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Art. 1326 — Conclusione del contratto

Art. 1326 — Conclusione del contratto

Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte [ 1328, 1333, 1335 ].

L’accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o secondo gli usi [ 1328 2 ].

Il proponente può ritenere efficace l’accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all’altra parte [ 1175 ].

Qualora il proponente richieda per l’accettazione una forma determinata, l’accettazione non ha effetto se è data in forma diversa [ 1352 ].

Un’accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 13033/2018

In tema di conclusione del contratto, la norma di cui al Quarto comma dell’art. 1326 c.c. – secondo cui, quando nella proposta viene richiesta una forma determinata per l’accettazione, questa non ha effetto se prestata in forma diversa – è posta nell’esclusivo interesse del proponente, per le esigenze di certezza e di agevolazione della prova di cui lo stesso ha necessità o da cui trae utilità. Ne consegue che il medesimo proponente può rinunciare al rispetto di detta forma, ritenendo sufficiente un’adesione manifestata in modo diverso, con l’ulteriore conseguenza che il difetto di forma non può essere invocato dalla controparte per contestare il perfezionamento del contratto. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto tacitamente e validamente concluso un contratto, alle condizioni del proponente, mediante l’esecuzione della prestazione rappresentata dall’invio della merce richiesta).

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Cass. civ. n. 10533/2014

In tema di formazione del contratto, l’accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell’altro. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, si è ritenuto che il silenzio di un istituto di credito, seguito ad una proposta transattiva formulata da un correntista mediante una missiva, non avesse i caratteri di accettazione della proposta, di cui agli artt. 1326, primo comma, e 1335 cod. civ.).

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Cass. civ. n. 15856/2012

La proposta di concludere un contratto, costituendo un atto giuridico di natura negoziale diretto a provocare l’accettazione da parte del destinatario, deve contenere la completa formulazione del regolamento negoziale, attraverso la predisposizione di corrispettivi vincolanti ai fini dell’esecuzione delle prestazioni, in modo tale da richiedere la pura e semplice accettazione dell’altro contraente, senza ulteriori integrazioni. Ne consegue che non può essere qualificata come proposta in senso tecnico-giuridico la mera richiesta di esecuzione della prestazione, ancorché comprensiva di indicazioni relative alle condizioni economiche del futuro contratto.

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Cass. civ. n. 15510/2011

La proposta di concludere un contratto, costituendo un atto giuridico di natura negoziale diretto a provocarne l’accettazione da parte del destinatario, presuppone la volontà del proponente di impegnarsi contrattualmente; detta volontà – che vale a distinguere la proposta dalla semplice manifestazione della disponibilità a trattare – mentre è di norma implicitamente desumibile dal fatto che il proponente abbia indirizzato al destinatario un atto che abbia un contenuto idoneo ad essere assunto come contenuto del contratto, deve, invece, essere concretamente accertata ove la proposta sia pervenuta al destinatario tramite un terzo, in particolare dovendosi verificare se la trasmissione dell’atto sia avvenuta ad iniziativa di chi ha formato il documento ovvero del terzo, all’insaputa di quello.

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Cass. civ. n. 15964/2009

In tema di contratti, affinché sia configurabile una proposta – idonea a determinare, nel concorso dell’adesione del destinatario, la conclusione di un valido contratto – occorre che la dichiarazione del proponente sia completa, nel senso di contenere tutti gli elementi del futuro contratto, e che, inoltre, non sia accompagnata da riserve sul suo carattere attualmente impegnativo, perché la dichiarazione che non manifesti una decisione, ma sia rivolta al destinatario solo per impostare una trattativa o per esprimere una disponibilità dell’autore senza la volontà di esporsi al vincolo contrattuale se non dopo ulteriori passaggi valutativi, non conferisce al destinatario stesso il potere di determinare, con l’accettazione, l’effetto conclusivo del contratto.

