Art. 527 – Codice di procedura penale – Deliberazione collegiale

1. Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide separatamente le questioni preliminari non ancora risolte e ogni altra questione relativa al processo. Qualora l'esame del merito non risulti precluso dall'esito della votazione, sono poste in decisione le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e, se occorre, quelle relative all'applicazione delle pene e delle misure di sicurezza nonché quelle relative alla responsabilità civile.

2. Tutti i giudici enunciano le ragioni della loro opinione e votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre. Il presidente raccoglie i voti cominciando dal giudice con minore anzianità di servizio e vota per ultimo. Nei giudizi davanti alla corte di assise votano per primi i giudici popolari, cominciando dal meno anziano per età.

3. Se nella votazione sull'entità della pena o della misura di sicurezza si manifestano più di due opinioni, i voti espressi per la pena o la misura di maggiore gravità si riuniscono a quelli per la pena o la misura gradatamente inferiore, fino a che venga a risultare la maggioranza. In ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all'imputato [125 5].

Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 13964/2008

Non costituisce atto abnorme la lettura in pubblica udienza di un dispositivo preceduto da deliberazione avvenuta in luogo diverso da quello in cui ha avuto luogo il dibattimento, quando il differimento temporale della deliberazione, dovuto alla distanza del luogo scelto come camera di consiglio, sia tanto breve da non inficiarne l'immediatezza, e non risulti violato il principio di segretezza della stessa. (Nella specie, il giudicante, all'esito del dibattimento celebrato in un'aula appositamente allestita all'interno di una struttura alberghiera sita nei pressi dell'ufficio giudiziario, si era ritirato in camera di consiglio nel proprio ufficio, all'interno del palazzo di giustizia). (Dichiara inammissibile, Trib. Larino, 13 luglio 2007).

Cass. pen. n. 22327/2002

Il giudice penale che abbia concorso, in Camera di Consiglio, alla deliberazione collegiale non può essere richiesto - trattandosi di attività coperta da segreto di ufficio - di deporre come testimone in merito al relativo procedimento di formazione (e, se richiesto, ha l'obbligo di astenersi), limitatamente alle opinioni e ai voti espressi dai singoli componenti del Collegio, salvo il sindacato del giudice che procede circa l'effettiva pertinenza della domanda formulata alle circostanze coperte da segreto. Ne consegue che la testimonianza eventualmente resa, poiché acquisita in violazione di un divieto stabilito dalla legge, è inutilizzabile. (Fattispecie relativa a imputazione di concorso cosiddetto "esterno" in associazione di tipo mafioso).

Cass. pen. n. 4974/1999

Nel giudizio di Corte d'Assise l'eventuale presenza in camera di consiglio dei giudici supplenti nelle fasi precedenti la chiusura del dibattimento è giustificata dalla necessità che essi, in ragione della decisione interlocutoria da adottare, si rendano permanentemente disponibili a sostituire, all'occorrenza, il giudice popolare effettivo assente o impedito, con piena e partecipata consapevolezza dell'oggetto del giudizio, sicché va esclusa la nullità della decisione per violazione della segretezza della deliberazione, segnando solo la chiusura del dibattimento l'invalicabile limite al di là del quale è inibita la presenza partecipata alla camera di consiglio dei giudici aggiunti.