Il regime patrimoniale della famiglia: focus giurisprudenziale

Sommario:
1. Introduzione. — 2. La comunione legale. — 3. Il fondo patrimoniale. — 4. Il patto di famiglia.

L’applicazione della normativa sulla comunione ordinaria presuppone che i coniugi abbiano adottato il regime patrimoniale della separazione dei beni.
Tale regime, tuttavia, è estraneo alla logica di tutela e pubblicità che caratterizza la disciplina della comunione legale tra coniugi, disciplinata specificamente nella Sezione III del Capo VI, Titolo VI, Libro I del codice civile, comprendente anche le norme relative al suo scioglimento, ai sensi dell’art. 191 c.c.
Ne consegue che il principio di diritto enunciato nella pronuncia della Cass. n. 4757/2010 si applica esclusivamente allo scioglimento della comunione legale. In particolare, tale principio stabilisce che il passaggio in giudicato della sentenza di separazione giudiziale, ovvero l’omologazione della separazione consensuale, costituisce il presupposto per il diritto allo scioglimento della comunione legale, pur non configurandosi quale condizione di procedibilità della relativa domanda giudiziale, bensì quale condizione dell’azione. Di conseguenza, la domanda di scioglimento della comunione legale e di divisione dei beni può essere proposta anche durante il giudizio di separazione personale, purché la suddetta condizione risulti soddisfatta al momento della pronuncia della decisione (Cass. n. 17882/2023).

In materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, si è altresì affermato che, nell’ipotesi in cui entrambi i coniugi, in regime di separazione dei beni, acquistino congiuntamente un immobile il cui prezzo sia stato corrisposto, in tutto o in parte, mediante somme mutuate, il coniuge che, a seguito della separazione personale successivamente intervenuta, abbia provveduto al pagamento delle rate del mutuo con denaro proprio, non può pretendere dall’altro coniuge il rimborso della metà degli importi periodicamente versati alla banca. Ciò in quanto, ai sensi dell’art. 143 c.c., ciascun coniuge è tenuto a contribuire al mantenimento e al benessere della famiglia in base alle proprie capacità lavorative, ivi compreso il lavoro domestico. Ne deriva che il coniuge il quale, durante il matrimonio, non svolga un’attività lavorativa retribuita e concorra all’acquisto di un immobile con l’altro coniuge, sebbene in regime di separazione dei beni, pur senza aver contribuito finanziariamente, deve ritenersi che abbia concorso in misura paritaria all’acquisto stesso mediante l’attività svolta per il soddisfacimento delle esigenze familiari (Cass. n. 17765/2023).

2. La comunione legale.
In materia di comunione legale, i proventi derivanti dall’attività separata svolta da ciascun coniuge rientrano nella comunione differita o de residuo, ai sensi dell’art. 177, lett. c), c.c., qualora non siano stati consumati, anche per esigenze personali, prima dello scioglimento della comunione. Di conseguenza, in assenza di una specifica previsione contraria, vi rientrano anche i proventi non ancora percepiti o non ancora esigibili al momento dello scioglimento della comunione, purché rappresentino il corrispettivo di prestazioni o del godimento di beni maturati nel periodo di vigenza della comunione legale. Rientrano in tale ambito anche i crediti vantati da un professionista nei confronti del proprio cliente per prestazioni già eseguite ma non ancora corrisposte (Cass. n. 16993/2023).

La domanda giudiziale finalizzata alla dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., di un atto dispositivo avente ad oggetto un bene rientrante nella comunione legale, posto in essere dai coniugi al fine di conservare la garanzia patrimoniale rispetto a un credito vantato nei confronti di uno solo di essi per la metà del diritto oggetto di comunione, non determina né una pronuncia di nullità per vizio della editio actionis, né una dichiarazione di inammissibilità. Ne consegue che, qualora il giudice dichiari inopponibile l’atto dispositivo con riferimento all’intero diritto oggetto di comunione – e non ad una quota inesistente dello stesso – non si configura una pronuncia su una domanda diversa da quella proposta, né si realizza una tutela più ampia rispetto a quella richiesta. Piuttosto, il giudice modula la tutela nel solo modo giuridicamente possibile, tenuto conto della natura effettiva del bene oggetto della disposizione (Cass. n. 19319/2023).

