10 Gen Art. 948 — Azione di rivendicazione
Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa . In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l’attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno [ 2789 ].
Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.
L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 14734/2018
Il rigore della regola secondo cui chi agisce in rivendicazione deve provare la sussistenza del proprio diritto di proprietà o di altro diritto reale sul bene anche attraverso i propri danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario o dimostrando il compimento dell’usucapione, non riceve attenuazione per il fatto che la controparte proponga domanda riconvenzionale ovvero eccezione di usucapione, in quanto chi è convenuto nel giudizio di rivendicazione non ha l’onere di fornire alcuna prova, potendo avvalersi del principio “possideo quia possideo”, anche nel caso in cui opponga un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata, dal momento che tale difesa non implica alcuna rinuncia alla più vantaggiosa posizione di possessore.
Cass. civ. n. 1210/2017
Colui il quale agisca per ottenere il mero accertamento della proprietà o comproprietà di un bene, anche unicamente per eliminare uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto esercitato sullo stesso, è tenuto, al pari che per l’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., alla “probatio diabolica” della titolarità del proprio diritto, trattandosi di onere da assolvere ogni volta che sia proposta un’azione, inclusa quella di accertamento, che fonda sul diritto di proprietà tutelato “erga omnes”.
Cass. civ. n. 19653/2014
L’azione di rivendicazione esige che l’attore provi il proprio diritto di proprietà risalendo sino all’acquisto a titolo originario attraverso i propri danti causa, o dimostrando il compimento dell’usucapione in suo favore, mentre il convenuto può limitarsi a formulare l’eccezione “possideo quia possideo”, senza onere di prova. Quando tuttavia il convenuto rinunci a questa posizione, opponendo, ad esempio, un proprio diverso diritto, senza contestare quello affermato dall’attore, il giudice del merito non può respingere la domanda per difetto di prova, ma deve tener conto delle ammissioni del convenuto e degli altri fatti di causa, ricavandone possibili elementi presuntivi.
Cass. civ. n. 7305/2014
In tema di azioni a difesa della proprietà, le difese di carattere petitorio opposte, in via di eccezione o con domande riconvenzionali, ad un’azione di rilascio o consegna non comportano – in ossequio al principio di disponibilità della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – una “mutatio” od “emendatio libelli”, ossia la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell’attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, né, in ogni caso, implicano che l’attore sia tenuto a soddisfare il correlato gravoso onere probatorio inerente le azioni reali (cosiddetta “probatio diabolica”), la cui prova, idonea a paralizzare la pretesa attorea, incombe solo sul convenuto in dipendenza delle proprie difese
Cass. civ. n. 26992/2013
In tema di azione di rivendicazione, ai fini dell’individuazione del bene conteso, la base primaria dell’indagine del giudice è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà, costituendo peraltro, il giudizio sulla corrispondenza o meno del bene domandato con quello descritto nel titolo un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, qualora risultino verificate la correttezza dei criteri ermeneutici adottati dal giudice del merito e l’adeguatezza logico-giuridica della motivazione che ne giustifica i risultati.
Cass. civ. n. 705/2013
La domanda con cui l’attore chieda di dichiarare abusiva ed illegittima l’occupazione di un immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con conseguente condanna dello stesso al rilascio del bene ed al risarcimento dei danni da essa derivanti, senza ricollegare la propria pretesa al venir meno di un negozio giuridico, che avesse giustificato la consegna della cosa e la relazione di fatto sussistente tra questa ed il medesimo convenuto, non dà luogo ad un’azione personale di restituzione, e deve qualificarsi come azione di rivendicazione; né può ritenersi che detta domanda sia qualificabile come di restituzione, in quanto tendente al risarcimento in forma specifica della situazione possessoria esistente in capo all’attore prima del verificarsi dell’abusiva occupazione, non potendo il rimedio ripristinatorio ex art. 2058 c.c. surrogare, al di fuori dei limiti in cui il possesso è tutelato dal nostro ordinamento, un’azione di spoglio ormai impraticabile.
Cass. civ. n. 30606/2011
L’attore che proponga una domanda di accertamento della proprietà ed abbia la materiale disponibilità della cosa oggetto del preteso diritto, in virtù di un possesso acquistato con violenza o clandestinità, ovvero sulla cui legittimità sussista uno stato di obiettiva e seria incertezza, in relazione alle particolarità del caso concreto, ha l’onere di offrire la stessa prova rigorosa richiesta per la rivendica, non ricorrendo in tali ipotesi la presunzione di legittimità del possesso, che giustifica l’attenuazione del rigore probatorio qualora l’azione di accertamento della proprietà sia proposta da colui che sia nel possesso del bene. (Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che, avendo erroneamente qualificato come azione di rivendicazione la domanda proposta, non aveva affrontato la questione circa l’onere probatorio in materia di azione di accertamento della proprietà, né compiuto alcuna indagine sulla natura del possesso esercitato dall’attore, il quale assumeva di essere nella materiale disponibilità del bene per averne conseguito un sequestro giudiziario, volto a paralizzare un interdetto possessorio ottenuto dai convenuti).
