10 Gen Art. 1458 — Effetti della risoluzione
La risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.
La risoluzione, anche se è stata espressamente pattuita [ 1456 ], non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione [ 1467, 2652 n. 1 ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 14289/2018
In caso di risoluzione per inadempimento di un contratto, le restituzioni a favore della parte adempiente non ineriscono ad un’obbligazione risarcitoria, derivando dal venir meno, per effetto della pronuncia costitutiva di risoluzione, della causa delle reciproche obbligazioni, e, quando attengono a somme di danaro, danno luogo a debiti non di valore, ma di valuta, non soggetti a rivalutazione monetaria, se non nei termini del maggior danno rispetto a quello ristorato con gli interessi legali di cui all’art. 1224 c.c. che va, peraltro, provato dal richiedente.
Cass. civ. n. 6911/2018
Ai sensi dell’art. 1458 c.c., alla risoluzione del contratto consegue sia un effetto liberatorio, per le obbligazioni che ancora debbono essere eseguite, sia un effetto restitutorio, per quelle che siano, invece, già state oggetto di esecuzione ed in relazione alle quali sorge, per l'”accipiens”, il dovere di restituzione, anche se le prestazioni risultino ricevute dal contraente non inadempiente. Se tale obbligo restitutorio ha per oggetto somme di denaro, il ricevente è tenuto a restituirle maggiorate degli interessi calcolati dal giorno della domanda di risoluzione e non da quello in cui la prestazione pecuniaria venne eseguita dall’altro contraente.
Cass. civ. n. 2075/2013
La risoluzione del contratto pur comportando, per l’effetto retroattivo sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell’altro contraente, atteso che rientra nell’autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa.
Cass. civ. n. 22902/2012
La disposizione dell’art. 1458, primo comma, c.c., per la quale, nei contratti di durata, l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, non significa che abbia diritto alla controprestazione la parte inadempiente, atteso che l’irretroattività della risoluzione concerne le prestazioni “eseguite”, non quelle “ineseguite”, non venendo meno l’esigenza di rispetto del sinallagma neppure nella disciplina della risoluzione. Pertanto, in caso di affitto di azienda, l’affittuario non è tenuto al pagamento del canone per il periodo nel quale non ha goduto dell’azienda a causa dell’inagibilità dei locali, pur se tale periodo è anteriore alla pronuncia di risoluzione del contratto.
Cass. civ. n. 5771/2010
La sentenza che pronuncia la risoluzione per inadempimento di un contratto ad esecuzione continuata o periodica, sebbene costitutiva, ha efficacia retroattiva ex art. 1458 c.c. solo dal momento dell’inadempimento (non estendendo i propri effetti alle prestazioni già eseguite): pertanto, nel rapporto tra domanda di risoluzione proposta dal locatore e domanda di riscatto proposta dal conduttore ai sensi dell’art. 39 della legge n. 392 del 1978, la prima è pregiudiziale alla seconda solo se il grave inadempimento dedotto in giudizio è anteriore all’esercizio del diritto di riscatto, poiché l’accoglimento di essa priverebbe il retraente della qualità soggettiva di conduttore, che lo legittima al riscatto.
Cass. civ. n. 21973/2007
Nel contratto di somministrazione, corrispondendo alla prestazione continuativa del somministrante una prestazione periodica dell’utente, la risoluzione opera secondo il principio affermato dall’art. 1458 c.c., per cui gli effetti retroattivi della risoluzione stessa non si estendono alle prestazioni già effettuate.
