Art. 814 – Codice di procedura civile – Diritti degli arbitri

Gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all'onorario per l'opera prestata, se non vi hanno rinunciato al momento dell'accettazione [813] o con atto scritto successivo. Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro.

Quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese e dell'onorario, tale liquidazione non è vincolante per le parti se esse non l'accettano. In tal caso l'ammontare delle spese e dell'onorario è determinato con ordinanza [177 3] dal presidente del tribunale indicato nell'articolo 810 secondo comma, su ricorso degli arbitri e sentite le parti.

L'ordinanza è titolo esecutivo contro le parti [474] ed è soggetta a reclamo a norma dell'art.825, quarto comma. Si applica l'art.830, quarto comma.

Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale nei casi di discordanza rispetto al presente.

Massime correlate

Cass. civ. n. 15420/2018

Il diritto degli arbitri di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico conferito, nell'ambito del rapporto di mandato intercorrente con le parti, e prescinde dalla validità ed efficacia del lodo, non venendo meno, di conseguenza, il diritto di ricevere il compenso, per l'esecuzione del mandato, nell'ipotesi d'invalidità del lodo stesso.

Cass. civ. n. 7772/2017

La liquidazione delle spese e del proprio compenso effettuata direttamente dagli arbitri ha valore di una mera proposta contrattuale, che diviene vincolante solo se accettata da tutti i contendenti e può dar luogo anche ad obbligazioni parziarie ove i debitori abbiano accettato, anche per “facta concludentia”, la divisione dell’obbligazione originaria in due o più obbligazioni di diversa entità, ciascuna posta a carico delle parti; il frazionamento dell’obbligazione permane, dunque, nel caso in cui le stesse si siano limitate a contestare il solo ammontare complessivo del credito degli arbitri, riconoscendo, tuttavia, sia la sussistenza dell’obbligazione di pagamento che la sua misura frazionaria.

Cass. civ. n. 25045/2016

Nell’ipotesi in cui la determinazione del compenso agli arbitri, in ragione della composizione mista del collegio arbitrale, avvenga in via equitativa utilizzandosi i parametri di cui al d.m. n. 127 del 2004 (applicabile “ratione temporis”), anche il valore della controversia deve essere determinato alla stregua dei criteri generali previsti dall’art. 6 del d.m. citato, e cioè sulla base non di quanto richiesto dalla parte vincitrice ma di quanto liquidatole con la decisione, non essendo in tal caso applicabile l’art. 12 c.p.c., atteso che le tabelle di liquidazione sono strettamente collegate ai criteri generali di liquidazione dalle stesse previste, onde non è possibile applicare in via equitativa le une prescindendo dagli altri.
Alla luce della compiuta giurisdizionalizzazione dell’arbitrato operata dal d.lgs. n. 40 del 2006, deve ritenersi ammissibile il ricorso straordinario per cassazione avverso l’ordinanza resa dalla corte di appello, in sede di reclamo, contro il provvedimento del presidente del tribunale di determinazione del compenso degli arbitri ex art. 814 c.p.c. come riformato dal d.lgs. citato, atteso che quell'ordinanza ha natura giurisdizionale a tutti gli effetti, ed è caratterizzata dai requisiti di decisorietà e definitività, incidendo sul diritto soggettivo al compenso con efficacia di giudicato senza che ne sia possibile la modifica o revoca attraverso l’esperimento di alcun altro rimedio giurisdizionale.

Cass. civ. n. 20371/2014

La liquidazione delle spese e del compenso effettuata direttamente dagli arbitri ha valore di una mera proposta contrattuale, che diviene vincolante solo se accettata da tutti i contendenti, sicché la parte che non ha accettato tale proposta non ha interesse ad impugnare il capo del lodo arbitrale riguardante la liquidazione delle spese legali e degli onorari del giudizio, nonché degli onorari degli arbitri, del compenso del segretario e delle spese di funzionamento collegio.

