12 Mag Art. 672 — Applicazione dell’amnistia e dell’indulto
1. Per l’applicazione dell’amnistia o dell’indulto il giudice dell’esecuzione procede a norma dell’articolo 667 comma 4.
2. Quando, in conseguenza dell’applicazione dell’amnistia o dell’indulto, occorre applicare o modificare una misura di sicurezza a norma dell’articolo 210 del codice penale, il giudice dell’esecuzione dispone la trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza.
3. Il pubblico ministero che cura l’esecuzione della sentenza di condanna può disporre provvisoriamente la liberazione del condannato detenuto ovvero la cessazione delle sanzioni sostitutive e delle misure alternative, prima che essa sia definitivamente ordinata con il provvedimento che applica l’amnistia o l’indulto [ 667 3].
4. L’amnistia e l’indulto devono essere applicati, qualora il condannato ne faccia richiesta, anche se è terminata l’esecuzione della pena.
5. L’amnistia e l’indulto condizionati hanno per effetto di sospendere l’esecuzione della sentenza o del decreto penale fino alla scadenza del termine stabilito nel decreto di concessione o, se non fu stabilito termine, fino alla scadenza del quarto mese dal giorno della pubblicazione del decreto. L’amnistia e l’indulto condizionati si applicano definitivamente se, alla scadenza del termine, è dimostrato l’adempimento delle condizioni o degli obblighi ai quali la concessione del beneficio è subordinata.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”22″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 132/2013
Il giudice dell’esecuzione quando sia richiesto dell’applicazione dell’indulto o comunque sia investito di un incidente di esecuzione ha il compito di interpretare il giudicato, al fine di verificare la sussistenza delle condizioni di legge per l’accoglimento o meno della richiesta. [In applicazione di tale principio la S.C. ha eliminato dal provvedimento di cumulo delle pene la circostanza aggravante dell’art. 7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152 la cui esclusione era desumibile dalla motivazione della sentenza di condanna].
Cass. pen. n. 41938/2009
All’errata applicazione in eccesso dell’indulto, determinata da svista o erronea interpretazione normativa del giudice della cognizione, si può porre rimedio solo attraverso tempestiva impugnazione del P.M., non in sede esecutiva con la procedura di correzione dell’errore materiale, ostandovi la preclusione del giudicato. [Fattispecie relativa a indulto applicato per intero, a norma della L. n. 241 del 2006, su pena pecuniaria di euro 12.500].
Cass. pen. n. 34367/2009
L’indulto concesso con la L. 31 luglio 2006, n. 241 si applica anche in favore del cittadino italiano che debba scontare in Italia, in seguito al rifiuto della consegna richiesta con mandato d’arresto europeo, la pena inflitta con sentenza dell’Autorità giudiziaria di uno Stato dell’Unione europea.
Cass. pen. n. 32332/2009
In tema di mandato di arresto europeo, l’indulto si applica anche al cittadino italiano la cui consegna sia stata rifiutata a norma dell’art. 18, comma primo, lett. r], della L. 22 aprile 2005, n. 69, ai fini della esecuzione nello Stato della pena. [Fattispecie in tema di indulto di cui alla L. n. 241 del 2006].
Cass. pen. n. 46246/2008
L’indulto, se estingue la pena e ne fa cessare l’espiazione, non ha però efficacia ablativa ed eliminatoria degli altri effetti scaturenti “ope legis”, quale può essere l’effetto della somma delle pene irrogate sul limite di concedibilità della sospensione dell’ordine di esecuzione delle pene detentive ai sensi dell’art. 656, comma quinto, c.p.p..
Cass. pen. n. 43055/2008
È ammissibile l’applicazione dell’indulto a pena dichiarata interamente espiata per effetto del principio di fungibilità, purché sussista un concreto interesse del condannato al conseguimento di qualche effetto favorevole [nella specie, la riparazione per ingiusta detenzione, che discende dalla illegittimità del titolo detentivo dopo l’entrata in vigore del provvedimento di clemenza ].