Cass. civ. n. 17558/2006
L’efficacia retroattiva della risoluzione del contratto per inadempimento (nella fattispecie trattavasi di prenotazione di alloggio in cooperativa edilizia) non comporta il maturare di interessi, sulle somme versate dall’una all’altra parte in esecuzione del contratto, a decorrere dalla data del versamento, atteso che il venir meno ex tunc del vincolo contrattuale rende privo di causa il pagamento già eseguito in forza del contratto successivamente risolto, ma appunto per questo impone di far capo ai principi sulla ripetizione dell’indebito per qualificare giuridicamente la pretesa volta ad ottenere la restituzione di quel pagamento; e, in materia di indebito oggettivo, ai sensi dell’art. 2033 c.c. il debito dell’
accipiens – a meno che questi sia in mala fede – produce interessi solo a seguito della proposizione di un’apposita domanda giudiziale, non essendo sufficiente un qualsiasi atto di costituzione in mora del debitore, perché trova qui applicazione la tutela prevista per il possessore di buona fede – in senso oggettivo – dall’art. 1148 c.c., a norma del quale questi è obbligato a restituire i frutti soltanto dalla domanda giudiziale, alla cui data di proposizione retroagiscono gli effetti della sentenza.
Cass. civ. n. 18143/2004
Nei contratti a prestazioni corrispettive (nella specie, preliminare di compravendita di immobile), la retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione stabilita dall’art. 1458, c.c., in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta, indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempimento e toglie — al riguardo — operatività al meccanismo dell’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c.
Cass. civ. n. 3555/2003
La retroattività della pronuncia costitutiva di risoluzione contrattuale, sancita dall’art. 1458 comma primo c.c., comporta, in ragione del venir meno della causa giustificatrice delle prestazioni già eseguite, l’insorgere, a carico di ciascun contraente (ed indipendentemente dall’eventuale sua inadempienza), dell’obbligo di restituire la prestazione ricevuta che, nel caso di somma di denaro, deve essere corrisposta con i relativi interessi, a decorrere dalla data di costituzione in mora.
Cass. civ. n. 5434/2002
La risoluzione parziale del contratto — espressamente prevista dall’art. 1458 c.c. nella ipotesi di contratti ad esecuzione continuata o periodica — è ammissibile anche nella ipotesi in cui l’oggetto del negozio, sia rappresentato non già da una cosa caratterizzata da una sua unicità non frazionabile, ma da più cose funzionalmente collegate purché esse, una volta separate, abbiano una propria individualità fisica rispetto all’aggregato, conservino una concreta funzione economico-giuridica ed abbiano attitudine ad essere oggetto di diritti come beni a sé stanti (nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano rigettato la domanda di risoluzione parziale di un contratto di vendita relativo ad una cucina componibile con riferimento alla sola fornitura del marmo di copertura dei piani d’appoggio, ritenendo che questa singolarmente considerata, non fosse suscettibile di utilizzazione separata).
Cass. civ. n. 7470/2001
Una volta pronunciata la risoluzione del contratto in forza della operatività retroattiva di essa, stabilita dall’art. 1458 c.c., si verifica per ciascuno dei contraenti ed indipendentemente dall’imputabilità dell’inadempienza, rilevante ad altri fini, una totale restitutio in integrum e, pertanto, tutti gli effetti del contratto vengono meno e con essi tutti i diritti che ne sarebbero derivati e che si considerano come mai entrati nella sfera giuridica dei contraenti stessi.
Cass. civ. n. 4604/1999
Con la sentenza di risoluzione di un contratto e di condanna alla restituzione del bene che ne aveva costituito oggetto, il giudice non può fissare un termine per la consegna del bene in quanto una tale previsione si traduce nell’illegittimo differimento della provvisoria esecutività della sentenza in relazione al capo di condanna alle restituzioni. (Nella specie, il giudice di merito aveva dichiarato risolto un contratto preliminare di compravendita di un immobile e condannato alla restituzione dello stesso entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza).
Cass. civ. n. 9906/1998
Nei contratti caratterizzati da un’esecuzione continuata, in caso di scioglimento, qualora una prestazione già eseguita non sia proporzionale all’altra occorre che, anche attraverso una restituzione parziale, sia ristabilito l’equilibrio sinallagmatico tra prestazioni e controprestazioni. Pertanto le prestazioni già eseguite, che non possono essere oggetto di restituzione, sono solo quelle che sono riferibili, nel loro valore satisfattorio al periodo di vigenza del contratto, e non quelle anticipatamente eseguite e che, in relazione alla sopravvenuta risoluzione, non trovano più giustificazione causale, in tutto o in parte.
