12 Mag Art. 526 — Prove utilizzabili ai fini della deliberazione
1. Il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento [ 191 ].
1-bis. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore .
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”22″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 13060/2017
È inutilizzabile, quale prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie resegli da un coimputato non comparso al dibattimento, e trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell’art. 33 l. fall., quando l’imputato o il suo difensore abbiano chiesto l’esame del predetto coimputato e questi vi si sia per libera scelta sottratto, sussistendo in tal caso la violazione dell’art. 526 cod. proc. pen. [In motivazione, la Corte ha precisato che, invece, è utilizzabile detta testimonianza laddove sia mancata la richiesta difensiva di esame del coimputato, poichè in tale ipotesi non ci si potrà dolere della mancata assunzione di prove non richieste].
Cass. pen. n. 3068/2017
Ai fini della lettura e dell’utilizzabilità di dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, al dato della condizione di irreperibilità del teste, in sé neutro, deve aggiungersi la valutazione degli elementi indicativi del carattere volontario o meno del suo allontanamento, con la precisazione ulteriore che la volontarietà dell’assenza, che comporta l’operatività del divieto di cui all’art. 526, comma 1-bis, cod. proc. pen., può essere determinata da una qualsiasi libera scelta e non necessariamente dall’intenzione di sottrarsi al contraddittorio. [Fattispecie nella quale i presupposti per la deroga al contraddittorio sono stati desunti dalla circostanza che la persona offesa, nel corso del procedimento, non era stata mai raggiunta da una regolare citazione, né aveva potuto rendere testimonianza nelle forme dell’incidente probatorio, perché era già irreperibile dopo le prime dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria].
Cass. pen. n. 46010/2014
Ai fini della lettura e della utilizzabilità di dichiarazioni predibattimentali di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, è necessario che il giudice abbia praticato ogni possibile accertamento sulla causa dell’irreperibilità e che risulti esclusa la riconducibilità dell’omessa presentazione del testimone al dibattimento ad una libera scelta dello stesso. [In motivazione, la Corte ha precisato che ai fini dell’operatività del divieto di utilizzazione di cui all’art. 526 comma primo bis, cod.proc.pen., non è necessaria la prova della specifica volontà del teste di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente la volontarietà della sua assenza].
Cass. pen. n. 22062/2013
È sempre consentito al giudice l’ascolto in camera di consiglio dei supporti analogici o digitali recanti le registrazioni, debitamente acquisite e trascritte e l’utilizzo ai fini della decisione dei risultati dell’ascolto medesimo. [Nella specie, la Corte ha ritenuto pienamente utilizzabili i risultati dell’ascolto dei supporti digitali, contenenti le copie delle registrazioni, allegate a corredo della perizia trascritta].
Cass. pen. n. 27918/2011
Ai fini dell’operatività [art. 526, comma primo, bis c.p.p.] del divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore, non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente – in conformità ai principi convenzionali [art. 6 CEDU] – la volontarietà dell’assenza del teste determinata da una qualsiasi libera scelta, sempre che non vi siano elementi esterni che escludano una sua libera determinazione.
Cass. pen. n. 41063/2007
In tema di istruzione dibattimentale, la disposizione dell’art. 526, comma primo bis, c.p.p. [che esclude l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore] non opera nel caso in cui l’utilizzazione delle dichiarazioni rese in fase di indagini preliminari da persona residente all’estero avvenga in forza di legittima applicazione dell’art. 512 bis c.p.p., in quanto la lettura di tali dichiarazioni configura un’ipotesi di oggettiva impossibilità di formazione della prova in contraddittorio ai sensi dell’art. 111, comma quinto, Cost.
Cass. pen. n. 33785/2007
La deposizione di un ufficiale di polizia giudiziaria sul contenuto di dichiarazioni di testimoni, avvenuta prima dell’entrata in vigore della legge n. 63 del 2001, è legittimamente acquisita al fascicolo del dibattimento ed è pienamente utilizzabile, in applicazione del principio generale stabilito dall’art. 526 c.p.p., secondo cui il giudice può utilizzare ai fini della deliberazione le prove legittimamente acquisite nel dibattimento, in quanto detta legge, modificando l’art. 195, comma quarto, c.p.p., ha introdotto non un divieto di utilizzazione, ma uno specifico divieto di acquisizione probatoria.
Cass. pen. n. 40381/2006
Il giudice d’appello, che facendo applicazione del cosiddetto criterio di resistenza ritiene di poter prescindere per la decisione dalla prova contestata, non è tenuto a dichiararne preventivamente l’inutilizzabilità.
