10 Gen Art. 1492 — Effetti della garanzia
Nei casi indicati dall’articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.
La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale.
Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 2060/2013
In ipotesi di trasferimento della proprietà su una porzione di bene inferiore a quanto previsto nell’accordo negoziale, l’obbligazione del venditore di restituire parte del prezzo, conseguente all’accoglimento dell'”actio quanti minoris” ex art. 1480 c.c., ha natura non di debito di valore ma di valuta, trattandosi non di un’obbligazione risarcitoria ma di un rimborso a favore dell’acquirente, in quanto derivante dal venir meno, per effetto dell’accertamento della parziale alienità della cosa, della causa dell’obbligazione di pagamento dell’intero prezzo; né rileva la circostanza che il giudice abbia accordato al compratore, oltre agli interessi legali, anche la rivalutazione della somma, in quanto questa gli è stata attribuita non in virtù del riconoscimento alla stessa della natura di debito di valore ma per soddisfare il compratore del suo distinto diritto al risarcimento del danno, previsto dall’art. 1480 c.c. quale conseguenza dell’inadempimento dell’obbligazione di trasferire per l’intero la proprietà.
Cass. civ. n. 14665/2008
La trasformazione, da parte del compratore, della cosa acquistata, con conseguente obiettiva impossibilità di restituirla, non è di per sé sufficiente a precludergli l’azione di risoluzione contrattuale per vizi ai sensi dell’art. 1492, terzo comma, c.c., occorrendo, a tal fine, che quel comportamento evidenzi univocamente che l’acquirente, cosciente dei vizi, abbia inteso accettare la cosa, così rinunciando alla maggiore tutela dell’azione risolutoria rispetto a quella di riduzione del prezzo; tanto vale a maggior ragione con riguardo all’azione di risarcimento dei danni di cui all’art. 1494 c.c., che è azione distinta da quella di risoluzione del contratto e di riduzione del prezzo di cui all’art. 1492 c.c., non soggetta, quindi, alle preclusioni di cui al terzo comma di tale articolo, ma solo alla decadenza e alla prescrizione di cui all’art. 1495 c.c.
Cass. civ. n. 12852/2008
Nel contratto di compravendita, qualora il bene in oggetto presenti dei vizi che ne determinano la diminuzione del valore in relazione alla minore utilità che dal medesimo si può trarre, il compratore, esercitando l’actio quanti minoris ha diritto di chiedere una diminuzione del prezzo pattuito in una percentuale pari a quella rappresentante la menomazione che il valore effettivo della cosa consegnata subisce a causa dei vizi, in modo tale da essere posto nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che in relazione all’acquisto di un’area fabbricabile in vista della costruzione di un supermercato, risultata occupata da un’ingente quantità di rifiuti solidi aveva provveduto a ridurre il prezzo di acquisto in misura pari al costo sopportato dalla società acquirente per la bonifica del sottosuolo dalla discarica).
Cass. civ. n. 12382/2006
In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, con riferimento agli effetti di tale garanzia, deve ritenersi che la ratio della preclusione dell’azione di risoluzione, prevista dall’ultimo comma, ultimo periodo, dell’articolo 1492 c.c., per il caso in cui il compratore abbia alienato o trasformato la cosa venduta, risieda nella oggettiva rilevanza della utilizzazione definitiva della cosa viziata, della quale l’acquirente ha usufruito. (Nella fattispecie, relativa all’azione di garanzia esperita nei confronti della venditrice dalla società acquirente di vino destinato all’esportazione, sul presupposto che il tasso alcolometrico non possedeva la graduazione idonea, come invece concordato dalle parti, a consentire il rimborso d’imposta all’epoca previsto dal vigente regolamento europeo sulle esportazioni vinicole, la S.C. ha confermato la sentenza della corte di merito che aveva condannato la venditrice al risarcimento del danno ma respinto la domanda di risoluzione del contratto, per avere rilevato dal comportamento della società acquirente la volontà di questa di tenere fermo, da un lato, il contratto di vendita — che aveva consentito alla stessa di realizzare il fine per il quale era stato stipulato, e cioè l’esportazione della merce acquistata — relegando, dall’altra, la richiesta di risoluzione, di cui all’atto di citazione, a mero espediente per tentare di conseguire anche i vantaggi derivanti da una pronuncia di risoluzione contrattuale — l’estinzione delle obbligazioni non adempiute — tenuto conto della cessione del credito relativo al prezzo della merce, non corrisposto dalla acquirente, effettuata dalla società venditrice).
