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Articolo 257 Codice di procedura civile — Assunzione di nuovi testimoni e rinnovazione dell’esame

Articolo 257 Codice di procedura civile — Assunzione di nuovi testimoni e rinnovazione dell’esame

Se alcuno dei testimoni si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il giudice istruttore può disporre d’ufficio che esse siano chiamate a deporre.

Il giudice può anche disporre che siano sentiti i testimoni dei quali ha ritenuto l’audizione superflua a norma dell’articolo 245 o dei quali ha consentito la rinuncia; e del pari può disporre che siano nuovamente esaminati i testimoni già interrogati, al fine di chiarire la loro deposizione o di correggere irregolarità avveratesi nel precedente esame.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 20872/2004

In materia di assunzione della prova testimoniale, qualora il giudice del merito, ai sensi dell’art. 257, primo comma, c.p.c., disponga che sia chiamata a deporre una persona alla quale si siano riferiti i testi per la conoscenza dei fatti, la citazione del teste deve avvenire a cura della parte piú diligente, interessata all’assunzione del teste, e, nel caso in cui nessuna delle parti vi provveda, l’ordinanza che dispone l’assunzione del teste può essere revocata dal giudice anche implicitamente, con il provvedimento che dichiara chiusa l’istruttoria e fissa l’udienza per la precisazione delle conclusioni.

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Cass. civ. n. 11436/2002

L’esercizio del potere di disporre la rinnovazione dell’esame dei testimoni previsto dall’art. 257 c.p.c., esercitabile anche nel corso del giudizio di appello in virtù del richiamo contenuto nell’art. 359 dello stesso codice, involge un giudizio di mera opportunità che non può formare oggetto di censura in sede di legittimità neppure sotto il profilo del difetto di motivazione.

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Cass. civ. n. 13647/2000

L’esercizio del potere di disporre la rinnovazione dell’esame dei testimoni involge un giudizio di mera opportunità che non può formare oggetto di censura in sede di legittimità in relazione ad un’asserita violazione del diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost. e neppure sotto il profilo del difetto di motivazione. (Nella specie, peraltro, il giudice d’appello, a cui era stata proposta l’istanza di rinnovazione, aveva motivato sul punto, rilevando l’inutilità di un riesame di testimoni che avevano reso deposizioni insanabilmente incongrue).

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Cass. civ. n. 536/2000

Il principio generale per cui l’onere della prova grava su colui che allega i fatti posti a fondamento della domanda o dell’eccezione, non viene meno nel caso in cui al giudice è riconosciuto di disporre d’ufficio mezzi di prova ritenuti necessari, in quanto detto potere avendo carattere discrezionale non si pone in funzione sostitutiva dell’onere predetto, con la conseguenza che il mancato esercizio dello stesso non è censurabile in sede di legittimità anche se del tutto immotivato ed anche se disattenda una specifica sollecitazione della parte interessata.

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Cass. civ. n. 5706/1997

Quando un provvedimento del giudice costituisce esplicazione di un potere discrezionale, il mancato esercizio di tale potere non integra violazione della norma che lo prevede, mentre un difetto di motivazione non è configurabile se manchi la sollecitazione della parte ad avvalersene. Pertanto la parte che non abbia rinnovato in sede di precisazione delle conclusioni la richiesta di ammettere testimoni di riferimento a norma dell’art. 257 c.p.c. non può addebitare al giudice di merito il mancato uso di tale potere, censurandone in sede di legittimità la decisione per vizio di motivazione.

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Cass. civ. n. 682/1997

L’integrazione ex officio della prova testimoniale ai sensi dell’art. 257, primo comma, c.p.c. — norma applicabile anche nel rito del lavoro in quanto coerente con l’accentuazione, propria di tale rito, della disponibilità della prova da parte del giudice, nonché compatibile col sistema di preclusioni e decadenze disposto dagli artt. 414, 416 e 437 c.p.c. — costituisce una facoltà discrezionale che il giudice può esercitare quando ritenga che, dall’escussione di altre persone, non indicate dalle parti, ma presumibilmente a conoscenza dei fatti, possa trarre elementi per la formazione del proprio convincimento. Ne consegue che la chiamata dei testimoni nel caso che ad essi altri testi si siano riferiti per la conoscenza dei fatti, costituendo esercizio di una facoltà siffatta, che presuppone un apprezzamento di merito sul coacervo delle risultanze istruttorie, è incensurabile in sede di legittimità, anche sotto il profilo del vizio di motivazione.

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Cass. civ. n. 2808/1994

L’art. 257 c.p.c., che trova applicazione anche nel rito del lavoro, consentendo, senza più specifica limitazione il riesame di ufficio di testimoni già interrogati, al fine di chiarire la loro deposizione, implica un discrezionale apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità e legittimamente esercitabile in senso affermativo anche dopo l’eventuale dichiarazione di chiusura dell’assunzione della prova, senza che ciò violi il disposto dell’art. 209 c.p.c., come si evince dal disposto degli artt. 279, n. 4 e 356, stesso codice, i quali, rispettivamente prevedendo che il collegio, con giudizio insindacabile, possa dare provvedimenti per l’ulteriore istruttoria della causa e che il giudice di appello può, entro dati limiti, ordinare la rinnovazione della prova, ugualmente presuppongono il carattere non preclusivo dell’ordinanza di chiusura dell’assunzione.

