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Art. 596 bis — Diffamazione col mezzo della stampa

Art. 596 bis — Diffamazione col mezzo della stampa

Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa, le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore o vicedirettore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57bis e 58.

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. pen. n. 12058/1995

L’effetto preclusivo derivante dal giudicato non si esplica nei confronti dei coimputati, neppure se concorrenti nello stesso reato, a cagione dell’autonomia di ciascun rapporto processuale. Peraltro, il giudice di legittimità ben può utilizzare gli elementi di fatto risultanti dalla sentenza irrevocabile del giudice di primo grado, correttamente introdotta negli atti processuali dalla difesa, attraverso lo strumento dell’impugnazione, così ovviando alla omissione del giudice di appello. (Fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, nella quale la Suprema corte ha pronunciato l’annullamento senza rinvio perché il fatto non costituisce reato, ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p.p., nei confronti del redattore di un quotidiano, sulla scorta della sentenza irrevocabile con la quale il direttore era stato assolto dal fatto, pur se addebitato a titolo di colpa, con la stessa formula).

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Cass. pen. n. 8848/1992

La prova del concorso del direttore di un periodico nel reato di diffamazione a mezzo stampa è desumibile da un complesso di circostanze esteriorizzate nella pubblicazione, come il contenuto dello scritto, la sua correlazione con il contesto sociale dal quale trae ispirazione, la forma della esposizione, l’evidenza e la collocazione tipografica ad esso assegnata nello stampato.

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Cass. pen. n. 11494/1990

In materia di reati di stampa la responsabilità del direttore, a titolo di colpa, per non avere impedito la commissione del reato, è ben diversa da quella a titolo di concorso, la quale ultima in tanto può sussistere in quanto siano presenti tutti gli elementi generalmente occorrenti a norma dell’art. 110 c.p., tra i quali in primo luogo il dolo. Per affermare il concorso nella diffamazione commessa dall’autore dello scritto occorre dimostrare che il direttore ha voluto la pubblicazione nell’esatta conoscenza del suo contenuto lesivo e, quindi, con la consapevolezza di aggredire la reputazione altrui. Quando invece al direttore è addebitabile solo l’omissione del controllo dovuto ci si trova in presenza della diversa fattispecie colposa di cui all’art. 57 c.p. rispetto alla quale l’eventuale diffamazione si configura come l’evento dello specifico reato previsto a carico del direttore.

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Cass. pen. n. 11178/1990

Il momento consumativo del reato di diffamazione a mezzo stampa è quello della consegna da parte dello stampatore delle prescritte copie, in adempimento dell’obbligo previsto dalla legge 2 febbraio 1939, n. 374, in quanto tale momento costituisce di per sé pubblicazione in senso tecnico dello stampato e realizza la sua prima diffusione. (In motivazione, la Suprema Corte ha precisato che notoriamente la data di copertina dei settimanali è di circa otto giorni successiva a quella di consegna delle copie d’obbligo e, quindi, di effettiva pubblicazione del periodico).

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Cass. pen. n. 13585/1989

Ai fini dell’applicabilità dell’amnistia al reato di diffamazione a mezzo stampa commesso dal direttore o dal vicedirettore responsabile, quando sia noto l’autore della pubblicazione, deve considerarsi «autore» il giornalista che, utilizzando la fonte della notizia, ha prodotto l’articolo e non la persona che abbia fornito le informazioni.

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Cass. pen. n. 4724/1978

Se è vero che la responsabilità del direttore viene configurata dalla legge come un’agevolazione colposa del delitto commesso da altri, ai sensi dell’art. 57 c.p., è pur vero che il direttore del periodico possa egli stesso essere ritenuto colpevole di diffamazione vera e propria e non di omissione del controllo imposto dalla legge al direttore, quando rimanga accertato che lo stesso abbia compiuto atti diretti a ledere l’altrui reputazione ovvero abbia concorso con i suoi collaboratori, consapevolmente, a raggiungere tale evento.

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