Cass. pen. n. 42724/2001
In tema di riabilitazione, ove sia stata condonata la pena inflitta con la sentenza in relazione alla quale il condannato chiede di essere riabilitato, il termine previsto dall’art. 179 c.p. per la concessione del beneficio decorre – atteso il carattere meramente dichiarativo del provvedimento giurisdizionale di applicazione del condono – non dalla data di tale provvedimento ma da quella di entrata in vigore del decreto di clemenza.
Cass. pen. n. 749/2000
Il provvedimento applicativo dell’indulto, emesso in sede di cognizione, in quanto condizionato ex lege, non ha carattere definitivo, potendo essere sempre revocato in executivis, pur se erroneamente emesso in presenza di una causa di revoca, a meno che non risulti che quest’ultima, nota al giudice, sia stata almeno implicitamente valutata e ritenuta inoperante. Qualora, invece, sia lo stesso giudice dell’esecuzione a dichiarare condonata la pena con provvedimento impugnabile a norma degli artt. 672, comma primo, e 667 c.p.p., la decisione assume — in forza del generale principio del ne bis in idem operante, in quanto compatibile, anche nel procedimento esecutivo — carattere di definitività e deve, quindi, ritenersi irrevocabile, essendo suscettibile di modifica solo in sede di gravame, ma non per successivo e autonomo intervento del giudice dell’esecuzione, cui la stessa questione potrebbe essere riproposta, data la natura di pronuncia «allo stato degli atti» dei provvedimenti da lui emessi, soltanto in una mutata situazione di fatto, e non sulla base di elementi preesistenti. Ne consegue che nel procedimento di esecuzione l’erronea applicazione dell’indulto in presenza di una causa di revoca, una volta definitiva, preclude l’accoglimento di una successiva istanza del pubblico ministero intesa a far valere la medesima ragione di revoca.
Cass. pen. n. 5569/1998
È illegittimo il provvedimento del giudice dell’esecuzione che de plano applichi l’amnistia, dopo aver fissato la data del commesso reato non precisata dal giudice della cognizione. E invero, in materia di applicazione dei provvedimenti di generale clemenza, il giudice dell’esecuzione ha la facoltà di provvedere de plano quando si tratti di attività di mera constatazione della rispondenza tra la fattispecie astratta di reato desumibile dal decreto e quella concreta, fissata dai termini della sentenza irrevocabile, mentre, allorché si tratti di svolgere una riconsiderazione interpretativa dei dati precostituiti nel procedimento di cognizione, è imprescindibile la procedura in contraddittorio e la conseguente necessità di fissare l’udienza in camera di consiglio. [Fattispecie in cui il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato estinto per amnistia un reato di truffa a norma del D.P.R. n. 75 del 1990, dopo avere de plano collocato il fatto in epoca antecedente al 24 ottobre 1989].
Cass. pen. n. 3961/1998
Nell’ipotesi di plurima applicazione del medesimo indulto in relazione a diverse condanne, avvenuta in sede di cognizione, la riduzione del beneficio in sede esecutiva, entro i limiti consentiti dal decreto di clemenza, è legittima quando l’applicazione dell’indulto da parte di ciascuno dei giudici di merito sia derivata da difetto di conoscenza della rispettiva attività, ma non quando l’errore abbia origine diversa o manchi qualunque elemento che faccia anche implicitamente supporre tale difetto di conoscenza: in tale ipotesi nemmeno attraverso il ridimensionamento in sede esecutiva è possibile l’eliminazione di una singola erronea applicazione dell’indulto da parte del giudice di cognizione.
Cass. pen. n. 1709/1998
A norma degli artt. 672, comma primo, e 667, comma quarto, c.p.p., contro le pronunce del giudice dell’esecuzione, in materia di amnistia ed indulto, è ammessa soltanto l’opposizione davanti allo stesso giudice; trattasi di rimedio che, pur costituendo — in considerazione delle sue particolari caratteristiche strutturali che lo distinguono nettamente da quelli disciplinati dagli artt. 593 ss. c.p.p. — una semplice rimostranza rivolta al giudice per sollecitare una revisione della sua decisione con il contributo dialettico delle parti, va assimilato ad un mezzo di impugnazione, perché mira anch’esso, in sostanza, alla eliminazione della lesione attuale di una posizione soggettiva tutelata dalla legge. In proposito può pertanto ben trovare applicazione il principio generale dettato dall’art. 568, comma quinto, c.p.p., secondo cui il nomen juris attribuito all’impugnazione non la rende per ciò stesso inammissibile e la sua presentazione ad un giudice incompetente obbliga questi a trasmettere gli atti al giudice competente. [Nella fattispecie, era stato impropriamente proposto ricorso diretto per cassazione in luogo dell’opposizione, e la Suprema Corte, in applicazione del principio di cui in massima, qualificato il ricorso come opposizione, ha trasmesso gli atti al giudice competente per la decisione].
