Art. 911 – Codice civile – Apertura di nuove sorgenti e altre opere

Chi vuole aprire sorgenti, stabilire capi o aste di fonte e in genere eseguire opere per estrarre acque dal sottosuolo o costruire canali o acquedotti, oppure scavarne, profondarne o allargarne il letto, aumentarne o diminuirne il pendio o variarne la forma, deve, oltre le distanze stabilite nell'articolo 891, osservare le maggiori distanze ed eseguire le opere che siano necessarie per non recare pregiudizio ai fondi altrui, sorgenti, capi o aste di fonte, canali o acquedotti preesistenti e destinati all'irrigazione dei terreni o agli usi domestici o industriali.

Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 9398/2019

Chi esegue opere per estrarre acque dal sottosuolo, oltre a rispettare la distanza di cui all'art. 889 c.c., deve osservare anche l'art. 911 c.c., diretto a tutelare il proprietario del fondo che già usi delle acque (non pubbliche) di falda, accordando protezione all'utilizzazione cronologicamente prioritaria che questi ne abbia fatto, mediante il divieto, imposto al proprietario del fondo vicino, di eseguire opere che determinino l'emungimento o la recisione della vena acquifera oggetto dello sfruttamento già in atto. Pertanto, l'opera del vicino può essere consentita solo allorché, pur insistendo sulla stessa vena, non rechi nocumento al precedente utente, ossia in quanto, per l'abbondanza dell'acqua di falda rispetto all'utilizzazione fattane dal medesimo, non arrechi pericolo di limitarla o di comprometterla. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che la disciplina convenzionale con la quale i danti causa delle parti avevano regolamentato le modalità di utilizzo turnario dell'acqua di un pozzo a fini irrigui, contribuisse a comprovare il giudizio di contrarietà al disposto dell'art. 911 c.c. della condotta posta in essere da una di esse, consistita nella creazione di un altro pozzo che attingeva acqua dalla medesima sorgente, consentendole un prelievo di acqua eccedente rispetto a quanto, in proporzione, le sarebbe spettato in base all'originaria convenzione).

Cass. civ. n. 6928/1995

Chi esegue opere per estrarre acque dal sottosuolo, oltre a rispettare la distanza di cui all'art. 889 c.c., deve osservare il dettato della norma di cui all'art. 911 c.c., la quale è diretta a tutelare il proprietario del fondo che già usi delle acque (non pubbliche) di falda, accordando protezione all'utilizzazione cronologicamente prioritaria che quello ne abbia fatto, mediante il divieto, imposto al proprietario del fondo vicino, di eseguire opere che determinino l'emungimento o la recisione della vena acquifera oggetto dello sfruttamento già in atto. Pertanto, l'opera del vicino può essere consentita solo allorché, pur insistendo sulla stessa vena, non rechi nocumento al precedente utente, ossia in quanto, per l'abbondanza dell'acqua di falda rispetto all'utilizzazione fattane dal medesimo, non arrechi pericolo di limitarla o di comprometterla.

Cass. civ. n. 10401/1994

L'apertura di sorgenti, quale legittima esplicazione del diritto di proprietà, deve essere effettuata non solo con il rispetto delle distanze indicate dall'art. 891 c.c., ma anche con l'osservanza delle maggiori distanze e con l'esecuzione delle opere necessarie per evitare il pregiudizio ai fondi e sorgenti altrui (art. 911 c.c.), con la conseguenza che, nel caso di dolosa o colposa inosservanza di queste maggiori distanze e cautele, il proprietario che ha eseguito le opere assume la responsabilità (extracontrattuale) dei danni arrecati (ai sensi dell'art. 2043 c.c.) e non il mero obbligo di pagamento dell'indennizzo previsto dall'art. 912 c.c., che si riferisce alle estrazioni ed utilizzazioni dell'acqua legittimamente eseguite nell'esercizio del diritto di proprietà e non ha, quindi, natura risarcitoria ma solo funzione di corrispettivo da liquidare con criteri equitativi in modo da compensare gli opposti interessi.