Cass. pen. n. 10101 del 24 settembre 1994
Testo massima n. 1
Il principio secondo cui il divieto di reformatio in peius, ai sensi dell'art. 597 comma quarto c.p.p., deve riferirsi alla pena nelle sue componenti e non solo a quella complessiva, per quanto concerne il reato continuato, presuppone tuttavia che l'unità ontologica di siffatto reato (nella sua struttura di reato più grave e di reati satelliti) non subisca, in virtù di riforma della sentenza conseguente ad appello del solo imputato, mutamenti che comportino una ipotesi di continuazione diversa da quella prima effettuata; qualora si verifichi una siffatta situazione, trattandosi di giudizio relativo ad altra ipotesi di reato continuato, del quale potrebbe addirittura essere mutato il nomen juris, l'unica esigenza da salvaguardare è quella di garantire all'imputato la irrogazione di una pena nel suo complesso inferiore a quella già inflitta. (Principio affermato in relazione a fattispecie nella quale il giudice di appello ebbe ad assolvere, a seguito di impugnazione dell'imputato, quest'ultimo dal reato più grave applicando per il nuovo reato base pena meno grave di quella già imposta per il reato base escluso ed infliggendo aumento per la continuazione maggiore rispetto a quello, allo stesso titolo, in precedenza determinato, quando l'attuale reato più grave era compreso tra i reati satelliti).