10 Gen Art. 2733 — Confessione giudiziale
È giudiziale la confessione resa in giudizio.
Essa forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili.
In caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice [ 1309, 2728, 3 ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 19554/2016
La confessione giudiziale costituisce una dichiarazione di scienza, il cui elemento essenziale è l’affermazione inequivoca in ordine ad un fatto storico dubbio, resa la quale gli effetti che ne derivano sono stabiliti dalla legge, siccché è irrilevante l’indagine sullo stato soggettivo del confitente o sul fine da lui perseguito nel renderla. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto corretta la sentenza di appello che aveva escluso che l’ammissione dell’assenza dal luogo di lavoro negli orari contestati, compiuta da un medico ospedaliero in sede disciplinare, costituisse accettazione del licenziamento per giusta causa).
Cass. civ. n. 7015/2012
Le dichiarazioni rese in giudizio dal difensore, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte, non hanno efficacia di confessione, ma possono essere utilizzate dal giudice come elementi indiziari, valutabili agli effetti dell’art. 2729 c.c. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso avverso la decisione di merito che aveva riconosciuto il possesso sulla base delle ammissioni del difensore del convenuto per usucapione, in quanto corroborate da altri elementi inferenziali desunti dalla condotta proprietaria dell’attore).
Cass. civ. n. 17239/2010
Le dichiarazioni rese in sede d’interrogatorio libero o non formale, che è istituto finalizzato alla chiarificazione delle allegazioni delle parti e dotato di funzione probatoria a carattere meramente sussidiario, non possono avere valore di confessione giudiziale ai sensi dell’art. 229 c.p.c., ma possono solo fornire al giudice elementi sussidiari di convincimento utilizzabili ai fini del riscontro e della valutazione delle prove già acquisite; ne consegue che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta relativa alla concreta utilizzazione di tale strumento processuale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, e che la mancata considerazione delle sue risultanze, da parte del giudice, non integra il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia.
Cass. civ. n. 13212/2006
In tema di prova civile, la confessione giudiziale o stragiudiziale richiede una esplicita dichiarazione della parte o del suo rappresentante in ordine alla verità di fatti ad essa sfavorevoli o favorevoli all’altra parte, e, pur potendo desumersi da un comportamento o da fatti concludenti, non può consistere in una dichiarazione solo implicitamente o indirettamente ammissiva dei fatti in discussione, che è utilizzabile quale elemento meramente presuntivo od indiziario; infatti, la dichiarazione intanto pub essere qualificata come confessione in quanto consti di un elemento soggettivo, consistente nella consapevolezza e volontà di riconoscere la verità di un fatto a sé sfavorevole e favorevole all’altra parte e di un elemento oggettivo, che è configurabile quando, dall’ammissione non controversa di un fatto, derivi un concreto pregiudizio all’interesse del dichiarante e un vantaggio corrispondente per il destinatario della dichiarazione. (Nella specie, è stato escluso che – con riferimento alla pattuizione del compenso in misura corrispondente ai minimi previsti dalla tariffa forense – potesse qualificarsi come confessione stragiudiziale la comunicazione con cui il legale aveva manifestato al cliente la volontà di pretendere la liquidazione degli onorari nella misura dovuta e non più nei minimi tariffari, ai quali in precedenza aveva dichiarato di limitare la pretesa).
Cass. civ. n. 26686/2005
Pur essendo vero che le ammissioni contenute nella comparsa di risposta — così come in uno degli atti processuali di parte indicati dall’art. 125 c.p.c. — siccome facenti parte del processo, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., è tuttavia necessario che la comparsa, affinché possa produrre tale efficacia probatoria, sia stata sottoscritta dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli contenute nell’atto. Conseguentemente, è inidonea a tale scopo la mera sottoscrizione della procura scritta a margine o in calce che, anche quando riportata nel medesimo foglio in cui è inserita la dichiarazione ammissiva, costituisce atto giuridicamente distinto, benché collegato.
