17 Mar Articolo 815 Codice di procedura civile — Ricusazione degli arbitri
Un arbitro può essere ricusato :
- 1) se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
- 2) se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
- 3) se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
- 4) se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
- 5) se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l’indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;
- 6) se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.
Una parte non può ricusare l’arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina.
La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale indicato nell’articolo 810, secondo comma, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l’arbitro ricusato e le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni.
Con ordinanza il presidente provvede sulle spese. Nel caso di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza dell’istanza di ricusazione condanna la parte che l’ha proposta al pagamento, in favore dell’altra parte, di una somma equitativamente determinata non superiore al triplo del massimo del compenso spettante all’arbitro singolo in base alla tariffa forense.
La proposizione dell’istanza di ricusazione non sospende il procedimento arbitrale, salvo diversa determinazione degli arbitri . Tuttavia, se l’istanza è accolta, l’attività compiuta dall’arbitro ricusato o con il suo concorso è inefficace.
- 1) se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
- 2) se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
- 3) se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
- 4) se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
- 5) se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l’indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;
- 6) se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”16″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 10359/2012
L’ordinanza pronunciata dal presidente del tribunale sull’istanza di ricusazione di un arbitro non è impugnabile, neanche con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., attesi l’espresso disposto dell’art. 815, terzo comma, c.p.c., e la sua natura di provvedimento a contenuto ordinatorio, in quanto tale non qualificabile come sentenza in senso sostanziale.
Cass. civ. n. 23638/2011
L’ordinanza con cui il presidente del tribunale, decidendo sull’istanza di ricusazione di un arbitro (nella specie, con dichiarazione di cessazione della materia del contendere), provveda sulle spese processuali, è impugnabile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., trattandosi di statuizione incidente sul corrispondente diritto patrimoniale con efficacia di giudicato, non essendo previsto altro mezzo di impugnazione.
Cass. civ. n. 23056/2010
In tema di ricusazione dell’arbitro, la formula contenuta nell’art. 51, numero 1, c.p.c., che (nel regime anteriore alla modifica dell’art. 815 c.p.c. operata dall’art. 21 del D.Lgs. n. 40 del 2006) prevede tra le cause di astensione obbligatoria la situazione di “interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto”, postula un legame attuale dell’arbitro, nella più varia configurazione giuridica, con una parte del processo per una coincidenza di interessi ad una determinata soluzione della causa e/o per un rapporto di consulenza ed assistenza con la stessa. (Nella fattispecie la Corte ne ha escluso la sussistenza in una fattispecie nella quale un arbitro aveva ricoperto in passato la carica di vicepresidente e componente del consiglio di amministrazione della società).
Cass. civ. n. 17192/2004
In tema di ricusazione dell’arbitro, la formula contenuta nell’art. 51, numero 2, c.p.c., che prevede tra le cause di astensione obbligatoria la situazione di convivenza o di abituale commensalità con una delle parti o con taluno dei difensori, non può essere estesa fino al punto di ricomprendere l’ipotesi dell’arbitro esercente l’attività di avvocato che condivida lo studio o comunque lo stesso ambiente con i difensori di una delle parti del procedimento arbitrale, a meno che non risulti che la condivisione del medesimo ambiente di lavoro non si sia limitata all’utilizzazione di ambienti contigui, ma abbia dato luogo ad una reciproca compenetrazione delle rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico-organizzativo (come, ad esempio, si verifica con la abituale condivisione della difesa tecnica nei medesimi processi), ovvero anche solo dal punto di vista economico, in misura tale da potersi assimilare alla confidenza ed alla reciproca fiducia che connotano i rapporti tra conviventi o tra commensali abituali.
La parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione dell’arbitro, può chiedere il riesame di tale pronuncia attraverso l’impugnazione per nullità del lodo alla cui deliberazione abbia concorso l’arbitro invano ricusato.
Cass. civ. n. 13645/2004
Nel procedimento arbitrale, la ricusazione dell’arbitro deve essere proposta mediante ricorso al Presidente del tribunale, così come prescrive l’art. 815, secondo comma, c.p.c.; è pertanto assolutamente inidonea ad integrare tale atto di impulso processuale, e a dar vita agli effetti che alla proposizione dello stesso si ricollegano, l’istanza di ricusazione indirizzata con telegramma al Presidente del collegio arbitrale, stante la radicale irritualità dello strumento formale utilizzato e l’improprietà nell’individuazione del destinatario.
Cass. civ. n. 6309/2000
Anche nel giudizio arbitrale vige il principio secondo cui la sola proposizione del ricorso per ricusazione non può determinare ipso iure la sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente a decidere della questione stessa, in quanto spetta pur sempre al giudice a quo una sommaria delibazione della sua ammissibilità all’esito della quale, ove risultino ictu oculi carenti i requisiti formali posti dalla legge per l’ammissibilità della stessa, tale circostanza, pur non potendo assumere valore ostativo della rimessione del ricorso a detto giudice competente, esclude non di meno l’automatismo dell’effetto sospensivo, risultando in tal guisa contemperate le contrapposte esigenze, sottese all’istituto, di assicurare alle parti l’imparzialità del giudizio nella specifica controversia di cui trattasi e di impedire nel contempo, l’uso distorto dell’istituto medesimo.
Cass. civ. n. 7044/1995
Nel procedimento arbitrale, la ricusazione dell’arbitro può essere fatta valere oltre il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina, nel caso in cui la conoscenza dei motivi di ricusazione sia sopravvenuta a detto termine (principio espressamente riprodotto dall’art. 815, secondo comma, c.p.c., nel testo modificato dall’art. 7 legge n. 25 del 1994, ma già in precedenza affermato dalla giurisprudenza argomentando dall’art. 820 dello stesso codice, che dispone la sospensione del termine per la pronuncia del lodo qualora sia stata presentata l’istanza di ricusazione), ma solo fino al momento in cui gli arbitri non abbiano ancora sottoscritto il lodo, in quanto, con la sottoscrizione, il lodo viene ad esistenza ed acquista efficacia vincolante per le parti, sicché non può avere alcuna efficacia l’istanza di ricusazione proposta oltre la data dell’indicata sottoscrizione.
Cass. civ. n. 9325/1990
Il provvedimento, con cui il presidente del tribunale rigetti nel merito un’istanza di ricusazione di un arbitro irrituale, costituisce provvedimento abnorme, perché emesso in assoluta carenza di potere, stante la natura negoziale e non giurisdizionale dell’arbitrato irrituale, e, in quanto tale, non determinando alcun mutamento nella situazione giuridica preesistente, non è impugnabile con ricorso per cassazione.
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