14 Mag Cassazione penale Sez. VI sentenza n. 6863 del 14 giugno 1994
Testo massima n. 1
In tema di stupefacenti, l’attenuante speciale di cui all’art. 73, comma 7, D.P.R. n. 309/1990 ha una configurazione più ampia di quella prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. Essa non si ricollega al reato, bensì alla «attività criminosa», che è espressione sicuramente più lata e può comprendere il fatto contestato, senza esaurirsi in esso; non si riferisce al danno criminale o al pericolo di esso, ma a «conseguenze ulteriori», che possono certamente comprendere l’ulteriore aggravamento del detto danno o la verificazione del pericolo di danno, ma che sicuramente superano tali eventi, come è dimostrato sia dalla genericità della formula adottata, sia dall’indicazione esemplificativa di alcuni contributi, quali l’aiuto all’autorità investigativa e la scoperta di risorse rilevanti, che sicuramente non attengono all’elisione del danno criminale del reato già commesso. L’aggravante comune ha riguardo all’adoperarsi del colpevole in vista di una regressione del danno o del pericolo, già integrati dal reato in capo ai soggetti passivi mentre l’aggravante speciale ha riguardo all’evoluzione peggiorativa del detto danno o danni ulteriori e diversi da quello criminale già consolidato. Ne consegue che tra le due norme viene a porsi un rapporto di specialità reciproca, con conseguente prevalenza della norma che, di volta in volta, debba qualificarsi speciale nella concreta fattispecie sottoposta all’esame del giudice.
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Testo massima n. 1
L’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. ricorre quando il colpevole, dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, si adopera, per ravvedimento, al fine di elidere o attenuare le conseguenze concernenti il cosiddetto danno criminale, che è integrato dalla lesione o dal pericolo di lesione, in capo ai soggetti passivi — reali o potenziali — del bene giuridico specificamente tutelato dalla norma violata. Il riconoscimento dell’attenuante, nei reati in materia di stupefacenti, presuppone innanzitutto un giudizio di reversibilità dal danno in concreto arrecato alla parte lesa e, in secondo luogo, l’attivarsi del reo, non già in una direzione qualsiasi, purché dimostrativa della sua qualità di «ravveduto», ma in quella specifica orientata ad elidere, o a ridimensionare, il danno o il pericolo, conseguente all’immissione sul mercato o alla consegna al consumatore, di quella specifica partita di stupefacente oggetto della contestazione.
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