Cass. civ. n. 3019/1996
Ai fini dell’applicabilità della regola contenuta nella seconda parte del primo comma dell’art. 1458 codice civile — secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano, nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, per prestazioni già eseguite — sono contratti ad esecuzione continuata o periodica quelli che fanno sorgere obbligazioni di durata per entrambe le parti, ossia quelli in cui l’intera esecuzione del contratto avvenga attraverso una serie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, mentre non possono considerarsi compresi nella previsione normativa del citato art. 1458 codice civile quei contratti in cui ad una prestazione periodica o continuativa si contrappone una prestazione istantanea dell’altra parte, debbono esservi ricompresi quei contratti in cui ad una prestazione continuativa se ne contrappone un’altra periodica, poiché in tal caso la corrispettività si riflette su tutte le prestazioni attraverso le quali il contratto riceva esecuzione. (Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione dell’enunciato principio, ha affermato che la locazione ha natura di contratto ad esecuzione continuata, che si concreta nella corresponsione del canone integrata dal godimento del bene protrattosi nel tempo).
Cass. civ. n. 639/1996
La parte adempiente che chiede la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promittente venditore ha diritto sia alla restituzione della somma pagata in conto prezzo, in virtù dell’efficacia retroattiva della risoluzione, sia al risarcimento del danno, comprensivo anche del pregiudizio costituito dal deprezzamento della somma pagata, con la conseguenza che tale somma, pur essendo oggetto di una obbligazione pecuniaria, avendo per oggetto il prezzo corrisposto alla parte adempiente, deve essere restituita con la rivalutazione monetaria perché solo in tal modo quest’ultima parte è reintegrata nella posizione in cui era al momento della conclusione del contratto.
Cass. civ. n. 5391/1995
L’obbligo di restituzione di una somma di denaro conseguente alla risoluzione del contratto configura un debito di valuta, sia quando grava sulla parte incolpevole, sia allorché obbligata alla restituzione è la parte che, con la propria inadempienza, ha causato la risoluzione del contratto, attesa la persistente natura non risarcitoria del relativo debito, avente ad oggetto l’originaria prestazione pecuniaria, del tutto distinto dal risarcimento del danno spettante in ogni caso all’adempiente. Pertanto, in quest’ultimo caso — poiché con la domanda di risoluzione e di restituzione del corrispettivo versato il debitore è costituito in mora — alla parte adempiente, oltre al risarcimento del danno derivante dall’inadempiemnto ai sensi dell’art. 1453 c.c., può eventualmente spettare soltanto il maggior danno rispetto agli interessi moratori ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, c.c., sulla somma da restituire, sempre che questo risarcimento ulteriore, del quale il richiedente ha l’onere di provare le condizioni, non rimanga assorbito dal risarcimento accordato per il danno derivante dall’inadempimento, dovendosi evitare una ingiustificata duplicazione del risarcimento dello stesso danno.
Cass. civ. n. 2135/1995
Nei contratti a prestazioni corrispettive, la retroattività (art. 1458, comma 1, c.c.) della pronuncia costitutiva di risoluzione per inadempimento, collegata al venir meno della causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali già eseguite, comporta l’insorgenza, a carico di ciascun contraente, ed indipendentemente dalle inadempienze a lui eventualmente imputabili, dell’obbligo a restituire la prestazione ricevuta e, nel caso in cui la stessa abbia avuto per oggetto una cosa fruttifera, i frutti (naturali o civili) percepiti ovvero, qualora di essi non sia possibile la restituzione, di corrispondere l’equivalente in danaro; siffatto obbligo restitutorio, al quale si aggiunge, per la parte colpevolmente inadempiente, quello del risarcimento del danno (art. 1453 comma 1 ult. p. c.c.) trovando titolo immediato nella sentenza che pronuncia la risoluzione, non può essere però affermato dal giudice in difetto di un’espressa richiesta della parte interessata.