Cass. civ. n. 4744/2005
Le dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all’altra parte, non hanno efficacia di confessione ma possono soltanto fornire elementi indiziari qualora l’atto sia sottoscritto dal difensore e non dalla parte personalmente, atteso che la confessione giudiziale spontanea può essere manifestata efficacemente solo da chi abbia il potere di disporre del diritto controverso e quindi non dal difensore, a meno che questi sia munito d’apposito mandato in tal senso, che si aggiunga alla procura alle liti.
Cass. civ. n. 18655/2003
La confessione giudiziale costituisce una dichiarazione di scienza, il cui elemento essenziale è una affermazione inequivoca in ordine ad un fatto storico dubbio, resa la quale gli effetti che ne derivano sono stabiliti dalla legge; ne consegue che è irrilevante l’indagine sull’intento perseguito dall’autore di essa nel renderla, in quanto non spiega alcuna rilevanza né che l’autore della confessione abbia voluto scientemente costituire una prova, né il fine per il quale ha pronunciato la dichiarazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la dichiarazione resa da una parte in ordine al fatto che sul fondo oggetto della controversia i componenti di un nucleo familiare svolgessero attività continuativa e coordinata, volta alla normale conduzione del fondo).
Cass. civ. n. 2469/2003
Per potersi qualificare alla stregua di una confessione stragiudiziale, l’affermazione contenuta in uno scritto difensivo depositato in un giudizio tra terzi deve essere direttamente imputabile alla parte, e non solo al suo difensore, giacché questi non ha la disponibilità del diritto cui la pretesa confessione si riferisce.
Cass. civ. n. 607/2003
Le dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio formale costituiscono confessione giudiziale se, sotto il profilo soggettivo, ricorre l’
animus confitendi, consistente nella consapevolezza e volontà di riconoscere un fatto a sé sfavorevole e vantaggioso per l’altra parte, indipendentemente dalla consapevolezza delle conseguenze che possono derivarne, dovendo altresì la certezza in ordine al verificarsi di detto fatto ricavarsi esclusivamente da siffatte dichiarazioni, senza necessità di un qualsiasi ulteriore conforto probatorio.
Cass. civ. n. 11946/2002
Le missive preprocessuali e le affermazioni contenute negli atti processuali provenienti dal legale della parte non hanno valore confessorio, ma hanno carattere indiziario, e come tali possono essere legittimamente utilizzate e liberamente valutate dal giudice ai fini della formazione del proprio convincimento; di esse non può essere aprioristicamente omesso l’esame in quanto il giudice ha comunque l’obbligo di valutare in concreto la rilevanza degli elementi indiziari acquisiti al giudizio ed è tenuto a dare conto in motivazione sia quando li ritenga sufficienti per fondarvi la propria decisione; sia, all’opposto, quando non li ritenga determinanti.
Cass. civ. n. 4727/2001
Le ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritte unicamente dal procuratore ad litem, pur non avendo valore confessorio, costituiscono elementi indiziari che possono liberamente essere valutati dal giudice per la formazione del suo convincimento. Quando invece esse rechino anche la sottoscrizione della parte, in calce o a margine dell’atto, ben può ad esse essere attribuito, dal giudice, valore confessorio, dovendo presumersi che la parte abbia avuto la piena conoscenza di quelle ammissioni e ne abbia assunto anch’essa la titolarità.
Cass. civ. n. 2574/1994
La confessione giudiziale ha piena efficacia di prova legale solo quando, quale riconoscirnento puro e semplice della verità di fatti sfavorevoli alla parte dichiarante, assume carattere di univocità e di incontrovertibilità, vincolante per il giudice. Quando, invece, vengono dichiarati altri fatti e circostanze idonei ad infirmare, modificare od estinguere l’efficacia dell’evento confessato, la confessione resa in giudizio è apprezzata liberamente dal giudice.
Cass. civ. n. 4337/1993
La confessione, resa nel giudizio penale, non costituisce fonte di prova neppure nel processo civile. Essa può tuttavia essere utilizzata dal giudice come elemento di riscontro di altri elementi se non oppugnata da contrarie e più attendibili risultanze.
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