10 Gen Art. 2549 — Nozione
Con il contratto di associazione in partecipazione l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto [ 1350, n. 9, 2533 ].
Nel caso in cui l’associato sia una persona fisica l’apporto di cui al primo comma non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro..
[ Le disposizioni di cui al secondo comma non si applicano, limitatamente alle imprese a scopo mutualistico, agli associati individuati mediante elezione dall’organo assembleare di cui all’articolo 2540, il cui contratto sia certificati dagli organismi di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, nonchè in relazione al rapporto fra produttori e artisti, interpreti, esecutori, volto alla realizzazione di registrazioni sonore, audiovisive o di sequenze di immagini in movimento ].
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 1817/2013
In tema di contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato, l’elemento differenziale rispetto al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili d’impresa risiede nel contesto regolamentare pattizio in cui si inserisce l’apporto della prestazione da parte dell’associato, dovendosi verificare l’autenticità del rapporto di associazione, che ha come elemento essenziale, connotante la causa, la partecipazione dell’associato al rischio di impresa e alla distribuzione non solo degli utili, ma anche delle perdite. Pertanto, laddove è resa una prestazione lavorativa inserita stabilmente nel contesto dell’organizzazione aziendale, senza partecipazione al rischio d’impresa e senza ingerenza ovvero controllo dell’associato nella gestione dell’impresa stessa, si ricade nel rapporto di lavoro subordinato in ragione di un generale “favor” accordato dall’art. 35 Cost., che tutela il lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”.
Cass. civ. n. 4524/2011
In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato, pur avendo indubbio rilievo il “nomen iuris” usato dalle parti, occorre accertare se lo schema negoziale pattuito abbia davvero caratterizzato la prestazione lavorativa o se questa si sia svolta con lo schema della subordinazione. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva escluso la sussistenza di elementi caratterizzanti la associazione in partecipazione, ossia la partecipazione agli utili e la sottoposizione di rendiconti, ed aveva invece ravvisato la subordinazione nelle concrete modalità di svolgimento del rapporto, caratterizzate dal pagamento di retribuzione a cadenze fisse, da direttive tecniche e continui controlli della prestazione).
Cass. civ. n. 13179/2010
L’associazione in partecipazione ha, quale elemento causale indefettibile di distinzione dal rapporto di collaborazione libero-professionale, il sinallagma tra partecipazione al rischio d’impresa gestita dall’associante e conferimento dell’apporto lavorativo dell’associato. Ne consegue che l’associato il cui apporto consista in una prestazione lavorativa deve partecipare sia agli utili che alle perdite, non essendo ammissibile un contratto di mera cointeressenza agli utili di un’impresa senza partecipazione alle perdite, tenuto conto dell’espresso richiamo, contenuto nell’art. 2554, secondo comma, c.c., all’art. 2102 c.c., il quale prevede la partecipazione del lavoratore agli utili “netti” dell’impresa.
Cass. civ. n. 24871/2008
In tema di distinzione fra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la causa del primo è ravvisabile nello scambio tra l’apporto dell’associato all’impresa dell’associante ed il vantaggio economico che quest’ultimo si impegna a corrispondere all’associato medesimo. Non costituiscono elementi caratterizzanti del contratto, invece, sia la partecipazione alle perdite, atteso che l’associato che lavori in un’impresa con risultati negativi comunque è soggetto in senso lato ad un rischio economico, sia la mancanza dell’effettività di controllo da parte dell’associato sulla gestione dell’impresa, posto che diversamente si desume dall’art. 2552, comma terzo, cod. civ., sia la circostanza che la partecipazione possa essere commisurata al ricavo dell’impresa anziché agli utili netti, in quanto l’art. 2553 cod. civ consente alle parti di determinare la quantità della partecipazione dell’associato agli utili.
Cass. civ. n. 1420/2002
Nel contratto di associazione in partecipazione, che mira, nel quadro di un rapporto sinallagmatico con elementi di aleatorietà, al perseguimento di finalità in parte analoghe a quelle dei contratti societari, è elemento costitutivo essenziale, come si evince chiaramente dall’art. 2549 c.c., la pattuizione a favore dell’associato di una prestazione correlata agli utili dell’impresa, e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell’attività dell’impresa. (Principio enunciato in controversia relativa alla qualificazione del rapporto come di lavoro subordinato o di associazione in partecipazione).
Cass. civ. n. 6757/2001
L’istituto dell’associazione in partecipazione di cui all’art. 2549 ss. c.c., che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l’attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota degli utili, anche forfettari, derivanti dalla gestione di una sua impresa o di un suo affare all’altro (associato) e l’apporto, da quest’ultimo conferito, che può essere di qualsiasi natura, purché strumentale per l’esercizio di quell’impresa o per lo svolgimento di quell’affare, non determina la formazione di un soggetto nuovo o la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunione dell’affare o dell’impresa, che restano di esclusiva pertinenza dell’associante; pertanto, è solo l’associante che fa propri gli utili, salvo, nei rapporti interni, il suo obbligo di liquidare all’associato la sua quota di utili e a restituirgli l’apporto. Da tale istituto si differenzia la figura, di origine anglosassone, delle joint venture e — fra l’altro e più in particolare — quelle delle joint venture corporations, con il quale termine si indicano forme di associazione temporanea di imprese finalizzate all’esercizio di un’attività economica in un settore di comune interesse, nelle quali le parti prevedono la costituzione di una società di capitali, con autonoma personalità giuridica rispetto ai conventerers, alla quale affidare la conduzione dell’iniziativa congiunta. Dall’associazione in partecipazione si differenzia anche l’associazione temporanea di imprese contemplate dalla legge n. 584 del 1997 che, pur non costituendo una persona giuridica distinta dalle imprese riunite che conservano la propria autonomia, è però caratterizzata da un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito collettivamente all’impresa «capogruppo» che è legittimata a compiere, con l’amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’affare comune (di solito, appalto di opere pubbliche) e produttiva di effetti direttamente nei confronti delle imprese mandanti.