Cass. civ. n. 1434/2004
In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, ha natura irrevocabile la scelta dell’azione di risoluzione, proposta dal compratore in via principale rispetto alla domanda di riduzione del prezzo, tenuto conto che — in considerazione del riferimento ai vizi di cui all’art. 1490 contenuto nell’art. 1492 c.c. — identici sono i presupposti per l’accoglimento delle due azioni. Ne consegue che, disattesa la domanda di risoluzione per l’inesistenza dei vizi di cui all’art. 1490 c.c., non è accoglibile la domanda di riduzione del prezzo basata sugli stessi vizi, formulata dal compratore in via subordinata.
Cass. civ. n. 489/2001
Ai sensi dell’art. 1492 c.c., terzo comma, l’alienazione o la trasformazione della cosa viziata, di per sé, non è sufficiente a precludere, al compratore l’azione di risoluzione del contratto per vizi della cosa venduta perché la regola dettata dalla predetta norma, che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione nei casi di alienazione e di trasformazione della cosa, deve esser ricondotta non all’impossibilità di ripristino della situazione in cui le parti si trovavano al momento della conclusione del contratto, ma alla volontà dell’acquirente di accettare la cosa nonostante la presenza del vizio.
Cass. civ. n. 15104/2000
Spetta al giudice di merito accertare, in base alle risultanze processuali, se il compratore che utilizza la merce, dopo averne denunziato i vizi, intenda in tal modo rinunziare all’azione di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo.
Cass. civ. n. 13332/2000
La legge non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta per riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, ed il ricorso a criteri equitativi ed al prudente apprezzamento del giudice, ancorché non previsto espressamente dal legislatore nella disciplina normativa della vendita, è consentito in questa materia sia in conformità all’origine e alla tradizione storica dell’
actio quanti minoris, sia in applicazione di un principio generale, di cui la disposizione contenuta nell’art. 1226 c.c. costituisce una particolare specificazione in tema di risarcimento del danno.
Cass. civ. n. 9098/2000
In tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, il compratore può proporre azione di risoluzione e, in via subordinata, chiedere la riduzione del prezzo per l’ipotesi in cui la domanda principale risulti inammissibile, infondata e vi rinunci.
Cass. civ. n. 639/2000
In tema di compravendita, il legittimo esercizio dell’azione di risoluzione per vizi della cosa alienata non presuppone l’esistenza della colpa dell’alienante, giusta disposto dell’art. 1492 c.c., colpa richiesta, per converso, nella diversa ipotesi di risoluzione per difetto delle qualità promesse ex art. 1497 c.c., norma che, a differenza della prima, richiama «le disposizioni generali dell’istituto della risoluzione per inadempimento», fondato, come noto, sul principio della colpa dell’inadempiente.
Cass. civ. n. 3500/1998
L’azione redibitoria deve ritenersi preclusa a norma dell’art. 1492 c.c. quando il compratore, utilizzando la res empta, e così determinandone la trasformazione, modificazione e consumazione, abbia in tal modo espresso la volontà di accettare il bene pur nella consapevolezza dei vizi da cui è affetto e di rinunciare alla maggior tutela derivante dall’esercizio dell’azione di risoluzione. (Nella specie, in relazione all’acquisto da parte di una società sportiva di un giocatore risultato non in perfette condizioni fisiche per i postumi di un intervento chirurgico al menisco, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto preclusa l’azione redibitoria alla società per avere essa utilizzato il giocatore in due stagioni di campionato, spendendo così parte delle sue energie sportive, e aver continuato a fruire delle prestazioni del suddetto giocatore anche dopo l’accertamento dei postumi dell’intervento chirurgico, tenendo in tal modo un comportamento incompatibile con la volontà di provocare l’immediato scioglimento del vincolo).