Cass. civ. n. 6736/2014

In materia di arbitrato rituale, il consulente tecnico d'ufficio ha titolo per chiedere il pagamento del proprio compenso esclusivamente agli arbitri - a cui spetta, ex art. 814 cod. proc. civ., il diritto ad ottenere il rimborso dalle parti - dovendosi escludere una responsabilità solidale di queste ultime poiché, a differenza di quanto avviene nel giudizio ordinario, la figura del consulente nell'arbitrato rituale, che pure ha natura giurisdizionale, non ha carattere pubblicistico, quale ausiliario del giudice, con qualifica di pubblico ufficiale, che esegue la sua prestazione per un superiore interesse di giustizia, ma una matrice privatistica, essendo le parti legate agli arbitri da un rapporto di mandato, in cui, ai sensi dell'art. 1719 cod. civ., il mandante ha l'obbligo di somministrare al mandatario i mezzi necessari per l'esecuzione del mandato e per l'adempimento delle obbligazioni contratte in proprio nome, tra le quali anche quella nei confronti del consulente.

Cass. civ. n. 24072/2013

Il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e prescinde dalla validità ed efficacia del lodo: non sussistono, pertanto, i presupposti della sospensione, ex art. 295 o 337 c.p.c., del procedimento instaurato dall'arbitro per ottenere il residuo compenso, già liquidato, in attesa della definizione del giudizio di impugnazione del lodo, la cui eventuale nullità può giustificare solo un'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 813 bis c.p.c..

Cass. civ. n. 23086/2013

L'ordinanza emessa dal presidente del tribunale, con la quale vengono determinati, in difetto di preventiva quantificazione contrattuale, le spese e l'onorario degli arbitri irrituali è insuscettibile di impugnazione con ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost. dal momento che la decisione che conclude il procedimento è sfornita pure dell'attitudine a divenire "sentenza" ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali si connota come debito "ex mandato", per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione.

Cass. civ. n. 3069/2013

In tema di determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri dai conferenti l'incarico, è inammissibile, anche nel regime previsto dall'art. 814 c.p.c. nella nuova formulazione introdotta dall'art. 21 del d.l.vo n. 40 del 2006, il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., proposto avverso l'ordinanza resa dalla corte di appello in sede di reclamo contro il provvedimento del competente presidente del tribunale e relativa alla quantificazione del compenso, trattandosi di provvedimento adottato nell'ambito di una attività non giurisdizionale contenziosa ma sostanzialmente privatistica e, dunque, priva di natura decisoria ed attitudine al giudicato.

Cass. civ. n. 15067/2012

La pendenza del giudizio di impugnazione del lodo arbitrale non giustifica la sospensione del giudizio di pagamento del compenso dovuto agli arbitri, vertendo le due cause tra soggetti diversi, con conseguente impossibilità di attribuire alla decisione della prima autorità di giudicato ai fini della pronuncia sulla seconda. (Principio affermato in fattispecie non soggetta "ratione temporis" all'art. 813 ter c.p.c., introdotto dall'art. 21 del d.l.vo n. 40 del 2006).

Cass. civ. n. 13620/2012

È inammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., proposto avverso provvedimento del competente presidente del tribunale, relativo alla determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri, ex art. 814, secondo comma, cod. proc. civ., dovendosi confermare l'orientamento ancora recentemente espresso dalle Sezioni Unite. Invero, benché non esista nel nostro sistema processuale una norma che imponga la regola dello "stare decisis", essa costituisce, tuttavia, un valore o, comunque, una direttiva di tendenza immanente nell'ordinamento, stando alla quale non è consentito discostarsi da un'interpretazione del giudice di legittimità, investito istituzionalmente della funzione della nomofiliachia, senza forti ed apprezzabili ragioni giustificative; in particolare, in tema di norme processuali, per le quali l'esigenza di un adeguato grado di certezza si manifesta con maggiore evidenza, anche alla luce dell'art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ. (nella specie, non applicabile "ratione temporis"), ove siano compatibili con la lettera della legge due diverse interpretazioni, deve preferirsi quella sulla cui base si sia formata una sufficiente stabilità di applicazione nella giurisprudenza della Corte di cassazione.

