10 Gen Art. 1668 — Contenuto della garanzia per difetti dell’opera
Il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell’appaltatore, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, salvo il risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore [ 1223 ].
Se però le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente può chiedere la risoluzione del contratto.
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Aggiornato al 1 gennaio 2020Il testo riportato è reso disponibile agli utenti al solo scopo informativo. Pertanto, unico testo ufficiale e definitivo è quello pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Italiana che prevale in casi di discordanza rispetto al presente.[adrotate group=”8″]
Massime correlate
Cass. civ. n. 24305/2017
Nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell’opera, può richiedere, a norma dell’art. 1668, comma 1, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell’appaltare mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 c.c., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. La prima domanda, infatti, che postula la colpa dell’appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell’appaltatore (come nel caso di danni a persone o a cose, o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente); la seconda, che prescinde dalla colpa dell’appaltatore tenuto comunque alla garanzia, tende a conseguire un “minus” rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della “eadem res debita”, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi.
Cass. civ. n. 15846/2017
In tema di responsabilità dell’appaltatore ex art. 1669 c.c., il risarcimento del danno riconosciuto al committente per l’eliminazione dei difetti di costruzione dell’immobile può giungere a consentire la completa ristrutturazione di quest’ultimo, comportando tale responsabilità un’obbligazione risarcitoria per equivalente finalizzata al totale ripristino dell’edificio, e non una reintegrazione in forma specifica ex art. 2058 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva condannato l’appaltatore a sostenere tutti i costi necessari per la definitiva eliminazione dei difetti, ancorché più elevati di quelli originariamente previsti per la realizzazione dell’opera).
Cass. civ. n. 3199/2016
In tema di appalto, l’art.1668 c.c., nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’art.1667 c.c., attribuisce al committente, oltre all’azione per l’eliminazione dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell’appaltatore; sicché, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell’opera e destinate ad integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 c.c. si applicano anche all’azione di risoluzione del contratto ex art. 1668, comma 2, c.c., atteso che il legislatore ha inteso contemperare l’esigenza della tutela del committente a conseguire un’opera immune da difformità e vizi con l’interesse dell’appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell’esecuzione della prestazione.
Cass. civ. n. 19103/2012
In tema di appalto, il risarcimento del danno in caso di vizi dell’opera appaltata, rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle tutele (riduzione del prezzo e risoluzione) approntate a favore del committente dall’art. 1668 c.c., e normalmente consistente nel ristoro delle spese sopportate dall’appaltante per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatori, deve essere raccordato con la particolare natura dell’ “opus” commissionato. Ne consegue che, se l’oggetto dell’appalto sia costituito dalla realizzazione di una “res”, gli interventi emendativi si rapportano all’opera come sarebbe dovuta risultare, ove realizzata a regola d’arte; mentre, se oggetto dell’appalto sia l’esecuzione di un’attività sul bene del committente, alla luce dei medesimi criteri di proporzionalità tra oggetto dell’appalto e danno, il risarcimento non può concretarsi in un radicale intervento di ripristino della cosa (come avvenuto nella specie, per la messa a punto dei motori di un natante), facendo altrimenti conseguire al danneggiato una “res” qualitativamente migliore rispetto a quella anteriore, nella quale pure l’originario oggetto dell’appalto viene ricompreso.
Cass. civ. n. 8889/2011
In tema di appalto, il risarcimento del danno che si aggiunge alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1453, primo comma, e 1668 c.c., non può avere natura di reintegrazione in forma specifica; nel senso che non può essere richiesto il ripristino della situazione esistente anteriormente all’esecuzione del contratto e, contemporaneamente, anche la realizzazione di quella che sarebbe conseguita all’esatto adempimento del medesimo, determinandosi altrimenti un illegittimo duplice beneficio conseguente dalla restituzione di ciò che si è dato e dal conseguimento dell’utilità che l’adempimento avrebbe determinato.
Cass. civ. n. 6181/2011
Nel contratto di appalto il committente, che lamenti difformità o difetti dell’opera, può richiedere, a norma dell’art. 1668, primo comma, c.c., che le difformità o i difetti siano eliminati a spese dell’appaltare mediante condanna da eseguirsi nelle forme previste dall’art. 2931 c.c., oppure che il prezzo sia ridotto e, in aggiunta o in alternativa, che gli venga risarcito il danno derivante dalle difformità o dai vizi. La prima domanda, infatti, che postula la colpa dell’appaltatore, è utilizzabile per il ristoro del pregiudizio che non sia eliminabile mediante un nuovo intervento dell’appaltatore (come nel caso di danni a persone o a cose, o di spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente); la seconda, che prescinde dalla colpa dell’appaltatore tenuto comunque alla garanzia, tende a conseguire un minus rispetto alla reintegrazione in forma specifica, della quale rappresenta il sostitutivo legale, mediante la prestazione della eadem res debita, sicché deve ritenersi ricompresa, anche se non esplicitata, nella domanda di eliminazione delle difformità o dei vizi.
