10 Gen Art. 1150 — Riparazioni, miglioramenti e addizioni
Il possessore, anche se di mala fede, ha diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie.
Ha anche diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al tempo della restituzione.
L’indennità si deve corrispondere nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti, se il possessore è di buona fede; se il possessore è di mala fede, nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore.
Se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, gli spetta anche il rimborso delle spese fatte per le riparazioni ordinarie, limitatamente al tempo per il quale la restituzione è dovuta.
Per le addizioni fatte dal possessore sulla cosa si applica il disposto dell’articolo 936. Tuttavia, se le addizioni costituiscono miglioramento e il possessore è di buona fede, è dovuta un’indennità nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa [ 157 disp. att. ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 28379/2017
La previsione di cui all’art. 1150 c.c.- che attribuisce al possessore, all’atto della restituzione della cosa, il diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie ed all’indennità per i miglioramenti recati alla cosa stessa- è di natura eccezionale e non può, dunque, essere applicata in via analogica al detentore qualificato od a qualsiasi diverso soggetto. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato la sentenza d’appello con la quale era stata respinta la domanda di rimborso formulata dai promittenti venditori di un immobile, che ne avevano mantenuto il possesso dopo la conclusione del preliminare, seppur pattuendo in quella sede “l’anticipazione dell’effetto traslativo” in favore del promissario acquirente).
Cass. civ. n. 20207/2017
Il credito per l’indennità ex art. 1150 c.c. è un credito di valore, in quanto mira a reintegrare il patrimonio del possessore che ha eseguito i miglioramenti e pertanto il giudice, nel determinarlo, deve tenere conto della svalutazione monetaria.
Cass. civ. n. 8156/2012
Ai sensi dell’art. 1150 c.c., il possessore ha diritto all’indennità per i miglioramenti, purché l’incremento di valore sussista al tempo della restituzione della cosa, in quanto il diritto medesimo prescinde dall’esistenza di un rapporto contrattuale fra le parti e si correla al dato obiettivo dell’incremento di valore secondo criteri di effettività e attualità, traendo il proprietario vantaggio dalla miglioria solo dal momento della reintegrazione nel godimento del bene. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva valutato quali opere indennizzabili una tettoia e un pozzo, nonostante l’una fosse stata costruita con materiali in fibrocemento di amianto, la cui utilizzabilità è stata vietata dalla legge 27 marzo 1992, n. 257, e l’altra realizzata senza autorizzazione del Genio civile, ciò che escludeva, per entrambe, la sussistenza, effettiva e attuale, dell’incremento di valore).
Cass. civ. n. 1904/2012
Il principio secondo il quale la domanda giudiziale fa cessare gli effetti del possesso di buona fede che non siano divenuti irrevocabili ed impedisce quelli ulteriori non attiene soltanto all’acquisto dei frutti, ma si riferisce a tutti i possibili effetti del possesso di buona fede, tra i quali è quello che attribuisce al possessore il diritto di essere indennizzato dal proprietario dell’incremento di valore arrecato alla cosa, che resta, dunque, irrilevante, ove dipenda da opere eseguite dopo la notificazione della domanda. (Fattispecie relativa a migliorie eseguite dal promissario acquirente, in possesso del bene, dopo la proposizione della domanda di risoluzione del contratto introdotta dal promittente venditore).
Cass. civ. n. 6489/2011
Colui il quale abbia acquistato il possesso di un fondo agricolo a titolo di esecuzione anticipata di un contratto preliminare non è possessore di esso, ma mero detentore qualificato. Ne consegue che, dichiarato nullo il contratto preliminare, al promissario acquirente non spetta né il diritto all’indennità per i miglioramenti previsto dall’art. 1150 c.c., né quello di ritenzione previsto dall’art. 1152 c.c., diritti attribuiti dalla legge unicamente al possessore di buona fede, e non anche al detentore, ancorché qualificato.
Cass. civ. n. 17245/2010
La norma dell’art. 1150 c.c., che attribuisce al possessore, all’atto della restituzione della cosa, il diritto al rimborso delle spese fatte per le riparazioni straordinarie ed all’indennità per i miglioramenti recati alla cosa stessa, è di natura eccezionale e non può, dunque, essere applicata in via analogica al detentore; ne consegue che, qualora nella promessa di vendita venga concordata la consegna del bene prima della stipulazione del contratto definitivo, la relazione del promissorio acquirente con il bene si definisce in termini di detenzione qualificata, sicché l’art. 1150 c.c. non si applica a tale ipotesi.