Cass. civ. n. 10221/2010

Nel procedimento di cui all'art. 814 c.p.c. non può essere accertato il diritto degli arbitri al compenso per l'avvenuta pronuncia di un lodo avente i requisiti di cui all'art. 823 c.p.c., né può procedersi all'accertamento incidentale delle cause di nullità o di inesistenza presenti nella decisione, le quali devono essere invece oggetto del giudizio di impugnazione del lodo previsto dalla legge; qualora, poi, tale giudizio si concluda con l'accertamento definitivo che un lodo con tali caratteri è mancato e con la declaratoria della sua inesistenza giuridica, ne rimane automaticamente travolto e caducato il provvedimento determinativo del "quantum" del compenso arbitrale emesso dal presidente del tribunale, con effetto "de iure", come conseguenza obiettiva e necessaria del rapporto di dipendenza con il titolo in forza del quale la liquidazione è avvenuta, restando di converso irrilevante la mancata impugnazione del provvedimento presidenziale.
Il principio secondo cui il diritto dell'arbitro al compenso sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico e non viene meno allorquando il lodo sia stato caducato dal giudice perché affetto da uno dei vizi di cui all'art. 829 c.p.c., trova un limite nell'avvenuta effettiva pronuncia di un lodo avente i requisiti minimi previsti dall'art. 823 c.p.c.: esso resta inapplicabile, pertanto, in tutte le ipotesi in cui un provvedimento di tal natura sia mancato del tutto, come avviene ove emesso a seguito di arbitrato irrituale o di arbitraggio o di perizia contrattuale, ovvero in ogni altra fattispecie in cui le parti abbiano predisposto speciali tipologie di conciliazione o di procedimenti preliminari finalizzati alla ricerca di una soluzione extragiudiziale della controversia, dato che, in ciascuno di questi casi, la decisione, di natura negoziale, che li conclude è sfornita dell'elemento che caratterizza l'arbitrato rituale, ossia l'attitudine a divenire "sentenza" a seguito del deposito del lodo, ed il compenso dovuto agli arbitri irrituali non si connota come spesa, ma come debito "ex mandato", per l'adempimento del quale è attivabile un ordinario giudizio di cognizione.

Cass. civ. n. 15586/2009

In tema di determinazione del compenso e delle spese dovuti agli arbitri dai conferenti l'incarico, secondo il regime previgente alla novella recata dal D.L.vo 2 febbraio 2006, n. 40, qualora, in assenza di espressa rinunzia da parte degli aventi diritto, il contratto di arbitrato non contenga la relativa quantificazione, esso è automaticamente integrato, in base all'art. 814 c.p.c., con clausola devolutiva della pertinente determinazione al presidente del tribunale, il quale, una volta investito (con ricorso proponibile anche disgiuntamente da ciascun componente del collegio arbitrale) in alternativa all'arbitratore, svolge una funzione giurisdizionale non contenziosa, adottando un provvedimento di natura essenzialmente privatistica. Ne consegue che detto provvedimento è privo della vocazione al giudicato e, dunque, insuscettibile di impugnazione con ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost.; tale natura del procedimento, inoltre, esclude l'ipotizzabilità di una soccombenza ed osta, pertanto, all'applicazione del relativo principio ed all'adozione delle conseguenziali determinazioni in tema di spese.

Cass. civ. n. 2852/2008

In tema di arbitrato, nel caso in cui il presidente del tribunale – come nella specie, con ordinanza depositata il 31 luglio 2003 –, per determinare il compenso al collegio arbitrale composto esclusivamente da avvocati in una controversia riguardante anche pagamento di somme o risarcimento danni, abbia fatto riferimento «alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata» secondo la norma dell'art. 6, primo comma, della Tariffa forense (Annesso C), approvata con D.M. 5 ottobre 1994 n. 585, sussiste vizio di violazione di legge. Infatti, la norma da applicarsi è quella dettata dall'art. 5, primo comma, delle medesime disposizioni preliminari alla tabella relativa agli onorari ed alle indennità spettanti agli avvocati in materia stragiudiziale (Annesso H), secondo cui «il valore della pratica o dell'affare si determina a norma del codice di procedura civile» e dunque facendo riferimento ai principi generali posti dagli artt. 10 e seguenti c.p.c., di modo che il valore della controversia si identifica con l'entità delle richieste rivolte agli arbitri.

