10 Gen Art. 273 — Azione nell’interesse del minore o dell’interdetto
L’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità [ naturale ] [ 269 ] può essere promossa, nell’interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà prevista dall’articolo 316 o dal tutore [ 357 ]. Il tutore però deve chiedere l’autorizzazione del giudice [ disp. att. 38 ], il quale può anche nominare un curatore speciale [ 78 c.p.c. ].
Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l’azione se egli ha compiuto l’età di quattordici anni [ 250 ].
Per l’interdetto l’azione può essere promossa dal tutore [ 424 ] previa autorizzazione del giudice.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 3935/2012
L’interesse umano e affettivo del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità non va più valutato dal Tribunale qualora il minore abbia raggiunto i sedici anni, essendo in tale caso la valutazione di detto interesse rimessa allo stesso minore, attraverso la diretta manifestazione di consenso all’azione. A maggior ragione, nel caso in cui l’interessato abbia raggiunto la maggior età nel corso del giudizio e intervenga personalmente nel processo, deve ritenersi superata la necessità del consenso.
Cass. civ. n. 23170/2007
Nel giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità naturale, la nomina del curatore speciale è eventuale e frutto di una scelta discrezionale del giudice, che non determina una legittimazione concorrente con quella del genitore, nè, tantomeno, la esclude.
Cass. civ. n. 10131/2005
In tema di dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale, il consenso del figlio che ha compiuto l’età di sedici anni, necessario (ex art. 273 c.c.) per promuovere o proseguire validamente l’azione, è configurabile come un requisito del diritto di azione, integratore della legittimazione ad agire del genitore, sostituto processuale del figlio minorenne. Detto consenso può sopravvenire in qualsiasi momento ed è necessario e sufficiente che sussista al momento della decisione; in mancanza, il giudice deve dichiarare, anche d’ufficio, l’improseguibilità del giudizio e non può pronunciare nel merito. Alla necessaria prestazione del consenso — che non può ritenersi validamente prestato dal sedicenne fuori dal processo, né può essere desunto da fatti e comportamenti estranei ad esso, come, ad esempio, dal mero fatto di «portare» il cognome del presunto padre naturale — non osta la circostanza che il figlio abbia raggiunto, nel corso del processo, la maggiore età, sempre che detto compimento non abbia prodotto l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c., rendendo così necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’ex minorenne.
Cass. civ. n. 5291/2000
L’interesse umano e affettivo del minore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità non va più valutato dal tribunale qualora il minore abbia raggiunto i sedici anni nel corso del procedimento camerale di ammissibilità, essendo in tale caso la valutazione di detto interesse rimessa allo stesso minore, che può esprimere il suo consenso ai sensi dell’art. 273 c.c. «per promuovere e proseguire l’azione»; tale consenso, configurandosi come requisito del diritto di azione e attenendo perciò alla legittimazione, può sopravvenire in ogni momento fino alla decisione nel merito.
Cass. civ. n. 5259/1999
L’art. 273 c.c., nel contemplare che l’azione per ottenere la declaratoria giudiziale di paternità o maternità naturale, può essere promossa, nell’interesse del figlio minore, dal genitore esercente la potestà, configura un’estensione — rispetto ad un diritto personale del figlio — del potere di rappresentanza ex lege spettante al genitore, e mira a tutelare esclusivamente detto minore, sulla base della presunzione di un suo interesse all’accertamento dello status. Ad un tal riguardo, non occorre che il genitore esercente la potestà genitoriale sul figlio minore, dichiari espressamente di agire in nome e per conto del figlio o comunque nell’interesse dello stesso, ma si rende sufficiente che, dal contesto complessivo del ricorso, emerga che il ricorrente agisca nell’interesse del minore.