Cass. pen. n. 2628/1998
L’indulto non opera automaticamente ma solo a seguito del provvedimento di applicazione da parte della competente autorità giudiziaria ex art. 672 c.p.p.; risponde pertanto di evasione il detenuto che si allontana dagli arresti domiciliari a seguito dell’entrata in vigore del D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394 di concessione di indulto, senza attendere il provvedimento di rimessione in libertà.
Cass. pen. n. 5159/1996
L’erronea applicazione dell’entità dell’indulto da parte del giudice della cognizione, causata dall’omesso calcolo della detenzione presofferta, non è di ostacolo, sempre che la questione non abbia formato oggetto di contestazione e di risoluzione in sede cognitiva, alla determinazione, in sede esecutiva, dell’esatta pena residua da dichiarare condonata, in quanto il giudicato si forma sull’applicabilità del beneficio, non sulla quantità dello stesso.
Cass. pen. n. 4301/1996
In tema di applicazione di benefici in sede esecutiva, l’avvenuto inserimento, nel quarto comma dell’art. 672 c.p.p., dell’espressa previsione circa l’applicabilità dell’indulto anche alla pena già espiata [previsione non contenuta nel corrispondente art. 593 dell’abrogato codice di rito], non comporta alcuna innovazione o variazione in ordine alla regolamentazione degli effetti penali della condanna, avendo con detta previsione il legislatore, in accoglimento di un suggerimento proveniente dalla Corte di cassazione e dalla procura generale presso la medesima, soltanto normativamente consacrare il già affermato principio secondo cui è possibile l’applicazione dell’indulto ad una pena già integralmente espiata, sempre che sussista, però, un concreto interesse del condannato in tal senso [come si verifica, ad esempio, nel caso che la pena condonata possa essere imputata ad espiazione di altra pena in esecuzione].
Cass. pen. n. 1319/1996
In tema di indulto, il principio secondo il quale il reato continuato va scisso nei singoli elementi che lo compongono, al fine di applicare il beneficio ai reati che vi rientrano, è stato espressamente accolto dall’art. 8, ultimo periodo, D.P.R. 16 dicembre 1986, n. 865. Pertanto, quando si verifichi la condizione risolutiva di cui all’art. 11 del suddetto decreto, il beneficio va revocato, anche se il reato che importa l’effetto revocatorio sia unito — in sede di esecuzione — dal vincolo della continuazione ai reati oggetto della sentenza di condanna che abbia fatto applicazione del beneficio e malgrado la pena determinata per l’aumento ex art. 81 cpv. c.p. sia inferiore al limite di un anno di reclusione. [Fattispecie relativa a revoca dell’indulto ex D.P.R. n. 865/1986, applicazione della disciplina del reato continuato e del provvedimento di indulto di cui al D.P.R. 22 dicembre 1990, n. 394, in sede di esecuzione. La Suprema Corte ha disatteso l’assunto del ricorrente, secondo il quale non si sarebbe dovuto far luogo alla revoca, sia perché il reato continuato va valutato unitariamente, sia perché il quantum di pena cui occorre aver riguardo a tale fine, ex art. 11 del D.P.R. n. 865/1986, non è quello originariamente inflitto, ma quello inferiore, stabilito nella specie come aumento ex art. 81 cpv. c.p.].