Cass. pen. n. 21034/2004
La regola dell’inutilizzabilità contenuta nell’art. 526, comma primo bis c.p.p., secondo la quale la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, non si applica in riferimento al caso in cui il minore, parte offesa di reati sessuali, sentito nel corso dell’incidente probatorio, si sia rifiutato di rispondere alle domande, dichiarando di aver riferito i fatti ad altra persona; infatti, in tale particolare situazione, non si può ritenere che il comportamento di un minore, soprattutto se inferiore ai dieci anni, sia stato determinato da una scelta libera e cosciente e da una volontà altrettanto cosciente.
Cass. pen. n. 37119/2002
La regola contenuta nell’art. 526 comma 1 bis c.p.p., secondo cui la colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore, non opera nel caso in cui l’utilizzazione delle dichiarazioni rese nelle indagini preliminari avvenga in forza dell’art. 512 c.p.p., per irreperibilità del teste [la Corte ha specificato come una diversa interpretazione, che identificasse la volontarietà di sottrazione all’esame dibattimentale con la mera irreperibilità del teste, condurrebbe ad una sostanziale e generale disapplicazione dell’art. 512 c.p.p., che disciplina i casi di lettura di atti per sopravvenuta impossibilità oggettiva di ripetizione].
Cass. pen. n. 9532/2002
Ai fini della valutazione dei sufficienti indizi per l’autorizzazione all’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche nell’ambito di un procedimento per delitti di criminalità organizzata, il divieto di utilizzazione delle notizie confidenziali riferite da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, qualora gli informatori non siano stati interrogati o assunti a sommarie informazioni durante le indagini preliminari come previsto dal comma 1 bis dell’art. 203, c.p.p. [introdotto dall’art. 7 della legge 1 marzo 2001, n. 63], espressamente richiamato dall’art. 13, comma 1, D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 [come modificato dall’art. 23 della legge 1 marzo 2001, n. 63], non si applica ai procedimenti in cui l’intercettazione sia già stata disposta al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, dovendosi ritenere che in base al principio tempus regit actum, ribadito dall’art. 26 della legge citata, il discrimine per l’applicazione della normativa processuale sopravvenuta è rappresentato dal momento dell’assunzione della prova, non della sua valutazione, poiché in quel momento si produce l’effetto di introdurre nel processo un elemento di prova utilizzabile ai fini della decisione, come si evince dal coordinamento degli artt. 526 e 191 c.p.p. [La Corte, che in applicazione di tale principio ha ritenuto utilizzabili le intercettazioni disposte, prima dell’entrata in vigore della legge 1 marzo 2001, n. 63, sulla base di notizie confidenziali acquisite dalla polizia giudiziaria, ha escluso che l’applicazione retroattiva della nuova disciplina possa desumersi dall’art. 26 della legge citata, disposizione transitoria che è diretta ad assicurare la tutela delle esigenze di economia processuale e dell’affidamento dei destinatari delle norme abrogate e che, peraltro, ai commi 3 e 5, esclude espressamente la retroattività delle disposizioni attinenti al regime di utilizzabilità degli atti].
Cass. pen. n. 21379/2001
In tema di attività integrativa di indagine consentita ex art. 430 c.p.p. al pubblico ministero anche dopo la emissione del decreto che dispone il giudizio, i presupposti di natura processuale per ritenere che la documentazione possa essere inserita nel fascicolo del pubblico ministero sono: la pertinenza degli atti integrativi di indagine alla vicenda processuale, la finalizzazione di tali atti alle richieste del pubblico ministero al giudice del dibattimento, la garanzia di conoscenza e disponibilità degli atti stessi mediante il deposito in segreteria della documentazione con facoltà di prenderne visione ed estrarne copia. In tal caso le parti possono chiedere al giudice del dibattimento l’assunzione delle fonti di prova così acquisite, nel rispetto dell’art. 526 c.p.p., ed utilizzare gli atti ai fini delle contestazioni ex artt. 500 e 503 c.p.p.
Cass. pen. n. 16/2000
La sentenza impugnata, pur se formalmente viziata da inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in tanto va annullata in quanto si accerti che la prova illegittimamente acquisita ha avuto una determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento giudiziale, un peso reale sul convincimento e sul dictum del giudice di merito, nel senso che la scelta di una determinata soluzione, nella struttura argomentativa della motivazione, non sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quella prova, nonostante la presenza di altri elementi probatori di per sé ritenuti non sufficienti a giustificare identico convincimento. [Fattispecie nella quale, tra gli altri elementi a carico, era stata valutata la falsità di un alibi, rivelatasi non determinante ai fini della dichiarazione di colpevolezza].
