Art. 2355 bis – Codice civile – Limiti alla circolazione delle azioni

Nel caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento.

Le clausole dello statuto che subordinano il trasferimento delle azioni al mero gradimento di organi sociali o di altri soci sono inefficaci se non prevedono, a carico della società o degli altri soci, un obbligo di acquisto oppure il diritto di recesso dell'alienante; resta ferma l'applicazione dell'articolo 2357. Il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'articolo 2437 ter.

La disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso.

Le limitazioni al trasferimento delle azioni devono risultare dal titolo.

Le parole ricomprese fra parentesi quadre sono state abrogate.
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Massime correlate

Cass. civ. n. 16168/2014

È valida la clausola statutaria che preveda che la consistenza patrimoniale della società, alla quale fa riferimento l'art. 2437 ter, secondo comma, cod. civ. ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso del socio (ovvero, in virtù del richiamo di cui all'art. 2355 bis, terzo comma, cod. civ., nell'ipotesi di prelazione nella circolazione "mortis causa"), venga valutata secondo un criterio che tenga conto dell'utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale (cosiddetto "going concern") atteso che, da un lato, la valutazione della consistenza patrimoniale può essere effettuata secondo una molteplicità di criteri, sicché la scelta statutaria del criterio del "going concern" non può ritenersi adottata in violazione di legge, mentre, dall'altro, tale criterio si mostra coerente con la condizione dei beni organizzati in azienda, il cui valore complessivo non si risolve nella somma del valore statico dei singoli beni, ma è inevitabilmente influenzato dalla prospettiva della continuazione dell'attività.

Cass. civ. n. 12797/2012

Il patto di prelazione inserito nello statuto di una società di capitali ed avente ad oggetto l'acquisto delle azioni sociali, poiché è preordinato a garantire un particolare assetto proprietario, ha efficacia reale, in caso di violazione, è opponibile anche al terzo acquirente.
Il socio di una società di capitali che lamenti la violazione del suo diritto di prelazione nel caso di vendita di azioni sociali, statutariamente previsto, non può limitarsi a dimostrare in giudizio l'esistenza del suddetto patto, ma deve anche allegare e provare che dalla sua violazione è derivata una lesione del suo interesse a rendersi acquirente delle azioni trasferite a terzi.