Cass. civ. n. 11036/1995
In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, il principio secondo cui l’azione redibitoria e quella estimatoria (o quanti minoris), essendo incompatibili tra loro, in quanto preordinate alla tutela di un medesimo diritto l’una attraverso la risoluzione e l’altra mercè il mantenimento del contratto, non possono essere esercitate contestualmente, né alternativamente, né subordinatamente, l’una rispetto all’altra, incombendo sul compratore l’onere di operare la scelta relativa, non si applica alle ipotesi in cui l’azione di riduzione è accordata al compratore in via esclusiva (art. 1492, comma terzo, c.c.). Pertanto, in caso di alienazione o trasformazione della cosa venduta, da parte del compratore, qualora originariamente sussista dubbio sull’ammissibilità dell’azione redibitoria, ovvero l’ammissibilità della stessa sia contestata dal venditore-convenuto, il compratore-attore legittimamente può — per il caso in cui detta azione redibitoria dovesse essere ritenuta inammissibile ed al fine di non perdere ogni garanzia — chiedere anche l’unica tutela apprestatagli dall’art. 1492, terzo comma, c.c. nell’ipotesi innanzi indicata, vale a dire l’azione di riduzione del prezzo.
Cass. civ. n. 7863/1995
La domanda del compratore di risoluzione del contratto di compravendita per vizi che rendono la cosa inidonea all’uso (art. 1495 c.c.) non si estende al terzo fornitore della cosa, chiamato in causa dal venditore, perché l’azione in tal modo esercitata nei confronti del terzo ha un titolo fondato su un rapporto contrattuale diverso da quello che è posto alla base della domanda principale e l’obbligazione dedotta dal convenuto principale non si inserisce in giudizio, quindi, in via alternativa con quella dedotta dall’attore a carico dello stesso convenuto; ne consegue che l’eccezione di decadenza della garanzia opposta dal terzo chiamato in causa non può essere estesa alla domanda principale.
Cass. civ. n. 5552/1994
In tema di azione redibitoria per vizi della cosa oggetto del contratto di compravendita, mentre l’alienazione, da parte del compratore, della cosa stessa non può ex se precludere a quest’ultimo la possibilità di sperimentare la detta azione verificandosi, invece, siffatta preclusione solo quando l’atto dispositivo debba intendersi realmente correlato ad una volontà di accettare la cosa nonostante le deficienze in essa riscontrate spetta al compratore, una volta constatata la ricorrenza dell’evento considerato dalla legge (art. 1492, terzo comma, c.c.) potenzialmente preclusivo, dimostrare che questo, per le particolarità della fattispecie, non può essere idoneo a concretare siffatta potenzialità e ad impedire, quindi, la proponibilità della domanda di risoluzione.
Cass. civ. n. 1212/1993
In tema di vizi della cosa oggetto di compravendita, la regola dettata dal terzo comma, ultima ipotesi dell’art. 1492 c.c., che esclude la possibilità di chiedere la risoluzione nei casi di alienazione e trasformazione della cosa, deve essere ricondotta non alla obiettiva impossibilità di ripristino della situazione nella quale le parti si trovavano al momento della conclusione del contratto, ma alla volontà dell’acquirente di accettare la cosa nonostante il detto vizio e deve essere conseguentemente estesa ad ogni forma di utilizzazione che, non essendo unicamente dovuta allo scopo di accertare ed eliminare il vizio o di ridurre il danno mediante l’uso della cosa secondo la sua naturale destinazione, possa considerarsi inequivocabilmente indicativa (secondo l’apprezzamento del giudice di merito non censurabile in Cassazione, se logicamente e congruamente motivato) della predetta volontà del compratore. (Nella specie, l’acquirente non solo aveva continuato ad usare la macchina compravenduta dopo gli inutili tentativi di riparazione ma aveva anche concesso su di essa, dopo i predetti tentativi, un privilegio speciale per garanzia di un mutuo contratto con un istituto di credito Isveimer).
Cass. civ. n. 5065/1992
Nel caso in cui, trattandosi di vendita a consegne ripartite, l’azione di risoluzione per vizi, nonostante il perimento di una parte dei beni, non sia preclusa, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1492 c.c., perché i vizi riguardavano solo alcune partite della merce, all’obbligo della restituzione specifica dei beni periti si sostituisce quello della restituzione per equivalente, mediante corresponsione di una somma di danaro pari al valore contrattuale (prezzo) delle cose non restituite, senza tenere conto del deprezzamento prodotto dai vizi, essendo ogni possibile pregiudizio subito per questo aspetto dal compratore tutelabile con l’azione di risarcimento di cui all’art. 1494. c.c.
