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Cassazione penale Sez. I sentenza n. 7513 del 12 luglio 1991

Cassazione penale Sez. I sentenza n. 7513 del 12 luglio 1991

Testo massima n. 1

Ai fini dell’applicazione dell’attenuante della provocazione, l’acquiescenza o la mancata reazione dell’imputato di fronte ad una pluralità di fatti, oggettivamente ingiusti, perché contrari a norme etiche o giuridiche o di costume od alle regole della convivenza sociale, non esclude la sussistenza dello stato d’ira, né sul piano psicologico né su quello giuridico, qualora la vittima ponga in essere un nuovo ed ulteriore fatto ingiusto, che ricollegandosi a quelli precedenti per il nesso di derivazione psichica che li avvince, scateni nell’offeso un irrefrenabile moto di reazione violenta e porti, quindi, alla commissione del delitto.

Testo massima n. 1

La desistenza postula che l’agente abbandoni l’azione criminosa prima che questa sia portata a compimento e, cioè, prima che egli realizzi compiutamente l’azione tipica della fattispecie incriminatrice, se trattasi di reati cosiddetti a forma vincolata, o che egli impedisca, avendone ancora il dominio, che l’azione sia completamente realizzata quando il delitto è causalmente orientato o a forma libera. Tale criterio, valido nell’ipotesi di esecuzione monosoggettiva del delitto, non vale peraltro allorché l’imputato che abbandona l’azione criminosa concorra con altri alla commissione del delitto; in tal caso, infatti, il semplice abbandono o l’interruzione dell’azione criminosa, non basta perché si abbia desistenza, occorrendo un quid pluris. Detto quid pluris, tuttavia, non consiste nella necessità che il partecipe interrompa l’azione collettiva – come pur ritenuto da una concezione che sfocia in una interpretazione riduttiva del dettato normativo, in contrasto con la lettera dello stesso e la ratio dell’istituto [ che tende a stimolare ed a favorire l’abbandono o il recesso dall’azione criminosa, da chiunque o comunque intrapresa ] – dovendosi invece ritenere che il concorrente, per beneficiare della causa di non punibilità prevista dall’art. 56, comma terzo, c.p., oltre ad abbandonare l’azione criminosa, debba altresì annullare il contributo dato alla realizzazione collettiva, in modo che esso non possa essere più efficace per la prosecuzione del reato, ed eliminare le conseguenze della sua azione che fino a quel momento si sono prodotte.

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