Cass. civ. n. 22598/2010
Il rigore del principio secondo il quale l’attore in rivendica deve provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, risulta attenuato in caso di mancata contestazione da parte del convenuto dell’originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ben potendo in tale ipotesi il rivendicante assolvere l’onere probatorio su di lui incombente limitandosi a dimostrare di avere acquistato tale bene in base ad un valido titolo di acquisto.
Cass. civ. n. 14092/2010
Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell'”animus”; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l'”animus possidendi” nell’indicato soggetto. Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del “corpus”, ma anche dell”animus”; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un, contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l”‘animus possidendi” nell’indicato soggetto.
Cass. civ. n. 9303/2009
In tema di azione di rivendicazione, nel caso in cui il convenuto non contesti l’originaria appartenenza del bene conteso ad un comune dante causa, l’onere probatorio a carico dell’attore si riduce alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene medesimo al suo dante causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assume di avere iniziato a possedere, ed alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto.
Cass. civ. n. 21834/2007
In tema di azione di rivendicazione, di cui all’articolo 948 c.c., per l’individuazione del bene rivendicato, del quale si chiede il rilascio (ovvero per stabilire esattamente l’unità immobiliare contesa), la base primaria dell’indagine del giudice di merito è costituita dall’esame e dalla valutazione dei titoli di acquisto delle rispettive proprietà, quando essi sono stati esibiti in giudizio. Difatti solo la mancanza o l’insufficienza di indicazioni sui dati di individuazione delle unità rilevabile dai titoli, ovvero la loro mancata produzione, giustifica il ricorso ad altri mezzi di prova, ivi comprese le mappe catastali. (Nella fattispecie, relativa alla rivendicazione di una cantina occupata dal proprietario di altro appartamento dello stesso fabbricato, è stato ritenuto che gli attori non avessero fornito la prova precisa che la cantina da essi acquistata fosse proprio quella da loro pretesa, e non altra, giacché il loro atto di acquisto conteneva dati identificativi diversi rispetto a quelli di cui al rogito di acquisto dei propri danti causa, né avevano allegato le schede di frazionamento catastale).
Cass. civ. n. 11774/2006
Nel caso di azione diretta ad ottenere il rilascio di un immobile occupato senza titolo o a titolo precario, la contestazione del diritto di proprietà dell’attore, anche se effettuata dal convenuto con la deduzione di un suo contrastante diritto dominicale unicamente per far respingere la domanda, trasforma l’azione personale in azione reale, dal momento che il giudice deve decidere sulla sussistenza del diritto di proprietà vantato da una parte e negato dall’altra. Ne consegue la necessità per l’attore di dimostrare la proprietà del bene fornendo la prova del suo acquisto a titolo originario, non potendo ritenersi sufficiente la mera produzione di documentazione amministrativa e nel contempo dovendosi escludere qualsiasi onere probatorio a carico della parte convenuta di dimostrare la legittimità del possesso esercitato.
Cass. civ. n. 5161/2006
Qualora il convenuto sostenga, in via riconvenzionale, di aver acquistato per usucapione la proprietà del bene rivendicato, si attenua l’onere probatorio posto a carico dell’attore in rivendicazione, poiché esso si riduce alla prova di un valido titolo di acquisto da parte sua e dell’appartenenza del bene ai suoi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto assuma di aver iniziato a possedere, nonché alla prova che quell’appartenenza non è stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte del convenuto. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello secondo cui la proposizione della domanda riconvenzionale di usucapione non aveva implicato, di per sé, contestazione della titolarità del bene in capo al dante causa dell’attore in rivendicazione, poiché l’acquisto a titolo originario che si assumeva operato a favore dei convenuti agenti in riconvenzionale era stato successivo all’acquisto, per analogo titolo, formatosi in capo all’attore che aveva intrapreso l’azione di rivendicazione).
Cass. civ. n. 15248/2005
Poiché la proprietà e i diritti reali appartengono alla categoria dei diritti «autodeterminati» che sono individuati in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, nelle azioni ad essi relative, a differenza di quelle accordate a tutela dei diritti di credito, la causa petendi si identifica con i diritti stessi, mentre il titolo, necessario alla prova del diritto, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda, sicchè il giudice può porre a base della decisione anche un titolo diverso da quello allegato dall’attore.