Cass. pen. n. 4502/1998
In virtù di quanto disposto dall’art. 526 c.p.p., sono utilizzabili, ai fini della decisione, tutte le prove acquisite nel dibattimento, comprese quelle non assunte in dibattimento ma acquisite al fascicolo per il dibattimento: ed invero, la legittima acquisizione nel detto fascicolo comporta la utilizzabilità, ai fini probatori, degli atti così acquisiti. [Nella fattispecie, oggetto della contestazione era il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone cui all’art. 659 c.p., ed in dibattimento – celebrato in contumacia dell’imputato – il pretore, con il consenso del difensore e non essendo comparso il denunciante, aveva dato lettura della «querela» da cui aveva tratto prova per pronunciare sentenza di condanna. Avverso tale decisione aveva proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, deducendo la nullità della sentenza – per avere il pretore posto, quale prova a fondamento della sentenza di condanna, la sola «querela» – ed osservando che la lettura della querela «è consentita soltanto ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni di procedibilità, non potendosi ritenere valido il consenso dato dal difensore di ufficio alla lettura dell’atto». La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, in applicazione del principio di cui in massima, rilevando che, trattandosi di reato perseguibile di ufficio, l’atto in questione non poteva qualificarsi come «querela» ma doveva considerarsi una notizia di reato contenente dichiarazioni rese da persona informata dei fatti, per cui – non essendo comparso il denunziante – il pretore aveva correttamente disposto la lettura di tale atto, al cui inserimento nel fascicolo di ufficio il difensore non si era opposto, né nei termini di cui all’art. 491, comma secondo, c.p.p., né successivamente].
Cass. pen. n. 2315/1998
In tema di prove utilizzabili ai fini della decisione, le prove legittimamente acquisite in dibattimento sono legittimamente utilizzabili dal giudice in relazione ai vari thema decidenda che gli sono devoluti, senza alcuna limitazione derivante dall’astratto collegamento del mezzo di prova a una determinata imputazione o a un determinato imputato. Infatti le parti, in quanto regolarmente evocate in giudizio, sono in grado di esercitare un pieno contraddittorio sulle emergenze dibattimentali, eventualmente procedendo al controesame o richiedendo la prova contraria; facoltà, queste, che ben possono implicare, per il loro concreto e soddisfacente esercizio, la concessione di adeguati termini a difesa. [Fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto infondata la doglianza del ricorrente circa la utilizzazione a suo carico del risultato di un esame introdotto a seguito di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale richiesta in appello dal P.M., ex art. 603 c.p.p., appellante nei confronti solo di altri imputati].
Cass. pen. n. 10046/1997
In tema di prove utilizzabili ai fini della deliberazione, [art. 526 c.p.p.] la distinzione tra prove acquisite in violazione ai divieti probatori, e perciò inutilizzabili ai sensi dell’art. 191 c.p.p. e prove acquisite senza l’osservanza delle formalità previste dalle norme, e perciò affette da nullità quando sono violate le disposizioni di cui all’art. 178, lettera c], c.p.p., opera anche rispetto alle prove acquisite nel dibattimento.
Cass. pen. n. 9003/1997
In tema di acquisizione e valutazione della prova, deve escludersi l’immediata applicabilità, nel giudizio di Cassazione in corso, delle nuove regole introdotte dalla legge 7 agosto 1997 n. 267 che, nel sostituire le disposizioni processuali degli artt. 513 e 514 c.p.p., ha espressamente sancito, tra l’altro, il divieto di lettura — e, conseguentemente, di allegazione al fascicolo per il dibattimento ex art. 515 c.p.p. e di utilizzazione probatoria ai fini della deliberazione ex art. 526 c.p.p. — dei verbali contenenti le dichiarazioni rese da persona imputata in un procedimento connesso, la quale si avvalga della facoltà di non rispondere, senza l’accordo delle parti. La disciplina transitoria prevista dall’art. 6 di detta legge deve, invero, ritenersi limitata ai soli giudizi di merito, in quanto, non essendo la Corte di cassazione giudice del fatto, non esistono strutturalmente e funzionalmente spazi per l’operatività delle speciali regole di acquisizione e di valutazione della prova dichiarativa, analiticamente modellate dalla citata disciplina transitoria in riferimento alle scelte difensive delle parti ed ai correlati poteri decisori del giudice nel dibattimento di merito.
Cass. pen. n. 1327/1997
Nel caso di nuove contestazioni dibattimentali non possono essere utilizzate dal giudice quale prova della colpevolezza dell’imputato le dichiarazioni accusatorie della persona offesa della quale non sia stato disposto l’esame successivamente alla formulazione dell’accusa suppletiva. Infatti, a seguito della contestazione in udienza di un nuovo fatto-reato e della conseguente introduzione di una nuova causa petendi contro l’imputato in un procedimento già in corso per altra imputazione, la fase della istruzione dibattimentale relativa alla nuova accusa è quella che si apre successivamente alla formulazione della contestazione suppletiva, con la conseguenza che le precedenti dichiarazioni della persona offesa non possono essere considerate «legittimamente acquisite nel dibattimento», come prescritto dall’art. 526 c.p.p. in tema di prove utilizzabili ai fini della deliberazione.
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