Cass. pen. n. 6388/1996
Nel concorso di cause estintive della pena e del reato deve avere la prevalenza, ai sensi dell’art. 183, secondo comma, c.p., la causa che estingue il reato anche se intervenuta successivamente; ne consegue che in sede di esecuzione, non è consentito al condannato, decorso il quinquennio utile per l’estinzione del reato, richiedere la revoca della sospensione condizionale e optare per l’applicazione dell’indulto e, quindi per l’estinzione della pena. Né viene in rilievo nella specie l’art. 672, quarto comma c.p.p., secondo il quale l’amnistia e l’indulto devono essere applicati, qualora il condannato lo richieda, anche se è terminata l’esecuzione della pena in quanto tale disposizione deve essere interpretata nel senso che, ai fini della possibilità di richiedere l’applicazione dell’indulto, sono ininfluenti gli eventi che riguardano la pena, ma non anche quelli, più radicali, che hanno come effetto l’estinzione del reato e dai quali discende la carenza di interesse alla applicazione del condono.
Cass. pen. n. 6593/1994
Quando all’applicazione dell’indulto non abbia provveduto il giudice della cognizione, procede a norma dell’art. 672 c.p.p. il giudice dell’esecuzione: conseguentemente il ricorso per cassazione con il quale si lamenti la mancata applicazione del condono è ammissibile solo quando il giudice di merito l’abbia erroneamente esclusa, con specifica statuizione nel dispositivo della sentenza.
Cass. pen. n. 1635/1994
Ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 672, primo comma, e 665, quarto comma, c.p.p., la competenza ad applicare l’amnistia in sede esecutiva ad una o più pene, già cumulate, scaturenti da provvedimenti emessi da giudici diversi, spetta al giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo.
Cass. pen. n. 2332/1994
Nel caso di omessa applicazione dell’indulto, non si può ritenere integrata alcuna violazione della legge penale qualora il condono non sia stato negato dal giudice di merito, ma sia stato implicitamente riservato alla sede esecutiva ogni provvedimento al riguardo. Ciò anche nei procedimenti che proseguono con le norme del codice previgente, poiché, trattandosi di materia attinente all’esecuzione del giudicato, si applica la normativa in vigore [art. 260 att. c.p.p. 1988], che riserva ogni statuizione al giudice dell’esecuzione [art. 672].
Cass. pen. n. 4648/1993
L’art. 672 c.p.p., innovando la disciplina contenuta nell’art. 593 del previgente codice, secondo cui solo il pretore poteva procedere d’ufficio, quale giudice dell’esecuzione, all’applicazione dell’amnistia o dell’indulto al condannato, ha stabilito che il giudice dell’esecuzione procede all’applicazione dei suddetti benefici a norma dell’art. 667, quarto comma, c.p.p., cioè «senza formalità», vale a dire de plano e senza necessità di formale richiesta da parte dei soggetti interessati. La disposizione citata nulla ha, invece, innovato quanto alla competenza. Va escluso, pertanto, che l’amnistia o l’indulto rientrino nella competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione e non possano essere applicati anche dal giudice della cognizione.
Cass. pen. n. 3656/1992
Il procedimento cosiddetto de plano disciplinato dall’art. 667, comma quarto, c.p.p., può essere adottato soltanto nei casi previsti dalla legge. Tra tali casi è compresa l’applicazione dell’indulto [art. 672, comma primo, c.p.p.] ma non la revoca dello stesso che, pertanto, deve essere disposta in seguito a regolare procedimento di esecuzione, da espletarsi con l’osservanza delle forme stabilite dall’art. 666 c.p.p. [Sulla scorta dell’enunciato principio la Cassazione ha annullato l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione aveva provveduto de plano alla revoca dell’indulto].
Cass. pen. n. 3150/1992
Non è applicabile la procedura de plano di cui all’art. 667, quarto comma, c.p.p., richiamato dall’art. 672, primo comma, c.p.p., ma deve osservarsi la procedura ordinaria di cui all’art. 666 c.p.p., quando l’applicazione dell’indulto presupponga la previa determinazione della pena condonabile, da effettuarsi mediante quantificazione, nella stessa sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 c.p.p., degli aumenti di pena per i singoli reati satelliti, non essendosi provveduto a detta quantificazione nella sentenza che pur aveva riconosciuto l’esistenza del vincolo della continuazione fra essi e il reato principale, infliggendo una pena unica complessiva per tutti.