Cass. civ. n. 936/2010
In tema di inadempimento del contratto di appalto, le disposizioni speciali dettate dal legislatore attengono essenzialmente alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell’opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all’art. 1667 c.c., ma non derogano al principio generale che governa l’adempimento del contratto con prestazioni corrispettive, il quale comporta che l’appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, abbia l’onere – allorché il committente sollevi l’eccezione di inadempimento di cui al terzo comma di detta disposizione – di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte.
Cass. civ. n. 24948/2007
In tema di appalto, il committente che, per difetti dell’opera, abbia esperito azione di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore, può successivamente, sia in primo grado che in appello, modificare la domanda in quella di riduzione del prezzo. Infatti, non soltanto non è estensibile all’appalto il principio, dettato per la vendita dall’art. 1492, comma 2, c.c., dell’irrevocabilità della scelta, operata mediante domanda giudiziale, tra risoluzione del contratto e riduzione del prezzo; ma nel caso di inadempimento dell’appaltatore, il divieto posto dall’art. 1453, comma 2, c.c. impedisce al committente che abbia proposto domanda di risoluzione di mutare tale domanda in quella di adempimento, ma non anche di chiedere la riduzione del prezzo (domanda, questa, che non integra una domanda nuova rispetto a quella originaria di risoluzione perché fondata sulla stessa causa petendi e caratterizzata da un petitum più limitato).
Cass. civ. n. 9295/2006
In materia di appalto, la disciplina dettata dell’art. 1668 in tema di difetti dell’opera, in deroga a quella stabilita in via generale in tema di inadempimento del contratto, concede al committente la possibilità di domandare la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell’opera siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, mentre negli altri casi il committente può agire con le alternative azioni di eliminazione dei vizi o di riduzione del prezzo, soltanto nell’ottica del mantenimento del contratto. Pertanto, nel caso in cui il committente abbia domandato il risarcimento del danno in correlazione con la domanda di risoluzione e i difetti non siano risultati tali da giustificare lo scioglimento del contratto, la domanda di risarcimento non può essere accolta per difetto della causa petendi.
Cass. civ. n. 9033/2006
La tutela apprestata al committente dall’art. 1668 c.c. si inquadra nell’ambito della normale responsabilità contrattuale per inadempimento e pertanto, qualora l’appaltatore non provveda direttamente alla eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, il committente può sempre chiedere il risarcimento del danno, nella misura corrispondente alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi, senza alcuna necessità del previo esperimento dell’azione di condanna alla esecuzione specifica.
Cass. civ. n. 3302/2006
Nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, dettata dagli artt.1453 e 1455 c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt.1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata eseguita, ma presenti vizi, difformità o difetti.
Cass. civ. n. 25921/2005
In tema di appalto, ai sensi dell’art. 1668 c.c. l’azione del committente per il risarcimento dei danni derivanti dai vizi dell’opera appaltata si aggiunge, nel caso di colpa dell’appaltatore, all’azione diretta alla eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore o a quella di riduzione del prezzo; infatti, tale azione riguarda il ristoro dei pregiudizi patrimoniali non realizzabile tramite l’esperimento dell’azione per la eliminazione dei vizi o di quella di riduzione del prezzo, in quanto concerne la lesione di interessi del committente tutelati dall’ordinamento, quali il danno a persone o a cose derivanti dai vizi o le spese di rifacimento che il committente abbia provveduto a fare eseguire direttamente; pertanto, nell’ambito di tale azione risarcitoria rientrano i danni conseguenti al ridotto godimento dell’immobile di proprietà del committente riconducibili alla necessità di procedere ad interventi finalizzati alla eliminazione dei vizi dell’opera appaltata o ancora quelli relativi al ritardo nell’adempimento, essendo configurabile un pregiudizio derivante al committente dalla eventuale ridotta utilizzazione dell’appartamento conseguente all’ingiustificata protrazione dei lavori da eseguire rispetto ai termini pattuiti.