Cass. civ. n. 2572/1999
In virtù del principio generale, deducibile dall’art. 354 c.p.c., dell’effetto cosiddetto devolutivo dell’impugnazione, stante la tassatività delle ipotesi di rimessione del processo al giudice di primo grado, previste dalla citata disposizione, le eventuali invalidità di carattere processuale, verificatesi nel corso del giudizio di primo grado, debbono ritenersi irrilevanti, nel senso che spetta al giudice dell’appello il potere-dovere di pronunciarsi sull’intera causa, ivi compresi i requisiti dell’azione. (Alla stregua di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione della Corte di merito, che aveva ritenuto ritualmente espresso il consenso all’azione di dichiarazione di paternità da parte di minore che aveva compiuto sedici anni, tra l’altro dopo la precisazione delle conclusioni e prima del deposito della decisione di primo grado — consenso richiesto dall’art. 273, secondo comma, c.c. ai fini della promovibilità e della proseguibilità del giudizio — a mezzo di una dichiarazione in calce alla comparsa di costituzione in appello, e, al tempo stesso, aveva considerato irrilevante l’omessa espressione del consenso nel precedente grado di giudizio).
Cass. civ. n. 4857/1995
Nel giudizio per la dichiarazione della paternità o maternità naturale, il curatore speciale, una volta nominato — in quanto «rappresentante del minore» e cioè soggetto investito dell’ufficio di far valere in giudizio gli interessi morali e materiali del minore medesimo relativi all’accertamento ed alla costituzione dello status di figlio naturale — non può che essere parte necessaria in ogni fase e grado del predetto giudizio, sia di ammissibilità che di merito.
Cass. civ. n. 9477/1993
In tema di azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale di un minore infrasedicenne, il genitore esercente la potestà può rinunciare all’azione proposta, esercitando una facoltà che la legge gli concede, senza che ne consegua il venir meno della sua legittimazione, all’eventuale riproposizione dell’azione, non rientrando nella disponibilità del genitore la relativa rinuncia, atteso che il diritto (di carattere processuale) di proporre la suddetta azione, è previsto dall’art. 273 c.c. con carattere di generalità e nell’interesse del minore, che può risorgere successivamente all’estinzione del primo giudizio.
Cass. civ. n. 9829/1990
Con riguardo all’azione per la dichiarazione giudiziale della paternità o maternità naturale, esperita nell’ipotesi del minore infrasedicenne dal genitore esercente la potestà, l’esigenza del consenso di detto minore, ove compia i sedici anni e, in difetto, l’improseguibilità dell’azione medesima (art. 273 secondo comma c.c.), devono essere escluse se tale evento sopravvenga nel corso del giudizio di cassazione, poiché questo, caratterizzato dall’impulso d’ufficio, resta insensibile alle vicende inerenti alla capacità processuale della parte.
Cass. civ. n. 5156/1990
Nel giudizio per la dichiarazione della paternità naturale di minore, promosso dalla madre di quest’ultimo, e per il caso in cui la Suprema Corte abbia cassato con rinvio la sentenza d’appello, in accoglimento di ricorso di detta madre, la legittimazione della medesima alla proposizione di tale ricorso non può essere contestata, sotto il profilo del precorso raggiungimento della maggiore età da parte del figlio né in sede di rinvio, né, in sede di ulteriore ricorso per cassazione. Ciò non osta, peraltro, a che il figlio maggiorenne possa intervenire nel procedimento di rinvio, per la gestione diretta dei propri interessi, ferma restando la legittimazione della madre.
Cass. civ. n. 1771/1988
In tema di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, l’art. 273 secondo comma, c.c., nuovo testo, il quale, per il promuovimento o la prosecuzione dell’azione da parte del genitore esercente la potestà richiede il consenso del figlio che abbia compiuto i sedici anni, comporta, in difetto di tale consenso, una situazione d’improponibilità ed improseguibilità dell’azione stessa (a seconda che i sedici anni siano stati raggiunti prima della notificazione della citazione introduttiva, ovvero in corso di causa), la quale toglie pienezza alla legittimazione processuale del genitore (senza neutralizzarla, come nel caso di raggiungimento della maggiore età) e si traduce in un ostacolo all’esame del merito della domanda. Detta situazione, pertanto, è rilevabile anche d’ufficio, e, in mancanza, è denunciabile in sede d’impugnazione non soltanto dal figlio, ma da ogni parte interessata, ivi inclusa quella che abbia negligentemente omesso di prospettare la necessità del consenso.
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