In relazione alla natura della comunione legale tra coniugi quale comunione senza quote, si è affermato che, nell’ipotesi di espropriazione di un bene (o di più beni) appartenente alla comunione per soddisfare crediti personali di uno solo dei coniugi, l’oggetto dell’espropriazione è l’intero bene e non soltanto una metà o una quota dello stesso. Di conseguenza, la disciplina dell’espropriazione dei beni indivisi non trova applicazione e, pertanto, non opera l’art. 599 c.p.c., che prevede l’obbligo per il creditore di notificare l’esecuzione forzata agli altri comproprietari (Cass. n. 1647/2023).

Con riferimento allo scioglimento della comunione legale tra coniugi, l’art. 192, comma 3, c.c., prevede la restituzione esclusivamente delle somme impiegate per spese ed investimenti destinati al patrimonio comune già costituito, escludendo invece il rimborso del denaro personale utilizzato per l’acquisto di beni che abbiano successivamente concorso a formare la comunione. In tal caso, trova applicazione l’art. 194, comma 1, c.c., il quale stabilisce che, all’atto dello scioglimento, l’attivo e il passivo devono essere suddivisi in parti uguali, indipendentemente dall’entità del contributo fornito da ciascun coniuge. Nella fattispecie concreta, tale principio è stato applicato in relazione all’acquisto di partecipazioni societarie avvenuto successivamente al matrimonio (Cass. n. 20066/2023).

In tema di rapporti tra il regime di comunione legale e l’espropriazione forzata, si è affermato che, qualora venga espropriato un bene appartenente alla comunione legale per soddisfare crediti personali di uno solo dei coniugi, la trascrizione del pignoramento deve essere eseguita anche nei confronti del coniuge non debitore. Ciò si giustifica in quanto quest’ultimo assume la qualità di soggetto passivo dell’espropriazione, considerato che, nel contesto dell’espropriazione immobiliare quale fattispecie a formazione progressiva, la pubblicità della trascrizione è volta a completare il pignoramento e renderlo opponibile ai terzi. A tal fine, è necessario che nella nota di trascrizione, quadro “D”, sia esplicitata la natura del bene come cespite rientrante nella comunione legale (Cass. n. 9536/2023).

3. Il fondo patrimoniale.
In materia di fondo patrimoniale, ai fini dell’esecuzione forzata sui beni che ne fanno parte, i creditori devono essere distinti, in relazione alla loro condizione soggettiva al momento dell’insorgenza dell’obbligazione, tra coloro che non erano a conoscenza dell’estraneità del debito rispetto ai bisogni della famiglia, i quali possono avvalersi della garanzia generica sui beni conferiti nel fondo, come previsto dall’art. 170 c.c., e coloro che, al contrario, erano consapevoli di tale estraneità, i quali non possono agire esecutivamente sui beni e sui frutti del fondo. Tuttavia, questi ultimi creditori, al pari di tutti gli altri, conservano la facoltà di proporre azione revocatoria avverso l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, che, essendo un atto a titolo gratuito, è soggetto all’azione revocatoria ex art. 2901, comma 1, n. 1), c.c., qualora ne ricorrano i presupposti (Cass. n. 34872/2023).

In tema di esecuzione forzata per espropriazione, l’azione esecutiva avente ad oggetto beni compresi in un fondo patrimoniale è ammissibile solo se sussistono le condizioni previste dall’art. 170 c.c., ossia quando l’obbligazione sia strumentale ai bisogni della famiglia e il creditore non fosse consapevole della sua estraneità a tali bisogni. Spetta al debitore esecutato, che eccepisce l’impignorabilità dei beni, l’onere di provare l’inesistenza delle suddette condizioni. Tale prova non può ritenersi automaticamente assolta o esclusa per il solo fatto che il debito sia sorto nell’ambito dell’attività imprenditoriale del coniuge, dovendosi procedere a una valutazione caso per caso, basata su un prudente apprezzamento degli elementi istruttori (Cass. n. 31575/2023).