Cass. civ. n. 8140/2004
Non configura domanda di adempimento del contratto di appalto in quanto tale proponibile soltanto dal committente della costruzione e non dall’acquirente della stessa, perché costui è un terzo rispetto a detto contratto la domanda con cui l’acquirente di un immobile, in base ai difetti costruttivi del medesimo, chiede la condanna del costruttore al pagamento delle somme necessarie per l’eliminazione di detti difetti, perché la domanda di eliminazione diretta degli stessi, ancorché proponibile anche dall’appaltatore nei confronti del committente, costituisce domanda di risarcimento del danno in forma specifica da responsabilità extracontrattuale e non domanda di adempimento del contratto di appalto.
Cass. civ. n. 5250/2004
La garanzia dell’appaltatore per le difformità ed i vizi dell’opera si configura non come una garanzia in senso tecnico, ma come un’ esplicazione particolare della comune responsabilità per inadempimento, attuabile — a scelta del committente — con la riduzione proporzionale del prezzo o con l’eliminazione delle carenze a spese dell’appaltatore. Le due azioni non sono surrogabili l’una con l’altra, per cui se il committente non ha chiesto l’eliminazione dei vizio delle difformità, può essere disposta soltanto la riduzione del prezzo pattuito. L’appaltatore, quindi, non può chiedere di eseguire spontaneamente le opere necessarie per l’eliminazione dei vizi se la relativa domanda non è stata proposta dal committente, mentre può procedere alla detta eliminazione, prima della sentenza, se il committente ha chiesto la condanna dell’appaltatore al pagamento della somma occorrente.
Cass. civ. n. 12704/2002
In tema di appalto, il committente si trova, rispetto ai materiali acquistati dall’appaltatore presso terzi e messi in opera in esecuzione del contratto, in una posizione analoga a quella dell’acquirente successivo nell’ipotesi della c.d. vendita a catena, potendosi, conseguentemente, configurare, in suo favore, due distinte fattispecie di azioni risarcitorie: quella contrattuale (esperibile soltanto nei confronti del «venditore immediato» e cioè dell’appaltatore), in quanto, nonostante l’identità dell’oggetto e del contenuto delle rispettive obbligazioni, ciascuna vendita conserva la propria autonomia strutturale, sicché non è consentito trasferire nei confronti dei precedenti venditori l’azione risarcitoria dell’acquirente danneggiato (ciò che legittima, poi, l’appaltatore, in quanto rivenditore ultimo, ed ogni rivenditore precedente, a rivolgersi al proprio venditore per essere tenuto indenne di quanto versato al subacquirente ove quanto dovuto a quest’ultimo debba considerarsi parte integrante del danno subito per la violazione degli obblighi contrattuali assunti dal precedente venditore nei confronti di esso venditore successivo), quella extracontrattuale, con la quale il committente — destinatario finale dei materiali è legittimato a far valere, anziché la responsabilità contrattuale dell’appaltatore (in quanto proprio venditore, o in concorso con essa, relativa ai danni propriamente connessi all’inadempimento in ragione del vincolo negoziale, e deducibili con l’azione contrattuale ex art. 1668 — corrispondente, per l’appalto, a quella ex art. 1494, secondo comma, relativa alla compravendita —), quella aquiliana del fabbricante in ragione dei danni sofferti per i vizi dei materiali posti in opera in relazione a propri interessi sorti, e svolgentesi al di fuori del contratto di appalto (ed aventi, perciò, natura di diritti assoluti).
Cass. civ. n. 5632/2002
In caso di appalto in presenza di vizi costruttivi che non pregiudicano in assoluto la destinazione dell’opera, pur limitandone in modo notevole l’ordinario godimento, il committente può, ai sensi dell’art. 1668 c.c., agire nei confronti dell’appaltatore anche soltanto con l’azione di risarcimento del danno, (ossia senza chiedere la risoluzione del contratto).
Cass. civ. n. 5496/2002
In tema di appalto, qualora il committente, rilevata l’esistenza di vizi nell’opera, non ne pretenda l’eliminazione diretta da parte dell’esecutore del lavoro, chiedendo, invece, il risarcimento del danno per l’inesatto adempimento, il credito dell’appaltatore per il corrispettivo non viene messo in discussione e, di conseguenza, il relativo, mancato soddisfacimento dà luogo a condanna del committente al pagamento dello stesso.
Cass. civ. n. 886/2002
In tema di contratto d’appalto, l’indagine circa l’esistenza di difformità o vizi dell’opera tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione — ciò che, solo, legittima il committente a richiedere la risoluzione del contratto — va fatta in base a criteri obiettivi soltanto se le parti abbiano omesso ogni pattuizione al riguardo, dovendo, invece, essere compiuta in base a criteri soggettivi quando siano state dedotte, in contratto, particolari caratteristiche dell’opera stessa per assicurarne un impiego e/o un rendimento determinati.