Cass. civ. n. 13289/2007

In tema di liquidazione di compensi agli arbitri, la competenza attribuita dall'art. 814 comma secondo c.p.c. al presidente del tribunale quale organo monocratico è di natura funzionale, anche se dette funzioni possono essere esercitate, nei casi e nei modi determinati dalla legge, dal presidente di sezione o dal giudice che sostituisce il presidente. Pertanto, interpretando l'art. 104 dell'ordinamento giudiziario nell'ambito del cosiddetto «diritto gabellare» poiché in ossequio ai principi di imparzialità, di indipendenza, del giudice naturale, dell'efficiente organizzazione degli uffici e di ragionevole durata del processo, le circolari del Consiglio superiore della magistratura affermano la necessità di identificare le modalità della sostituzione secondo criteri oggettivi e predeterminati, risulta legittima la delega di funzioni presidenziali ove adottata in esecuzione di prescrizioni tabellari o comunque di provvedimenti generali, mentre non è consentita la delega disposta in via estemporanea a seguito di provvedimento presidenziale non ancorato ad una preventiva previsione di carattere generale. (Nella specie, la S.C. ha cassato il provvedimento emesso in sostituzione del presidente da un magistrato munito di delega rilasciata ad hoc unicamente per la decisione del ricorso e solo quattro giorni dopo il deposito dello stesso).

Cass. civ. n. 22322/2006

In tema di arbitrato, a partire dall'1aprile 1995 l'onorario spettante agli arbitri, che siano anche avvocati, deve essere liquidato in base alla tariffa professionale forense, senza possibilità, per il presidente del tribunale che procede alla liquidazione di fare ricorso a criteri equitativi.

Cass. civ. n. 8084/2005

In tema di determinazione del compenso al collegio arbitrale composto da avvocati, a decorrere dal 1aprile 1995 l'onorario deve essere liquidato alla stregua della tariffa professionale in materia di onorari, diritti ed indennità spettanti agli avvocati di cui al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 che – nell'inserire l'attività arbitrale fra le prestazioni stragiudiziali – lo prevede espressamente al punto 9) della relativa tabella, indicandone il minimo e il massimo secondo il valore della controversia, senza più la possibilità in precedenza riconosciuta al presidente del tribunale, che proceda alla sua liquidazione ai sensi dell'art. 814 / 11 c.p.c., di fare ricorso ai criteri equitativi; infatti, tali criteri possono ritenersi tuttora consentiti non per l'individuazione del parametro di riferimento, precostituito ex lege dalla tabella allegata alla tariffa, ma per determinare, sulla scorta di una valutazione discrezionale delle caratteristiche qualitative e quantitative dell'opera prestata, la misura in concreto del compenso fra il minimo e il massimo. Pertanto, nell'esercizio di tale attività, il presidente del tribunale, ai sensi dell'art. 4/11 della tariffa relativa alle prestazioni stragiudiziali, ha il potere e non il dovere di raddoppiare e, se lo ritiene, di quadruplicare gli onorari, tenendo conto di pertinenti elementi di giudizio, quali l'oggetto e il valore della controversia, la natura e l'importanza dei compiti di accertamento in fatto e di valutazione in diritto, il tempo e l'impegno resi necessari dall'uno e dall'altra; peraltro, poiché la valutazione della particolare o straordinaria importanza, complessità o difficoltà della pratica rientra nel prudente apprezzamento riservato al giudice per la determinazione della misura del compenso fra i minimi e i massimi stabiliti nella tabella allegata alla tariffa, l'avere attribuito particolare rilevanza al livello qualitativo e quantitativo al predetto fine non può di per sè giustificare e tanto meno rendere imprescindibile il superamento dei massimi, essendo necessario che l'esercizio del potere discrezionale, come in ogni caso di deroga nell'applicazione della norma ordinaria, sia specificamente ed adeguatamente motivato. (Nella specie, è stata ritenuta illegittima l'ordinanza con cui il presidente del tribunale, nel procedere alla liquidazione degli onorari del collegio arbitrale oltre i massimi tariffari senza fornire alcuna motivazione, non aveva indicato la norma che avrebbe potuto eventualmente giustificare l'esercizio di tale potere).

Cass. civ. n. 18061/2004

La quantificazione del compenso spettante al segretario del collegio arbitrale è riservata all'apprezzamento del giudice del merito che provvede alla liquidazione del compenso degli arbitri ai sensi dell'art. 814, c.p.c., in quanto è riferibile alle spese che le parti sono tenute a rimborsare agli arbitri.

Cass. civ. n. 18058/2004

Nel procedimento di liquidazione del compenso degli arbitri, il Presidente del tribunale, adito ai sensi dell'art. 814, secondo comma, c.p.c., deve limitarsi a determinare l'ammontare delle spese e dell'onorario e non può anche stabilire in quale misura le spese ed il compenso debbano essere ripartite tra le parti obbligate al pagamento.