Cass. civ. n. 7777/2005
Colui il quale propone un’azione di accertamento della proprietà di un bene non ha l’onere della probatio diabolica, ma soltanto quello di allegare e provare il titolo del proprio acquisto, atteso che detta azione mira non già alla modifica di uno stato di fatto, bensì solo all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito. La domanda di revindica, avendo tipica finalità recuperatoria, presuppone necessariamente che all’atto della sua formulazione il bene rivendicato sia nel possesso del convenuto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che, non avendo i ricorrenti allegato che il bene fosse nel possesso della controparte, aveva escluso la finalità recuperatoria e qualificato la domanda proposta come azione di accertamento del diritto di proprietà).
Cass. civ. n. 23086/2004
L’azione di rivendicazione e quella di restituzione hanno natura distinta. La prima ha carattere reale, si fonda sul diritto di proprietà di un bene, del quale l’attore assume di essere titolare e di non avere la disponibilità, ed è esperibile contro chiunque in fatto possiede o detiene il bene al fine di ottenere l’accertamento del diritto di proprietà sul bene stesso e di riacquisirne il possesso. La seconda ha, invece, natura personale, si fonda sulla deduzione della insussistenza o del sopravvenuto venir meno di un titolo di detenzione del bene da parte di chi attualmente lo detiene per averlo ricevuto dall’attore o dal suo dante causa, ed è rivolta, previo accertamento di quella insussistenza o di quel venir meno, ad ottenere consequenzialmente la consegna del bene. Ne discende che l’attore in restituzione non ha l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà; ma solo dell’originaria insussistenza o del sopravvenuto venir meno per invalidità, inefficacia, decorso del termine di durata, esercizio dell’eventuale facolta di recesso — del titolo giuridicio che legittimava il convenuto alla detenzione del bene nei suoi confronti. Le due azioni, peraltro, pur avendo causa pretendi e petitum distinti, in quanto dirette al raggiungimento dello stesso risultato pratico della disponibilità materiale del bene riacquisito, possono non solo proporsi in via alternativa o subordinata nel medesimo giudizio, ma anche trasformarsi l’una nell’altra nel corso di esso, nel rispetto delle preclusioni introdotte nel codice di rito dalla legge n. 353 del 1990.
Cass. civ. n. 15145/2004
Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del animus ma anche dell’
animus; quest’ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all’esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall’attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale. Pertanto, per stabilire se in conseguenza di una convenzione (anche se nulla per difetto di requisiti di forma) con la quale un soggetto riceve da un altro il godimento di un immobile si abbia possesso idoneo all’usucapione, ovvero mera detenzione, occorre fare riferimento all’elemento psicologico del soggetto stesso ed a tal fine stabilire se la convenzione sia un contratto ad effetti reali o ad effetti obbligatori, in quanto solo nel primo caso il contratto è idoneo a determinare l’
animus possidendi nell’indicato soggetto.
Cass. civ. n. 14395/2004
La denuncia di successione — avente, di per sé, efficacia a soli fini fiscali e priva di rilevanza civilistica se non di tipo indiziario — è inidonea a fornire la prova del diritto di proprietà di un determinato bene, così come, per converso, la mancata indicazione in essa di un bene non consente di desumere automaticamente il difetto del relativo diritto di proprietà.
Cass. civ. n. 3648/2004
Soggiace all’onere di offrire la prova rigorosa prescritta in tema di azione di rivendica della proprietà dall’art. 948 c.c. chi – invocando la qualità di comproprietario e non di proprietario esclusivo del bene — agisca per ottenere — previo accertamento della comunione — il recupero della utilizzazione della cosa — di cui lamenti di essere stato privato — attraverso un provvedimento che gli consenta l’esercizio dei poteri spettanti al comunista nell’uso della cosa comune impedito dal comportamento del comproprietario. (La Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che, nel ritenere non assolto l’onere probatorio di cui all’art. 948 c.c. aveva rigettato la domanda con cui l’attore, assumendo di essere comproprietario di uno spiazzo comune anche al convenuto, aveva chiesto l’accertamento della relativa comproprietà con la condanna del predetto convenuto alla rimozione delle macerie dal medesimo depositate in modo da impedire il passaggio esercitato dall’istante).
Cass. civ. n. 16094/2003
Al di fuori dell’ipotesi della rivendicazione per la quale l’art. 948 c.c. prevede un regime probatorio rigoroso, la proprietà può essere provata, come tutti i fatti, anche con presunzioni e quindi anche attraverso il ricorso alle risultanze catastali. (La Corte, nel formulare il principio sopra indicato, ha ritenuto corretta la motivazione del giudice di appello nella parte in cui aveva fatto riferimento alle mappe catastali per stabilire l’appartenenza al convenuto della proprietà del suolo ubicato a monte e dal quale si era verificato il pericolo per il fondo a valle dell’attore che aveva proposto domanda di danno temuto e di condanna del convenuto all’adozione delle misure necessarie).
