14 Mag Cassazione penale Sez. V sentenza n. 1416 del 11 febbraio 1985
Testo massima n. 1
In tema di falso nummario l’alterazione integra estremi di reato [ artt. 453, n. 3, 454 c.p. ] solo se vale ad attribuire alla moneta l’apparenza di un valore superiore o inferiore. Sicché, nell’ipotesi in cui vengano manipolate delle banconote, tagliando una striscia verticale da un primo biglietto [ ricongiunto poi con nastro adesivo ] che sostituisca una striscia verticale più grande di un secondo biglietto e così via sino ad ottenere quasi mezza banconota che venga congiunta ad altra eguale porzione ottenuta con identica operazione compiuta in senso inverso da altra serie di banconote, tale alterazione, atteso il valore invariato della banconota-mezzo, può solo costituire atto idoneo diretto in modo inequivoco alla formazione della banconota-fine. Quest’ultima, ricavata in più con le dette manipolazioni, benché composta di parti di banconote genuine, deve ritenersi contraffatta. Infatti, per contraffazione si intende la creazione di cosa simile ad altra, di norma per imitazione, ma anche con un’alterazione-trasformazione tale da doversi assimilare alla contraffazione. È questo il caso della banconota-fine che è contraffatta appunto perché creata in eccedenza, cioè consistente in un tutto il cui valore monetario è fittizio, perché prima non esistente nel numero delle banconote legittimamente circolanti. [ La Suprema Corte inoltre ha raffrontato i principi enunciati, con le norme interne della Banca d’Italia che, in base a queste, ha ammesso al cambio le banconote-mezzo alterate, non più genuine e quindi non idonee alla circolazione, mentre non ha ammesso al cambio le banconote-fine, cioè quelle contraffatte ].
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