Cass. civ. n. 1836/2000
In difetto di esecuzione, nel termine concesso dalla sentenza di condanna, di primo grado, all’appaltatore per eliminare i vizi e le difformità dell’opera, il committente può provvedervi direttamente a sue spese, e ottenerne il rimborso con la sentenza di secondo grado, come misura del risarcimento del danno derivato dall’inadempimento dell’appaltatore già chiesto in primo grado, perché tale domanda può esser sia in aggiunta, sia in alternativa alla domanda di esecuzione in forma specifica.
Cass. civ. n. 1475/1999
In tema di appalto non è applicabile il principio stabilito per la vendita dal secondo comma dell’art. 1492 c.c. dell’irrevocabilità della scelta operata mediante domanda giudiziale, tra la risoluzione del contratto e la riduzione del prezzo, con la conseguenza che la domanda di risoluzione del contratto di appalto può proporsi nell’udienza di precisazione delle conclusioni dopo che con l’atto di citazione sia stata chiesta la riduzione del prezzo e che quest’ultima può essere nuovamente introdotta nel giudizio di appello in sostituzione di quella di risoluzione, in quanto fondata sulla stessa causa petendi e su un più limitato petitum. Pertanto, non incorre in vizio di ultrapetizione il giudice che, qualora ritenga di non poter accogliere la domanda di risoluzione del contratto perché i vizi dell’opera non sono tali da renderla inidonea alla sua destinazione, disponga soltanto la riduzione del prezzo pattuito, adeguandolo all’opera compiuta.
Cass. civ. n. 10255/1998
In tema di appalto, la responsabilità dell’assuntore del lavoro inerente alla garanzia per vizi e difformità dell’opera eseguita, prevista dagli artt. 1667 e segg. c.c., può configurarsi unicamente quando lo stesso, nell’intervenuto completamento dei lavori, consegni alla controparte un’opera realizzata nel mancato rispetto dei patti o non a regola d’arte, mentre nel caso di non integrale esecuzione dei lavori o di ritardo o rifiuto della consegna del risultato di questi a carico dell’appaltatore può operare unicamente la comune responsabilità per inadempimento contrattuale di cui agli artt. 1453 e segg. c.c.
Cass. civ. n. 3239/1998
Gli artt. 1667, 1668, 1669 c.c., che disciplinano la responsabilità dell’appaltatore sul presupposto della realizzazione e consegna dell’opera commessa, non escludono l’applicabilità della disciplina generale dei contratti in base alla quale, in caso di omessa ultimazione dei lavori, il committente, ai sensi dell’art. 1453, primo comma, c.c., può chiederne il completamento, indipendentemente dall’esercizio della facoltà — e non onere — del committente di controllare lo svolgimento dei lavori e di assegnare un termine per il rispetto delle condizioni stabilite, previsto dall’art. 1662 c.c., per consentire, all’inutile decorso di esso, di domandare la risoluzione del contratto.
Cass. civ. n. 7364/1996
Le disposizioni speciali in tema di inadempimento del contratto di appalto (artt. 1667, 1668, 1669 c.c.) integrano, ma non escludono, l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale che sono applicabili quando non ricorrano i presupposti delle norme speciali, nel senso che la comune responsabilità dell’appaltatore ex artt. 1453 e 1455 c.c. sorge allorquando egli non esegue interamente l’opera o, se l’ha eseguita, si rifiuta di consegnarla o vi procede con ritardo rispetto al termine di esecuzione pattuito, mentre la differente responsabilità dell’appaltatore, inerente alla garanzia per i vizi o difformità dell’opera, prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., ricorre quando il suddetto ha violato le prescrizioni pattuite per l’esecuzione dell’opera o le regole imposte dalla tecnica. Pertanto, nel caso di omesso completamento dell’opera, anche se questa per la parte eseguita risulti difettosa o difforme, non è consentito, al fine di accertare la responsabilità dell’appaltatore per inesatto adempimento, far ricorso alla disciplina della suindicata garanzia che richiede necessariamente il totale compimento dell’opera.
Cass. civ. n. 3454/1996
Anche in presenza dei presupposti per domandare la risoluzione del contratto di appalto, il committente può limitarsi a chiedere l’eliminazione, a spese dell’appaltatore, delle difformità o dei vizi da cui l’opera risulta affetta, pure se tale eliminazione sia possibile solo attraverso l’integrale rifacimento dell’opera medesima. (Nella specie, era stato accertato che i difetti riscontrati nell’opera appaltata, costituita dalla pavimentazione di un grande locale adibito a deposito, potevano essere eliminati, sicuramente e definitivamente, solo mediante il totale rifacimento del pavimento difettoso. La S.C., in applicazione dell’enunciato principio di diritto, ha cassato la sentenza del merito che aveva ritenuto esperibile soltanto la non proposta azione di risoluzione del contratto ed aveva pertanto respinto quella, in concreto esercitata, diretta ad ottenere la condanna dell’appaltatore ad eliminare a sue spese tali difetti).