Cass. civ. n. 11812/1991
In tema di garanzia per i vizi della cosa compravenduta, nel caso di perimento della cosa stessa dopo la proposizione della domanda di risoluzione, spetta al compratore che sia rimasto nel possesso della cosa, di dimostrare che la sua obbligazione di restituzione si è estinta in dipendenza di caso fortuito con la conseguenza che, in difetto di tale prova, il perimento della cosa si presume imputabile al compratore stesso, onde gli è preclusa l’azione di risoluzione del contratto a termine del terzo comma dell’art. 1492 c.c.
Cass. civ. n. 2565/1988
In tema di garanzia per vizi della cosa venduta, e per il caso in cui l’azione di riduzione del prezzo sia accordata al compratore non in via esclusiva (art. 1492 terzo comma c.c.), ma in via concorrente con l’azione di risoluzione (art. 1492 cit., primo comma), deve negarsi l’ammissibilità della domanda di riduzione in modo subordinato, rispetto alla proposizione a titolo principale dell’azione di risoluzione, atteso che entrambe le azioni si ricollegano ai medesimi presupposti, cioè la sussistenza di vizi con le caratteristiche fissate dall’art. 1490 c.c. (il quale detta una disciplina della materia completa e non integrabile con le regole dell’art. 1455 c.c. sull’importanza dell’inadempimento), restando radicalmente esclusa la configurabilità di un rapporto di subordinazione fra le rispettive domande, sicché il compratore deve scegliere fra l’una o l’altra.
Cass. civ. n. 521/1988
La norma dell’art. 1492 c.c., che esclude la risoluzione del contratto, fra l’altro, nel caso di trasformazione della cosa da parte dell’acquirente, pur essendo espressamente dettata solo in tema di vizi redibitori (art. 1490 c.c.), è applicabile, per la sua portata generale, anche alla vendita di cosa non avente le qualità promesse o essenziali all’uso cui è destinata (art. 1497 c.c.) nonché alla vendita di aliud pro alio, che è ravvisabile nella vendita di immobile destinato ad abitazione che non possa essere dichiarato abitabile o comunque privo della dichiarazione di abitabilità, caratterizzando l’immobile in relazione alla sua intrinseca capacità di soddisfare le esigenze abitative dell’acquirente.
Cass. civ. n. 1254/1983
Il principio per cui la risoluzione del contratto è preclusa dall’impossibilità di restituire l’oggetto nel suo stato originario opera, ai sensi dell’art. 1492, terzo comma, c.c., che è espressione di una regola generale e, quindi, non ha valore limitatamente al contratto di vendita, solo quando l’impossibilità di restituzione nello statu quo ante si sia verificata senza colpa di colui che ha consegnato il bene, poiché non è lecito addebitare ad un contraente le conseguenze di un evento (perimento in senso fisico o giuridico di un bene) che è stato determinato quanto meno in modo prevalente da fatto imputabile all’altro contraente.
Cass. civ. n. 582/1982
In tema di garanzia per vizi della cosa compravenduta, nel concorso dei presupposti fissati dall’art. 1490 c.c., la facoltà di scelta dell’acquirente fra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo, ai sensi dell’art. 1492 c.c., va riconosciuta a prescindere dalla maggiore o minore gravità dei vizi medesimi.
Cass. civ. n. 3137/1981
La disposizione contenuta nell’art. 1492, comma terzo c.c., la quale preclude al compratore l’azione di risoluzione del contratto se la cosa affetta da vizi sia stata da lui trasformata, è espressione di un principio generale secondo cui non può consentirsi la risoluzione di un contratto in tutti i casi nei quali la restituzione delle cose sia diventata impossibile senza colpa del venditore. Tale disciplina, applicabile agli eventi verificatisi prima della proposizione della domanda di risoluzione del contratto, non trova più il suo fondamento razionale allorché questi stessi eventi si verifichino dopo l’instaurazione del giudizio, determinando il perimento delle cose; dal momento che, in quest’ultima ipotesi, salvo il caso di colpa del compratore, non può dirsi che l’impossibilità di restituzione sia dipesa da caso fortuito, valendo l’opposto principio che la durata del processo non può arrecare pregiudizio alla parte vittoriosa ed incolpevole, mentre sono a carico del venditore le conseguenze per non avere accettato prontamente la risoluzione del contratto e l’offerta di restituzione delle cose.
