in relazione alla domanda del creditore di riconoscimento del maggior danno ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, si provveda all’integrale rivalutazione del credito, tale rivalutazione si sostituisce al danno presunto costituito dagli interessi legali ed è idonea, quale espressione del totale danno in concreto, a coprire l’intera area dei danni subiti dal creditore stesso fino alla data della liquidazione, con la conseguenza che solo da tale data spettano, sulla somma rivalutata, gli interessi, verificandosi altrimenti l’effetto che il creditore riceverebbe due volte la liquidazione dello stesso danno e conseguirebbe più di quanto avrebbe ottenuto se la obbligazione fosse stata tempestivamente adempiuta.

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Cass. civ. n. 625/1995

Qualora, in conseguenza della risoluzione del contratto per, inadempimento, nella impossibilità di restituzione della prestazione già eseguita, la parte inadempiente venga condannata a corrispondere alla parte non in colpa il corrispettivo pattuito con la rivalutazione dello stesso fino alla data della decisione, la maggior somma riconosciuta per la svalutazione monetaria costituisce una forma di liquidazione del danno per il mancato pagamento e quindi va considerata ai fini della liquidazione del danno complessivo in modo da evitare che, tramite la liquidazione di altre voci di danno, si concretizzi una duplicazione (o, comunque, una sovrapposizione) che comporti per il contraente fedele un arricchimento ingiustificato e cioè più di quanto avrebbe conseguito dal contratto, se fosse stato regolarmente eseguito.

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Cass. civ. n. 10796/1994

Rispetto ai debiti di valuta (nella specie, indennità di espropriazione), la rivalutazione monetaria costituisce una delle possibili modalità di determinazione del «maggior danno», risarcibile a norma dell’art. 1224, comma 2, c.c., sempreché non si operi, in relazione al medesimo periodo di tempo, un’indebita duplicazione, cumulando detta rivalutazione con gli interessi legali, i quali spettano, invece sulla somma rivalutata, dal giorno della pronuncia giudiziale fino al pagamento.

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Cass. civ. n. 9645/1994

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie, pur se è ammissibile, ai fini del risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria, rispetto a quello coperto dagli interessi legali, il ricorso alla prova presuntiva in correlazione a criteri personalizzati, tenendo conto della categoria economica cui appartiene il creditore (imprenditore, modesto consumatore, creditore occasionale, ecc.), tuttavia quest’ultimo non può limitarsi a dedurre il fenomeno inflattivo come fatto notorio, ma deve fornire gli elementi in base ai quali il danno ulteriore sia concretamente quantificabile nell’ambito della categoria economica di appartenenza. (Nella specie, al giudice di merito non era stato precisato il periodo durante il quale era stata esplicata l’attività commerciale, che risultava interrotta, né gli era stato richiesto di valutare la possibilità di impiego del danaro non riscosso, in coerenza con la situazione professionale del creditore).

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Cass. civ. n. 7854/1994

Il creditore di somma di denaro che abbia qualità di modesto artigiano — e del quale possa quindi presumersi l’abitudine a spendere il proprio denaro per bisogni personali e familiari — in caso di inadempimento, non è tenuto a fornire alcuna dimostrazione del maggior danno patito a causa della svalutazione monetaria, presupponendosi che questo, inerente all’impiego del denaro per il consumo, corrisponda al maggior costo, in espressione monetaria, dei beni il cui acquisto al tempo della scadenza dell’obbligazione avrebbe sottratto la somma agli effetti dell’inflazione. In tal caso la determinazione della misura del danno deve essere eseguita in base agli indici Istat i quali riguardano proprio le variazioni dei prezzi in relazione al consumo delle famiglie degli operai e degli impiegati.

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Cass. civ. n. 5860/1994

Il ritardo nel pagamento dei debiti di valuta comporta ai sensi dell’art. 1224 c.c. l’obbligo a carico del debitore non soltanto di pagare gli interessi legali, ma di risarcire il maggior danno, che ove si alleghi causato da svalutazione monetaria — costituente fatto notorio e non necessitante, in quanto tale, di una prova specifica — incide sul patrimonio del creditore in misura corrispondente al tasso di inflazione, desumibile dagli indici ufficiali sul costo della vita, salva la prova di un danno maggiore incombente sul creditore o la prova contraria dell’inesistenza del danno da svalutazione o di una minore incidenza di esso sul patrimonio interessato, incombente sul debitore.

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Cass. civ. n. 4321/1994

Nel caso di obbligazioni pecuniarie, l’attribuzione del risarcimento del maggior danno (art. 1224, secondo comma, c.c.) presuppone che il creditore deduca che un pagamento tempestivo lo avrebbe messo in grado di evitare e ridurre gli effetti economici depauperativi propri dell’inflazione, restando escluso, ai fini dell’individuazione e della quantificazione di detto danno, che il ricorso ad elementi presuntivi ed a fatti di comune esperienza possa tradursi nella applicazione, in via generale, di parametri fissi, quali quelli evincibili dagli indici I.S.T.A.T. o dal tasso corrente degli interessi bancari, o possa implicare esonero dal suindicato onere di allegazione e di prova, essendo tale ricorso consentito solo in stretta correlazione con le qualità e condizioni della categoria di appartenenza del creditore medesimo e cioè alla stregua di dati personalizzati che devono essere forniti dall’interessato. (Affermando tale principio, la S.C. ha annullato la decisione di merito che aveva ritenuto che il maggior danno da svalutazione monetaria, quale fatto notorio, non necessitasse di prova specifica).