Cass. civ. n. 17808/2004

In tema di arbitrato, l'art. 814 c.p.c. qualifica come solidale l'obbligo delle parti di corrispondere agli arbitri gli onorari e di pagare le spese del giudizio arbitrale, sicché deve escludersi che l'omessa citazione di tutte le parti interessate, nello speciale procedimento avanti al presidente del tribunale, dia luogo ad un'ipotesi di nullità del giudizio, l'omessa citazione producendo soltanto l'inopponibilità dell'ordinanza alle parti pretermesse.

Cass. civ. n. 12741/2004

Il procedimento camerale davanti al Presidente del tribunale previsto dall'art. 814, secondo comma, c.p.c. per la determinazione dell'onorario e delle spese dovuti agli arbitri per l'opera prestata, ha completa autonomia sia rispetto alla procedura arbitrale sia rispetto alla preventiva liquidazione di detti onorario e spese da parte degli arbitri medesimi, non seguita da accettazione delle parti. Deve pertanto escludersi che nel mandato eventualmente conferito dalle parti del giudizio arbitrale ai loro difensori sia incluso anche il compito di ricevere la notificazione dell'atto introduttivo del procedimento di cui al citato art. 814, secondo comma, c.p.c., tale notificazione dovendo essere fatta personalmente alla parte, nel rispetto delle norme poste dagli artt. 138 e ss. c.p.c.; tuttavia, l'irrituale effettuazione della notificazione presso quel difensore, anziché alla parte personalmente, non implica inesistenza, ma nullità della notificazione medesima, e, dunque, un vizio sanabile per effetto della costituzione della parte cui l'atto notificato era destinato, ovvero, in difetto di tale costituzione, con la rinnovazione della notificazione medesima ai sensi dell'art. 291, primo comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 10141/2004

Nell'arbitrato convenzionale, il segretario del collegio (diversamente da quanto accade nell'arbitrato necessario previsto per alcuni contratti della P.A., ove la presenza del segretario risulta espressamente prevista e regolata: art. 45 D.P.R. n. 1063 del 1962) è direttamente nominato dai componenti del collegio stesso, in ragione di una loro soggettiva valutazione della necessità di avvalersi di un ausiliario per l'espletamento delle attività certificative, esecutive e organizzative funzionalmente collegate a quelle del collegio, onde è con i predetti componenti che si instaura il relativo rapporto di prestazione d'opera intellettuale, rapporto del tutto estraneo a quello instaurato tra le parti litiganti e gli arbitri. Ne consegue che l'importo della spesa per il segretario, costituente esborso affrontato per il funzionamento del collegio (e riconoscibile nei limiti in cui esso sia ritenuto necessario), può essere liquidata soltanto agli arbitri, e non direttamente al segretario (nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha peraltro rigettato il ricorso avverso la liquidazione giudiziale del compenso agli arbitri effettuata da parte del Presidente del tribunale ex art. 814 c.p.c. atteso che l'autonomo capo della relativa pronunzia, relativo appunto alla liquidazione diretta al segretario del collegio arbitrale, non era stato impugnato specificamente dal ricorrente).
Il provvedimento di liquidazione del compenso arbitrale adottato dal Presidente del tribunale ex art. 814 c.p.c. è suscettibile di autonoma e distinta impugnazione da parte di ciascuno degli arbitri, titolari di un autonomo diritto di credito per aver adempiuto, con l'espletamento dell'incarico, all'assunta obbligazione di rendere la prestazione richiesta, senza che sia, per converso, necessaria la partecipazione al gravame di tutti i componenti del collegio.

Cass. civ. n. 3383/2004

Le spese per il compenso agli arbitri, la cui liquidazione, effettuata dagli stessi arbitri costituisce non altro che una semplice proposta rivolta alle parti, per esse non vincolante qualora non l'accettino, e rimessa, in quest'ultimo caso, alla determinazione del presidente del tribunale, ex art. 814, secondo comma, c.p.c., comporta che l'eventuale statuizione, contenuta nel lodo, in ordine alla imputazione e liquidazione di tale compenso non è suscettibile di impugnazione (per mancanza di interesse delle parti), riguardando un autonomo rapporto di prestazione d'opera intellettuale.

Cass. civ. n. 11963/2003

Ai fini della determinazione del compenso arbitrale secondo il procedimento stabilito dall'art. 814 c.p.c., è irrilevante la qualificazione dell'arbitrato, detto procedimento essendo applicabile sia all'arbitrato rituale che a quello irrituale.