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Cass. civ. n. 2716/1994

Il principio di unità e infrazionabilità della prova, come non preclude l’escussione in appello di testimoni ritualmente indicati in primo grado e depennati dal primo giudice con la riduzione di lista sovrabbondante, così non impedisce al giudice di avvalersi delle facoltà di ordinare ex officio la chiamata a deporre dei cosiddetti testi di riferimento.

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Cass. civ. n. 622/1993

Il provvedimento di ammissione di un teste di riferimento, che costituisce esercizio di una facoltà discrezionale del giudice, è discrezionalmente revocabile, non rientrando tra i provvedimenti non revocabili di cui al terzo comma dell’art. 177 c.p.c.

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Cass. civ. n. 6515/1992

L’assunzione di testi che non siano stati preventivamente indicati in modo specifico può essere consentita soltanto nei casi previsti dall’art. 257 c.p.c., la cui enunciazione deve ritenersi tassativa, dal momento che l’obbligo della rituale individuazione è inderogabile e che la preclusione ex art. 244 ha il suo fondamento nel sistema del codice di rito civile e si inquadra nel principio, espresso dal successivo art. 245, secondo il quale il giudice provvede sulla ammissibilità delle prove proposte e sui testi da escutere con valutazione sincrona e complessiva delle istanze che tutte le parti hanno sottoposto al suo esame. Di conseguenza la parte non può pretendere di sostituire i testimoni deceduti prima dell’assunzione con altri che non siano stati da essa stessa indicati nei modi e nei termini previsti dal primo comma dell’art. 244 c.p.c.

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Cass. civ. n. 3624/1979

L’assunzione di testimoni di riferimento costituisce esercizio di una facoltà discrezionale del giudice istruttore e presuppone una valutazione insindacabile dell’opportunità di trarre elementi di convincimento dall’esame di quei testi; tale facoltà, pertanto, giustificatamente non viene esercitata quando il riferimento da parte del teste escusso sia fatto ad un soggetto non identificato, la cui conoscenza dei fatti non sia almeno implicita nel riferimento.

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Cass. civ. n. 4948/1978

Nell’ambito dei poteri riconosciuti al giudice dall’art. 257 c.p.c., che, fra l’altro, comprende quello di disporre la rinnovazione della prova testimoniale al fine di correggere irregolarità verificatesi nel precedente esame, il giudice può disporre la rinnovazione della prova delegata, che si è svolta in violazione del principio del contraddittorio per nullità della notificazione del decreto di fissazione dell’udienza per l’assunzione della prova, ordinando la rinnovazione della notificazione ex art. 291 c.p.c.

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Cass. civ. n. 2670/1978

La necessità — prevista dall’art. 257 c.p.c. (applicabile anche al giudizio di appello, ai sensi dell’art. 359 dello stesso codice) — di procedere ad ulteriore istruttoria mediante il riesame dei testi (al limitato fine di chiarire le loro deposizioni o di correggere irregolarità verificatesi nel precedente esame) è rimessa al discrezionale apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in Cassazione; in nessun caso l’esercizio del potere di ordinare la rinnovazione dell’esame dei testimoni già interrogati può consentire l’ingresso di una prova (contraria), dall’assunzione della quale la parte interessata sia decaduta.

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Cass. civ. n. 1889/1978

La rinnovazione dell’esame testimoniale dichiarato nullo non è affetta da alcuna nullità per il fatto che il verbale della deposizione rinnovata consista nella semplice ricopiatura a macchina di quello redatto nella precedente occasione, poiché tale circostanza non autorizza a ritenere che sia mancata la rinnovazione dell’atto nullo, e cioè la reale e non puramente formale escussione del teste, posto che, trattandosi di deposizione sugli stessi fatti, senza necessità di domande su nuove e diverse circostanze, la ripetuta deposizione resa dal teste, in senso sostanzialmente corrispondente a quella precedente, ben può essere documentata in quegli stessi identici termini, di cui il verbalizzante e lo stesso testimone abbiano riconosciuto l’esatta e puntuale trascrizione delle asseverazioni rese.

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Cass. civ. n. 577/1963

L’art. 257 c.p.c., pur importando un’eccezione al principio fissato dall’art. 244, secondo cui i testimoni debbono essere indicati ab initio, non deroga alle altre disposizioni relative all’espletamento della prova ed in particolare all’art. 253, primo comma. (Cass. civ., 14 luglio 1956, n. 2675). L’assunzione dei testi, che non siano stati preventivamente e specificamente indicati dalle parti, può essere consentita soltanto nei casi previsti dall’art. 257 c.p.c., la cui enunciazione deve ritenersi tassativa, cosicché la parte non può pretendere di sostituire i testimoni con altri che non siano stati da essa indicati nei modi e nei termini di cui all’art. 244 c.p.c. Tale principio vale anche riguardo alla prova per testi chiesta dalle parti e ammessa dal pretore, in quanto nessuna norma del procedimento davanti tale giudice dispone diversamente (art. 311 c.p.c.); mentre nulla ha a che fare con la prova testimoniale chiesta dalle parti (artt. 244-257 c.p.c.) la facoltà discrezionale che l’art. 317 c.p.c. concede al pretore di ammettere d’ufficio una prova per testi, poiché in tal caso è il giudice stesso che deve formulare i relativi capitoli o indicare le persone che su essi sono chiamate a deporre.

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