12 Mag Art. 643 — Riparazione dell’errore giudiziario
1. Chi è stato prosciolto in sede di revisione, se non ha dato causa per dolo o colpa grave all’errore giudiziario, ha diritto a una riparazione commisurata alla durata dell’eventuale espiazione della pena o internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna [ 314 ].
2. La riparazione si attua mediante pagamento di una somma di denaro ovvero, tenuto conto delle condizioni dell’avente diritto e della natura del danno, mediante la costituzione di una rendita vitalizia. L’avente diritto, su sua domanda, può essere accolto in un istituto, a spese dello Stato.
3. Il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso, a norma dell’articolo 657 comma 2.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”22″]
Massime correlate
Cass. pen. n. 13199/2017
Il condannato, che sia stato assolto e liberato a seguito di accoglimento della richiesta di revisione da parte della Corte d’appello, con provvedimento non definitivo, ha interesse, ai fini della riparazione di cui all’art. 643 cod. proc. pen., a proporre ricorso straordinario per errore di fatto contro la sentenza della Corte di cassazione che abbia definito in senso negativo il precedente procedimento di revisione, in quanto la dimostrazione dell’errore di fatto in cui sia incorsa la pronuncia impugnata consentirebbe di escludere che l’errore giudiziario sia dipeso da dolo o colpa grave del ricorrente.
Cass. pen. n. 10878/2012
Nel procedimento di riparazione dell’errore giudiziario, il giudice può utilizzare per la liquidazione del danno sia il criterio risarcitorio con riferimento ai danni patrimoniali e non patrimoniali, sia il criterio equitativo limitatamente alle voci non esattamente quantificabili.
Cass. pen. n. 40926/2008
In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, nel liquidare l’indennità il giudice è vincolato esclusivamente a non superare il tetto massimo normativamente stabilito, ma non è tenuto a ripartire proporzionalmente tale importo tra le tre voci di danno elencate dall’art. 643 c.p.p., né può fissare per le stesse un ulteriore limite individuato nella terza parte di quello massimo.
Cass. pen. n. 11251/2008
In tema di danni provocati dall’attività giudiziaria, l’ordinamento vigente prevede la riparazione del danno, patrimoniale e non patrimoniale, patito segnatamente a seguito delle situazioni di custodia cautelare ingiusta ex art. 314 c.p.p., di irragionevole durata del processo in ragione della cosiddetta legge Pinto e di condanna ingiusta accertata in sede di revisione a norma dell’art. 643 c.p.p., senza invece contemplare alcun indennizzo per una imputazione «ingiusta» cioè per una imputazione rivelatasi infondata a seguito di sentenza di assoluzione. [Nella specie il ricorrente, esercitante la professione di avvocato, invocava la riparazione del danno derivatogli per il decremento medio dei guadagni professionali patito dall’inizio della carcerazione sino alla emanazione della sentenza di assoluzione].
Cass. pen. n. 24359/2006
In tema di riparazione dell’errore giudiziario, è risarcibile anche il danno da «perdita di chance» consistente nella perdita di una concreta occasione favorevole al conseguimento di un bene determinato o di un risultato positivo; situazione soggettiva diversa rispetto a quella relativa al danno cagionato dalla mancata realizzazione del medesimo risultato. [In motivazione la Corte ha precisato che deve trattarsi di un pregiudizio concreto e attuale e non ricollegato a un’ipotesi congetturale, ravvisabile nell’occasione concreta di ottenere un rapporto di lavoro o di partecipare con esito positivo a un concorso].
Cass. pen. n. 2050/2004
In tema di riparazione dell’errore giudiziario, esclusa l’operatività del limite stabilito per la riparazione dell’ingiusta detenzione, il carattere essenzialmente indennitario e non risarcitorio che deve riconoscersi a detta riparazione, in quanto basata sul presupposto di un danno non riconducibile ad atto illecito, se implica la necessità che la liquidazione si basi su criteri prevalentemente equitativi, non esclude, tuttavia, che possano e debbano trovare applicazione anche i criteri risarcitori civilistici relativamente ai danni, patrimoniali e non patrimoniali [ivi compreso il danno biologico e quello esistenziale] di cui, secondo le regole generali, risulti dimostrata la sussistenza e la riconducibilità alla condanna rivelatasi ingiusta, fermo restando che anche con riguardo a tali danni, ove essi non possano essere provati nel loro preciso ammontare, può farsi ricorso al criterio equitativo, secondo le regole stabiliti dagli artt. 1226 e 2056, comma primo, c.c. [Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha passato in rassegna le varie voci di danno riconosciute nella pronuncia di merito, verificandone la conformità ai principi civilistici e giungendo, per tale via, al parziale annullamento con rinvio della stessa pronuncia relativamente ad alcune di dette voci].
Cass. pen. n. 4311/2003
In tema di indennizzo per la riparazione di ingiusta detenzione, ai fini della liquidazione del relativo indennizzo non possono porsi sullo stesso piano la custodia cautelare in carcere e la detenzione domiciliare per il carattere meno afflittivo di questa seconda misura.
Nella liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione il giudice deve effettuare una valutazione equitativa che riesca a realizzare l’obiettivo di garantire un trattamento oggettivamente identico a tutti gli interessati e una riparazione del danno subito. Pertanto qualora la perdita della libertà pur limitata nel tempo abbia avuto effetti devastanti e le conseguenze personali e familiari abbiano assunto rilievo preponderante dovrà darsi prevalenza al criterio equitativo e non al mero criterio aritmetico.