Cass. civ. n. 7062/2003

L'ordinanza con cui il presidente del tribunale provvede, ex art. 814 c.p.c., alla liquidazione dell'onorario e delle spese agli arbitri postula che le parti «siano sentite», siano, cioè, messe in condizioni di esercitare il proprio diritto di difesa, previa informazione circa l'esistenza sia di un'istanza di liquidazione, sia della fissazione di un'udienza per la sua discussione, dovendo a tal fine detta autorità giudiziaria applicare, per analogia, le norme sui procedimenti camerali (disponendo, cioè, che la parte ricorrente provveda alla notifica del ricorso e della data e luogo dell'udienza), controllando, prima di emettere il provvedimento richiesto, in caso di mancata comparizione delle parti, l'avvenuta instaurazione del contraddittorio.

Cass. civ. n. 13607/2002

Il diritto dell'arbitro di ricevere il pagamento dell'onorario sorge per il fatto di avere effettivamente espletato l'incarico, senza che, nella sommaria procedura di liquidazione apprestata dall'art. 814 c.p.c., esperibile allorché il lodo sia stato pronunciato, al presidente del tribunale sia consentita alcuna indagine sulla validità del compromesso e del lodo e sulla regolarità della nomina degli arbitri, materie comprese nella previsione dell'art. 829 c.p.c. e riservate alla cognizione del giudice dell'impugnazione indicato dal precedente art. 828. La sussistenza del credito per l'onorario, a favore dell'arbitro che abbia espletato la propria mansione, non è quindi inficiata dai suddetti vizi, salva restando l'ammissibilità dell'azione risarcitoria nei suoi confronti, esperibile nella diversa sede competente, allorquando il lodo sia annullato per causa a lui imputabile.

Cass. civ. n. 12536/2002

In tema di liquidazione del compenso agli arbitri, lo speciale procedimento di liquidazione di cui all'art. 814 c.p.c. può essere legittimamente esperito qualora (e solo se) sia stato pronunciato un lodo a carattere definitivo (tale, cioè, da aver risolto tutte le questioni di merito, con conseguente composizione del conflitto tra le parti). Nel caso in cui risulti, invece, emanato (come nella specie) un lodo soltanto parziale, e la richiesta di liquidazione ex art. 814 c.p.c. sia stata dichiarata inammissibile dal Presidente del tribunale, che pur abbia astrattamente ritenuto possibile procedere a tale tipo di liquidazione con riferimento a lodo non definitivo, sulla base dell'assunto che la decisione non aveva affrontato alcuna questione di merito, la doglianza degli arbitri ricorrenti per cassazione avverso il decisum del presidente del tribunale deve appuntarsi, a pena di inammissibilità del ricorso (e restando impregiudicato il relativo giudizio in punto di diritto sull'ammissibilità o meno della liquidazione de qua in presenza di lodo parziale) sulla circostanza che il lodo in parola abbia in realtà risolto questioni di merito, diversamente da come opinato dal giudice di merito.

Cass. civ. n. 12490/2002

Nei procedimenti in camera di consiglio, qual è quello ex art. 814, secondo comma, c.p.c. per la determinazione del compenso spettante agli arbitri, ove sia prevista l'audizione delle parti, tra la data di notificazione del ricorso e del pedissequo decreto di fissazione dell'udienza di comparizione e quella dell'udienza stessa non debbono necessariamente intercorrere i termini fissati dall'art. 163 bis c.p.c. per il procedimento contenzioso di primo grado; in tali procedimenti, il termine da assegnare al resistente per la comparizione resta affidato al prudente apprezzamento del giudice, con il solo limite dell'osservanza di modalità minime indispensabili per il rispetto della garanzia costituzionale del diritto di difesa, sì che il resistente stesso sia posto in grado di conoscere l'iniziativa assunta nei suoi confronti e di difendersi, in rapporto, peraltro, alle finalità ed alle particolari ragioni di speditezza ed informalità del procedimento, alle quali la fissazione del detto termine deve conformarsi, irrilevanti essendo le circostanze del caso concreto che potrebbero contrastare con quelle esigenze.

