Art. 2504 – Codice civile – Atto di fusione
La fusione deve risultare da atto pubblico [2328, 2498, 2499, 2500, 2500 bis, 2500 ter, 2500 quater, 2500 quinquies, 2500 sexies, 2500 septies, 2500 octies, 2699].
L'atto di fusione deve essere depositato per l'iscrizione, a cura del notaio o dei soggetti cui compete l'amministrazione della società risultante dalla fusione o di quella incorporante, entro trenta giorni, nell'ufficio del registro delle imprese dei luoghi ove è posta la sede delle società partecipanti alla fusione, di quella che ne risulta o della società incorporante.
Il deposito relativo alla società risultante dalla fusione o di quella incorporante non può precedere quelli relativi alle altre società partecipanti alla fusione.
Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate
Cass. civ. n. 12128/2023
Gli effetti giuridici della fusione o dell'incorporazione si producono dal momento dell'adempimento delle formalità pubblicitarie concernenti il deposito, per l'iscrizione nel registro delle imprese, dell'atto di fusione; ne consegue che - ai fini del riconoscimento della legittimazione all'impugnazione della società incorporante o risultante dalla fusione, in qualità di successore della società soccombente nel grado precedente - è necessaria la prova del predetto adempimento.
Cass. civ. n. 32142/2019
La fusione per incorporazione non determina l'estinzione della società incorporata, né crea un nuovo soggetto di diritto, ma attua l'unificazione mediante l'integrazione reciproca delle società partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identità, pur in un nuovo assetto organizzativo; conseguentemente, l'attribuzione alla società incorporata della qualifica di responsabile dell'inquinamento giustifica la condanna della società incorporante alla rifusione delle spese di bonifica del sito inquinato.
Cass. civ. n. 721/2007
In tema di IVA, la società incorporante può computare in detrazione nella dichiarazione annuale l'imposta dichiarata in eccedenza dalla società incorporata con la dichiarazione presentata per l'anno precedente, considerata la possibilità di far risalire gli effetti contabili dell'operazione, anche in materia tributaria, ad una data precedente il compimento delle formalità pubblicitarie del negozio di fusione, tanto più che nel caso dell'IVA, da una parte l'art. 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, prevede la comunicazione al fisco (avvenuta, nella specie) di tale variazione, dall'altra la società incorporata, essendo in tal modo cessata, avrebbe avuto diritto di chiedere il rimborso del credito dell'imposta, ai sensi del precedente art. 30, secondo comma. Deve pertanto escludersi che, in mancanza di contestazione del credito, l'amministrazione finanziaria possa legittimamente disconoscerne la detraibilità - o, eventualmente, rifiutarne il rimborso - per il solo fatto di non essere state ancora adempiute le formalità prescritte dall'art. 2504 cod. civ., nel testo, applicabile "ratione temporis", vigente anteriormente alle modifiche recate dal d.lgs 15 gennaio 1991, n. 22, in quanto alcuni effetti dell'atto di fusione societaria, a valenza interna o contabile, ovvero in materia di imposte sui redditi, come quello previsto dall'art. 123, settimo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 - esclusi quelli di carattere sostanziale, inquadrabili nello schema successorio -, prima dell'introduzione, disposta anch'essa dal detto d.lgs. n. 22 del 1991, dell'art. 2504-bis cod civ. (secondo comma: "la fusione ha effetto quando è stata eseguita l'ultima delle iscrizioni prescritte dall'art. 2504"), erano ritenuti possibili ancorché la fusione, in attesa del compimento delle debite formalità pubblicitarie, peraltro di natura costitutiva, non fosse ancora divenuta pienamente efficace "erga omnes" (fattispecie di fusione, avvenuta con atto del 31 dicembre 1990, portata a conoscenza dell'ufficio finanziario il successivo 12 gennaio, anteriormente alla dichiarazione IVA per il 1990 della società incorporante, presentata il 4 marzo 1991, nella quale veniva iscritto, deducendolo contabilmente dal proprio debito fiscale, il credito IVA della società incorporata, da questa esposto nella dichiarazione IVA per l'anno 1989). (Cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Roma, 26 Gennaio 2000).
