10 Gen Art. 2379 — Nullità delle deliberazioni
Nei casi di mancata convocazione dell’assemblea, di mancanza del verbale e di impossibilità o illiceità dell’oggetto la deliberazione può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse entro tre anni dalla sua iscrizione o deposito nel registro delle imprese, se la deliberazione vi è soggetta, o dalla trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea, se la deliberazione non è soggetta né a iscrizione né a deposito. Possono essere impugnate senza limiti di tempo le deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili.
Nei casi e nei termini previsti dal precedente comma l’invalidità può essere rilevata d’ufficio dal giudice [ 1418, 2332, 2361 ].
Ai fini di quanto previsto dal primo comma la convocazione non si considera mancante nel caso d’irregolarità dell’avviso, se questo proviene da un componente dell’organo di amministrazione o di controllo della società ed è idoneo a consentire a coloro che hanno diritto di intervenire di essere preventivamente avvertiti della convocazione e della data dell’assemblea. Il verbale non si considera mancante se contiene la data della deliberazione e il suo oggetto ed è sottoscritto dal presidente dell’assemblea, o dal presidente del consiglio d’amministrazione o del consiglio di sorveglianza e dal segretario o dal notaio.
Si applicano, in quanto compatibili, il settimo e ottavo comma dell’articolo 2377.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 18845/2016
Il preventivo deposito di un’azione, quale prova della qualità di socio, è previsto dall’art. 2378 c.c., nel testo, ante riforma del 2003, applicabile “ratione temporis”, solo ai fini della legittimazione attiva nell’azione di annullamento delle delibere assembleari e non anche in quella diretta alla declaratoria di loro nullità (o inesistenza), la quale, invece, è proponibile da chiunque vi abbia interesse, e, quindi, anche da chi, avendo perso la qualità di socio per effetto della deliberazione che impugna per nullità (o inesistenza), intenda rimuoverne gli effetti illegittimamente prodotti, così ripristinando la suddetta qualità.
Cass. civ. n. 8795/2016
Il principio per cui il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare d’ufficio (o, comunque, a seguito di allegazione di parte successiva all'”editio actionis”), ove emergente dagli atti, l’esistenza di un diverso vizio di nullità, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, è suscettibile di applicazione estensiva anche nel sottosistema societario, nell’ambito delle azioni di impugnazione delle deliberazioni assembleari, benché non assimilabili ai contratti, atteso che, per la naturale forza espansiva riconnessa al principio generale, va riconosciuto al giudice il potere di rilevare d’ufficio la nullità di una delibera anche in difetto di un’espressa deduzione di parte o per profili diversi da quelli enunciati, purché desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo e previa provocazione del contraddittorio sul punto, trattandosi di potere volto alla tutela di interessi generali dell’ordinamento, afferenti a valori di rango fondamentale per l’organizzazione sociale, che trascendono gli interessi particolari del singolo. (Omissis).
Cass. civ. n. 26842/2008
La nullità delle deliberazioni dell’assemblea delle società per azioni per illiceità dell’oggetto, ai sensi dell’art. 2379 c.c. nel testo, applicabile ratione temporis anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo n. 6 del 2003 ricorre solo in caso di contrasto con norme dettate a tutela dell’interesse generale, tale da trascendere quello del singolo socio, mentre il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela dell’interesse dei singoli soci o di gruppi di essi determina un’ipotesi di semplice annullabilità della delibera. Pertanto, dato che il diritto di opzione è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci (a mantenere inalterata la propria partecipazione percentuale nella società), è annullabile e non affetta da nullità la deliberazione che sacrifichi il diritto di opzione, anche se al solo scopo di azzerare fraudolentemente la partecipazione del socio alla società, dovendosi ritenere che in quest’ultimo caso sia configurabile un eccesso di potere, inteso come violazione del canone di buona fede nell’esecuzione dei rapporti contrattuali, al quale consegue l’annullabilità dell’atto.
Cass. civ. n. 18218/2006
L’azione di nullità di una deliberazione dell’assemblea di una società è svincolata dai presupposti e dalle condizioni temporali di legittimazione stabilite dall’art. 2377 c.c. In particolare, detta nullità può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 1422 c.c., richiamato dall’art. 2379 c.c. nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile ratione temporis) ed anche in grado di appello, purché le censure formulate con l’impugnazione mettano in discussione, direttamente o indirettamente, la validità di quell’atto, nel rispetto del principio dispositivo che presiede al processo civile, ed anche, nella fase del gravame, del principio secondo cui il giudice di secondo grado è investito del potere-dovere di riesaminare le statuizioni impugnate entro i confini segnati dai motivi dell’appello.
Cass. civ. n. 24591/2005
Affinché sussista l’interesse del socio alla impugnazione per nullità della deliberazione dell’assemblea di approvazione del bilancio ex art. 2379 c.c., occorre l’allegazione di una incidenza negativa nella di lui sfera giuridica delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale, sia pure in termini anche soltanto di una possibilità di danno correlata alla sua partecipazione societaria; ne consegue che deve ritenersi svolto in termini generici il motivo di ricorso per cassazione che nel censurare la statuizione di merito la quale, a fronte della successiva delibera dell’assemblea di azzeramento del capitale per perdite e di ricostituzione del capitale sociale, cui l’impugnante non abbia partecipato, dichiari la di lui sopravvenuta perdita di interesse e di legittimazione attiva in ordine alla proposta azione di nullità della delibera di approvazione di un bilancio precedente sia privo di ogni riferimento alla individuazione di un interesse sostanziale del socio.