Cass. civ. n. 3935/2001

Il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso le ordinanze aventi contenuto decisorio e carattere di definitività (nella specie: provvedimento del tribunale ex art. 814 c.p.c. di attribuzione del compenso ai componenti di un collegio arbitrale), decorre solo a seguito della notificazione ad istanza di parte, mentre è irrilevante, al predetto fine, che le stesse siano state pronunciate in udienza o, se pronunziate fuori udienza, siano state comunicate alle parti dal cancelliere, con la conseguenza che, in tali ipotesi, è applicabile il termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c.

Cass. civ. n. 4601/1999

Per il combinato disposto del secondo comma dell'art. 814 e del secondo comma, prima ipotesi, dell'art. 810 c.p.c., la competenza in ordine alla liquidazione degli onorari e delle spese spettanti agli arbitri è attribuita al Presidente del tribunale «nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato», sede che, ai sensi del successivo art. 816 c.p.c., è stabilita dalle parti ovvero, qualora queste non abbiano provveduto al riguardo, dagli stessi arbitri nella loro prima riunione. Per quanto concerne, invece, la nozione di «luogo di stipulazione del compromesso o della clausola compromissoria», di cui all'art. 814, secondo comma, seconda ipotesi, c.p.c., essa non si rende pertinente in materia, avendo essa riguardo alla sola ipotesi di mancata determinazione della sede dell'arbitrato ad opera delle parti interessate ed alla conseguente competenza del Presidente del tribunale di quel luogo a conoscere della domanda della parte che ha preso l'iniziativa di promuovere il giudizio arbitrale, in nomina dell'arbitro per la controparte che non vi abbia provveduto.

Cass. civ. n. 2972/1999

In materia di arbitrato nel caso di più arbitri è legittima sia la liquidazione di un unico compenso complessivo per tutti gli arbitri, sia la liquidazione del compenso partitamente per ciascun componente del collegio arbitrale, in entrambi i casi essendo ogni arbitro abilitato ad agire autonomamente in via esecutiva per la realizzazione del proprio diritto soggettivo di credito. La liquidazione di un unico compenso complessivo non può, tuttavia, essere adottata quando uno degli arbitri nella procedura di liquidazione giudiziale prevista dall'art. 814 c.p.c., promossa dagli altri due abbia dichiarato di rinunziare al saldo, ritenendosi soddisfatto dell'acconto ricevuto.

Cass. civ. n. 10660/1996

Il Presidente del tribunale adito a norma dell'art. 814 c.p.c. per la liquidazione degli onorari degli arbitri, ne deve adeguare la misura all'importanza dell'opera da essi effettivamente prestata, rimanendogli preclusa ogni indagine, ancorché in via incidentale ed al solo fine di valutare l'opera degli arbitri e di quantificarne il compenso, sulla validità del compromesso e del lodo, trattandosi di questioni estranee al procedimento sommario di liquidazione e riservata alla sede della impugnazione del lodo a norma degli articoli 827 ss. c.p.c.

Cass. civ. n. 126/1995

L'ordinanza con cui il presidente del Tribunale provvede alla liquidazione dell'onorario e delle spese degli arbitri, a norma dell'art. 814 secondo comma c.p.c., avendo carattere decisorio, in quanto diretta a risolvere il conflitto di interessi tra gli arbitri (creditori) e le parti del procedimento arbitrale (debitori) e non essendo soggetta a particolari mezzi di impugnazione o a reclamo né revocabile o modificabile dal giudice che l'ha emessa è impugnabile in cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., per «violazione di legge» regolatrice del rapporto sostanziale controverso o alla legge regolatrice del processo, alla quale la inosservanza del dovere di motivazione su questioni di fatto è riconducibile solo nei casi di assoluta carenza di motivazione o di motivazione apparente, perché sviluppata con argomentazioni non idonee a rilevare la ratio decidendi o fra loro logicamente inconciliabili, restando esclusa ogni verifica della sufficienza e razionalità della motivazione in rapporto alle risultanze probatorie.

Cass. civ. n. 6108/1994

La determinazione delle spese e dell'onorario, direttamente effettuata dagli arbitri, è fonte di corrispondente obbligazione, ai sensi dell'art. 814, comma 2, c.p.c., non modificato dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25, soltanto se trovi l'accettazione di tutte le parti del procedimento arbitrale (occorrendo altrimenti la liquidazione giudiziale), di modo che l'adesione di una soltanto di tali parti non integra detto titolo, né l'abilita, in caso di versamento della relativa somma, ad azioni di rivalsa nei confronti dell'altra parte.