Cass. civ. n. 15175/2000
Nell’associazione in partecipazione, l’apporto cui è tenuto l’associato ex art. 2549 c.c. può essere della più varia natura, patrimoniale od anche personale. Esso può, pertanto, consistere anche nell’attività di intermediazione per la conclusione di determinati affari. Non è incompatibile con la natura del contratto di associazione in partecipazione la previsione della corresponsione in favore dell’associato di una somma fissa priva di ogni riscontro con gli utili effettivamente conseguiti.
Cass. civ. n. 1188/2000
In tema di distinzione tra contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell’associato e contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili dell’impresa, la riconducibilità del rapporto all’uno o all’altro degli schemi predetti esige un’indagine del giudice di merito (il cui accertamento, se adeguatamente e correttamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità) volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che, mentre il primo implica l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante e l’esistenza per l’associato di un rischio di impresa (non immutabile dall’associante e non limitato alla perdita della retribuzione, con salvezza del diritto alla retribuzione minima proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro), il rapporto di lavoro subordinato implica un effettivo vincolo di subordinazione più ampio del generico potere dell’associante di impartire direttive e istruzioni al cointeressato.
Cass. civ. n. 2315/1998
Al fine di stabilire se lo svolgimento di prestazioni lavorative sia da ricondurre ad un rapporto di lavoro subordinato o invece ad un rapporto associativo occorre accertare se il corrispettivo dell’attività lavorativa escluda o meno un apprezzabile rischio, se colui che la esplica sia assoggettato al potere disciplinare e gerarchico della persona o dell’organo che assume le scelte di fondo nell’organizzazione delle persone o dei beni e, ancora, se il prestatore abbia un potere di controllo sulla gestione economica dell’impresa.
Cass. civ. n. 3936/1997
La pattuita partecipazione dell’associato, il cui apporto abbia un contenuto patrimoniale, ai ricavi dell’impresa gestita in associazione, ancorché non sia perfettamente assimilabile alla partecipazione agli utili come previsto dall’art. 2549 c.c., non altera il tipo contrattuale sicché è ravvisabile pur sempre un’associazione in partecipazione e non già né un contratto atipico, né un contratto di lavoro subordinato atteso che la variabilità del fatturato comporta da un parte il diritto dell’associato al rendiconto e, d’altra parte, la presenza di un suo rischio patrimoniale incompatibilità con la subordinazione; né è ravvisabile un rapporto di parasubordinazione, che richiede che l’apporto dell’associato consista esclusivamente nella propria attività lavorativa e che quindi non è ravvisabile quando tale apporto abbia un contenuto patrimoniale. Consegue quindi che la lite avente ad oggetto tal genere di contratto rientra nella competenza del giudice civile ordinario.
Cass. civ. n. 7026/1995
Sono compatibili con il contratto di associazione in partecipazione le clausole che, nell’ambito dei criteri di ripartizione degli utili, prevedono il pagamento all’associato o all’associante di speciali indennizzi o corrispettivi per speciali apporti di energie lavorative o di beni strumentali. (Nella specie, si trattava di un contratto associativo stipulato tra il farmacista titolare di una farmacia ed un terzo, nel quale si prevedeva il diritto del farmacista — associante — a dedurre dagli utili da ripartire una somma di denaro per l’impegno di lavoro a cui era tenuto per la diretta gestione del servizio e per il valore locativo dell’immobile).
Cass. civ. n. 6951/1994
L’associazione in partecipazione, inquadrabile nella categoria dei contratti di collaborazione, prevede il conseguimento di un risultato comune attraverso l’apporto dei partecipanti, che è in parte patrimoniale e in parte personale, di modo che la cessazione di uno solo, ma essenziale elemento dell’apporto pattuito, ben può costituire causa di risoluzione del contratto; peraltro il giudice di merito, nel valutare la fondatezza della domanda di risoluzione per inadempimento, ai sensi dell’art. 1455 c.c. deve tener conto della gravità dell’inadempimento, che deve essere accertata sulla base di un criterio relativo, nel quadro complessivo del rapporto e dei reciproci interessi dei contraenti, tenendo presente che, quando l’inadempimento di una parte non sia grave, il rifiuto dell’altra non è di buona fede e, quindi, non è giustificato.
Cass. civ. n. 4473/1993
Nel contratto di associazione in partecipazione agli utili dell’impresa o di uno o più affari, il diritto di recesso deve riconoscersi a ciascuno dei contraenti ove manchi la previsione del termine di durata del rapporto, con la conseguenza che l’istituto del recesso unilaterale a norma del secondo comma dell’art. 1373 c.c. è applicabile sia al contratto sopra richiamato che ai rapporti di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite, che costituisce una figura particolare del contratto di cui all’art. 2549 c.c.
Cass. civ. n. 2016/1993
L’associazione in partecipazione, nella quale l’apporto dell’associato, avendo carattere strumentale all’esercizio dell’impresa o per lo svolgimento dell’affare dell’associante, può essere di qualsiasi natura e consistere anche nella prestazione di un’attività lavorativa (senza vincolo di dipendenza), non resta esclusa dal patto che attribuisca al primo un potere di controllo, ove la conduzione dell’impresa o dell’affare e la conseguente responsabilità verso i terzi rimangano a carico del secondo.
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