Cass. civ. n. 13259/2009
Il coniuge che, in costanza di matrimonio, abbia provveduto a proprie spese ad eseguire migliorie od ampliamenti dell’immobile di proprietà esclusiva dell’altro coniuge ed in godimento del nucleo familiare, in quanto compossessore ha diritto ai rimborsi ed alle indennità contemplate dall’art. 1150 c.c. in favore del possessore, nella misura prevista dalla legge a seconda che fosse in buona o mala fede, mentre va esclusa l’invocabilità dell’art. 936 cod. civ., in tema di opere fatte da un terzo con materiali propri, difettando nel compossessore il requisito della terzietà.
Cass. civ. n. 743/2009
Al comproprietario e compossessore di buona fede di un immobile, che vi abbia eseguito addizioni costituenti miglioramenti (nella specie, costruendo un fabbricato sul terreno acquistato “pro indiviso”), non si applica la normativa dell’art. 936 cod. civ, nel richiamo fattone all’art. 1150, Quinto comma, cod. civ., in quanto tale disciplina postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo, non potendo qualificarsi come tale il titolare di un diritto di natura reale, avente ad oggetto il fondo su cui le opere sono state eseguite; a tale comproprietario, per i predetti miglioramenti, non è pertanto dovuta un’indennità nella misura dell’aumento di valore conseguito dal bene ma, dovendo egli essere considerato, secondo i casi, un mandatario degli altri partecipi alla comunione, ai sensi dell’art. 1720 o un utile gestore nel loro interesse, ai sensi dell’art. 2031 cod. civ spetta soltanto il rimborso degli oneri sostenuti.
Cass. civ. n. 11300/2007
Con riferimento alle indennità dovute al possessore ai sensi dell’art.1150 c.c., l’esecuzione di una costruzione senza autorizzazione (e perciò esposta, in mancanza di condono o di sanatoria, al pericolo di demolizione per ordine della competente autorità amministrativa) non realizza un miglioramento indennizzabile, essendo al riguardo necessario un incremento non precario, ma stabile ed effettivo, nel patrimonio del proprietario. Né assume rilievo l’eventualità di una successiva sanatoria dell’abuso, essendo in tal caso esperibile, ai sensi dell’art.2041 c.c., l’azione di arricchimento senza causa, nei limiti della differenza fra la somma dovuta ai sensi dell’art. 1150 c.c. e gli oneri economici derivanti dalla sanatoria.
Cass. civ. n. 4024/2004
In tema di indennità prevista dall’art. 1150 c.c. a favore del possessore, anche se di mala fede, il diritto, astraendo dall’esistenza di un rapporto contrattuale esistente fra le parti, si correla all’incremento di valore attuale ed effettivo del patrimonio del proprietario determinato dai miglioramenti del bene al momento della sua restituzione. Ne consegue che costituisce domanda nuova e, come tale, è inammissibile in appello, la domanda in questo grado proposta, ai sensi dell’art. 1150 c.c., dagli attori che in prime cure avevano chiesto, in relazione al dedotto inadempimento contrattuale, il risarcimento dei danni consistiti nelle spese sostenute per l’esecuzione delle opere che il venditore si era obbligato ad effettuare per il completamento del rustico oggetto della vendita.
Cass. civ. n. 16012/2002
Il diritto del possessore di buona fede ad un indennizzo, secondo la previsione dell’art. 1150 c.c., per i miglioramenti arrecati al bene altrui ed esistenti al tempo della restituzione, si correla all’incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio dell’attore in rivendicazione; pertanto ove il miglioramento consista in un’opera necessariamente destinata alla demolizione, deve escludersi la spettanza di tale indennizzo in considerazione della precarietà dell’aumento di valore conseguito dal fondo rivendicato.
Cass. civ. n. 12342/2002
Il diritto ad una indennità per i miglioramenti arrecati alla cosa ed esistenti al tempo della restituzione, il quale si correla all’incremento attuale ed effettivo che si verifica, in conseguenza di tali miglioramenti, nel patrimonio del proprietario, spetta al possessore in ogni caso, ex art. 1150 c.c., avendo la distinzione tra possessore di buona o mala fede rilevanza unicamente ai fini del calcolo della indennità medesima. Ove detti miglioramenti siano costituiti da addizioni, il proprietario, in virtù del disposto dell’art. 936, Quarto comma, espressamente richiamato, può obbligare il terzo ad asportarli, salvo che costui le abbia fatte in buona fede o che il proprietario stesso ne fosse a conoscenza e non vi si fosse opposto.