Cass. civ. n. 12091/2003
In tema di azioni reali esperite a tutela di facoltà comprese nel diritto di proprietà o di diritti ad esso accessori il soggetto che sia nel possesso nel bene, è gravato — relativamente all’asserito diritto di proprietà — di un onere probatorio meno rigoroso di quello a carico dell’attore in rei vindicatio, in quanto limitato alla sola giustificazione del possesso, mentre, qualora la medesima azione sia esperita da soggetto che non abbia il possesso del bene, l’accertamento della proprietà, ove contestata dalla controparte che se ne assuma a sua volta titolare, soggiace allo stesso onere probatorio della rei vindicatio, di cui ha analogo effetto recuperatorio.
Cass. civ. n. 15716/2002
La denuncia di successione — avente, di per sé, efficacia a soli fini fiscali — non è idonea a fornire la prova del diritto di proprietà di un determinato bene, ma, in assenza di prove o indizi di segno contrario, può costituire elemento di convincimento del giudice in favore di chi la alleghi a dimostrazione di una situazione di fatto esistente al momento della denuncia stessa
Cass. civ. n. 13186/2002
Il rigore del principio secondo il quale l’attore in rivendica deve provare la sussistenza dell’asserito diritto di proprietà sul bene anche attraverso i propri danti causa fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, non è, di regola, attenuato dalla proposizione, da parte del convenuto, di una domanda riconvenzionale (o di un’eccezione) di usucapione (atteso che il convenuto in un giudizio di rivendica non ha l’onere di fornire alcuna prova, pur nell’opporre un proprio diritto di dominio sulla cosa rivendicata), anche se la mancata contestazione, da parte del convenuto stesso, dell’originaria appartenenza del bene rivendicato al comune autore ovvero ad uno dei danti causa dell’attore comporta che il rivendicante possa, in tal caso, limitarsi alla dimostrazione di come il bene in contestazione abbia formato oggetto di un proprio, valido titolo di acquisto, tuttavia, l’opposizione di un acquisto per usucapione il cui dies a quo sia successivo a quello del titolo di acquisto del rivendicante comporta che — attenendo il thema disputandum all’appartenenza attuale del bene al convenuto in forza dell’invocata usucapione e non già all’acquisto di esso da parte dell’attore — l’onere probatorio del rivendicante possa legittimamente ritenersi assolto, nel fallimento dell’avversa prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene gli era stato trasmesso dal precedente titolare.
Cass. civ. n. 12984/2002
Colui che agisce per l’accertamento della proprietà su di un bene a titolo originario ha l’onere di dimostrare i requisiti del possesso necessari per l’usucapione, tra i quali anche la durata del possesso medesimo per il periodo prescritto dalla legge, in applicazione della regola generale sull’onere probatorio fissata dall’art. 2697 c.c., in base al quale chi intende far valere un diritto in giudizio ha l’onere di provare i fatti costitutivi di esso.
Cass. civ. n. 3568/2002
In tema di azione di rivendicazione, ai fini della prova dell’estensione della proprietà, non è decisiva la superficie indicata nell’atto di compravendita, poiché l’estensione del fondo va determinata in base ai confini menzionati nel contratto, ove essi siano precisi e riscontrabili sul terreno.
Cass. civ. n. 7894/2000
L’attore che proponga una domanda di accertamento della proprietà e non abbia il possesso della cosa oggetto del preteso diritto ha l’onere di offrire la stessa prova rigorosa richiesta per la rivendica (dimostrazione della titolarità del diritto mediante la prova di un acquisto a titolo originario, eventualmente risalendo al titolo originario dei propri danti causa, o quanto meno il possesso continuato del bene conforme al titolo, da parte del proprietario ed eventualmente dei suoi danti causa, protratto per il tempo necessario all’usucapione del bene) perché egli esercita un’azione a contenuto petitorio, diretta al conseguimento di una pronuncia giudiziale utilizzabile per ottenere la consegna della cosa da parte di chi la possiede o la detiene. Al contrario è esonerato dall’onere della prova richiesta per la rivendicazione, dei vari trasferimenti della proprietà sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire, l’attore che propone un’azione di accertamento della proprietà ed abbia il possesso della cosa oggetto del preteso diritto (anche se tale minore rigore probatorio rispetto all’azione di rivendicazione non esime dall’onere di allegare e provare il titolo del proprio acquisto) e ciò perché tale azione tende non già alla modifica di uno stato di fatto, ma solo alla eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito.
Cass. civ. n. 696/2000
Colui il quale propone un’azione di accertamento della proprietà di un bene ha l’onere di allegare e provare il titolo del preteso dominio e tale esigenza probatoria non è attenuata o esclusa nel caso di rigetto degli assunti prospettati dal convenuto, neppure se volti ad ottenere il riconoscimento a suo favore della proprietà del medesimo bene, a meno che essi non risultino basati su asserzioni che presuppongano l’originaria sussistenza del titolo su cui si fonda la domanda dell’attore e ne deducano la sopravvenuta caducazione.