Cass. civ. n. 7169/1994
L’art. 1458 c.c., nella parte in cui prevede che l’effetto retroattivo della risoluzione del contratto per inadempimento non si estende, nel caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, alle prestazioni già eseguite, esclude la possibilità di restituzione di queste ultime solo quando esse abbiano avuto piena efficacia satisfattiva delle ragioni del creditore. Pertanto, nei contratti con prestazioni corrispettive, la fattispecie cosi delineata dalla norma si realizza esclusivamente rispetto agli adempimenti la cui creazione soddisfi le reciproche ragioni creditorie in attuazione del nesso sinallagmatico, talché rispetto alle reciproche prestazioni eseguite, il rapporto debba intendersi esaurito senza alcun effetto restitutorio, per il già intervenuto riequilibrio delle situazioni reciproche delle parti in relazione alle prestazioni pregresse.
Cass. civ. n. 10482/1993
Con riguardo al cosiddetto leasing finanziario, stabilire se il canone dovuto dal detentore del bene costituisca corrispettivo del godimento di questo per una durata prestabilita, di guisa che tale funzione di godimento viene a prevalere su quella dell’eventuale trasferimento alla scadenza del periodo suddetto (con la conseguenza che gli effetti della risoluzione del contratto, anche se per causa di fallimento, non si estendono retroattivamente, giusto il disposto dell’art. 1458, primo comma, seconda ipotesi, c.c., alle prestazioni già eseguite) o se partecipi della natura di corrispettivo del futuro trasferimento cui il contratto stesso è destinato, nel presupposto che, alla scadenza del periodo in esso fissato, il bene conservi un valore residuo particolarmente apprezzabile, notevolmente superiore al prezzo di opzione (e con la conseguenza che la regola della retroattività della risoluzione, sancita, in via generale dalla prima parte del citato art. 1458 c.c., si applica senza limitazione alcuna) implica una quaestio fatti il cui esame è compito precipuo del giudice del merito e deve essere condotto tenendo conto anzitutto dell’indice costituito dal raffronto tra valore residuo del bene alla scadenza e prezzo di opzione e poi di ogni altro elemento utile emergente dalle clausole dei singoli contratti, quali l’eventuale previsione della facoltà per l’utilizzazione di chiedere la proroga del rapporto sul presupposto dell’ulteriore utilizzabilità del bene o dell’obbligo a questi imposto di riconsegnare il bene in buono stato di manutenzione o di funzionamento, ovvero il rapporto tra durata del contratto e periodo di prevedibile obsolescenza tecnica ed economica del bene, il tipo di professione esercitata dall’utilizzatore, l’interesse che il medesimo ha inteso soddisfare con la stipulazione del leasing, il criterio di determinazione dei canoni, ed eventuali pattuizioni in deroga o in aggiunta alle condizioni generali di contratto.
Cass. civ. n. 5065/1993
Il giudice che in presenza di reciproche domande di risoluzione, basate da ciascuna parte su determinati inadempimenti dell’altra accerti l’inesistenza dei singoli reciproci addebiti, deve dar atto della scelta ex art. 1453, secondo comma, c.c. di entrambi i contraenti e decidere in conseguenza quanto agli effetti risolutori di cui all’art. 1458 c.c. Poiché la cosiddetta risoluzione del contratto per mutuo dissenso, a differenza dalla risoluzione per inadempimento, non ha, in difetto di specifica pattuizione negoziale, l’effetto retroattivo che per questa ultima è invece previsto dall’art. 1458, primo comma, c.c., alla stessa non consegue il ripristino delle status quo ante, che deve, anzi, ritenersi implicitamente escluso per effetto della globale valutazione datane dalle parti all’atto dello scioglimento del contratto. Ne consegue che in caso di contratto di compravendita in difetto di contraria pattuizione gli interessi sulle somme dovute in restituzione dalla parte venditrice devono ritenersi compensati dal godimento della cosa che la parte compratrice abbia medio tempore avuto (
ex art. 1282 ultimo comma c.c.).
