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Art. 684 — Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale

Art. 684 — Pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale

Chiunque pubblica , in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da cinquantuno euro a duecentocinquantotto euro.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 43479/2013

Non integra la contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale la pubblicazione di una brevissima frase, riportata tra virgolette, dell’interrogatorio dell’indagato.

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Cass. pen. n. 473/2013

Ai fini della sussistenza del reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (art. 684 c.p.), è irrilevante che la notizia sia stata già diffusa da altra fonte di informazione e non desunta direttamente dagli atti processuali, perché con la successiva pubblicazione viene data all’atto maggiore diffusione e propagazione.

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Cass. pen. n. 8205/2010

La contravvenzione di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale è punibile sia a titolo di dolo che di colpa.

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Cass. pen. n. 42269/2004

La previsione incriminatrice dell’art. 684 c.p., che tutela il segreto processuale, deve ritenersi a carattere plurioffensivo, essendo preordinata a garanzia non solo dell’interesse dello Stato al retto funzionamento dell’attività giudiziaria, ma anche delle posizioni delle parti processuali e, comunque, della reputazione di esse. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio il decreto di archiviazione del g.i.p. che, pur in presenza dell’opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, aveva adottato la decisione de plano senza previo contraddittorio camerale).

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Cass. pen. n. 10135/1994

Nel vigente codice di rito non vi è completa coincidenza tra il regime di segretezza e quello di divulgazione degli atti permanendo una distinzione tra segreto e divieto di pubblicazione. Per gli atti coperti da segreto assoluto (atti del P.M. e della polizia giudiziaria fino a quando non siano conoscibili dall’indagato) vige un divieto assoluto di pubblicazione sia con riferimento al testo che al contenuto, anche parziale o per riassunto. Per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato di pubblicazione che è assai circoscritto e viene meno man mano che, in relazione allo svolgimento del procedimento, viene meno la ragion d’essere del divieto che è quella di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice del dibattimento attuato anche attraverso le norme che gli consentono di venire legittimamente a conoscenza del testo degli atti di indagine nei limiti e secondo le regole previsti in un processo tipicamente accusatorio. Peraltro è sempre consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti (o non più coperti da segreto) a guisa d’informazione. Il nuovo codice di procedura penale distingue quindi nettamente tra atto del procedimento e suo contenuto e non vi è perfetta equiparazione tra ciò che diviene conoscibile all’interno del procedimento e la sua divulgabilità. Tuttavia, anche per quello che riguarda gli atti coperti da segreto assoluto, occorre una rigorosa interpretazione dell’ambito di operatività del divieto poiché l’atto di indagine non può automaticamente coincidere con il fatto che ne costituisce l’oggetto e pertanto non rientra nel divieto di pubblicazione l’espletamento di attività procedimentali che si sostanzino in fatti storici direttamente percepibili, talché non sarà pubblicabile il contenuto delle dichiarazioni rese dal teste oculare di un avvenimento all’autorità giudiziaria, ma sarà lecito riferire quanto attinto direttamente dallo stesso testimone, che, in quanto tale, non è tenuto al segreto. D’altro canto, invece, l’avvenuta diffusione da parte di altri di notizie di atti di indagine coperte da segreto non fa venir meno la segretezza e quindi il divieto di pubblicazione.

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Cass. pen. n. 6338/1994

Nella contravvenzione prevista dall’art. 684 c.p. – che punisce chiunque, in tutto o in parte, anche per riassunto, e a guisa di informazione, atti o documenti di un processo penale, di cui sia vietata la pubblicazione – l’elemento oggettivo, costituito dalla divulgazione di accadimenti oggetto di indagine penale fino a quando la legge ne tuteli la segretezza, riceve concreta ed attuale specificazione, oltre che dalla norma dell’art. 114 c.p.p., anche dall’art. 13 del D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, nell’individuazione dell’atto coperto dal segreto e nella indicazione di modalità trasgressive del divieto di pubblicazione del contenuto dell’atto medesimo. In particolare, la disposizione da ultimo ricordata ricomprende nell’area del divieto tutta la vasta serie di atti, implicanti «coinvolgimento» del minore nel procedimento, nella qualità di parte o di testimone, ed il cui contenuto non può essere tratto indirettamente mediante identificazione che se ne possa fare, ancorché in ambito territoriale ristretto, attraverso la sola immagine. Non rileva, in contrario, né che l’immagine stessa derivi da una ripresa fotografica eseguita sulla strada, perché non è la tutela dell’immagine come tale che occorre considerare, ma la idoneità della stessa a collegare al soggetto raffigurato l’avvenuto suo «coinvolgimento» in indagini preliminari, né che il nome del minore fosse già noto come indagato, in quanto la notorietà del fatto non esclude il reato poiché la pubblicazione conferisce alla notizia maggiore diffusione e propagazione.

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Cass. pen. n. 11691/1990

Al fine della configurabilità del reato di cui all’art. 684 c.p., il divieto di pubblicazione di atti o documenti di un procedimento penale si riferisce solo agli atti e documenti del processo destinati alla lettura nel pubblico dibattimento. Ne consegue che non integra la predetta fattispecie la pubblicazione di un ordine di comparizione (nella specie mediante affissione di una sua fotocopia ingrandita in un bar).

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Cass. pen. n. 2377/1990

L’esistenza di un diritto attribuito da una determinata norma non è sufficiente per escludere automaticamente la punibilità di ogni condotta dell’agente, occorrendo anche che la condotta sia prevista e permessa o dalla stessa norma che costituisce la fonte del diritto o da altra. Ne consegue che non può rientrare nell’esercizio del diritto di cronaca la pubblicazione, anche per riassunto o a titolo di informazione, di atti per i quali la stessa è vietata e che in nessun caso può giustificare l’attacco alla reputazione altrui.

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Cass. pen. n. 7674/1984

Ai fini della sussistenza del reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, è irrilevante che la notizia sia stata già diffusa da altra fonte di informazione e non desunta direttamente dagli atti processuali, perché con la successiva pubblicazione viene data all’atto medesimo maggiore diffusione e propagazione.

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Cass. pen. n. 420/1982

Non si verifica assorbimento della contravvenzione di cui all’art. 684 c.p. nel delitto di rivelazione dei segreti di ufficio previsto dall’art. 326 dello stesso codice. Invero il concorso apparente di norme non è configurabile sulla base dell’identità del bene giuridico protetto dalle disposizioni apparentemente confliggenti, presupponendo, invece, un medesimo fatto. (Nella specie si è precisato che i fatti vennero realizzati con azioni diverse, distinte anche nel tempo: con la comunicazione all’estraneo della notizia segreta fu consumato il reato di cui all’art. 326 c.p.; successivamente, con la pubblicazione degli atti, fu consumata la contravvenzione indicata nell’art. 684 dello stesso codice).

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