Cass. civ. n. 2485/1999
L’attore che agisce in rivendicazione assumendo essergli inopponibile il titolo di acquisto (derivativo) del convenuto, in quanto trascritto posteriormente al proprio, ha l’onere di dimostrare la provenienza di entrambi i titoli dal medesimo dante causa.
Cass. civ. n. 1635/1999
Il proprietario che agisce per ottenere la restituzione della cosa e prospetti di averla consegnata al convenuto in funzione di un’opera o di un servizio che avrebbe dovuto essere compiuto nel suo interesse, se intende agire in quanto proprietario non ha l’onere di provare la natura del contratto in base al quale è avvenuta la consegna, perché la qualità di proprietario è sufficiente per richiedere la restituzione, mentre incombe al detentore che sostiene di avere sulla cosa un diritto di godimento l’obbligo di provare che fra le parti è stato concluso un contratto in tal senso.
Cass. civ. n. 8930/1998
L’azione personale diretta a conseguire la restituzione di un bene detenuto a titolo precario, non si trasforma in azione reale in presenza delle contestazioni del convenuto in ordine alla proprietà del bene medesimo.
Cass. civ. n. 8176/1998
In tema di rivendica, anche mobiliare, il principio secondo cui l’attore è onerato della prova dell’asserito diritto domenicale mediante la dimostrazione, ove occorrente, del titolo originario di acquisto del bene va interpretato in relazione alle concrete peculiarità delle singole fattispecie sottoposte all’esame del giudice di merito, potendo astrattamente assumere rilevanza anche il contenuto della difesa di volta in volta opposta dal convenuto, nel rispetto del più generale principio secondo cui le dichiarazioni del possessore o del detentore possono essere ritenute significative se interpretate nel più ampio contesto di tutte le risultanze relative alla condotta del soggetto, secondo un criterio di valutazione oggettiva.
Cass. civ. n. 5980/1998
Il principio secondo il quale il contenuto delle mappe catastali non ha rilievo decisivo in tema di azione di rivendica o di accertamento della proprietà (non essendo l’attore dispensato dall’onere di fornire anche aliunde la dimostrazione del titolo posto a fondamento dell’azione) non esclude che i rilievi topografici di dette mappe, oggetto della diretta constatazione da parte dei periti governativi, costituiscano piena prova delle constatazioni stesse e della conformazione degli immobili (nella specie, una strada assertivamente comunale) censiti all’epoca delle operazioni di rilevamento, pur se nei limiti dei dati tecnici rilevati.
Cass. civ. n. 11605/1997
L’attore in rivendica è tenuto a dimostrare la proprietà del bene che assume a lui appartenente fornendo la prova (anche risalendo ai propri danti causa) dell’acquisto a titolo originario della res oggetto della controversia, non potendo, all’uopo, ritenersi sufficiente la mera produzione di documentazione amministrativa (nella specie, nota di trascrizione nei registri immobiliari, nota dell’ufficio del registro, denuncia di successione del presunto dominus, dati ricavati dai registri catastali), ovvero l’assenza di contestazioni sul tema da parte del convenuto, sul quale, inoltre, non può ritenersi gravante alcun onere di allegazione o dimostrazione della legittimità del possesso da lui esercitato.
Cass. civ. n. 11115/1997
La prova della proprietà di beni immobili non può essere fornita con la produzione dei certificati catastali, i quali sono soltanto elementi sussidiari in materia di regolamento di confini ai sensi dell’art. 950 c.c., né con pretesi riconoscimenti della controparte, essendo necessario in materia l’atto scritto ad substantiam o un fatto equiparato come l’usucapione, né può riconoscersi la proprietà immobiliare in base ad un procedimento deduttivo, non ammettendo la forma scritta equipollente e quindi in base ad un atto o fatto che possa presupporla ma non la consacra direttamente a favore del soggetto come il decreto pretorile di riconoscimento dell’usucapione ex art. 1159 bis c.c.
Cass. civ. n. 5711/1997
Il rigore probatorio sotteso all’esercizio dell’azione di rivendica, che impone all’attore la dimostrazione dell’acquisto del bene a titolo originario (o della ricezione del medesimo, per effetto di una serie ininterrotta di trasferimenti, da chi lo aveva acquistato a detto titolo, ovvero del protrarsi di tale serie di validi trasferimenti per il tempo necessario all’usucapione), non può ritenersi attenuato dalla proposizione di una mera eccezione o di una domanda riconvenzionale di usucapione da parte del convenuto (attesane la natura di acquisto a titolo originario, tale da non presupporre alcun riconoscimento in favore della controparte), tale attenuazione potendo dirsi verificata, invece, nella ipotesi in cui sia opposto un acquisto solo successivo al titolo del rivendicante, ovvero venga riconosciuta la originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, ed invocata la detta usucapione solo come successiva a tale appartenenza.