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Cass. civ. n. 9972/2008

In tema di dismissione del patrimonio immobiliare da parte degli enti pubblici, la denuntiatio praelationis che il locatore effettua, ai sensi dell’art. 3, comma 109, della legge n. 662 del 1996, non integra una proposta contrattuale ma un atto dovuto di interpello e la dichiarazione del conduttore di esercizio del diritto di prelazione non costituisce accettazione della proposta e non comporta l’immediato acquisto dell’immobile ma determina solo l’insorgenza dell’obbligo, a carico di entrambe le parti, di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di tutela ex art. 2932 c.c. (Nella specie, la S.C. alla luce degli accertamenti compiuti dai giudici di merito e della documentazione prodotta da cui risultava che da data anteriore al gennaio 1997 l’INA aveva compiuto atti concreti dai quali poteva desumersi una manifestazione della volontà di dismettere, anche frazionatamente, l’immobile, di cui faceva parte l’appartamento condotto in locazione dal ricorrente ha cassato la sentenza impugnata con cui era stata esclusa l’operatività della legge citata sul presupposto della mancanza di manifestazione di volontà dismissiva da parte dell’ente proprietario-locatore).

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Cass. civ. n. 14267/2006

Ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l’intesa solamente su quelli essenziali ed ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa ad un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori. Pertanto, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell’attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in cassazione ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici.

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Cass. civ. n. 9039/2006

In tema di conclusione del contratto, qualora, con la proposta formulata in un documento, la parte, indicando gli elementi essenziali del negozio, abbia manifestato la volontà di concludere il contratto alle condizioni ivi stabilite, la sottoscrizione del documento apposta dalla controparte senza alcuna modifica o integrazione, essendo espressione della volontà di aderire alla proposta, vale come accettazione.

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Cass. civ. n. 21692/2005

In tema di concorso del totocalcio, mentre la partecipazione al concorso pronostici effettuata direttamente presso un ufficio del C.O.N.I. comporta l’immediata conclusione del contratto nel momento in cui la scheda viene accettata dall’ufficio, non altrettanto avviene se la partecipazione è effettuata presso un ricevitore autorizzato, il quale non rappresenta il C.O.N.I. né gli altri concorrenti, ma è un incaricato dello stesso giocatore, che non può concludere un contratto con sé stesso. Il contratto, in tale ipotesi, si conclude, a norma dell’art. 1326 c.c. nel momento in cui l’ente (proponente) riceve i due tagliandi (spoglio e matrice) della scheda di partecipazione, venendo così a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte. Pertanto per qualsiasi evenienza dolosa o colposa imputabile al ricevitore, non si può configurare una responsabilità del C.O.N.I. né contrattuale (essendo mancata la conclusione del contratto), né aquiliana ex art. 2049 c.c., essendo il gestore un mandatario a titolo oneroso dello scommettitore, senza che sussista tra ente gestore e ricevitori autorizzati un rapporto di preposizione ai sensi della norma suindicata. (Nella specie, la matrice non era stata ritrovata tra quelle custodite ex art 7 del regolamento e il giocatore, pur in caso di rilevata difformità, non aveva chiesto l’annullo della scheda convalidata ex art. 6 Reg.).

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Cass. civ. n. 13385/2005

Per l’esistenza del contratto con la P.A. è essenziale che la manifestazione della volontà dell’ente, in forma scritta, emani dall’organo autorizzato a rappresentarlo, sì che la conclusione del contratto non può desumersi da atti provenienti da organi preposti ad altri servizi, ma aventi contenuto e finalità diversi, o da fatti concludenti. Ne consegue che in mancanza del contratto, che è il fatto costitutivo del rapporto giuridico, l’azione contrattuale non esiste e quindi la P.A. può esperire l’azione di indebito arricchimento senza che sia necessario accertare in via principale l’inesistenza del fatto costitutivo, potendo tale questione pregiudiziale esser accertata incidenter tantum dal giudice adito con detta azione: (Nella specie, relativa a un contratto verbale di locazione di un immobile stipulato da un Comune con un privato che per venti anni aveva detenuto il bene senza versare alcun corrispettivo, la Corte Cass. ha cassato la sentenza di appello che aveva negato l’esperibilità dell’azione sussidiaria di indebito arricchimento, ritenendo che era onere della parte dedurre preventivamente l’invalidità formale del contratto).