Cass. civ. n. 3724/1978
Qualora la compravendita venga risolta per i vizi della cosa venduta, il perimento della cosa e la conseguente impossibilità di restituzione della medesima restano a carico dell’alienante, il quale potrà pretendere unicamente la differenza tra i vantaggi ritratti eventualmente dall’acquirente in relazione al perimento stesso e il danno subito dall’acquirente medesimo per la risoluzione del contratto. (Nella specie, i giudici del merito, dopo aver risolta una questione su compravendita di animali che erano risultati affetti da malattia, avevano compensato il credito dell’acquirente per i danni derivanti dalla risoluzione del contratto con le somme ricavate dalla macellazione degli animali acquistati, escludendo che l’alienante potesse pretendere alcunchè per l’impossibilità della restituzione delle bestie perite).
Cass. civ. n. 4483/1976
L’azione di riduzione del prezzo della compravendita (art. 1492 c.c.) ha lo scopo di porre il compratore nella situazione economica in cui si sarebbe trovato qualora al momento della contrattazione fosse stato a conoscenza dei vizi della cosa e di fargli, pertanto, conseguire una somma corrispondente alla differenza di valore, rispetto al prezzo pattuito, dipendente dai vizi stessi. Non rientra nel campo dell’art. 1492 c.c., e, perciò, non incide sulla riduzione del prezzo, la circostanza che, successivamente all’acquisto, il compratore avrebbe potuto eliminare o diminuire il danno attraverso un impiego appropriato della cosa.
Cass. civ. n. 4094/1976
La misura della riduzione del prezzo di vendita, per il caso di vizi della cosa venduta e di esperimento da parte del compratore della actio
quanti minoris (art. 1492 c.c.), deve essere determinata in funzione della necessità di ripristinare l’equilibrio economico fra le prestazioni contrattuali. Pertanto, l’equivalente in denaro della diminuita utilità o menomata idoneità della cosa, in dipendenza dei vizi da cui è affetta, deve essere detratto dal prezzo pattuito, e non dall’eventuale diverso valore che la cosa stessa avrebbe oggettivamente sul mercato, se immune da vizi.
Cass. civ. n. 2694/1975
Con l’
actio minoris, il compratore tende a conseguire una riduzione del prezzo pattuito per l’acquisto della cosa. L’indagine del giudice deve essere, perciò, diretta a determinare il minor prezzo che il compratore avrebbe pagato se avesse conosciuto i vizi dai quali la cosa era affetta. A tal fine, è sufficiente che resti accertato che il vizio della cosa era tale da diminuire in modo apprezzabile, sia pure potenzialmente, il valore della cosa stessa; tale indagine, tuttavia, non pregiudica in alcun modo il concreto accertamento circa l’esistenza dell’effettiva diminuzione di valore e della sua misura, da eseguirsi in sede di liquidazione.
Cass. civ. n. 2471/1974
In tema di contratto di vendita, le azioni di garanzia, le quali tendono a tutelare il compratore nella fase dinamica della esecuzione del contratto, perseguono tale fine prescindendo da ogni indagine sulla colpa del venditore (cioè anche quando risulti che il venditore abbia fatto tutto il possibile per il non verificarsi dell’evento pregiudizievole al compratore od abbia ignorato senza colpa la presenza dei vizi della cosa venduta), ed il compratore, nella garanzia da vizi, non può avvalersi, anche nel concorso della colpa del venditore, della azione di esatto adempimento o dell’eccezione di inesatto adempimento; alternativamente con l’azione di risoluzione e con la quanti minoris entrambe derivanti dalla garanzia, anche se quell’azione o quell’eccezione egli intendesse propone nei termini di decadenza e di prescrizione comminati dall’art. 1495 c.c.
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