Cass. civ. n. 1925/1997
Nel giudizio di rivendicazione l’attore deve provare di esser diventato proprietario della cosa rivendicata, risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, o dimostrando il possesso proprio e dei suoi danti causa per il tempo necessario per l’usucapione. Se poi anche il possesso è contestato dal convenuto, l’attore non può limitarsi a dimostrare che il titolo o i titoli (tra i quali, per la sua natura dichiarativa, non può annoverarsi la divisione, salvo che si provi il titolo d’acquisto della comunione) risalgono ad un ventennio, ma deve provare che egli o i suoi danti causa abbiano effettivamente e continuativamente posseduto l’immobile, salva la presunzione iuris tantum di possesso intermedio, senza che il rigore di siffatto onere probatorio sia attenuato dalla mera proposizione di una domanda riconvenzionale o di un’eccezione di usucapione da parte del convenuto, quando queste non siano formulate in modo da comportare il riconoscimento della pregressa titolarità del diritto da parte dell’attore o dei suoi «danti causa». (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che non aveva compiuto alcun effettivo accertamento circa l’esistenza di una situazione possessoria in capo agli attori e ai loro danti causa, impropriamente valorizzando a tal fine un atto di divisione e una successiva attribuzione testamentaria).
Cass. civ. n. 1634/1996
L’onere della cosiddetta probatio diabolica incombente sull’attore in rivendicazione si attenua quando il convenuto si difenda deducendo un proprio titolo di acquisto, quale l’usucapione, che non sia in contrasto con l’appartenenza del bene rivendicato ai danti causa dell’attore, e può ritenersi assolto nel fallimento della prova della prescrizione acquisitiva, con la dimostrazione della validità del titolo in base al quale quel bene è stato trasmesso dal dominus originario.
Cass. civ. n. 1480/1996
L’azione di accertamento della comproprietà di una via privata agraria costituita ex collatione privatorum agrorum, promossa da uno dei proprietari dei fondi latistanti che pretende di usare la strada contro la volontà degli altri, non è soggetta al rigoroso regime probatorio delle revindica, perché tale comunione, al pari di ogni altra communio incidens, può anche essere dimostrata con testimoni e presunzioni semplici desumibili dal prolungato e pacifico uso della strada da parte dei proprietari stessi, dalle caratteristiche dei luoghi, dalle esigenze di comunicazione colture dei fondi attraversati, a meno che dai titoli risulti, in contrasto con i predetti elementi indiziari, che la via appartiene soltanto ad alcuni dei proprietari dei fondi latistanti o che la porzione di terreno che la parte assume di avere conferito per la formazione della strada agraria apparteneva al demanio comunale.
Cass. civ. n. 2334/1995
Il rigoroso onere probatorio di norma gravante sul soggetto che agisce in rivendicazione può essere assolto con la deduzione e la dimostrazione, da parte sua o dell’acquisto del bene a titolo derivativo e della totalità del diritto di proprietà in capo ai precedenti danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo originario, o dell’avvenuto compimento dell’usucapione in suo favore. Il giudice, però, non può valorizzare ai fini della prova della proprietà il godimento del bene da parte del rivendicatore, qualora lo stesso non abbia allegato l’usucapione quale titolo d’acquisto.
Cass. civ. n. 1044/1995
Nell’azione di rivendicazione ex art. 948 c.c., la quale tende al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore ed al rilascio in suo favore del bene rivendicato, l’attore è soggetto ad un onere probatorio rigoroso, in quanto è tenuto a provare la proprietà del bene risalendo, anche attraverso i propri danti in causa, sino ad un acquisto originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi uti dominus. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata la quale, pur in presenza di contestazioni da parte dei convenuti, aveva ricavato la proprietà del rivendicante su dati presuntivi, derivati dalle certificazioni catastali).
Cass. civ. n. 3947/1994
Per l’esercizio dell’azione di rivendicazione non è necessario che l’attore sia stato spossessato del bene senza o contro la volontà, sicché anche quando abbia trasferito il possesso in base ad un’obbligazione assunta contrattualmente non gli è preclusa la possibilità, ove eventi giuridici successivi abbiano determinato il venir meno del diritto dell’
accipiens, di proporre l’azione reale di rivendica per riottenere il possesso del bene quale proprietario, anziché di agire con l’azione personale di restituzione; ovvero, a fronte delle eccezioni del convenuto che opponga un proprio titolo di acquisto della proprietà (nella specie: usucapione), di modificare in corso di giudizio la domanda di restituzione originariamente proposta in domanda di rivendicazione.
Cass. civ. n. 9096/1991
Poiché il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può — in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti — essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi.
