14 Mag Cassazione civile Sez. II sentenza n. 6928 del 19 giugno 1995
Testo massima n. 1
Chi esegue opere per estrarre acque dal sottosuolo, oltre a rispettare la distanza di cui all’art. 889 c.c., deve osservare il dettato della norma di cui all’art. 911 c.c., la quale è diretta a tutelare il proprietario del fondo che già usi delle acque [ non pubbliche ] di falda, accordando protezione all’utilizzazione cronologicamente prioritaria che quello ne abbia fatto, mediante il divieto, imposto al proprietario del fondo vicino, di eseguire opere che determinino l’emungimento o la recisione della vena acquifera oggetto dello sfruttamento già in atto. Pertanto, l’opera del vicino può essere consentita solo allorché, pur insistendo sulla stessa vena, non rechi nocumento al precedente utente, ossia in quanto, per l’abbondanza dell’acqua di falda rispetto all’utilizzazione fattane dal medesimo, non arrechi pericolo di limitarla o di comprometterla.
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Testo massima n. 2
Le disposizioni di cui agli artt. 889 e 891 c.c. si riferiscono a fattispecie del tutto diverse tra loro, in considerazione della specificità sia della natura delle opere in esse rispettivamente previste, sia dalla ratio cui ciascuna è informata. Infatti, la prescrizione di cui all’art. 889 c.c. [ distanze per pozzi, cisterne, fossi e tubi ] mira ad evitare il pericolo di infiltrazioni a danno del fondo del vicino [ nei cui confronti prevede una presunzione assoluta di danni ], allorché le opere in essa indicate siano eseguite a distanza inferiore di due metri dal confine, mentre la norma di cui all’art. 891 c.c. [ distanze tra canali, i fossi ed il confine ] è ispirata all’esigenza di scongiurare il pericolo di franamento che tali opere possono cagionare nei confronti del fondo del vicino.
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