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Cass. civ. n. 13628/2001

Ai fini della conclusione del contratto d’opera professionale, che, quando ne sia parte la pubblica amministrazione, anche se questa agisca iure privatorum, richiede la forma scritta ad substantiam, è irrilevante l’esistenza di una deliberazione dell’organo collegiale di un ente pubblico (nella specie, Comune) che abbia autorizzato il conferimento dell’incarico al professionista, ove tale deliberazione non risulti essersi tradotta in atto contrattuale, sottoscritto dal rappresentante esterno dell’ente stesso e dal professionista. Detta deliberazione non costituisce una proposta contrattuale nei confronti del professionista, ma un atto con efficacia interna all’ente pubblico, avente per destinatario il diverso organo dell’ente legittimato ad esprimere la volontà all’esterno e carattere meramente autorizzatorio. Inoltre, trattandosi di atto nullo non è suscettibile di alcuna forma di sanatoria, sotto nessun profilo, poiché gli atti negoziali della pubblica amministrazione sono manifestazioni formali di volontà, non surrogabili con comportamenti concludenti, quali la ricezione dell’elaborato progettuale e l’eventuale utilizzazione dello stesso.

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Cass. civ. n. 7094/2001

Allorché una parte rivolga all’altra un’offerta precisa e particolareggiata di conclusione di un determinato contratto, completa di tutti gli elementi essenziali, deve ravvisarsi una vera e propria proposta contrattuale e non una semplice dichiarazione generica di disponibilità, cosicché l’altra parte può esprimere la sua accettazione con il semplice consenso senza bisogno di ulteriori trattative.

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Cass. civ. n. 15197/2000

I requisiti di validità dei contratti posti in essere dalla P.A. anche iure privatorum attengono essenzialmente alla manifestazione della volontà ed alla forma: la prima deve provenire dall’organo al quale è attribuitala legale rappresentanza (previe eventuali delibere di altri organi), mentre la forma deve essere a pena di nullità, scritta, al fine precipuo di consentire controlli cui l’azione amministrativa è sempre soggetta. Pertanto, ove fa difetto sia una manifestazione della volontà dell’ente pubblico, proveniente dall’organo al quale dalla legge è attribuita la legale rappresentanza dell’ente stesso, previe le eventuali delibere di altri organi, nonché la forma scritta ad substantiam, non si è in presenza di un contratto, ancorché invalidamente concluso, ma ad un comportamento di fatto privo di rilievi di sorta sul piano giuridico mancando in radice quell’accordo tra le parti, presupposto dall’art. 1321 c.c. anche per il costituirsi di un contratto invalido e non opponibile ai terzi.

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Cass. civ. n. 14318/2000

Anche nell’impiego pubblico — così come nel lavoro privato — il bando di concorso per l’assunzione del personale o per la progressione in carriera dei dipendenti già in servizio viene a configurarsi come una proposta di contratto che, ai sensi dell’art. 1326, comma primo, c.c., diviene irrevocabile — consentendo l’incontro delle volontà e, quindi, la conclusione del contratto — nel momento in cui la P.A. proponente viene a conoscenza dell’accettazione della controparte che si realizza con il conseguimento di un risultato positivo in seguito all’espletamento delle prescritte prove. Da tale momento perfezionativo risulta applicabile, nei confronti della parte inadempiente, la disciplina propria della responsabilità contrattuale, con il relativo regime probatorio. (In base al suddetto principio la S.C., confermando l’impugnata sentenza, ha ritenuto che in una ipotesi in cui era stato accertato, con sentenza del giudice amministrativo passata in giudicato, l’obbligo del Ministero della Pubblica Istruzione di immettere in ruolo come soprannumerari con diritto al posto i partecipanti ad un concorso per maestro elementare dichiarati idonei ai sensi della legge n. 270 del 1982, incombeva al Ministero di dimostrare che il mancato adempimento di tale obbligo era derivato da causa ad esso non imputabile e non competeva, invece, ai concorrenti pretermessi di dimostrare la colpa o il dolo della P.A.).