Nel giudizio di opposizione all’esecuzione pendente, promosso dal coniuge esecutato al fine di far valere l’impignorabilità, ai sensi dell’art. 170 c.c., dei beni costituiti in fondo patrimoniale, non sussiste litisconsorzio necessario con il coniuge non debitore, salvo che quest’ultimo sia proprietario dei beni conferiti nel fondo e tali beni siano stati anch’essi pignorati. La controversia, infatti, ha ad oggetto la contestazione del diritto del creditore di procedere esecutivamente sui beni del debitore, anche se inseriti nel fondo patrimoniale. Il principio è stato affermato con riferimento a una fattispecie in cui il pignoramento riguardava una quota indivisa di un immobile non soggetto a regime di comunione legale, di proprietà esclusiva del debitore esecutato, senza coinvolgere la posizione del coniuge non debitore (Cass. n. 31575/2023).

Con riguardo ai rapporti tra azione revocatoria e fondo patrimoniale, è stato stabilito che la costituzione del fondo patrimoniale effettuata da un imprenditore, successivamente dichiarato fallito, può essere dichiarata inefficace nei confronti della massa fallimentare mediante l’azione revocatoria ordinaria, proposta dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 2901 c.c., richiamato espressamente dall’art. 66 l.fall. (Cass. n. 25361/2023).

L’azione revocatoria proposta dal creditore di uno dei coniugi nei confronti dell’atto con cui un bene in comunione legale è stato conferito in un fondo patrimoniale deve essere esperita nei confronti di entrambi i coniugi, attraverso la relativa notificazione e, se del caso, la trascrizione ai sensi dell’art. 2652, comma 1, n. 5), c.c. L’azione è infatti diretta a ottenere una pronuncia di inefficacia dell’atto nella sua interezza e non solo con riferimento a un’inesistente quota pari alla metà del bene, in quanto è finalizzata a consentire l’espropriazione forzata del bene, che deve necessariamente avvenire sull’intero cespite (Cass. n. 9536/2023).

In materia di azione revocatoria, nel giudizio promosso dal creditore personale di uno dei coniugi per ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto di costituzione di un fondo patrimoniale stipulato da entrambi i coniugi, sussiste litisconsorzio necessario con il coniuge non debitore, anche se quest’ultimo non sia proprietario dei beni conferiti nel fondo. Infatti, il coniuge non debitore è beneficiario dei frutti derivanti dal fondo, destinati a soddisfare i bisogni della famiglia, e, pertanto, è soggetto agli effetti pregiudizievoli derivanti dall’eventuale accoglimento dell’azione revocatoria (Cass. n. 8447/2023).

Sempre in tema di azione revocatoria, si è affermato che la mancata annotazione del fondo patrimoniale nell’atto di matrimonio, pur determinandone l’inopponibilità ai terzi, non esclude l’interesse all’esercizio dell’azione revocatoria. Ciò in quanto la non opponibilità dell’atto di costituzione del fondo costituisce una situazione distinta rispetto all’inefficacia derivante dall’azione revocatoria, dato che la convenzione può divenire opponibile in qualsiasi momento mediante successiva annotazione. Inoltre, la destinazione del bene al fondo patrimoniale, indipendentemente dall’annotazione, può rendere più incerta e difficoltosa la realizzazione del diritto del creditore (Cass. n. 5356/2023).

4. Il patto di famiglia.
Nel giudizio avente ad oggetto l’azione revocatoria del patto di famiglia, disciplinato dall’art. 768-bis c.c., sussiste il litisconsorzio necessario del coniuge e degli altri legittimari, salvo che questi ultimi abbiano partecipato al contratto e abbiano integralmente rinunciato alla liquidazione loro spettante, mediante il pagamento, da parte degli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni societarie, di una somma corrispondente al valore delle quote riservate ai legittimari ai sensi degli artt. 536 e seguenti c.c. (Cass. n. 1228/2023).

Riferimenti normativi