Cass. civ. n. 6777/2001
Nelle controversie riconducibili alle fattispecie regolate dagli artt. 1150 e 936 c.c. nessun indennizzo a carico del proprietario del fondo può essere preteso dal terzo costruttore che abbia realizzato l’opera in violazione della normativa edilizia, autonomamente commettendo nel primo caso, o concorrendo nel secondo, i reati previsti e puniti dagli artt. 31 e 41 della legge n. 1150/42 e 10 e 13 della legge n. 765/67 e ciò non tanto perché possano essere poste in dubbio la sussistenza o l’entità della locupletazione del proprietario del fondo nella prospettiva di un ordine di demolizione da parte della pubblica amministrazione competente, quanto piuttosto perché è da ritenere in contrasto con i principi generali dell’ordinamento ed in particolare con la funzione dell’amministrazione della giustizia che possa l’agente conseguire indirettamente, ma pur sempre per via giudiziaria, quel vantaggio che si era ripromesso di ottenere nel porre in essere l’attività penalmente illecita e che in via diretta gli è precluso dagli artt. 1346 e 1418 c.c.
Cass. civ. n. 8834/1997
Al possessore del fondo non spetta indennizzo per addizioni consistenti in edifici abusivamente eretti sullo stesso, non potendo ammettersi alcun indennizzo per lo svolgimento di un’attività illecita anche sotto il profilo penale.
Cass. civ. n. 7985/1997
La previsione normativa di cui all’art. 1150, comma primo, c.c. accomuna, senza distinzioni di sorta, il possessore di mala fede a quello di buona fede quanto al riconoscimento del diritto al rimborso delle spese per le riparazioni straordinarie, al pari di quella di cui al successivo comma Quarto, per effetto della quale al rimborso delle spese per le riparazioni ordinarie ha diritto «il possessore (non meglio qualificato sotto il profilo dello status soggettivo) tenuto alla restituzione dei frutti». La distinzione tra possessore di buona e di mala fede rileva, pertanto, in quest’ultima ipotesi, al solo, limitato fine di individuare il dies a quo del dovuto rimborso, che coincide con il (diverso) momento a partire dal quale ciascuno di essi risulti, rispettivamente, obbligato alla restituzione dei frutti (artt. 1148 e 1150 comma Quarto c.c.).
Cass. civ. n. 5866/1995
Nel caso in cui un coniuge consegni all’altro una somma di denaro e quest’ultimo la utilizzi per opere di miglioramento della casa coniugale, di sua proprietà, deve presumersi, in mancanza di prova contraria, che la consegna sia stata effettuata in adempimento dell’obbligo di contribuzione di cui all’art. 143 c.c. Tuttavia, essendo stata la somma impiegata in modo da comportare anche l’arricchimento esclusivo del coniuge accipiente, questi è tenuto ad indennizzare l’altro del vantaggio conseguito. (Nella specie, la corte di merito aveva attribuito un’indennità ex art. 1150 c.c.).
Cass. civ. n. 8918/1991
Ai sensi dell’art. 1150 ult. comma c.c., qualora le addizioni sul bene altrui, costituente miglioramento, siano state apportate dal possessore in buona fede, al possessore medesimo spetta un’indennità nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa, mentre resta esclusa la facoltà accordata al proprietario dall’art. 936 c.c. (scelta fra il pagamento di detto incremento e l’eventuale minore importo rappresentato dal valore dei materiali e dal prezzo della mano d’opera).
Cass. civ. n. 6278/1990
Al possessore di azioni, il quale aderisca ad un aumento di capitale con denaro proprio, e poi subisca la rivendicazione dei titoli da parte del proprietario, deve riconoscersi l’indennità contemplata dall’art. 1150, secondo e terzo comma, c.c., tenendo conto che detto aumento di capitale, quali siano le modalità con cui venga attuato o le ragioni che lo abbiano determinato, segna un incremento della consistenza economica del bene da restituire al rivendicante. Peraltro, anche se tale indennità, per la buona fede del possessore (da presumersi), debba essere correlata al maggior valore del «pacchetto» azionario, il relativo ammontare non può coincidere con la maggior entità nominale delle azioni (e quindi con l’esborso affrontato per l’aumento di capitale), fino a che il possessore non deduca e dimostri un diverso prezzo di mercato dei titoli stessi.
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