Cass. civ. n. 4921/1993
In materia di appalto, le domande di risoluzione del contratto e quelle di riduzione del prezzo o di eliminazione dei vizi non sono reciprocamente incompatibili, onde ne è ammissibile la cumulativa proposizione in un unico giudizio, poiché l’
actio
quanti minoris non è richiesta di esatto adempimento, con la conseguenza che, quanto ai suoi rapporti con la domanda di risoluzione, non opera il divieto posto dall’art. 1453, secondo comma c.c. — che impedisce di chiedere l’adempimento dopo che sia stata domandata la risoluzione del contratto — mentre, per ciò che concerne i rapporti fra la domanda di risoluzione ed eliminazione dei vizi, l’esatto adempimento richiesto con questa seconda incorre nel divieto suddetto nei soli limiti in cui sussista l’interesse attuale del contraente che ha chiesto, la risoluzione, tal che non può escludersi la proponibilità di entrambe le medesime domande in un unico giudizio, per l’eventualità del venir meno di tale interesse e quindi in rapporto di subordinazione della seconda alla prima.
Cass. civ. n. 9001/1992
L’azione del committente per il risarcimento dei danni derivanti dalle difformità, i vizi o la mancanza di qualità dell’opera appaltata si aggiunge, nel caso di colpa dell’appaltatore, a quella diretta alla eliminazione, a spese dell’appaltatore, delle difformità e dei vizi o alla riduzione del prezzo, specificamente prevista dall’art. 1668 c.c., senza identificarsi con questa, né essere surrogabile con gli effetti della relativa pronuncia. La responsabilità dell’appaltatore per le difformità ed i vizi dell’opera appaltata, specificamente regolata dall’art. 1668 c.c. senza escludere l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, deve estendersi anche alla mancanza di qualità (essenziali o pattuite), non essendo ipotizzabile una diversità di disciplina tra le predette ipotesi, che in egual modo concretano forme di inadempimento contrattuale dell’appaltatore.
Cass. civ. n. 9613/1990
Ai fini della risoluzione del contratto di appalto per i vizi dell’opera si richiede un inadempimento più grave di quello richiesto per la risoluzione della compravendita per i vizi della cosa, atteso che, mentre per l’art. 1668 secondo comma c.c. la risoluzione può essere dichiarata soltanto se i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inidonea alla sua destinazione, l’art. 1490 c.c. stabilisce che la risoluzione va pronunciata per i vizi che diminuiscono in modo apprezzabile il valore della cosa, in aderenza alla norma generale di cui all’art. 1455 c.c., secondo cui l’inadempimento non deve essere di scarsa importanza avuto riguardo all’interesse del creditore. (Nella specie la S.C. ha annullato per omesso esame di punto decisivo la sentenza impugnata che aveva dichiarato la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1490 e 1492 c.c. sul presupposto della conclusione fra le parti di un contratto di compravendita e non di appalto senza addurre alcun argomento a giustificazione della contestata qualificazione giuridica attribuita alla fattispecie).
Cass. civ. n. 2073/1988
Qualora l’inadempimento dell’appaltatore si concretizzi in vizi o difformità dell’opera, i rimedi accordati al committente sono quelli previsti dalla norma speciale dell’art. 1668 c.c. (prevalente sulle regole generali dell’art. 1453 c.c.), ai sensi del quale, se il committente medesimo opti per la eliminazione di detti vizi a cura e spese dell’appaltatore, anziché per la riduzione del prezzo, l’azione risarcitoria resta utilizzabile solo in via integrativa, per il pregiudizio che non sia eliminabile attraverso tale nuovo intervento dell’appaltatore.
Cass. civ. n. 2573/1983
Nel contratto d’appalto il committente può rifiutare l’adempimento parziale (art. 1181 c.c.) oppure accettarlo, secondo la propria convenienza, sicché, quand’anche la parziale o inesatta esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, ciò non impedisce al committente stesso di trattenere la parte di manufatto realizzato e di provvedere direttamente al completamento e all’eliminazione degli eventuali difetti riscontrati, chiedendo poi (al giudice) il risarcimento dei danni, che può tradursi in una riduzione del prezzo pattuito, tenuto conto sia del valore dell’opera ineseguita che dell’ammontare delle spese sostenute dal suddetto, previo, se del caso, espletamento dei necessari incombenti istruttori.
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