Cass. civ. n. 2070/1993
La sentenza di accertamento della risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata, quale quello di locazione, per recesso unilaterale di una parte, ai sensi dell’art. 1373 c.c., o per diniego di rinnovazione alla prima scadenza, ai sensi dell’art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, non preclude la pronuncia, in un successivo e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento anteriormente verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi, e tale ultima pronuncia, sebbene di carattere costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell’inadempimento (art. 1458 c.c.), prevale rispetto alle altre cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale per la priorità nel tempo dell’operatività dei suoi effetti.
Cass. civ. n. 12942/1992
Con riguardo alla risoluzione del contratto per inadempimento, l’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di anticipo del corrispettivo costituisce debito di valuta e non di valore, insensibile, come tale al fenomeno della svalutazione monetaria, salvo che il creditore non dimostri di avere risentito, per l’indisponibilità della somma anticipata – la cui restituzione, peraltro, deve avvenire con le maggiorazioni imputabili a titolo degli interessi compensativi, i quali, tenuto conto della efficacia retroattiva della pronuncia di risoluzione, hanno la funzione di compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della somma stessa -, eventuali ulteriori danni, e perciò anche di quello sofferto in conseguenza della svalutazione monetaria, e ne chieda il risarcimento.
Cass. civ. n. 6880/1991
La declaratoria di risoluzione del contratto, pur importando per il suo effetto retrattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c. l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere i relativi provvedimenti restitutori senza la domanda della parte interessata, la quale per altro non può proporsi per la prima volta in appello a pena di inammissibilità rilevabile anche di ufficio (art. 345 c.p.c.), trattandosi di domanda nuova rispetto a quella di risoluzione del contratto. Essa infatti trova fondamento nelle norme sulla ripetizione dell’indebito e dà luogo ad una pronuncia di condanna, diversamente dall’azione di risoluzione che ha natura costitutiva.
Cass. civ. n. 447/1991
La sentenza che, pronunciando la risoluzione per inadempimento di un contratto, condanna una parte alla restituzione della somma di denaro versata dall’altro contraente in esecuzione del contratto, dà diritto a questo ultimo alla corresponsione degli interessi legali sulla somma stessa dalla data del versamento, i quali interessi hanno natura compensativa perché servono a compensare il creditore del mancato godimento dei frutti della cosa e sono perciò dovuti in aggiunta al risarcimento del danno.
Cass. civ. n. 11810/1990
Il contratto, con il quale si assuma l’impegno di ricercare e procacciare clienti in favore di una compagnia di assicurazione, nonché di stipulare le relative polizze, dietro una provvigione dovuta all’atto della sottoscrizione di ciascuna polizza e commisurata al premio ad essa inerente, integra un rapporto sinallagmatico ad esecuzione continuata o periodica. Pertanto, indipendentemente dalla riconducibilità di detto contratto nella figura (atipica) del cosiddetto «brokeraggio» assicurativo, si deve ritenere che lo scioglimento del contratto stesso, a seguito di recesso, od anche risoluzione per inadempimento, non tocca i diritti attinenti a polizze in precedenza stipulate, trattandosi di prestazioni «già eseguite» (art. 1458 c.c.).
Cass. civ. n. 7052/1990
A seguito della risoluzione del contratto le somme spettanti a titolo di restituzione del prezzo pagato dalla parte inadempiente producono soltanto gli interessi compensativi, ma non possono essere rivalutate in caso di sopravvenuta svalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta, né il debitore, inadempiente, essendo egli stesso in colpa, può pretendere alcun risarcimento del danno neppure sotto il profilo previsto dal secondo comma dell’art. 1224 c.c. per le obbligazioni pecuniarie, atteso che detta norma è dettata a tutela del creditore adempiente, allorché il danno da lui sofferto non è risarcito in misura adeguata dalla semplice liquidazione degli interessi moratori.