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Cass. civ. n. 2538/1994

Gli interessi legali sulle somme dovute, siano essi corrispettivi o moratori, sono pur sempre strumentali alla reintegrazione del patrimonio del creditore della perdita connessa alla mancata disponibilità tempestiva delle somme medesime in base alla presunzione di naturale fecondità del denaro e quindi a prescindere dalla prova della concreta esistenza del pregiudizio, con la conseguenza che, assolvendo entrambi una funzione risarcitoria, ove il creditore deduca e dimostri di avere subito a causa della svalutazione monetaria un danno maggiore di quello compensato dalla sola loro liquidazione e ne ottenga l’integrale risarcimento mediante rivalutazione della somma dovuta, l’importo della rivalutazione stessa, che assolve identica funzione risarcitoria, con riguardo al danno effettivo e non semplicemente presunto, non è cumulabile né con l’uno né con l’altro tipo di interessi, mentre gli ulteriori interessi sulla somma rivalutata non possono che decorrere dal momento della liquidazione di questa.

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Cass. civ. n. 1161/1994

Il risarcimento dei danni da fatto illecito non ha contenuto diverso o più ampio di quello dovuto per la inadempienza contrattuale, per cui — in entrambi i casi, solo quando il danno da risarcire si riferisca a cosa diversa dal denaro, il dovuto risarcimento sostanzia un debito di valore, mentre allorché il danno consiste nella perdita di una somma di denaro, il debito di risarcimento è e rimane debito di valuta soggetto al principio nominalistico ed alla regolamentazione di cui all’art. 1224 c.c. con la conseguenza che, in quest’ultimo caso, la svalutazione monetaria sopravvenuta non può costituire titolo autonomo di danni, salva la possibilità per il creditore di allegare e dimostrare di aver risentito un concreto maggior pregiudizio derivante dalla variazione del potere di acquisto della moneta.

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Cass. civ. n. 3803/1991

In tema di inadempimento di debiti pecuniari il coefficiente di rivalutazione monetaria può essere determinato dal giudice di merito in un’unica globale misura esprimente l’entità del deprezzamento monetario verificatosi durante l’intero periodo della mora debendi e fino alla determinazione definitiva dell’
an e del quantum operata con la sentenza d’appello solo se il credito fatto valere ed accertato in giudizio non abbia subito, nel corso del medesimo, decurtazioni per effetto di versamenti effettuati dal debitore; quando, invece, tali versamenti vi siano stati, dovendo il coefficiente di rivalutazione essere applicato alla parte del credito ancora insoluta alle date dei pagamenti in conto, esso non può più essere determinato in una misura unica per l’intero arco temporale della mora debendi, ma deve essere calcolato distintamente su ciascuna delle quote dell’insoluto alle date suddette, ed in funzione della progressiva diminuzione, «a scalare», della durata della mora del debitore.

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Cass. civ. n. 2803/1990

In tema di obbligazioni pecuniarie, il debito degli interessi «moratori», alla cui sussistenza è correlata la risarcibilità del «maggior danno» (art. 1224 c.c.), non coperto da detti interessi, presuppone l’esistenza di un’obbligazione, ma trova la sua causa immediata nella mora, cioè nel ritardo colpevole dell’adempimento, fonte esclusiva e diretta della responsabilità del debitore per il risarcimento del danno sofferto dal creditore a seguito e per effetto del ritardato pagamento. Ne discende che ove il ritardo nell’adempimento sia dipeso da causa non imputabile al debitore — ipotesi nella quale rientra il caso che il mancato pagamento debba ritenersi giustificato dall’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. — non potrà farsi luogo, in difetto del necessario presupposto della mora, né alla condanna del debitore alla corresponsione degli interessi moratori, né a quella al risarcimento del «maggior danno» ai sensi dell’art. 1224 c.c.

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Cass. civ. n. 2296/1990

Il principio secondo cui gli interessi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento decorrono dalla data del verificarsi del danno trova applicazione soltanto in materia di responsabilità aquiliana mentre quando l’obbligazione risarcitoria derivi da inadempimento contrattuale, i medesimi interessi decorrono dalla domanda giudiziale quale atto idoneo a costituire in mora il debitore, anche se a quella data il credito non sia ancora liquido ed esigibile.