Cass. pen. n. 1086/1992
L’amnistia e l’indulto possono essere applicati soltanto su richiesta del condannato, ai sensi del comma quarto dell’art. 672 c.p.p., «anche se è terminata l’esecuzione della pena», quando, cioè, non vi sia più possibilità di incidenza del beneficio sull’esecuzione della pena e permanga solo un interesse morale del condannato. In caso di esecuzione di pene concorrenti l’interpretazione dell’art. 672, comma quarto, c.p.p., non può prescindere, però, dai principi derivanti dagli artt. 657, comma secondo, e 663, comma primo, c.p.p., secondo i quali, in caso di esecuzione di pene concorrenti, la pena da espiare è quella stabilita dal P.M. dopo la determinazione di quella inflitta ed espiata, anche per i reati per i quali è stata «concessa» [quindi dal legislatore] e non «applicata» [dal giudice] il beneficio, e, quindi, quella complessiva risultante dal provvedimento di cumulo del P.M.
Cass. pen. n. 6679/1992
Il ricorso per cassazione avverso la mancata applicazione dell’indulto è ammissibile soltanto quando il giudice abbia esplicitamente escluso l’applicazione del beneficio e non anche quando abbia omesso di pronunciarsi. Fuori di tale ipotesi l’eventuale applicazione di detto beneficio va riservato al giudice dell’esecuzione.
Cass. pen. n. 412/1992
L’art. 672, primo comma, c.p.p., innovando la disciplina prevista dall’art. 593, primo e terzo comma, c.p.p. previgente — il quale prevedeva che solo il pretore poteva procedere di ufficio all’applicazione dell’amnistia e dell’indulto al condannato, mentre ai giudici dell’esecuzione diversi dal pretore l’applicazione doveva essere richiesta dal P.M. o dall’avente diritto al beneficio — prevede ora, anche nel testo sostituito dall’art. 29, D.L.G. 14 gennaio 1991, n. 12, l’applicazione dell’amnistia e dell’indulto da parte del giudice dell’esecuzione «senza formalità» e, quindi, senza necessità di formale richiesta da parte dei soggetti interessati. Solo nel caso in cui l’esecuzione della pena sia terminata è necessaria, ai sensi del quarto comma del suddetto art. 672, la richiesta del condannato, ciò che è conseguenza dell’interesse meramente morale ad ottenere il beneficio e quindi dell’assenza di una qualsiasi concreta incidenza sulla esecuzione della pena.
Cass. pen. n. 1534/1992
L’eventuale ineseguibilità, in concreto, anche per l’intervento di cause estintive della pena, di uno dei provvedimenti presi in esame ai fini del cumulo — fosse anche quello divenuto per ultimo irrevocabile — non incide sull’attribuzione della competenza giacchè in vista della determinazione, necessariamente unitaria, della posizione esecutiva di un determinato soggetto, occorre comunque prendere in esame tutte le condanne dallo stesso riportate e i provvedimenti che ab origine si presentino come potenzialmente suscettibili di esecuzione, dovendosi verificare se si debbano applicare o revocare benefici o se vi sia luogo a riconoscimento di fungibilità, sicchè deve ritenersi che l’esecuzione concerna certamente anche tali pronuncie, quale che sia poi la loro possibile, effettiva attuazione. Ne consegue che giudice competente a provvedere sull’applicazione di amnistia o indulto in favore di soggetto raggiunto da più condanne emesse da giudici diversi, deve essere sempre il giudice che ha emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo, ancorchè questo sia stato già eseguito o non venga richiamato nella richiesta di estinzione del reato o della pena e anche quando tale richiesta sia riferita a una sola condanna non ancora coinvolta in cumulo, giacchè questo va comunque eseguito, se non formalmente, almeno come indispensabile presupposto del procedimento logico-giuridico.
Cass. pen. n. 2/1992
La partecipazione all’udienza camerale, fissata ai sensi degli artt. 666 e 672 c.p.p., di un vice procuratore onorario delegato dal procuratore della Repubblica presso la pretura, ancorché non consentita dall’art. 72 R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, come novellato dall’art. 22 D.P.R. 22 settembre 1988, n. 449 [ordinamento giudiziario], non costituisce causa di nullità assoluta e insanabile del procedimento, e pertanto la sua irritualità va eccepita prima del suo completamento
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