Cass. civ. n. 22774/2006
In tema di IVA, e con riferimento all'ipotesi di fusione per incorporazione avvenuta nel corso dell'anno, l'esposizione di un credito d'imposta della società incorporata nella dichiarazione annuale della stessa, anziché in quella della società incorporante, non traducendosi in una riduzione della base imponibile, costituisce una violazione di carattere meramente formale, al pari dell'omissione della comunicazione prescritta dall'art. 35 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633: la mancata esposizione di un credito d'imposta nella dichiarazione annuale non comporta infatti la decadenza dal relativo diritto, che può essere fatto valere sia computando in detrazione il corrispondente importo nell'anno successivo, sia proponendo istanza di rimborso, a condizione che il credito emerga dalle scritture contabili. Le predette violazioni sono pertanto suscettibili di sanatoria ai sensi dell'art. 19 bis del decreto-legge 23 febbraio 1995, n. 41, convertito con modificazioni dalla legge 22 marzo 1995, n. 85, soprattutto quando (come nella specie) l'erronea attribuzione abbia avuto luogo in una situazione d'incertezza determinata dall'assenza di idonee istruzioni da parte dell'Amministrazione finanziaria. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Firenze, 29 Novembre 2000).
Cass. civ. n. 15133/2006
In tema di agevolazioni tributarie e con riguardo all'esenzione decennale dalle imposte dirette prevista a favore delle imprese artigiane e industriali operanti nelle zone depresse del centro-nord dall'art. 8 della legge 22 luglio 1966, n. 614, ed estesa all'ILOR dall'art. 30 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, fruisce dell'agevolazione, in base alle previsioni del citato art. 8, solo quella parte del reddito dell'impresa che sia prodotto o attraverso una iniziativa produttiva integralmente nuova, ovvero attraverso l'aggiunta di nuovi impianti produttivi ai preesistenti. Tale criterio trova applicazione anche nel caso di fusione di società, dovendo in tale ipotesi essere valutata, ai fini dell'attribuzione del beneficio, l'operazione realizzata attraverso la fusione nei suoi termini economici: con la conseguenza che qualora una società, la quale abbia impiantato una nuova iniziativa, conseguendo per essa l'agevolazione, incorpori altra società, titolare di un impianto preesistente, in relazione al quale l'incorporata abbia già fruito dell'esenzione per un decennio, e non possa pertanto più fruirne, deve escludersi che la società incorporante possa conseguire il beneficio dell'integrale esenzione dall'imposta, anche per la parte del reddito imputabile all'apporto dell'incorporata. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Trento, 10 Marzo 2000).
Cass. civ. n. 15116/2006
In tema di imposte sui redditi d'impresa e con riguardo alla fusione per incorporazione di una società di capitali, le cui azioni o quote siano possedute dall'incorporante, quest'ultima, annullando le azioni o quote medesime, ha facoltà di recuperare contabilmente il maggior costo di esse rispetto al minor valore "di libro" del patrimonio netto dell'incorporata, ove la relativa divergenza dipenda dalla valutazione delle rimanenze finali dell'incorporata stessa, iscrivendo nel passivo di bilancio (o del conto economico) una corrispondente posta di rivalutazione delle rimanenze iniziali, senza con ciò incorrere in un incremento del reddito imponibile, ai sensi e nel vigore dell'art. 123, secondo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo risultante dall'art. 7della legge 11 marzo 1988, n. 67. Ciò comporta l'indistinguibilità fra beni strumentali e beni merce al fine della determinazione del reddito imponibile, nell'ipotesi di fusione per incorporazione di una società di capitali interamente posseduta dalla società incorporante. (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 9 Luglio 1999).