Cass. civ. n. 15721/2005
Nell’ambito dell’autonoma disciplina dell’invalidità delle deliberazioni dell’assemblea delle società per azioni nella quale, con inversione dei principi comuni (artt. 1418, 1441 c.c.), la regola generale é quella dell’annullabilità (art. 2377 c.c.) la previsione della nullità é limitata ai soli casi, disciplinati dall’art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell’oggetto, che ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a tutela degli interessi generali, che trascendono l’interesse del singolo socio, risultando dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società. Deve pertanto escludersi che operando una scissione tra “oggetto” e “contenuto” della delibera (il primo sottoposto alla disciplina di cui all’art. 2379 c.c., il secondo alle regole generali in tema di invalidità dei negozi giuridici) possa dichiararsi la nullità di una deliberazione assembleare ai sensi degli artt. 1324 e 1345 c.c., in quanto determinata da motivo illecito: rientrando tale ipotesi nella categoria dell’annullabilità di cui all’art. 2377 c.c. (con conseguente applicabilità del relativo regime in tema di legittimazione attiva e del termine di decadenza per l’esperimento dell’azione), la quale comprende qualunque altra inosservanza di norme inderogabili attinenti al procedimento di formazione della volontà dell’assemblea. (Sulla base dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto nulla la deliberazione assembleare con la quale una società per azioni aveva rinunciato a tutte le autorizzazioni rilasciatele ai fini dell’esercizio dell’attività assicurativa, in quanto determinata esclusivamente da un motivo illecito ex art. 1345 c.c., costituito dall’intento dei soci di sottrarsi, in presenza di una grave situazione di insolvenza e di irregolarità nella gestione, al provvedimento di revoca delle predette autorizzazioni ed alla già preannunciata procedura di liquidazione coatta amministrativa).
Cass. civ. n. 2637/2003
Le domande volte a far valere la nullità di una deliberazione assembleare per illiceità o impossibilità dell’oggetto (
ex art. 2379 c.c.), a differenza di quelle con cui se ne chieda l’annullamento per contrarietà alla legge o all’atto costitutivo (
ex art. 2377 c.c.), non sono soggette a un termine di decadenza; sicché, proposte che esse siano, in qualunque tempo, da parte di chi vi abbia interesse, debbono essere in ogni caso esaminate nel merito, senza che dalla valutazione circa l’esistenza o l’inesistenza in concreto di tali vizi possa farsi discendere la qualificazione del tipo di domanda proposta, ne quindi il regime di decadenza che, a seconda del tipo di domanda, risulta applicabile, dovendosi distinguere i requisiti di ammissibilità della domanda dalla fondatezza di essa nel merito.
Cass. civ. n. 3052/2001
La delibera di aumento del capitale sociale fondata sulla consapevole falsità dei presupposti di fatto realizza un insanabile contrasto con la norma di ordine pubblico diretta a conservare, anche a tutela dei terzi, la veridicità dei presupposti dell’agire sociale ed è pertanto nulla ai sensi dell’articolo 2379 c.c.; in tali ipotesi non è utilizzabile lo strumento di correzione di cui all’articolo 2343, ultimo comma, c.c., che ha la funzione di rimedio interno ai meri errori della stima effettuata ai sensi dell’articolo 64 c.p.c. (nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza dichiarativa della nullità della delibera con cui era stato aumentato il capitale sociale da lire 900 milioni a lire 1.8 miliardi mediante conferimento di un’azienda comprendente un immobile nella cui stima non era stata valutata l’incidenza di un’ipoteca per lire 1 miliardo).
Cass. civ. n. 835/1995
Ricorre l’ipotesi di inesistenza della deliberazione assembleare di una società di capitali (non suscettibile di ratifica successiva) quando manchi alcuno dei requisiti procedimentali indispensabili per la formazione di una delibera imputabile alla società, con il risultato di determinare una fattispecie apparente, non sussumibile nella categoria giuridica delle deliberazioni assembleari per inadeguatezza strutturale o funzionale rispetto al modello normativo. (Nella specie, omessa convocazione e mancata adunanza dei soci).
Cass. civ. n. 6834/1994
La delibera assembleare di una società di capitali è nulla per illiceità dell’oggetto, a norma dell’art. 2379 c.c., quando è contraria a norme dettate a tutela anche di interessi generali. Pertanto, qualora vengano addotte violazioni del principio di chiarezza e precisione del bilancio, la nullità della delibera sussiste se i fatti accertati sono concretamente idonei ad ingenerare, per tutti gli interessati, incertezze o comunque erronee convinzioni circa la situazione economico-patrimoniale della società, tali da tradursi in un reale pregiudizio per l’interesse generale alla verità del bilancio (cui è funzionale il principio di chiarezza e precisione), che tutela non solo il singolo socio, ma tutti i terzi e, specialmente, i creditori della società.
Cass. civ. n. 654/1994
La deliberazione con cui l’assemblea di una società cooperativa a responsabilità limitata anziché disporre un aumento di capitale in senso proprio, con conseguente sottoscrizione facoltativa dei soci, elevi la quota sociale imponendone in contrasto con il combinato disposto dagli artt. 2521 e 2532, secondo comma, c.c., a tenore del quale va esclusa la necessaria eguaglianza delle quote la sottoscrizione per la relativa entità, pena l’espulsione dei socio in caso di mancato adeguamento ad essa della partecipazione, deve ritenersi nulla, a norma dell’art. 2379 c.c. e non già annullabile integrando una deviazione dallo scopo essenziale del rapporto societario, in quanto la permanenza nella società non può essere condizionata ad ulteriori conferimenti, oltre quello originario, e il rapporto medesimo non può sciogliersi, limitatamente a un socio, se non per ragioni che, a parte la morte, siano riconducibili alla volontà (recesso) o alla responsabilità (esclusione) del soggetto.
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