Cass. civ. n. 4836/1991
Ai fini dell’esercizio dell’azione di rivendicazione (art. 948 c.c.), non è necessario che l’attore sia stato spossessato del bene senza o contro la sua volontà. Di conseguenza, la circostanza che egli abbia trasferito volontariamente il possesso del bene in attuazione di un’obbligazione contrattualmente assunta non gli preclude — ove deduca che eventi giuridici successivi hanno determinato il venir meno del diritto dell’
accipiens al possesso e l’insorgenza del proprio diritto, quale proprie¬tario, a riottenerlo — l’agire in rivendica, invece che con l’azione personale di restituzione.
Cass. civ. n. 4650/1991
Il venditore, che non abbia consegnato la cosa venduta al compratore, non può fare valere contro quest’ultimo, che pur non avendo ricevuto la consegna della cosa, ne ha acquistato la proprietà ex art. 1376 c.c., il suo possesso anteriore all’atto di trasferimento, al fine di contrastare la domanda di rivendicazione del compratore stesso o di fondare una sua domanda di acquisto per usucapione, potendo a tal fine far valere soltanto il suo eventuale possesso successivo all’atto di trasferimento.
Cass. civ. n. 8326/1990
Il proprietario comodante può avvalersi, al fine di conseguire il rilascio del bene concesso ad altri in godimento, sia dell’azione di rivendica che della azione contrattuale di natura obbligatoria; in questa seconda ipotesi, l’attore non ha l’onere di provare la proprietà del bene medesimo, bensì soltanto l’esistenza del contratto di comodato e le sue implicazioni di carattere soggettivo, senza che possa rilevare al riguardo di tale regime probatorio che il convenuto abbia eccepito l’usucapione del bene in suo favore, in quanto tale pretesa non è idonea a trasformare in reale l’azione tipicamente personale proposta nei suoi confronti.
Cass. civ. n. 3669/1987
Nell’azione di rivendicazione incombe sull’attore l’onere di provare l’esistenza dell’asserito dominio sulla cosa rivendicata, risalendo, anche attraverso i propri danti causa, fino ad un acquisto a titolo originario, ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione a suo favore, mentre nessun onere probatorio grava sul convenuto, il quale può trincerarsi dietro il possideo quia possideo o anche affermare di essere proprietario della cosa medesima, senza che quest’ultima affermazione possa tornare a suo pregiudizio, non implicando di per sé rinuncia alla posizione vantaggiosa derivantegli dal possesso e non esonerando l’attore dalla prova a suo carico.
Cass. civ. n. 3340/1987
Qualora un soggetto si limiti a richiedere al giudice l’accertamento che un determinato bene, detenuto da un terzo, gli appartiene, senza chiederne la restituzione, tale azione, essendo pur sempre di natura reale, postula lo stesso rigore probatorio di quella di rivendicazione, con la quale coincide quanto all’accertamento della proprietà sulla cosa contesa.
Cass. civ. n. 1840/1986
L’azione diretta all’accertamento della comproprietà di una via privata agraria, della quale uno dei proprietari dei fondi latistanti assuma essergli impedito l’uso, non è soggetta al rigoroso regime probatorio della rivendica, potendo tale comunione essere dimostrata con ogni mezzo, e, quindi, anche mediante presunzioni.
Cass. civ. n. 4704/1985
In tema di rivendicazione, la prima e fondamentale indagine che il giudice del merito deve compiere concerne l’esistenza, la validità e la rilevanza del titolo dedotto dall’attore a fondamento della pretesa, e ciò prescindendo da qualsiasi eccezione del convenuto, giacché, investendo essa uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova deve essere fornita dall’attore e l’eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche di ufficio. Per quanto, in particolare, attiene alla rilevanza del titolo, essenziale è l’indagine sull’identità del bene domandato dall’attore con quello descritto nel titolo stesso, ed essa deve essere istituita dal giudice anche d’ufficio, senza che il convenuto sia tenuto a formulare specifiche eccezioni ed ad onerarsi della dimostrazione di un proprio titolo di acquisto prevalente. Il giudizio sulla corrispondenza tra il bene domandato e quello descritto nel titolo, se adeguatamente motivato e condotto secondo i normali criteri ermeneutici, è incensurabile in sede di legittimità.
Cass. civ. n. 3398/1984
Le mappe catastali non hanno rilievo decisivo in materia di rivendica o di accertamento della proprietà e non dispensano dall’onere di fornire la dimostrazione del titolo da cui si assume derivare il diritto reale.
Cass. civ. n. 2210/1984
L’azione di restituzione di un bene postula che siano incontestati la proprietà o il possesso dello stesso (a mezzo di un detentore) da parte dell’attore e la qualità di detentore (e non di possessore) del convenuto e che tale detenzione sia priva di qualsiasi titolo giustificativo, per essere questo carente ab origine o venuto meno successivamente per accertata invalidità o inefficacia, ovvero per esaurimento della sua funzione (decorso del termine di durata, esercizio della facoltà di recesso).