Cass. civ. n. 12308/2006
In tema di imposte sui redditi d'impresa, l'art. 54 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che occupandosi delle plusvalenze patrimoniali, ove realizzate od iscritte nella contabilità, considera tanto le plusvalenze dei beni relativi all'impresa quanto le plusvalenze delle aziende, comprendendovi espressamente il valore di avviamento, recepisce un concetto di plusvalenza patrimoniale così ampio da consentire di considerare tale anche il "know-how", quale plusvalenza riferibile all'azienda, benché non espressamente richiamato, risolvendosi l'uno e l'altro - l'avviamento ed il "know-how" - in un diverso e maggior valore del complesso produttivo, rispetto alla somma dei valori dei cespiti che lo compongono, così da meritare l'inclusione nella categoria delle plusvalenze in linea di principio tassabili, ove la ricchezza aggiunta da ciascuno di quei valori si traduca in reddito. Ne consegue, con riferimento alla fusione per incorporazione di una società di capitali implicante l'annullamento delle azioni o quote detenute dalla società incorporante, che la "ratio" della deroga prevista alla computabilità nell'imponibile delle plusvalenze iscritte in bilancio, prevista dall'art. 123, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 917 del 1986, nel testo fissato con decorrenza 1 gennaio 1988 dall'art. 7 della legge 11 marzo 1988, n. 67 - il quale stabilisce che non si tiene conto delle plusvalenze iscritte in bilancio sino a concorrenza della differenza tra il costo delle azioni o quote annullate ed il valore netto del patrimonio della società incorporata risultante dalle scritture contabili -, non è limitata al caso dell'imputazione del disavanzo di fusione a plusvalenza di determinati beni, ma comprende la possibilità di iscrivere il disavanzo stesso a titolo di "know-how", oltre che di avviamento, risultando tale "ratio" valida anche per il primo, non diversamente che per il secondo. Anche per l'iscrizione in bilancio di una distinta posta avente ad oggetto il "know-how", a copertura del disavanzo risultante dalla fusione, vale infatti il rilievo che l'operazione contabile suddetta non rivela, in realtà, alcun incremento di ricchezza, essendo quel bene già prima della fusione di pertinenza della società incorporante, per effetto della sua partecipazione nell'incorporata. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Milano, 2 Novembre 1999)
Cass. civ. n. 6204/2006
In tema di imposte sui redditi d'impresa, con riguardo alla fusione per incorporazione di una società di capitali e, specificamente, alla computabilità a titolo di aumento del costo della partecipazione nella società incorporata dell'importo del prestito obbligazionario in favore della stessa sottoscritto dalla società incorporante, secondo la disciplina dell'art. 2420 bis cod. civ. (nel testo applicabile "ratione temporis"), all'atto della delibera di azioni convertibili, la società deve contestualmente deliberare l'aumento del capitale sociale per un importo corrispondente al valore nominale delle azioni da attribuire in conversione, secondo un rapporto di cambio all'uopo espressamente stabilito. Tale delibera - a differenza della ipotesi dell'ordinario aumento di capitale mediante emissione di nuove azioni a pagamento, ex art. 2438 cod. civ. - implica una proposta irrevocabile della società per la stipula del contratto di sottoscrizione delle nuove azioni, rispetto alla quale la richiesta dell'obbligazionista di conversione delle obbligazioni in azioni assume la funzione di accettazione della proposta stessa, determinando la immediata conclusione del contratto e, con essa, l'effetto costitutivo del rapporto sociale oggetto del patto di conversione. Ne consegue che ove, al momento della estinzione della società emittente le obbligazioni, la conversione in azioni, in favore della società incorporante, si sia già perfezionata - come nel caso di specie -, deve ritenersene legittima l'imputazione ad incremento del costo della partecipazione della società incorporante in quella incorporata, contribuendo in tal modo a determinare il disavanzo di fusione nella misura indicata nelle scritture contabili. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 26 Maggio 1999)
Cass. civ. n. 8448/2004
La disposizione di cui all'art. 10, comma quinto del D.L. n. 323 del 1996, convertito in legge n. 425 del 1996, la quale ha previsto l'assoggettamento all'imposta fissa di registro di tutte le operazioni di fusione societaria, non può essere considerata quale una norma interpretativa, e quindi è stata priva di efficacia retroattiva.
La direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 69/335/CEE, come modificata dalle direttive del Consiglio 9 aprile 1973, n. 73/80 CEE e 10 giugno 1985, 85/303/CEE, non osta alla riscossione della imposta proporzionale di registro in base alla Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 in caso di incorporazione di società ad opera di altra società che detiene la totalità delle azioni o delle quote della società incorporata, non potendo tale operazione inquadrarsi nella fattispecie dei conferimenti dell'intero patrimonio societario in altra società di capitali remunerati esclusivamente mediante attribuzione di quote sociali, disciplinata dalla direttiva, essendo già tutte le quote od azioni appartenenti all'incorporante (conf. Corte di Giustizia della CEE, sez. VI, 27 ottobre 1998 n. 152); nè, d'altra parte, la fusione mediante incorporazione in una società che possiede l'intera partecipazione della società incorporata può ritenersi modifica statutaria o dell'atto costitutivo, come tale non assoggettabile all'imposta di registro ai sensi dell'art. 4, III paragrafo della direttiva 69/335/CEE atteso che nel nostro ordinamento l'incorporazione di società interamente possedute hanno natura e disciplina diversa dalle modificazioni dell'atto costitutivo (per le prime, ai sensi dell'art. 2504-quinquies cod. civ., e per le seconde, a norma degli artt. 2494 e segg. cod. civ.).
Cass. civ. n. 50/2004
In tema di fusione di società, gli effetti della fusione decorrono, ai sensi dell'art. 2504-bis, secondo comma, c.c., dall'ultima delle iscrizioni nell'Ufficio del registro delle imprese, prescritte dall'art. 2504 c.c., consistendo la pubblicazione per estratto nella Gazzetta Ufficiale, prevista dal terzo comma del medesimo art. 2504 c.c. - comma abrogato dall'art. 30 della legge 24 novembre 2000, n. 340, ma applicabile alla fattispecie "ratione temporis" -, in un adempimento pubblicitario avente efficacia nell'ambito dell'opponibilità ai terzi. Pertanto, a partire dall'ultima iscrizione la società risultante dalla fusione assume tutti i diritti e gli obblighi di quella che si estingue, con la conseguenza che è inammissibile, in quanto proveniente non dal soggetto legittimato, ma da soggetto inesistente, l'impugnazione proposta, da società incorporata, dopo il perfezionamento (mediante l'esecuzione delle suddette iscrizioni) dell'incorporazione.
La soggezione al termine breve d'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c., decorrente dalla data di notificazione della prima impugnazione, inammissibile o improcedibile, opera nel solo caso di riproposizione (finché consentita) dell'impugnazione da parte dell'originario impugnante (atteso che la detta notificazione, ai fini della conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante, è equipollente alla notificazione della sentenza medesima), mentre l'applicabilità del suddetto termine breve va esclusa nel caso di proposizione di una successiva impugnazione da parte di soggetto diverso, ancorché succeduto al primo nella titolarità di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi, come avviene nel caso di fusione di società per incorporazione. Né è idoneo a far decorrere il termine breve per l'impugnazione il deposito, nell'originario giudizio, di atto di intervento, atteso che, a detto fine, la notificazione della sentenza non ammette equipollenti, salvo quello sopra indicato. (Nella fattispecie, la Suprema Corte, in applicazione degli enunciati principi, ha rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello, che aveva ritenuto ammissibile l'appello proposto da una società incorporante, nonostante che la proposizione fosse avvenuta oltre il decorso del termine breve sia dalla precedente impugnazione da parte dell'incorporata - inammissibile perché proveniente da società già estinta -, sia dal deposito di atto di intervento effettuato dalla stessa incorporante nel giudizio di appello originariamente instaurato dall'incorporata).