Cass. civ. n. 5143/1987
Nei contratti a prestazioni corrispettive ed a esecuzione istantanea la pronunzia di risoluzione produce due distinti effetti: quello liberatorio, relativo alle prestazioni non ancora eseguite, che opera ex nunc, dal momento, cioè, della sentenza, e quello restitutorio, relativo alle prestazioni già eseguite, che opera ex tunc e, cioè, di norma retroagisce al momento in cui è sorta l’obbligazione, cosa da importare l’eliminazione di tutte le conseguenze derivanti dall’esecuzione totale o parziale del contratto. Pertanto, in conseguenza della risoluzione del contratto, le cose ricevute in esecuzione di questo, debbono essere restituite con tutti gli accessori (frutti ed altre utilità) che la cosa stessa avesse medio tempore prodotti e sulle somme versate in anticipo ad una delle parti vanno corrisposti gli interessi legali da quando quelle stesse somme vennero ricevute.
Cass. civ. n. 5461/1985
Verificatasi la risoluzione di diritto del contratto per inosservanza del termine essenziale di adempimento (art. 1457 c.c.), i reciproci obblighi delle parti di provvedere al ripristino della situazione anteriore alla stipulazione, in conformità del principio della retroattività di detta risoluzione (art. 1458 c.c.), insorgono immediatamente, non dal momento successivo della sentenza che accerta la risoluzione medesima, di natura meramente dichiarativa.
Cass. civ. n. 2962/1982
La retroattività ex art. 1458 c.c. della pronuncia (costitutiva) di risoluzione fa venir meno la causa delle attribuzioni patrimoniali derivanti dal contratto, determinando a carico della parte non colpevole un obbligo, non risarcitorio, ma restitutorio, avente ad oggetto le cose ricevute ed i frutti effettivamente percetti, per i quali ultimi si configura un debito di valore se trattasi di frutti naturali, laddove ricorre un debito di valuta, soggetto al principio nominalistico, se trattasi di frutti civili (somme di danaro), costituenti il corrispettivo del godimento della cosa. Peraltro, per i frutti civili competono al creditore, come effetto naturale della relativa pronunzia restitutoria e, quindi, anche senza espressa statuizione, gli interessi legali, da ritenere compresi, in difetto di esplicita limitazione degli effetti della risoluzione, nella domanda di restituzione dei frutti, ancorché in essa non specificati, con la conseguenza che la richiesta di tali interessi avanzata perla prima volta in appello non può essere considerata domanda nuova e preclusa a norma dell’art. 345 c.p.c.
Cass. civ. n. 5426/1981
L’obbligazione del venditore di restituire al compratore la somma ricevuta a titolo di prezzo, in conseguenza della risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento del venditore stesso, diventa esigibile solo con l’esecutività della relativa pronunzia, sicché, prima di tale esecutività, non può parlarsi di mora debendi. Ne discende che è priva di fondamento la pretesa del compratore di ottenere, con riferimento a detta restituzione, il risarcimento del danno ex art. 1224, secondo comma, c.c., in relazione alla svalutazione verificatasi a decorrere dal momento in cui ha versato il prezzo al venditore, non potendo quest’ultimo considerarsi in mora nella restituzione del prezzo fin da quel momento e presupponendo il risarcimento ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, citato, la mora del debitore.
Cass. civ. n. 3767/1976
Nella compravendita a consegne ripartite, la risoluzione per inadempimento circoscritto a singole prestazioni non estende i suoi effetti alle prestazioni già eseguite, nonostante che la rilevanza risolutoria dell’inadempimento debba essere sempre valutata con riferimento al contenuto del contratto nella sua complessiva unitarietà.
Cass. civ. n. 3539/1976
La risoluzione del contratto per inadempimento produce effetti liberatori e restitutori: se questi ultimi non possono essere disposti in forma specifica, il giudice deve ordinarli per equivalente, ancorché questa forma di restituzione non sia stata esplicitamente chiesta dalla parte interessata.
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