Cass. civ. n. 120/1983
L’azione di rivendicazione e quella di restituzione — pur differenziandosi perché, mentre la prima, di natura reale, tende al riconoscimento del diritto di proprietà dell’attore ed al conseguimento del possesso sottrattogli contro la sua volontà, la seconda, di natura personale, presuppone che la detenzione della cosa sia stata trasferita al convenuto dall’attore o dal suo dante causa in forza di un rapporto successivamente venuto meno per invalidità, inefficacia, decorso del termine di durata, esercizio della facoltà di recesso, con il conseguente sorgere dell’obbligo di restituzione — sono entrambe dirette allo stesso risultato pratico del recupero del possesso del bene, con la conseguenza che possono essere proposte in via (anche implicitamente) alternativa, ovvero che, essendo stata proposta espressamente soltanto una di esse, questa possa trasformarsi, in corso di giudizio, nell’altra in relazione alle eccezioni del convenuto ed a determinate condizioni.
Cass. civ. n. 1004/1982
L’azione di rivendicazione presuppone che l’attore assuma di essere proprietario di una cosa e di non averne più il possesso ed agisca, quindi, contro il possessore o il detentore per ottenerne la restituzione, sicché essa richiede l’allegazione della proprietà di una certa cosa per ambito e contorni determinati (o determinandi) e la deduzione della lesione del proprio diritto in un ambito ben circoscritto, con un esatto tantundem restitutorio. Tali estremi non ricorrono in ipotesi di domanda di revindica volta ad accertare una situazione di comproprietà tra i contendenti per quote minime imprecisate, con conseguente rettifica catastale, a fronte di un atto attributivo al convenuto della proprietà esclusiva di una parte del bene in contestazione e della comproprietà del medesimo, per il resto, in una quota determinata.
Cass. civ. n. 2799/1977
In tema di azione di rivendicazione non sussiste alcuna norma che limiti a prova a quella documentale, tanto più che l’azione può essere esercitata anche da chi abbia acquistato la proprietà per usucapione, senza necessità di alcun precedente accertamento giudiziale.
Cass. civ. n. 736/1977
Dalla presunzione di buona fede nel possesso, fissata dall’art. 1147 terzo comma c.c., deriva che all’attore in rivendicazione di bene mobile è sufficiente provare di aver acquistato il possesso della cosa in base a titolo astrattamente e potenzialmente idoneo al trasferimento della proprietà (art. 1153 c.c.), mentre spetta a chi resiste all’azione medesima di dimostrare l’eventuale mala fede al momento della consegna a non domino.
Cass. civ. n. 3859/1976
La prova a carico di colui che agisce in rivendicazione deve dimostrare la persistenza del diritto vantato fino alla domanda e l’azione deve ritenersi infondata se, pur essendo dimostrato il diritto del rivendicante per un certo periodo, esso risulti successivamente perduto per l’acquisto dello stesso bene validamente effettuato dal convenuto.
Cass. civ. n. 1122/1976
Il criterio distintivo tra azione di rivendica ed azione di accertamento del diritto di proprietà va individuato nella funzione petitoria e restitutoria che ha l’azione reale di rivendicazione, caratterizzata dal presupposto che l’attore, assumendo di essere il proprietario della cosa e di non averne il possesso, agisca contro il possessore o il detentore per ottenere il riconoscimento del proprio diritto e per conseguire la restituzione del bene; invece, l’azione di accertamento della proprietà ha per obiettivo non già la modificazione di uno stato di fatto non conforme allo stato di diritto, ma l’eliminazione di ogni incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa, di cui l’attore è già investito, attraverso la dichiarazione che esso risponde esattamente allo stato di diritto.
Cass. civ. n. 814/1976
In tema di azione di accertamento, per essere obiettiva, l’incertezza che genera l’interesse ad agire deve essere provocata da un atto o fatto esteriore, tale da conferire attualità e concretezza a quello stato di dubbio di cui si vuol promuovere, mediante una pronunzia di accertamento, l’effetto pregiudizievole; occorre quindi che l’incertezza sul contenuto di diritti e doveri sia attuale, non soltanto possibile ed eventuale, e nasca da un rapporto già esistente e non meramente ipotetico.
Cass. civ. n. 952/1975
In tema di prova del diritto di proprietà nelle azioni di rivendicazione, quando ciascuno dei contendenti affermi il suo diritto di proprietà in base a titoli di acquisto negoziali provenienti da autori diversi, il giudice non può prescindere dall’esame dei titoli dei vari danti causa onde accertare le condizioni massimali di un acquisto del diritto a titolo originario; l’esame, invece, può essere meno rigoroso quando i titoli di acquisto vantati dalle parti in causa siano di tipo diverso tra loro, ed a colui che agisca in base ad un titolo negoziale sia opposto un possesso ad usucapionem per il tempo previsto dalla legge.
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