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Cass. civ. n. 741/2000

La mera deliberazione di concludere un contratto assunta dalla P.A. attraverso il proprio organo deliberante costituisce atto interno revocabile ad nutum (inidoneo, pertanto, a dar luogo all’incontro dei consensi delle parti) qualora ad essa non faccia seguito una manifestazione di volontà negoziale ad opera dell’organo rappresentativo dell’ente.

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Cass. civ. n. 9682/1999

La volontà di obbligarsi da parte della.. P.A. (nella specie, un comune) non può implicitamente desumersi da atti o fatti concludenti, dovendo, per converso, manifestarsi nelle forme prescritte dalla legge, tra cui l’atto scritto ad substantiam (nella specie, a firma del Sindaco), rispondendo tale requisito all’esigenza di identificare con precisione il contenuto negoziale dell’atto, onde consentire, tra l’altro, l’esercizio dei necessari controlli previsti ex lege.

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Cass. civ. n. 10956/1998

La deliberazione assunta dall’organo deliberante di un ente pubblico di stipulare un contratto non ha effetti nei riguardi dei terzi in quanto semplicemente preparatoria del futuro contratto, che dovrà essere stipulato dall’organo rappresentativo, mediante sottoscrizione, unitamente alle controparti, del relativo atto scritto salvi gli eventuali controlli o approvazioni (pur non potendosi escludere la configurabilità in casi specifici di responsabilità precontrattuale dell’ente pubblico, in relazione a comportamenti idonei ad ingenerare un ragionevole affidamento nel privato interessato). (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che, in caso di interruzione di rapporto di collaborazione professionale instauratosi di fatto sulla base della sola deliberazione interna, aveva escluso il diritto dei terzi al risarcimento del danno da mancata prosecuzione del rapporto, salva l’eventuale azione di arricchimento senza causa).

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Cass. civ. n. 8328/1997

Per osservare il principio della cognizione, stabilito dal legislatore per il perfezionamento del contratto (art. 1326 c.c.), è sufficiente che il proponente conosca l’accettazione dell’altra parte in qualsiasi modo, anche mediante esibizione, e non consegna (art. 1335 c.c.), del documento che la contiene, circostanza che può esser testimonialmente provata indipendentemente dalla forma prescritta per la validità del contratto (art. 1350 c.c.).

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Cass. civ. n. 5642/1997

Per il perfezionamento dei contratti stipulati dalle amministrazioni comunali è necessaria una manifestazione documentale della volontà negoziale da parte del sindaco, organo rappresentativo abilitato a concludere, in nome e per conto dell’ente territoriale, negozi giuridici, mentre devono ritenersi, all’uopo, inidonee le deliberazioni adottate dalla giunta o dal consiglio municipale, attesane la caratteristica di atti interni, di natura meramente preparatoria della successiva manifestazione esterna di volontà negoziale. Ne consegue che un contratto non potrà dirsi legittimamente perfezionato ove la volontà di addivenire alla sua stipula non sia, nei confronti della controparte, esternata, in nome e per conto dell’ente pubblico, da quell’unico organo autorizzato a rappresentarlo.

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Cass. civ. n. 4421/1996

In tema di conclusione del contratto, dalla formulazione dell’art. 1326 codice civile si desume che la valutazione dell’interesse a determinare il momento in cui uscire dall’incertezza circa la conclusione del contratto spetta, in primo luogo, allo stesso proponente, al quale è attribuito il potere di fissare il termine, alla cui scadenza egli non ha più interesse alla conclusione di quel contratto; solo in mancanza di tale indicazione si fa ricorso ai criteri oggettivi che non tengono conto dei comportamenti delle parti. Ne consegue che, anche nel caso in cui la proposta contrattuale contenente l’indicazione del termine entro il quale l’accettazione deve pervenire al proponente sia portata a conoscenza dell’oblato nel momento stesso in cui il termine concesso va a scadere, ai fini del giudizio circa l’eventuale conclusione del contratto rileva soltanto il fatto oggettivo della tempestività o tardività dell’accettazione rispetto al termine fissato dal proponente, e non può il giudice sostituirsi alle parti per affermare l’avvenuto perfezionamento del contratto. Fermo restando che la volontaria fissazione di un termine impossibile (che di per se stesso vale a denotare l’assenza di volontà del proponente a concludere il contratto) o di un termine che non può essere rispettato per fatto imputabile a colpa del proponente medesimo costituisce comportamento contrario alla regola di buona fede e correttezza, valutabile ai fini della responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 codice civile.