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Cass. civ. n. 163/1989

Il danno, che il creditore di somma di danaro deduca d’aver subito, per il ritardo con cui ne è stato accertato il diritto a cagione della resistenza frapposta in giudizio dal debitore ancorché con dolo o colpa grave, deve essere considerato conseguenza immediata e diretta non di lite temeraria, bensì dell’inadempimento, e deve perciò trovare risarcimento non in base all’art. 96, comma primo, c.p.c., ma in base all’art. 1224, comma secondo, c.c., quante volte il danno consista nel pregiudizio risentito dal creditore per effetto della perdita del potere d’acquisto subito dalla moneta nel corso del giudizio, ricollegandosi così al mancato o ritardato adempimento dell’obbligazione originaria.

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Cass. civ. n. 4642/1982

Funzione primaria degli interessi è, nelle obbligazioni pecuniarie, quella corrispettiva, quali frutti civili della somma dovuta, e nei contratti di scambio, caratterizzati dalla contemporaneità delle reciproche prestazioni, quella compensativa del mancato godimento dei frutti della cosa, consegnata all’altra parte prima di ricevere la controprestazione; funzione secondaria degli interessi è quella risarcitoria, propria degli interessi di mora, i quali, presupponendo l’accertamento del colpevole ritardo o la costituzione in mora ex lege del debitore, debbono essere espressamente domandati, indipendentemente dalla domanda di pagamento del capitale. Conseguentemente, la richiesta di corresponsione degli interessi, non seguita da alcuna particolare qualificazione, deve essere intesa come rivolta all’ottenimento soltanto degli interessi corrispettivi, i quali, come quelli compensativi, decorrono, in base al principio della naturale fecondità del denaro, indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, salva l’ipotesi della mora del creditore.

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Cass. civ. n. 1689/1982

In tema di inadempimento di obbligazioni pecuniarie, il danno da svalutazione monetaria che il debitore è tenuto a risarcire, ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., ove il creditore sia riuscito a procurarsi ugualmente la somma a lui dovuta mediante ricorso al credito bancario, non riguarda detta somma, bensì gli oneri economici connessi al conseguimento della stessa, i quali soltanto — se ed in quanto il debitore non deduca e provi la possibilità per il creditore di provvedere ai suoi bisogni con mezzi meno onerosi — rappresentano un danno risarcibile, nei limiti dell’art. 1227 c.c., e, quindi, un credito di valore, con conseguente necessità di operare la rivalutazione del relativo importo, in sede di determinazione giudiziale del medesimo, al fine di reintegrare il patrimonio del creditore. L’indicata determinazione deve correlarsi all’entità dell’anticipazione bancaria richiesta, alla durata dell’operazione ed al livello del tasso d’interesse praticato dalla banca in relazione sia all’entità dell’anticipazione, sia alla durata dell’operazione, ovvero, in mancanza di tali elementi, al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c.

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Cass. civ. n. 4349/1976

Gli interessi moratori hanno fonte diversa da quella della obbligazione principale e perciò possono essere attribuiti dal giudice solo se chiesti esplicitamente dalla parte.

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Cass. civ. n. 2314/1976

La mancata impugnazione, da parte dell’attore, della sentenza che, riconoscendo in suo favore una determinata somma di denaro, abbia omesso di pronunciare sulla richiesta accessoria di corresponsione degli interessi sulla somma medesima, preclude la riproposizione della richiesta stessa in separata sede solo nel caso degli interessi compensativi, non anche in quello degli interessi moratori. I primi, invero, quale pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell’equivalente monetario del danno, costituiscono una componente del danno stesso, collegata al medesimo fatto generatore, e, quindi, vengono coperti dal giudicato sostanziale formatosi sulla domanda di risarcimento e sull’entità complessiva del danno. I secondi, al contrario, costituendo il risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento colpevole dell’obbligazione pecuniaria, si ricollegano ad un titolo e ad una domanda autonoma rispetto a quella relativa all’obbligazione principale; ne consegue che l’omessa pronuncia sulla richiesta degli interessi moratori, quale omessa pronuncia su domanda autonoma, non è suscettibile di formare giudicato sostanziale, perché non contiene alcun accertamento sulla sussistenza o meno del diritto.

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Cass. civ. n. 1075/1976

L’obbligazione di corrispondere gli interessi moratori è distinta da quella relativa al capitale e pertanto deve formare oggetto di una domanda espressamente proposta in giudizio, indipendentemente dalla domanda di pagamento del capitale; tuttavia, la natura accessoria degli interessi consente che la domanda relativa possa esser proposta anche nel corso del giudizio di primo grado, con la conseguenza che gli interessi, così richiesti, decorrano dal giorno della domanda proposta in corso di causa e non già dal momento della proposizione della domanda di pagamento del capitale.

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Cass. civ. n. 3369/1971

Mentre in caso di danno da illecito extracontrattuale gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento hanno natura compensativa e decorrono dal giorno dell’illecito, dovendo il debitore essere ritenuto fin da tale momento in mora ex re, nel caso di illecito contrattuale essi decorrono, invece, dalla domanda giudiziale con cui il debitore è costituito in mora, quindi anche se a quella data la somma non sia ancora liquidata e venga determinata soltanto nel corso ulteriore del giudizio.

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