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Art. 2599 — Sanzioni

Art. 2599 — Sanzioni

La sentenza che accerta atti di concorrenza sleale ne inibisce la continuazione e dà gli opportuni provvedimenti affinché ne vengano eliminati gli effetti [ 2598, n. 3 ].

L’eventuale comma dell’articolo ricompreso fra parentesi quadre è stato abrogato.

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Aggiornato al 1 gennaio 2020
Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 6226/2013

In tema di concorrenza sleale, il carattere essenziale e tipico dell’azione inibitoria ex art. 2599 cod. civ. è quello di apprestare una tutela giurisdizionale preventiva rivolta verso il futuro. Ne consegue che la pronuncia di inibitoria implica non solo l’ordine di cessare una attività in atto, ma anche quello di astenersi in futuro dal compiere una certa attività, pur se nel frattempo cessata.

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Cass. civ. n. 13067/2008

In tema di concorrenza sleale, la funzione dell’azione inibitoria di cui all’art. 2599 c.c. mette capo ad una pronuncia che, sebbene non suscettibile di attuazione diretta nelle forme dell’esecuzione forzata, può costituire oggetto di giudicato, consentendo di «acquisire» ad un eventuale secondo giudizio di cognizione l’accertamento, compiuto nel primo giudizio, dell’illiceità dell’atto ex art. 2598 c.c.; i principi sui limiti oggettivi di tale giudicato sono rispettati se fra i due comportamenti (quello considerato nella pronuncia inibitoria e quello successivamente realizzato) sussista un’identità di genere e specie, all’interno della quale le eventuali variazioni meramente estrinseche e non caratterizzanti non possono fare escludere l’operatività della pronuncia medesima; ne consegue che se oggetto della seconda azione non è l’accertamento dell’adempimento del giudicato formatosi sulla prima pronuncia inibitoria, bensì la verifica di nuovi comportamenti pubblicitari in funzione anticoncorrenziale, la predetta identità non sussiste, né dunque può essere invocato alcun giudicato. (Fattispecie decisa con riguardo ad una prima pronuncia che inibiva ad una società l’uso di una certa denominazione nella pubblicità se non previa adozione di particolari accorgimenti, oggetto di azione ritenuta dalla S.C. diversa rispetto alla successiva azione con cui veniva domandata sia l’inibizione totale all’utilizzo della medesima denominazione altresì nella ragione sociale del concorrente convenuto sia l’accertamento dell’usurpazione del marchio).

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Cass. civ. n. 3179/1987

Il titolare d’impianto di trasmissioni televisive via etere in ambito locale, il quale, senza autorizzazione dell’amministrazione, utilizzi di fatto e con preuso un determinato canale o banda di frequenza, è portatore, nel rapporto con altro imprenditore privato che interferisca, sempre privo di autorizzazione, su detto canale o banda, di posizioni soggettive tutelabili non solo in sede possessoria, ma anche in sede petitoria, e, quindi, nel concorso dei requisiti fissati dall’art. 2598 c.c., può denunciare l’indicata interferenza come attività di concorrenza sleale, al fine della cessazione dell’attività stessa e dell’eventuale risarcimento del danno.

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Cass. civ. n. 4755/1986

In relazione a comportamenti antigiuridici atti a protrarsi nel tempo, l’esperibilità dell’azione inibitoria, rivolta cioè a conseguire una pronuncia del giudice che precluda la prosecuzione dei comportamenti medesimi, non configura espressione di un principio generale dell’ordinamento, e può essere riconosciuta soltanto nella materia in cui è specificamente contemplata dalla legge. Peraltro, nell’ambito di tali materie, deve ammettersi la possibilità di una applicazione analogica della norma che preveda l’inibitoria (art. 12 secondo comma disp. prel. c.c.), con riguardo a casi simili, per i quali non si giustificherebbe una deteriore tutela del soggetto a fronte del probabile ripetersi del fatto dannoso. Pertanto, nella ipotesi di comportamento lesivo della sfera patrimoniale dell’imprenditore, il quale, pur difettando dei requisiti per essere qualificato come atto di concorrenza sleale, integri un illecito aquiliano, deve ritenersi esperibile l’indicata azione, facendo applicazione per analogia dell’art. 2599 c.c. in tema di concorrenza sleale.

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Cass. civ. n. 2669/1980

L’inibizione della continuazione di atti di concorrenza sleale, prevista dall’art. 2599 c.c., non presuppone l’esistenza di danni attuali, ma richiede soltanto che l’attività del concorrente sia potenzialmente idonea a cagionarne.

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