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Cass. civ. n. 4400/1996

Nei contratti per i quali sia prescritta la forma scritta, a pena di nullità, l’accettazione non deve essere necessariamente manifestata in modo esplicito, ma è sufficiente che la volontà di accettare la proposta sia desumibile, per implicito, da una dichiarazione redatta per iscritto, diretta alla controparte da colui cui la proposta è indirizzata.

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Cass. civ. n. 10751/1995

L’approvazione dei contratti di diritto privato ad evidenza pubblica stipulati dalla pubblica amministrazione con i privati (nella specie, compravendita a trattativa privata di generi alimentari tra Ministero della difesa ed un’impresa produttrice) costituisce una condicio iuris sospensiva dell’efficacia del negozio che non si inserisce nel processo formativo del negozio, che è già perfetto nei suoi elementi costitutivi.

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Cass. civ. n. 4284/1995

La comunicazione che il proprietario di un immobile locato ad uso non abitativo è tenuto a fare al conduttore, a norma dell’art. 38, L. n. 392/1978, non è qualificabile come proposta contrattuale, né come informativa di intenti destinata ad avviare trattative negoziali, ma si inserisce in un particolare meccanismo predisposto da detta norma, quale atto di interpello dovuto dal proprietario, vincolato nella forma e nel contenuto, per assicurare al conduttore l’esercizio del diritto di prelazione, per modo che gli atti posti in essere dalle parti possono produrre gli effetti previsti dall’art. 38 citato solo nell’ipotesi di effettiva sussistenza del diritto di prelazione come regolamentato da detta norma. (Nella specie la sentenza di merito confermata dalla Suprema Corte aveva ritenuto insussistente il diritto di prelazione, trattandosi di vendita unitaria e non frazionata dell’intero immobile in cui era compresa la porzione locata ad uso non abitativo e che la comunicazione effettuata dal locatore per tuziorismo non poteva valere come offerta di prelazione volontaria).

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Cass. civ. n. 9710/1994

Quando l’attività di gestione di una società dotata di personalità giuridica è affidata ad un consiglio di amministrazione si verifica (a differenza del caso dell’amministratore unico) una separazione del potere deliberativo, diretto a formare la volontà dell’ente, da quello di rappresentanza esterna, in quanto il primo appartiene al consiglio di amministrazione, mentre il secondo spetta al presidente o all’amministratore cui esso sia stato espressamente conferito. Pertanto, la delibera consiliare in cui si concreta la volontà dell’organo collegiale di compiere un atto rientrante nell’oggetto sociale non ha valore di proposta di contratto (art. 1326 c.c.), ma costituisce atto interno con effetto limitato ai soggetti legati dal rapporto sociale ed è solo necessario presupposto della manifestazione di volontà del soggetto investito del potere rappresentativo.

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Cass. civ. n. 6581/1994

Nei contratti conclusi per telefono, luogo della conclusione è quello in cui l’accettazione giunge a conoscenza del proponente ed in cui questi, attraverso il filo telefonico, ha immediata e diretta conoscenza dell’accettazione. Ne deriva che deve considerarsi concluso in Italia il contratto di compravendita di merci tra un’impresa italiana ed una avente sede in Austria, qualora risulti che quest’ultima abbia accettato a mezzo del telefono la proposta formulata dalla prima, con conseguente sussistenza della giurisdizione del giudice italiano, a norma dell’art. 4, n. 2, c.p.c., in ordine alla domanda di risoluzione per inadempimento dell’indicato contratto.

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Cass. civ. n. 9130/1990

La proposta contrattuale di una parte, comunicata alla controparte e da quest’ultima sottoscritta con l’espressa specificazione per ricevuta, non può considerarsi come accettata, atteso che la mera sottoscrizione per ricevuta, secondo il significato proprio di questa espressione, attiene solo all’avvenuta ricezione dell’atto, ma non comporta anche la manifestazione di volontà di accettazione della proposta stessa, ancorché nel testo di quest’ultima la firma per ricevuta sia definita come avente valore di accettazione, restando tale clausola del pari improduttiva di effetti nei confronti del detto sottoscrittore in mancanza di accettazione della stessa proposta che la contenga.