Cass. pen. n. 2569/1999
La colpa ostativa al diritto alla riparazione dell’errore giudiziario deve essere esaminata non soltanto in relazione al grado di ingiustificatezza della negligenza o imprudenza ma anche in relazione alla sua incidenza causale, intesa come idoneità non a concorrere, ma a causare l’errore giudiziario. [Fattispecie in cui la colpa dell’imputato era stata individuata nella menzogna raccontata per discolparsi; la S.C. ha annullato con rinvio per accertare se la menzogna fosse da sola determinante per la condanna o avesse concorso con altre circostanze a determinarla].
Cass. pen. n. 14/1998
In tema di procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, la disposizione di cui al primo comma dell’art. 315 c.p.p., che prevede la sanzione di inammissibilità della domanda soltanto con riferimento alla mancata osservanza del termine per la sua proposizione, deve essere integrata, in virtù del rinvio operato dal terzo comma del medesimo articolo ed in assenza di motivi idonei ad escludere il rapporto di compatibilità con il precetto di cui al primo comma dell’art. 645 c.p.p. in tema di riparazione dell’errore giudiziario, che prevede la sanzione di inammissibilità della domanda, oltre che per l’intempestività, anche per la mancata osservanza delle forme e delle modalità di proposizione e presentazione ivi disciplinate.
Cass. pen. n. 2624/1996
Ai fini della revisione, non ha alcuna rilevanza la circostanza che il condannato abbia potuto dare causa — per dolo o per colpa — alla sentenza da revocare. Invero l’esclusione, in tale ipotesi, della riparazione dell’errore giudiziario a favore del prosciolto in sede di revisione [art. 643 comma 1 c.p.p.] rivela implicitamente come il legislatore abbia voluto comunque liberare l’operatività della revisione dalla preclusione derivante dal comportamento processuale, negligente o addirittura doloso, della parte quanto alla mancata produzione della prova esistente e conosciuta.
Cass. pen. n. 1114/1996
In sede di riconoscimento di un indennizzo per riparazione dell’errore giudiziario l’ordinamento concede al giudice la facoltà di liquidare una somma di denaro o di costituire una rendita vitalizia [oltre a quella, su richiesta della parte interessata, di disporne il ricovero in un istituto a spese dello Stato]. Le due forme sono tra loro alternative e non cumulabili e deve perciò essere annullata con rinvio per una nuova decisione l’ordinanza che abbia riconosciuto e quantificato il diritto ad entrambe.
Cass. pen. n. 28/1995
Il rinvio, contenuto nell’art. 315, comma 3, c.p.p. in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, all’applicazione delle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario, non è limitato – ancorché la rubrica dell’articolo si riferisca al procedimento – alle sole norme procedimentali, ma riguarda tutte le disposizioni in tema di errore giudiziario, con l’unico limite della compatibilità. [Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto la piena compatibilità della norma di cui all’art. 644 c.p.p. – che disciplina la riparazione dell’errore giudiziario in caso di morte del condannato – con la riparazione per l’ingiusta detenzione, sul rilievo che gli effetti pregiudizievoli dell’ingiusta detenzione, così come quelli dell’errore giudiziario, sono naturalmente destinati a propagarsi nell’ambito familiare, legittimando, nel caso di morte della persona che ha subito l’ingiusto provvedimento, la pretesa riparatoria dei congiunti].
Cass. pen. n. 1/1995
La liquidazione dell’indennizzo per la riparazione dell’ingiusta detenzione è svincolata da parametri aritmetici o comunque da criteri rigidi, e si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, e ciò sia per effetto dell’applicabilità, in tale materia, della disposizione di cui all’art. 643, comma primo, c.p.p., che commisura la riparazione dell’errore giudiziario alla durata dell’eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna, sia in considerazione del valore “dinamico” che l’ordinamento costituzionale attribuisce alla libertà di ciascuno, dal quale deriva la doverosità di una valutazione equitativamente differenziata caso per caso degli effetti dell’ingiusta detenzione. [In applicazione di detto principio la Corte ha confermato la legittimità della liquidazione dell’indennizzo per l’ingiusta detenzione effettuata tenendo conto, fra l’altro, della circostanza che l’imputato, privato della libertà, non fosse stato in grado di interessarsi personalmente alla sua azienda e del fatto che, per cinque anni, non avesse potuto utilizzare la somma versata a titolo di cauzione al momento della concessione della libertà provvisoria].
Cass. pen. n. 1367/1993
Non rientra tra le fattispecie genetiche del diritto all’equa riparazione per l’ingiusta detenzione il caso in cui taluno, legittimamente detenuto in espiazione di pena, soffra ulteriore limitazione della libertà a causa di ritardi nella procedura di applicazione di un decreto di indulto, posto che, in tale ipotesi, non sussiste il requisito del proscioglimento nel merito dall’accusa. Né detto istituto può essere esteso al caso in questione per effetto di interpretazione analogica, in quanto non sussistono gli estremi dell’eadem ratio, nell’un caso vertendosi in ipotesi di accertata innocenza, nell’altro di accertata responsabilità penale. Tale caso non può essere sussunto neppure nell’istituto della riparazione dell’errore giudiziario, presupposto del quale è la pronunzia di sentenza [di revisione] che accerti la insussistenza della pretesa punitiva nei confronti del condannato. Per le stesse sopra esposte ragioni, neppure a questo istituto può farsi ricorso in via d’analogia per regolare il caso in considerazione.
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