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Cass. civ. n. 5370/1989

Nei contratti che devono farsi per iscritto a pena di nullità, la conclusione tra persone lontane si ha quando alla proposta in forma scritta segua l’accettazione pur essa in forma scritta e questa pervenga a conoscenza del proponente prima dell’eventuale revoca della proposta.

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Cass. civ. n. 2370/1989

Con riguardo a controversia di lavoro, luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro, ai fini dell’individuazione del giudice competente per territorio ai sensi dell’art. 413 c.p.c., va considerato non quello in cui il lavoratore riceve la lettera di nomina dell’ente, datore di lavoro (nella specie, Banco di Napoli), sottoscrivendola per accettazione, ma quello della sede centrale dello stesso ente, nella quale si trova il competente ufficio od organo che riceve detta accettazione.

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Cass. civ. n. 1283/1989

Un accordo telefonico od uno scambio di lettere non può segnare il perfezionamento del contratto (nella specie, ai fini della giurisdizione rispetto allo straniero, secondo il criterio di collegamento di cui all’art. 4, n. 2, c.p.c.), qualora fra le parti sia intervenuta successiva corrispondenza, con una nuova proposta ed una nuova accettazione, sì da evidenziare il loro intento di assegnare ai precedenti contatti il valore di mere trattative preliminari.

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Cass. civ. n. 3890/1985

Il contratto nel quale sia parte un ente pubblico territoriale può ritenersi concluso anche quando l’incontro delle volontà risulti da un insieme di dichiarazioni scambiate fra i contraenti e, in particolare, quando la deliberazione del consiglio comunale, contenente la decisione di concludere il contratto, sia stata comunicata all’altro soggetto dall’organo che rappresenta all’esterno la volontà dell’ente, e sia stata accettata dall’altra parte: ond’è che la successiva formazione di un atto pubblico ben può essere ritenuta ordinata a mere finalità riproduttive, in vista anche dei prescritti controlli.

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Cass. civ. n. 3854/1985

L’obiettiva difformità fra proposta ed accettazione in ordine ad un elemento essenziale di una compravendita, quale il prezzo della cosa venduta, comporta che il contratto non possa considerarsi venuto a giuridica esistenza, senza che in detta ipotesi sia configurabile un contratto annullabile per errore sulla portata della propria dichiarazione o sull’interpretazione della dichiarazione altrui, in quanto questo presuppone che la proposta e l’accettazione siano convergenti obiettivamente sull’identico dato, peraltro divergente solo nella rappresentazione soggettiva. (Principio affermato in relazione ad una fattispecie in cui una società, per errore di calcolo compiuto da un soggetto che le aveva prospettato l’affare senza essere munito di potere rappresentativo della ditta produttrice, aveva a questa rivolto proposta di acquisto di una serie di merci sulla base di un determinato prezzo e tale proposta era stata accettata — mediante esecuzione delle prestazioni senza preventiva risposta — dalla ditta produttrice, che aveva peraltro correlato l’accettazione al prezzo — maggiore — derivante dall’applicazione del suo listino).

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Cass. civ. n. 1877/1976

Nel caso in cui le trattative procedano attraverso uno scambio di corrispondenza, per stabilire quando il contratto è concluso deve aversi riguardo all’ultima proposta ed all’ultima accettazione, e ben può identificarsi l’ultima proposta in un documento riepilogativo sottoscritto da una parte, e l’ultima accettazione nella firma appostavi in calce dalla controparte.

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Cass. civ. n. 2441/1972

Fra persone lontane, il foro del luogo ove è sorta l’obbligazione ai fini dell’art. 20 c.p.c., è quello in cui è pervenuta al proponente l’accettazione dell’altra parte e non quello in cui quest’ultima ha sottoscritto il contratto, già in precedenza firmato dal proponente medesimo.

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